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La copertura assicurativa della responsabilità contrattuale di Alberto Polotti di Zumaglia

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La copertura assicurativa della responsabilità contrattuale

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Alberto Polotti di Zumaglia*

La copertura assicurativa per responsabilità contrattuale ed aquiliana

Dalla definizione dell’assicurazione di responsabilità civile delineata nell’art. 1917 c.c. si evidenzia come tale tipo di assicurazione l’assicuratore si obblighi a tenere indenne l’assicurato di quanto questi debba pagare ad un terzo in conseguenza di un fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione in conseguenza della responsabilità dedotta nel contratto.

Tanto ha fatto ritenere in dottrina che “... causa del contratto sia l’indennizzo del danno derivante dal sorgere di un debito di responsabilità ...” con la precisazione che “... non ogni debito eventuale è coperto dall’assicurazione r.c., ma solo quello che nasce da responsabilità civile, cioè da violazione di norme legali o contrattuali ...” (v. A. Donati - G. Volpe Purzolu, Manuale di diritto delle assicurazioni private Milano 1987, 289; v. anche A. De Gregorio - G. Fanelli, Il contratto d’assicurazione, Milano 1987, 157 ss).

La stessa norma di legge consente quindi di ammettere anche la copertura assicurativa di una responsabilità contrattuale a condizione ovviamente che la medesima sia esattamente descritta nel contratto e tanto vediamo essere stato fatto dagli assicuratori per le spinte delle richieste del mercato o per provvedimenti legislativi.

Se nelle assicurazioni di RC l’assicuratore può essere dunque tenuto a manlevare l’assicurato per i danni da questi provocati per un fatto colposo da cui derivi una sua responsabilità aquiliana o contrattuale od il concorso di entrambe è appena il caso di ricordare la differenza di struttura esistente tra i due tipi di responsabilità.

La Suprema Corte ha di recente precisato che “... la responsabilità extracontrattuale nonostante l’ampia portata della dizione dell’art. 2043 c.c., che fa riferimento a qualunque fatto doloso o colposo ricorre solo allorquando la pretesa risarcitoria venga formulata nei confronti di un soggetto autore di un danno ingiusto, non legato all’attore da alcun rapporto giuridico precedente o, comunque, configurarsi solo per effetto della violazione di una norma di condotta imposta ad ogni consociato come tale.

Ove a fondamento della pretesa dedotta in giudizio venga enunciato l’inadempimento di obbligazione volontariamente contratta, ovvero anche derivante della legge (art. 1173 c.c.), non vi è luogo per l’illecito aquiliano, ma è ipotizzabile unicamente una responsabilità contrattuale o legale derivante da un vincolo obbligatorio posto in essere tra le parti dalla volontà delle stesse ovvero direttamente da una disposizione di legge” (Cass. 1.10.1994 n. 7989 in Giust. Civ. 1995, I, 137).

Tale criterio può allora essere utilizzato sia pur solo in via di massima per decidere sull’operatività di determinate coperture assicurative che facciano riferimento unicamente ad uno dei due tipi di responsabilità e le modalità di un sinistro creino dubbi di interpretazione.

Il risarcimento del danno contrattuale

Il fatto che il danneggiato agisca invocando l’uno o l’atro tipo di responsabilità comporterà poi differenze in tema di onere della prova, costituzione in mora, prescrizione e risarcimento del danno.

Si tratta di argomenti sin troppo noti e che non è il caso di approfondire. Solo per i riflessi pratici interessanti l’assicuratore nella liquidazione dei sinistri nei quali venga invocata una responsabilità contrattuale dell’assicurato si può ricordare che in tal caso la prescrizione dell’azione del danneggiato resta vincolata a quella del contratto invocato, prescrizione quindi che ad es. è annuale nel caso si invochi il contratto di trasporto, mentre in altri casi può diventare decennale.

* Responsabile Ufficio Contenzioso Sinistri della Sai, Torino

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Riguardo invece le componenti del danno risarcibile per responsabilità contrattuale è da ricordare che alla medesima è applicabile l’art. 1225 c.c. che limita il risarcimento al danno che poteva prevedersi nel momento in cui è sorta l’obbligazione, sempreché l’inadempimento od il ritardo non dipendano da dolo del debitore.

Poiché tale norma non è rimasta nell’art. 2056 c.c. se ne deduce che non è invece applicabile alla responsabilità extracontrattuale, nell’ambito della quale, i danni non prevedibili al momento del fatto, sono dunque risarcibili.

Il motivo della scelta operata dal legislatore diventa chiaro se si ricorda l’orientamento della Suprema Corte allorché affermò che: “Il risarcimento del danno contrattuale non deve trasmodare in risultati più vantaggiosi di quelli che sarebbero derivati dall’adempimento. La limitazione alle conseguenze prevedibili al momento in cui è sorta l’obbligazione (art. 1225 c.c.) si spiega con la funzione propria della responsabilità contrattuale di tutelare le parti nei limiti del rischio specifico della obbligazione contratta. La prevedibilità rappresenta un requisito autonomo di determinazione del danno risarcibile, con la conseguenza che il giudice non può prescindere dalle circostanze rivelanti ai fini della sua dimostrazione. Essa si identifica con una astratta prevedibilità del danno verificatosi e si concreta in un giudizio circa il suo probabile (e non solo genericamente possibile) accadimento. Oggetto di previsione è la diminuzione patrimoniale e perciò anche l’entità del danno (quantum debeatur). Il momento finale cui aversi riguardo nel calcolo del danno contrattuale prevedibile è quello della proporzione della domanda di risoluzione e non della pronuncia” (v. Cass.

21.5.1993 n. 5778 in Riv. Dir. Civ. 1994, I, 755 con nota di Valvari).

Un altro aspetto della responsabilità contrattuale che la differenzia dalla responsabilità extracontrattuale nell’ambito del risarcimento del danno, è rappresentato dalle limitazioni di responsabilità che determinati contratti pongono ad un soggetto.

Tanto si verifica ad es. nel caso di trasporto aereo o di trasporto stradale nei trasporti effettuati con il regime a forcella che limitano entro certe somme l’obbligo risarcitorio del vettore, come pure nel caso di responsabilità dell’albergatore ex art. 1783 c.c. per le cose portate in albergo dai suoi clienti.

In questi casi il danneggiato potrà chiedere al danneggiante un risarcimento limitato all’importo legislativamente previsto mentre se potesse agire in via extracontrattuale non sarebbe tale limite e potrebbe chiedere l’intero risarcimento del danno patito.

Tanto comporta per l’assicuratore che agisce la responsabilità di tali soggetti una correlativa limitazione della sua esposizione che resta ancorata a ben determinati limiti previsti dalle norme che regolano il contratto che viene preso in considerazione dalla polizza.

Il concorso dei due tipi di responsabilità in esame può poi comportare problemi in tema di quantificazione della domanda proposta dal danneggiato, nel senso che può non risultare evidente se lo stesso abbia inteso agire invocando un contratto del quale sia anch’esso parte piuttosto che l’esistenza di una responsabilità aquiliana di un altro soggetto.

E’ vero che nel concorso delle due responsabilità il debitore risponde a doppio titolo e che la pretesa risarcitoria per essere fondata sugli stessi elementi oggettivi e soggettivi dà luogo ad un’unica causa petendi (Cass. 5.10.1994 n. 8090 in Danno e responsabilità 1996 con nota di R. Simone la Suprema Corte da tale impostazione ha poi fatto derivare che la presenza del concorso di responsabilità aquiliana e contrattuale consente al danneggiato, una volta prescritta l’azione fondata sulla prima di conseguire il risarcimento fondatosi sulla seconda).

E’ peraltro vero che la disciplina della responsabilità contrattuale è pur sempre diversa, come già accennato da quella della responsabilità aquiliana.

In determinati casi poi la differenza giunge ad affluire addirittura sulla giurisdizione del giudice adito. Si pensi infatti al pubblico dipendente che agisca nei confronti del proprio datore di lavoro, il ché potrà fare sia assumendo di aver patito una lesione del suo diritto all’integrità fisica, basando così a sua domanda sull’art. 2043 c.c., sia sostenendo che da parte del datore di lavoro vi è stata una violazione dell’obbligo di tutela l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore ed invocando quindi l’art. 2087 c.c..

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Ma in tale ipotesi l’azione basata sull’art. 2043 c.c. “... come qualsiasi azione di responsabilità extracontrattuale, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, mentre l’azione contrattuale, essendo appunto inerente a un rapporto di pubblico impiego, spetta alla giurisdizione esclusiva dell’autorità giudiziaria amministrativa” (v. Cass. 4.11.1996 n. 9522 in Danno e responsabilità 1997, 15 con nota di V. Carbone).

E' interessante anche ricordare che con tale decisione la Suprema Corte ha ribadito che, nel caso di specie, allorché non emerga chiaramente quale azione il lavoratore abbia inteso proporre, debba ritenersi proposta l'azione di responsabilità extracontrattuale, richiedendo infatti l'altra azione "...

che la domanda sia espressamente fondata sull'osservanza da parte del datore di lavoro di una precisa obbligazione contrattuale.

Occorre cioè una qualificazione espressa della domanda e non è sufficiente la semplice prospettazione dell’inosservanza del progetto dettato dall'art. 2087 c.c. o delle altre disposizioni legislative strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro del dipendente".

L'efficacia della garanzia assicurativa di responsabilità civile

Riguardo il periodo di efficacia delle garanzie che coprono anche responsabilità contrattuali è il caso di rivelare che le diverse esigenze di copertura che l'assicuratore si trova a dover soddisfare in relazione il relazione ai rischi che gli vengono proposti portano a soluzioni talora molto diverse.

Così ad esempio nelle polizze che garantiscono la responsabilità civile del professionista per i danni arrecati a terzi nell'esercizio della propria attività professionale o delle USL è rivalso l'uso di far valere la garanzia assicurativa per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'assicurato nel corso del periodo di validità dell'assicurazione. Si è cioè seguito il sistema cosiddetto claims made.

Come si è visto l'art. 1917 c.c. prevede l'obbligo di manleva dell'assicuratore in relazione ad un fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, richiedendo quindi che la causa originaria ed il danno si producano nel periodo considerato del contratto.

Ma da tale impostazione "... è consentito discostarsene in quanto il primo comma dell'art. 1917 c.c. non è inderogabile, ai sensi dell'art. 1932 c.c., che limita la sua cogenza al terzo e quarto comma dell'articolo medesimo" (v. D. De Strobel, Assicurazione RC, Milano 1992, 516).

Si è così soddisfatta l'esigenza di tutela in relazione a danni riconducibili ad attività professionali o di produzione o commercializzazione di beni effettuate in un predeterminato periodo antecedente alla stipula del contratto, ma che si sono manifestati solo dopo che il contratto medesimo è divenuto operante. Tanto impone ovviamente un'esatta rispondenza alla realtà delle dichiarazioni rese dall'assicurato in sede precontrattuale.

Circa il temine finale delle garanzie si può ricordare che le medesime vengono sovente estese, in caso di responsabilità del professionista o delle USL, alle richieste di risarcimento presentate entro un certo termine dal momento in cui il contratto ha cessato di essere operante.

Per quanto riguarda la responsabilità del produttore è prevista la garanzia cosiddetta postuma che consente anch'essa, a determinate condizioni, la copertura di danni manifestatisi dopo l'operatività del contratto. Ciò è tanto più rivelante per tale soggetto se si considera che il diritto contro di esso vantato al risarcimento del danno "... si estingue alla scadenza di dieci anni dal giorno in cui il produttore o l'importatore nella Comunità Europea ha messo in circolazione il prodotto che ha cagionato il danno" (art. 14 DPR 24.5.1988 n. 224).

Il concorso della responsabilità contrattuale con quella aquiliana nell'assicurazione obbligatoria dei veicoli

Le polizze nelle quali si ha copertura di una responsabilità contrattuale in concorso con quella aquiliana sono sempre più numerose.

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In certi casi il concorso delle due responsabilità dipende dall'adeguamento delle condizioni contrattuali ad una norma di legge.

Si pensi ad es. all'assicurazione della responsabilità civile per la circolazione del veicolo che già in conseguenza della cosiddetta miniriforma operata con la l. n. 39/1977 doveva comprendere per determinati veicoli anche la responsabilità per i danni causati alle persone trasportate qualunque sia il titolo in base a cui è effettuato il trasporto. Tale impostazione è poi stata ribadita e per certi aspetti chiarita con l'art. 27 I. 19.2.1992 n. 142.

Si comprende allora che in tale assicurazione oltre che il trasporto di cortesia anche quello oneroso e quello gratuito che hanno matrice contrattuale, tanto che il danneggiato trasportato in via appunto contrattuale potrà agire direttamente contro l'assicuratore invocando però la presunzione prevista dall'art. 1681 c.c., anziché provare la colpa del responsabile come gli sarebbe imposto dall'art. 2043 c.c. e come deve fare il trasportato a titolo di cortesia. Infatti la legge sull'assicurazione obbligatoria "... pur avendo imposto la copertura assicurativa del trasporto a qualsiasi titolo ...

non ha comportato il venire meno della esclusione dell'applicazione delle presunzioni di cui l'art.

2054 c.c. all'ipotesi di trasporto a titolo di cortesia" (v. Cass. 3.3.1995n. 2471 in Giust. civ. 1995, I, 1467).

Ribadito dunque che la presunzione di cui al III co. art. 2054 c.c. non può essere invocata dai trasporti (v. in tal senso da ultimo Cass. 12.11.1996 n. 9874 in Riv. giurid. circol. e trasp. 1996, 954) tale decisione ne deduce che "... il trasportato a titolo di cortesia ha azione diretta contro l'assicuratore soltanto per il fatto delle persone alle quali sia imputabile l'evento dannoso. Ma essendo "assicurato" il proprietario dell'auto e non il conducente, nel caso venga accertata una colposa condotta soltanto di quest'ultimo, il trasportato non ha azione diretta contro l'assicuratore, non valendo in tal caso la responsabilità per fatto altrui, prevista dal citato art. 2054, co. 3 c.c".

Con tale conclusione si finisce però per togliere al trasportato di cortesia che non provi una responsabilità del proprietario del veicolo il beneficio dell'azione diretta contro l'assicuratore, azione che invece resta pur sempre al trasportato che invochi un contratto di trasporto ponendosi così sia pur solo per determinati casi una differenza di trattamento tra il trasportato che invochi una responsabilità contrattuale e quello che debba avvalersi solo di quella aquiliana.

Anche se tale conclusione può lasciare delle perplessità perché, tutto sommato, i benefici dell’assicurazione obbligatoria sono estesi, per le norme innanzi richiamate, a tutti i trasportati per qualunque titolo, non si può non riconoscere che la sentenza suindicata è senz'altro in linea con quella corrente giurisprudenziale per la quale parte necessaria del giudizio promosso dal danneggiato ai sensi dell'art. 23 l. n. 990 nei confronti dell'assicuratore è solo proprietario del veicolo assicurato o comunque tenuto all'assicurazione (v. da ultimo Cass. 17.4.1996 n. 3629 in Riv. giurid. circol. e trasp. 1996, 321 con richiami).

... ed altri tipi di assicurazione

Di fatto però le coperture assicurative che prendono in considerazione il concorso della responsabilità aquiliana con quella contrattuale od addirittura quest'ultima in via esclusiva attengono essenzialmente l'esercizio di attività professionali, la produzione di beni, la prestazione di servizi o la costruzione di un'opera.

Assume in tal caso rilevanza particolare la descrizione del rischio coperto dalla quale derivano i conseguenti obblighi dell'assicuratore. I danni in tal modo indennizzabili restano così intimamente collegati al tipo di attività presa in considerazione.

Ciò che si intende garantire è infatti il risarcimento dei danni o delle perdite patrimoniali provocati nell’esercizio dell’attività descritta in polizza.

Assume quindi rilevanza nella copertura della responsabilità professionale il complesso di norme che regolano proprio l’attività professionale presa in considerazione con il ché si escludono danni conseguenti ad attività che non vengono considerate da tali norme, come pure si giunge

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all’inoperatività della garanzia laddove un assicurato garantisca un’attività professionale per la quale poi non sia iscritto al relativo albo.

Situazioni di non agevole interpretazione si possono quindi verificare nella pratica laddove un professionista accetti un incarico che non sia direttamente connesso con l’attività esercitata il ché potrebbe escludere dalla garanzia assicurativa i danni eventualmente provocati da un suo inadempimento o da una non corretta esecuzione dell’incarico.

Per meglio chiarire il concetto si prospetti la seguente situazione:

• il proprietario di un immobile locato ad uso diverso dell’abitazione, intendendo vendere l’immobile, notifica tale propria intenzione al conduttore affinché possa esercitare entro 60 gg. il diritto di prelazione ad esso spettante ai sensi dell’art. 38 L. 27.7.1978 n. 392;

• il conduttore che intende acquistare l’immobile incarica un notaio di esercitare per suo conto il diritto di prelazione, al ché però il notaio provvede fuori termine ed il venditore vende l’immobile ad altro soggetto;

• il conduttore-cliente del notaio chiede a quest’ultimo il risarcimento del danno per non aver potuto acquistare l’immobile;

• il notaio a sua volta chiede all’assicuratore di essere tenuto indenne in forza della polizza di RC professionale ponendosi così il problema dell’operatività della polizza che garantisce appunto il notaio per danni provocati nell’esercizio della sua specifica attività, nella quale a rigore non pare potersi fare rientrare un incarico come quello un esame;

• in sintesi e sia pur in via di approssimazione si può ritenere che se l’esercizio di notificare l’intenzione di esercitare la prelazione è stato conferito al notaio nell’ambito di una consulenza o meglio in previsione della stipula da parte sua dell’atto di compravendita non si possa negare che esiste una connessione diretta tra l’attività professionale del notaio e l’incarico che era stato conferito con la conseguenza che la garanzia assicurativa risulterebbe operativa; se invece l’incarico fosse stato conferito come atto unico richiesto al notaio svincolato dal contesto appena accennato si dovrebbe ritenere che il medesimo non rientrava tra gli atti che le norme regolanti la professione attribuiscono al notaio concludendosi, sia pur con tutte le riserve del caso, per l’inoperatività della garanzia.

Casi di questo genere nelle varie professioni si presentano talora con le più svariate sfaccettature ed impongono ovviamente un attento esame delle norme che regolano la singola professione per poter decidere se determinati fatti risalenti pur sempre a responsabilità contrattuali rientrino o meno nella garanzia assicurativa.

Altra causa di esclusione derivante dalla stessa del rischio può derivare dal luogo in cui viene esplicata l’attività professionale o dalle modalità dell’esercizio della stessa.

Si pensi ad es. al caso della polizza che faccia riferimento all’attività di medico specialista del dott.

X presso l’ospedale Y, che comporterà l’esclusione dei danni conseguenti all’attività prestata in altro luogo come una casa di cura privata. Del pari il preciso riferimento ad una specializzazione comporterà l’esclusione di danni conseguenti ad attività comprese in altra specializzazione anche se quest’ultima l’assicurato sia regolarmente abilitato; assicurare infatti il dott. X solo per la sua attività di chirurgo comporterà la scoperta dei danni che esso provochi laddove ad es. esplichi l’attività di anestesista non prevista in contratto.

Esclusione della copertura assicurativa di determinati danni contrattuali

Dalla stessa struttura dell’assicurazione di responsabilità civile che prevede il risarcimento dei danni provocati a terzi deriva come lapalissiana conseguenza che non sono risarcibili quei danni che finiscono per ripercuotersi sullo stesso professionista assicurato.

Tanto può verificarsi in determinati casi in cui il professionista sia tenuto a perseguire un risultato.

Si pensi al caso dell’odontoiatria che fornisce una protesi non idonea e che sia costretto ad apportarvi delle modifiche o addirittura a sostituirla od al progettista che debba ripetere la stesura di un progetto per essere incorso in qualche errore.

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E' chiaro che in queste situazioni chi risulta avere un danno è tutto sommato il solo professionista che per adempiere esattamente il contratto cui si è vincolato finisce per dover affrontare spese o perdite di tempo non previste al momento dell'assunzione dell'incarico. E proprio perché un danno del genere non colpisce il "terzo", ma lo stesso assicurato logica e necessaria ne diventa l'esclusione dell'ambito del contratto assicurativo.

L'esclusione di altri danni derivanti da inadempimento contrattuale consegue poi allo stesso tipo di danno preso in considerazione dall'assicuratore. In determinati contratti come ad es. quello relativo all'assicurazione della RC delle aziende sanitarie locali o quello relativo alla responsabilità del singolo sanitario si coprono infatti i danni involontariamente cagionati a terzi per morte e lesioni personali o per distribuzione e deterioramento delle cose.

Ed allora per tornare all'esempio dell'odontoiatria se il paziente che abbia ricevuto una protesi non idonea chiedesse al medico per il suo inadempimento contrattuale oltre alla sostituzione della protesi medesima anche il rimborso di somme per il tempo sottratto al lavoro per visite di controllo od altro, od il rimborso di quanto pagato ad altri medici per consulti saremo in presenza di danni inquadrabili in una perdita patrimoniale e non certo in una distribuzione o deterioramento di cose con la logica conseguenza dell'esclusione della garanzia assicurativa del rimborso delle somme predette.

Situazione ben diversa si avrebbe invece nel caso in cui la protesi non corretta od il relativo posizionamento abbiano provocato una qualsivoglia lesione al paziente, nel qual caso il danno alla persona emergerebbe chiaramente ed il concorso della responsabilità aquiliana con quella contrattuale del medico porterebbe alla copertura dei danni tutti riconducibili alla lesione.

Quest'ultimo esempio consente di introdurre una situazione per certi aspetti simile che si presenta nelle polizze che coprono la responsabilità civile del costruttore (CAR) o del produttore.

Nelle condizioni della polizza CAR di norma ora utilizzabile nel mercato assicurativo tra le varie esclusioni si prevede anche quella relativa a “responsabilità dedotte da contratti, salvo quel che, pur inerendo ad un rapporto contrattuale, si configurino altresì quali responsabilità extracontrattuali”.

In tal modo l’assicuratore resta esente dai danni che possono ricadere sul costruttore per difformità o vizi dell’opera costruita come pure da richieste di pagamenti per manleva o penali o comunque da impegni contrattuali da questi assunti volontariamente.

Se così non fosse l’assicuratore stesso si troverebbe tra l’altro esposto a richieste conseguenti anche a carenze organizzative o scelte operative riconducibili unicamente all’assicurato, fattori questi generalmente non conoscibili a priori e comunque di ben difficile se non impossibile valutazione al momento della stipula del contratto, di assicurazione, per tacere dei casi in cui tali fattori conseguono ad una scelta internazionale che di per sé renderebbe il rischio inassicurabile.

Restano invece in garanzia quei fatti nei quali sia riavvisabile il concorso della responsabilità contrattuale con quella extracontrattuale, visto che tale concorso risulta ipotizzabile anche quando in capo ad uno stesso soggetto danneggiato sussista “... una molteplicità di situazioni protette, in relazione sia ad un precedente obbligo relativo, sia a divieti generali ed assoluti” (Cass. 6.3.1995 n.

2577 in Mass. Giust. Civ. 1995, 527).

La polizza RC prodotti ...

Riguardo la polizza che copre la responsabilità civile prodotti si ricorda anzitutto che la descrizione del rischio assicurato comunemente adottata dalle polizze presenti sul mercato precisa che l’assicuratore “... si obbliga a tenere indenne l’assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare quale civilmente responsabile, a sensi della legge, a titolo di risarcimento ... di danni involontariamente cagionati a terzi da difetto dei prodotti descritti in polizza per i quali l’assicurato riveste in Italia la qualifica di produttore dopo la loro consegna a terzi, per morte, per lesioni personali e per distribuzione o deterioramento di cose diverse del prodotto difettoso in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi in relazione ai rischi per i quali è stipulata l’assicurazione”.

Il richiamo alle normative dettate in tema di responsabilità per danno da prodotti difettosi del DPR 24.5.1988 n. 224 è di certo evidente .

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Per altro, nel definire il danno risarcibile, si adotta, come rivelato in dottrina, una nozione più ampia rispetto a quella contenuta nell’art. 11 DPR n. 224/88 visto che “... manca in primo luogo il limite alla destinazione del bene all’uso o consumo privato, che contrassegna nell’art. 11 la risarcibilità del danno a cose; non è prevista la franchigia di cui al secondo comma dell’art. 11; né vige la regola dell’irrilevanza del danno non patrimoniale, che l’art. 11 sottintende”. Tali differenze si è poi osservato essere congruenti con la “... circostanza che la copertura assicurativa non è necessariamente legata alla responsabilità per danno da prodotti difettosi prevista da DPR n.

224/1988; e risultano di grande importanza per l’assicurato se si ammette che, qualora si cada fuori dall’ambito di quest’ultima responsabilità, il danneggiato possa pur sempre agire contro il produttore ove ne ricorrano i presupposti in base alle regole generali che disciplinano la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale” (v. M. Bin L’assicurazione della responsabilità civile da prodotti in Assic. 1989, I, 105).

E’ appena il caso di ricordare che se la copertura assicurativa appena richiamata prende in considerazione sia i danni riconducibili a responsabilità aquiliana che quelli rinducibili a responsabilità contrattuale, con i limiti che in appresso vedremo, una copertura che faccia riferimento solo alla prima responsabilità escluderebbe determinati danni materiali provocati all’acquirente dal prodotto difettoso, comprendendo ovviamente i danni ad esso provocati da lesioni o quelli patiti da altri soggetti. La Suprema Corte ebbe infatti a chiarire che “la responsabilità del venditore nei confronti del compratore, per i vizi delle cose vendute, ha natura contrattuale anche con riguardo al risarcimento dei danni che la difettosità delle cose abbia provocato ad altri beni del compratore medesimo (nella specie, danni che un accordo di riscaldamento, affetto da vizi, aveva arrecato ai locali nei quali era stato montato): la suddetta responsabilità, pertanto, esula dalla garanzia assicurativa che copre il venditore con esclusivo riferimento alla responsabilità civile di natura extracontrattuale, per eventi determinati all’intrinseca pericolosità delle cose” (Cass. 15.6.1988 n.

4089 in Mass. Foro it. 1988, 596).

Come si è accennato i danni presi in considerazione già nella descrizione del rischio assicurato riguardo i danni a persone e la distribuzione od il deterioramento di cose diverse dal prodotto difettoso. Ne deriva allora l’esclusione delle semplici perdite patrimoniali che non siano conseguenti ad un danno ad una cosa. Tanto già può spiegare l’esclusione dei danni rappresentati dalle spese che il danneggiato abbia dovuto affrontate per sostituire o riparare il prodotto difettoso magari rivolgendosi ad altro fornitore.

Il fatto è che i danni allo stesso smerciato non sono stati considerati meritevoli di particolare tutela perché è giudicato “... sufficiente la protezione che a questo interesse, può fornire la disciplina contrattuale della compravendita. Una garanzia assicurativa spinta anche a questa copertura, rischierebbe, tra l’atro, di mutarne la natura. Da una salvaguardia dei danni subiti alle persone e ai beni di consumo prodotti e al loro valore commerciale, appesantendo il costo del servizio e rivolgendosi più ad interessi privati che all’interesse generale della salvaguardia della integrità fisica” (v. De Strobel op. Cit. 552).

E’ comunque da ricordare la possibilità di stipula a determinate condizioni di garanzie dirette al rimborso delle spese resesi necessarie per il ripristino dei prodotti o per il loro ritiro dal mercato.

... i danni esclusi

E’ in ogni caso chiaro che il limite della copertura dei danni a persona ed ai danneggiamenti di cose esclude comunque determinati danni che in via contrattuale l’assicurato può essere tenuto a rimborsare in proprio al terzo danneggiato.

Gli esempi al riguardo possono essere numerosi: tra i tanti ci si limita a ricordare, per chiarire il concetto, il caso degli antiparassitari che non raggiungendo lo scopo danneggino anche le culture sulle quali siano stati usati: i danni arrecati direttamente dal prodotto alle culture sarebbero risarcibili, mentre restano esclusi i danni arrecati dai parassiti nei cui confronti il prodotto si è rivelato inadeguato.

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Altro esempio emblematico è quello del trapano elettrico che risulti inidoneo a forare il legno od i metalli e sia quindi inefficiente rispetto all’uso in considerazione del quale è stato acquistato; posto che la normativa sulla responsabilità del produttore non mira a proteggere le aspettative contrattuali, ma i danni che il prodotto possa provocare, ne deriva che rientrano nella copertura assicurativa solo i danni ad es. venissero provocati dal trapano all’utilizzatore per un insufficiente isolamento mentre restano escluse le perdite patrimoniali conseguenti all’inidoneità del trapano.

Anche se sulle esclusioni derivanti dal meccanismo cui si è appena fatto cenno sono state formulate riserve (v. Bin op. Cit.) pare peraltro che le medesime siano ampiamente giustificate in base ad una serie di considerazioni.

Anzitutto è da ricordare che la direttiva comunitaria attuata con il DPR n. 224/88 ha voluto che i singoli stati membri, in tema di responsabilità del fabbricante per difetti del prodotto, parlassero “...

una lingua sola ed eccoci all’affermazione del principio della responsabilità extracontrattuale del produttore per i danni causati dal difetto del prodotto” (v. Ponzanelli La responsabilità per danno da prodotti difettosi in “Le nuove leggi civili” commentate 1989, 499).

La giurisprudenza ha di recente affermato che la novità dell’attuale normativa “... è rappresentata dalla introduzione, nel ns. ordinamento giuridico, di una ipotesi di responsabilità extracontrattuale indipendente da ogni rapporto negoziale tra produttore e consumatore” (così in motivazione Trib. Monza 21.7.1993 in Resp. Civ. E previd. 1994, 141 anche in Foro it. 1994, I, 251).

Di fatto l'art. 1 del DPR n. 224/88 stabilendo il principio per il quale il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto ha posto una responsabilità extracontrattuale di tipo oggettivo senza tuttavia escludere in determinate ipotesi la presenza di una responsabilità colpevole (v. G. Giannini - M. Pogliani "La responsabilità da illecito civile" Milano 1996 p. 229).

Se poi si esamina il D.Lgs 17.3.1995 n. 115 (Attuazione della direttiva 92/59 CEE relativa alla sicurezza generale dei prodotti) si vede che l'obiettivo fondamentale del medesimo (quale desumibile dall'art. 1) è quello di "costringere gli imprenditori a immettere sul mercato esclusivamente prodotti sulla sicurezza generale dei prodotti in Resp. civ. e previd. 1996, 800).

Se quindi la polizza RC prodotti è modellata sul DPR n. 224/88 e considera la stessa tipologia di danni da questo considerata diventa senz'altro giustificata l'esclusione di determinati danni di carattere contrattuale, tanto più che taluni di questi ultimi finiscono per essere pur sempre coperti, come ad es. nel caso in cui un prodotto a causa di un difetto abbia danneggiato anche altre cose cui sia collegato.

La limitazione di operatività di tale polizza finisce infatti per venire individuata non tanto in relazione alla natura della responsabilità (contrattuale o extracontrattuale) fatta valere nei confronti dell'assicurato, quanto in relazione alle conseguenze (danni a persona e danneggiamento a cose) che l'evento lesivo abbia prodotto, impostazione questa che porta a dire che l'ambito della copertura assicurativa si esplica prevalentemente sul campo della responsabilità extracontrattuale o del suo concorso con quella contrattuale.

D'altronde ribaltare sull'assicuratore conseguenze di un inadempimento contrattuale come quelle conseguenti al mancato conseguimento del risultato cui il prodotto tende, finirebbe per porsi anche in contrasto con l'attuale quadro legislativo diretto a responsabilizzare al massimo il produttore costringendolo persino ad investimenti produttivi più mirati e finalizzati alla sicurezza dei prodotti ed alla prevenzione di danni di qualsivoglia genere.

Non si dimentichi infine che dall'esperienza nordamericana è emerso come "... la comparsa di un settore giurisprudenziale decisamente favorevole all'affermazione di un principio di responsabilità assoluta, ha finito per determinare una situazione di così profonda crisi del mercato assicurativo, tale da sottrarre alcune forme di attività economica alla responsabilità di una loro copertura assicurativa"

(così G. Ponzanelli, op. cit. 504).

Quanto sin qui detto giustifica a maggior ragione anche l'esclusione che la polizza contiene con riferimento ai danni derivanti da responsabilità volontariamente assunta dall'assicurato e non direttamente derivatogli dalla legge.

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Pare infatti logico ritenere che una tale esclusione contempli una situazione di assunzione di responsabilità per una garanzia o comunque un impegno di garanzia cui il produttore non sia costretto dalla legge.

L'obbligo di salvataggio e l'assicurazione di responsabilità civile

Il fatto che l'assicurazione garantisca i danni che l'assicurato può provocare dando esecuzione ad un contratto nel quale esso è parte, richiama problematiche anche in riferimento a determinati obblighi come quello di salvataggio che il contratto di assicurazione pone a carico dell'assicurato stesso.

L'art. 1914 c.c. prevede infatti che l'assicurato debba fare quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno e regola poi la ripartizione delle spese a tal fine effettuate.

In dottrina si è ritenuto che tale norma sia applicabile all'assicurazione di responsabilità civile e quindi anche a quella in esame (v. A. D. Candian "Responsabilità civile e assicurazione" Milano 1993, p. 284) pur se non è mancato di recente chi ha ritenuto con pregevoli considerazioni che manchino nell'assicurazione di responsabilità civile i presupposti per l'applicazione dell'art. 1914 (v.

G. Volpe Putzolu "Le assicurazioni". Produzione e distribuzione Bologna 1192 p. 144 s.).

La Suprema Corte ha peraltro affermato che "... la disciplina dell'obbligo di salvataggio fissata nell'art. 1914 c.c. non è esclusiva delle assicurazioni contro i danni e, in particolare, quelle della responsabilità civile; salvi, peraltro, gli adattamenti resi necessari della specificità del ramo" (così in motivazione Cass. 7.11.1991 n. 11877 in Arch. civ. 1992, 418).

Se diventa importante a questo punto chiarire che l'obbligo di salvataggio si riferisca alle attività dirette ad evitare il sinistro ovvero solo a quelle dirette ad evitare il danno. Dallo stesso testo della norma, che collega il dovere di salvataggio dell'assicurato al danno, la sentenza appena richiamata giunge alla conclusione che detto obbligo non riguardi i comportamenti influenti sul sinistro e che nasca quindi dopo che il sinistro medesimo si sia verificato con la precisazione peraltro che "quando l'azione generatrice del danno si propaga nel tempo, l'obbligo di salvataggio sorge in coincidenza dell'atto iniziale dell'azione dell'azione medesima, perché già da questo ha origine la genesi del danno".

Da tale premessa deriva logicamente che possono rientrare nell'attività di salvataggio solo gli interventi che si inseriscano nel processo causale già introdotto dal sinistro con esclusione quindi dell'attività che, sempre prima del sinistro medesimo, chiunque debba compiere per evitare che si realizzi una situazione di pericolo.

Resta del pari esclusa l'attività successiva al sinistro "... che non sia direttamene strumentale all'esclusione od alla limitazione del danno".

Nel caso di specie esaminato della richiamata sentenza n. 11877/91 veniva garantita la responsabilità civile del proprietario di una villa con annesso parco, il quale, dopo che qualche albero si era abbattuto a causa di eccezionali eventi atmosferici su proprietà limitrofe danneggiandole, aveva provveduto al taglio di piante e rami pericolanti e ciò al fine di evitare altri danni chiedendo quindi il rimborso delle relative spese.

Sul presupposto che l'attività dell'assicurato era stata posta in essere dopo l'inizio dell'azione che generò il sinistro il giudicante riconobbe che si trattava di attività diretta appunto ad evitare un danno facendola così rientrare nella categoria delle spese di salvataggio ribadendo ad ogni buon conto che proprio per le considerazioni dinanzi riportate in tale categoria non avrebbe potuto rientrare la normale attività di manutenzione compiuta prima del sinistro.

L'attività di salvataggio e l'attività di prevenzione

Quanto sin qui detto consente allora di operare una netta distinzione tra l'attività di salvataggio diretta ad evitare un danno ed il cui onere ricade sull'assicuratore e l'attività di prevenzione del

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sinistro e di contenimento del rischio che ricade invece sull'assicurato in vista dei più generali obblighi contrattuali.

Se non si effettua tale distinzione si finisce per dare una nozione del salvataggio così estesa e non chiaramente identificata nei suoi confini da essere difficilmente utilizzabile nella pratica.

E ciò diventa tanto più importante quando la garanzia assicurativa viene collegata ad una attività che l'assicurato eserciti in funzione di un contratto che a sua volta abbia stipulato con un altro soggetto come quando si impegni ad una prestazione professionale o a costruire un'opera od a conseguire un prodotto che produce o che commercializzi.

In questi casi gli obblighi che incombono sull'assicurato non derivano solo dal suo dovere di mantenere adeguatamente la sua cosa che può produrre danni a terzi (come nel caso della sentenza richiamata) ma anche da obblighi tipici che gli derivano dal contratto specifico che regola l'attività che ha assicurato.

Diventa allora importante enucleare le attività poste in essere dall'assicurato che si concentrino in opere o azioni che sono essenziali o prodromiche all'obbligazione che l'assicurato ha assunto nei confronti dei committenti o comunque nei confronti di altri soggetti.

Se non si compie tale operazione si definisce, in casi complessi che nella pratica si propongono con frequenza per porre a carico dell'assicurazione, nell'ambito delle spese di salvataggio, i costi primari dell'assicurato cioè quei costi essenziali ed in rapporto di causalità diretta con la sua attività i quali devono naturalmente restare a suo carico. In altre parole se un'attività rientra a pieno titolo in tutto ciò che l'assicurato deve fare per gli obblighi che ha assunto contrattualmente tale attività non può essere qualificata come attività di salvataggio.

Ciò che può complicare la situazione per l'assicuratore è il fatto che l'assicurato è tenuto per contratto nei confronti del suo cliente a compiere certe attività di prevenzione sia prima che dopo l'eventuale sinistro.

Si pensi al caso di un produttore di contenitori di sostanze alimentari che per un sia pur imprevisto difetto di fabbricazione, trasmettano odori o sapori sgradevoli al contenuto.

E' chiaro che il produttore, dovendo vendere cose idonee all'uso cui sono destinate, deve immediatamente avvisare del difetto il suo cliente, sostituire o comunque ritirare dal mercato a sue spese i contenitori difettosi già prima che arrechino un danno e se non lo facesse, conoscendo la reale situazione, a fronte della successiva richiesta di risarcimento per gli alimentari danneggiati, l'assicuratore potrebbe eccepire, ai sensi dell'art. 1900 c.c. che esso assicurato ha agito intenzionalmente con tutte le relative conseguenze. Se poi tale produttore venisse a conoscenza del difetto dei contenitori solo a sinistro già avvenuto l'assicuratore dovrebbe risarcire il danno agli alimentari deteriorati, ma il produttore dovrebbe ritirare i contenitori non utilizzati perché non conformi alle caratteristiche che gli erano state richieste dal suo cliente, con il contratto tra di essi intercorso, il ché è cosa diversa dall'attivarsi per indurre o eliminare il danno come impone l'obbligo di salvataggio. Si avrebbe cioè un'attività che non è direttamente strumentale all'esclusione o al risarcimento del danno, come richiesto dalla giurisprudenza richiamata per scattare l'obbligo di salvataggio, ma è strumentale all'esecuzione del contratto.

Tanto ci pare spieghi l'esclusione nella polizza prodotti delle spese per il ritiro dal mercato dei prodotti medesimi, esclusione che in dottrina (v. Bin. op. cit. p. 106) si è ritenuto porti a svuotare il principio fissato dall'art. 1914 c.c., tesi questa che ci pare superata dalle considerazioni sin qui svolte.

In ogni caso se ci si volesse anche riferire alle spese effettuate dal cliente del produttore assicurato, spese richieste come una componente del danno da esso cliente sofferto, nulla impedirebbe di considerare la clausola come una delimitazione del rischio assicurato, per tacere del fatto che ben difficilmente tali spese potrebbero rientrare nell'ipotesi del danneggiamento da esso stesso in considerazione dalla polizza.

In ogni caso poi quando fosse l'assicurato a ritirare il prodotto del mercato le relative spese sarebbero affrontate da esso stesso e non da un terzo.

Sempre in ordine alle difficoltà poste in certi casi dall'obbligo di salvataggio si può infine richiamare quanto talora avviene nel campo dell'edilizia laddove può non essere chiaro se

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determinate attività poste in essere dopo un sinistro fossero dirette ad eliminare o ridurre il danno od invece prodromiche per l'opera commissionata.

Si tratterà allora di effettuare un'attenta analisi sotto il profilo tecnico per giungere a risposte soddisfacenti.

Per agevolare in questi casi il compito dei tecnici, si potrà se del caso tener presente che il concetto di attività di salvataggio può essere ottenuto anche procedendo per esclusione, cioè individuando in via preliminare quelle attività che costituiscono parte integrante di ciò che è stato promesso nei singoli contratti per poi escludere che tanto costituisca attività di salvataggio. In sostanza se un'attività rientra a pieno titolo in ciò che l'assicurato deve fare per contratto essa non può essere qualificata attività di salvataggio.

A conclusione di quanto sin qui detto non ci si può nascondere che la complessità dei problemi delle coperture assicurative di responsabilità contrattuali, fa auspicare che da un lato il fenomeno

"assicurazione" venga sempre più conosciuto ed approfondito dagli utenti e dall'altro venga reso sempre più immediata comprensione sia in questo che in tutti gli altri suoi aspetti dagli addetti ai lavori.

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