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PROBLEMI CONNESSI ALL’IDONEITÀ LAVORATIVA NEGLI OPERATORI SANITARI HBV HCV E HIV POSITIVI

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PROBLEMI CONNESSI ALL’IDONEITÀ LAVORATIVA NEGLI OPERATORI SANITARI HBV HCV E HIV POSITIVI

Dr. Maurizio Coggiola, Dr. Fabrizio Meliga *

INTRODUZIONE

L’articolo 17 del D.Lgs. 626/94 (1) attribuisce al medico competente il compito fondamentale della formulazione del giudizio di idoneità specifica alla mansione con l’obiettivo di garantire il collocamento del lavoratore nelle attività lavorative più confacenti alle sue attitudini, intese come “le capacità e le condizioni degli stessi (lavoratori N.d.R.) in rapporto alla loro salute e alla sicurezza” (art. 4, comma 5, lettera c del D.Lgs. 626/94).

Se, da un lato, è chiaro che il giudizio di idoneità lavorativa ha lo scopo di evitare che situazioni cliniche, congenite od acquisite, professionali e non, possano essere aggravate dai rischi propri della mansione cui il lavoratore deve essere o è già adibito, dall’altro è oggetto di discussione se il medico competente debba considerare, nella formulazione dell’idoneità specifica, i pericoli che il lavoratore può rappresentare nei confronti di terzi.

A nostro parere ed in accordo con altri autori (2, 3, 4) il legislatore attribuisce al datore di lavoro l’obbligo di collocare il lavoratore non solo considerando la tutela della sua salute ma anche tenendo conto di una più generale gestione della sicurezza che prevede, nell’assegnazione dei compiti lavorativi, anche il rischio che il lavoratore può rappresentare verso terzi.

L’applicazione di questo principio assume grande rilievo nella definizione dell’idoneità lavorativa per gli operatori sanitari rispetto al problema delle malattie infettive trasmissibili per via ematogena.

Vale, a tale proposito, ricordare quanto riportato nella sentenza della Corte Costituzionale 218/94 (5) ove si afferma che “l’interesse comune alla salute collettiva e l’esigenza della preventiva protezione dei terzi consentono in questo caso, e talvolta rendono obbligatori, accertamenti sanitari legislativamente previsti, diretti a stabilire se chi è chiamato a svolgere determinate attività, nelle quali sussiste un serio rischio di contagio, sia affetto da una malattia trasmissibile in occasione ed in ragione dell’esercizio delle attività stesse”.

Inoltre, nel 1998, il Documento n. 109 del Ministero della Sanità, Linee-guida per la diagnosi, la terapia ed il controllo delle epatiti (6), redatto a cura della Commissione Nazionale per la lotta contro l’AIDS e le altre malattie infettive, raccomandava di escludere da attività sanitarie considerate ad alto rischio soggetti portatori di alcune particolari condizioni sierologiche.

* Dipartimento di Traumatologia, Ortopedia e Medicina del Lavoro dell’Università degli Studi di Torino - Azienda Ospedaliera CTO/CRF/ICORMA.

(2)

Questo concetto è ripreso, con ulteriori precisazioni, nella bozza di documento (7) che dovrebbe aggiornare tali linee- guida.

Il problema è ampiamente dibattuto nella comunità scientifica internazionale e nella tabella 1 sono riassunte le tappe relative alla gestione degli operatori sanitari siero positivi per malattie trasmissibili per via ematogena riprese dal documento redatto dalla Society for Healthcare Epidemiology of America (SHEA) pubblicato nel 1997 (8).

Tabella 1 – Gestione degli operatori sanitari HBV, HCV e HIV positivi: evoluzione del problema (modificata da SHEA Position Paper, 1997)

1. Pubblicazione di linee guida sulla gestione di operatori portatori di infezioni trasmissibili per via ematogena negli USA da parte del Centers for Disease Control and Prevention.

2. Cluster di casi di trasmissione di HIV ed altri agenti virali trasmissibili per via ematogena da operatore a paziente (trasmissione di HIV da dentisti in Florida e da ortopedici in Francia – trasmissione di HBV da chirurghi).

Successiva revisione ed ampliamento delle Precauzioni Universali e dell’OSHA Bloodborne Pathogens Standard.

3. Due cluster di casi di trasmissione di HCV da operatore a paziente riportati in letteratura (rischio intermedio tra HIV ed HBV).

4. Istruzione di alcuni procedimenti giudiziari nei confronti di operatori portatori di HIV.

5. Introduzione di ulteriori misure preventive impiantistiche e di igiene ambientale per contenere l’esposizione ad agenti patogeni trasmissibili per via ematogena.

Nella tabella 2, tratta dallo stesso documento, sono segnalati i casi - aggiornati al 1994 - di riconosciuta trasmissione di HBV da operatore sanitario (dentisti e chirurghi) a paziente negli USA e in alcuni paesi occidentali.

(3)

Tabella 2 – Casi di trasmissione di HBV da operatore a paziente (modificata da SHEA Position Paper, 1997)

STATI UNITI RESTO DEL MONDO

ANNO DENTISTI CHIRURGHI DENTISTI CHIRURGHI

1972-1976 3 0 0 0

1977-1981 2 2 0 5

1982-1986 2 3 0 4

1987-1991 0 2 0 4

1992-1994 0 1 0 8

TOTALE 7 8 0 21

Dati più recenti (7) identificano 40 casi di infezione da HBV osservati negli ultimi 25 anni ed attribuibili a trasmissione da operatore sanitario a paziente.

Inoltre, in un lavoro del 1996 sono segnalati 5 casi di infezione da HCV trasmessi da operatore sanitario (cardiochirurgo), portatore di epatite cronica HCV correlata, a paziente (9).

Riteniamo, pertanto, di non poter non prendere in considerazione, nelle ipotesi che formuleremo per la definizione della idoneità lavorativa, il problema della possibile trasmissione della patologia infettiva da operatore a paziente, anticipando che su tale argomento è necessario un approccio multidisciplinare - coordinato dalla Direzione Sanitaria di riferimento - sia per una definizione quanto più possibile precisa e scientificamente corretta dei compiti lavorativi potenzialmente “pericolosi” sia per una corretta gestione degli operatori sanitari considerati a “rischio” per il paziente.

Sotto il profilo generale, anche per le malattie trasmissibili per via ematogena, valgono le raccomandazioni relative ai soggetti che presentano una condizione di aumentato rischio di contrarre patologie da agenti biologici. Rientrano in questa categoria i portatori di immunodeficienze congenite od acquisite che non dovranno essere adibiti a compiti lavorativi comportanti la possibilità di contatto con liquidi biologici potenzialmente infettanti. In alcuni casi (es. terapia in corso con farmaci immunosopressori) la non idoneità potrà essere temporanea.

EPATITE VIRALE TIPO B

La profilassi vaccinale anti HBV, condotta nel rispetto della Legge n. 165 del 27 maggio 1991 e dei Decreti Ministeriali del 3 ottobre 1991, modificato con Decreto Ministeriale del 22 dicembre 1997,e del 4 ottobre 1991, ha notevolmente ridotto la prevalenza dell’infezione nella popolazione generale e ha permesso, nello stesso tempo, di attuare una efficace ed effettiva tutela della salute dell’operatore sanitario.

Tuttavia, poiché la vaccinazione anti HBV per gli operatori sanitari è solo raccomandata, devono essere valutati i profili di idoneità degli operatori che hanno rifiutato il ciclo vaccinale e di quelli che presentano condizioni di positività sierologica legata a precedenti contatti con il virus dell’epatite B.

Per i soggetti non vaccinati o non responder si ritiene di non dover formulare limitazione della capacità di lavoro (10), ma si ritiene altresì di dover informare tali

(4)

soggetti sulla assoluta necessità di segnalare immediatamente ogni contatto accidentale con matrici biologiche potenzialmente infette al fine di valutare l’opportunità di procedere a profilassi post esposizione con immunoglobuline specifiche. E’ chiaro che gli operatori non vaccinati presentano una condizione immunologica “deficitaria” nei confronti del virus dell’epatite B rispetto ai soggetti vaccinati, pur tuttavia la non vaccinazione ad oggi (e fino a che la profilassi vaccinale non diventerà atto obbligatorio per gli operatori sanitari) non può giustificare, a nostro parere, alcuna restrizione dell’idoneità lavorativa con i conseguenti risvolti negativi sulla professionalità dell’operatore sanitario (anche su tale aspetto i pareri non sono comunque uniformemente concordi).

Nella tabella 3 sono riassunti gli otto più comuni profili sierologici da contatto con HBV, correlati con la infettività del sangue, osservabili nelle varie situazioni cliniche (Gioannini et al. 11).

Tabella 3 – Profili sierologici nelle varie situazioni cliniche (modificata da Gioannini et al, 1993)

Marker Profilo

sierolo gico

HbsAg HbeAg DNA polimer

asi

Anti- HBs

Anti- HBc

Anti- HBc IgM

Anti- Hbe

Diagnosi probabile

Infettiv ità del sangue

1 + + + o - - +, M +, E - Epatite

acuta +++

2 + + + o - - +, E +, B - Epatite

cronica attiva

+++

3 + - - - +, M

(o B)

+, M o B

+ o - Fase

iniziale di convalesce

nza

++

4 + - - - +, M +, B + o - Epatite

cronica con bassa o

media attività

virale

++

5 + - - - +,M o

B

- (o +, B)

+ (o -) Portatore

cronico di HBsAg;

probabilme nte non malattia o malattia persistente minima

+

6 - - - - +, M +, M o

B

+ o - Fase di

convalesce nza

+ (?) 7 - - - + +, B +, B + o - Fase di - (?)

(5)

(o -) convalesce

nza avanzata

8 - - - - +, M o

B

- + o - Infezione

pregressa - B = basso titolo; M = medio titolo; E = elevato titolo

+++ = sangue sicuramente infettante;

++ = sangue probabilmente infettante;

+ = sangue occasionalmente infettante;

− = sangue non infettante.

Tutela dell’operatore sanitario

Le condizioni di cui ai profili 1 e 3 della tabella, che definiscono un quadro di epatite in fase acuta od in fase di iniziale convalescenza, comportano naturalmente la temporanea sospensione della capacità generica al lavoro.

Per contro, le condizioni sierologiche caratterizzate da negatività dell’HBsAg e HBeAg (profili 6, 7 e 8) non determinano alcuna specifica limitazione della capacità lavorativa.

Nelle rimanenti situazioni sierologiche HBsAg positive (profili 2, 4 e 5), esiste il problema della sovrainfezione da virus dell’epatite D che, come noto, necessita di attività biologiche complementari fornite dall’HBV.

Nelle linee-guida del 1998 (6) si affermava che gli operatori sanitari HBsAg positivi dovevano essere informati del rischio di contrarre una sovrainfezione da virus dell’epatite D, in particolare se destinati in aree di lavoro con elevata prevalenza di pazienti HBsAg positivi, portatori di HDV (es. le zone della dialisi specificamente destinate ai portatori di HBV).

Nella bozza del nuovo documento (7) non si fa invece specifico riferimento al problema della sovrainfezione da epatite D negli operatori sanitari ma viene unicamente indicata la raccomandazione che i portatori cronici di HBsAg debbono osservare rigorosamente le norme di profilassi generale non immunitaria (precauzioni universali).

Anche i documenti disponibili di autorevoli agenzie internazionali quali i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) (12) non forniscono indicazioni specifiche sull’argomento.

Tuttavia riteniamo prudente, vista la possibilità che la sovrainfezione da HDV determini una epatite fulminante nel 5% dei casi ed una cronicizzazione in un altro 5% dei casi, escludere gli operatori sanitari HBsAg positivi da attività lavorative a rischio di contatto accidentale con matrici biologiche potenzialmente infettanti provenienti da soggetti sicuramente portatori di HDV e dalla esecuzione di

“procedure invasive ad alto rischio” su pazienti fonte non noti appartenenti a categorie a rischio.

Per quanto riguarda la coinfezione con il virus dell’epatite C, recenti segnalazioni di letteratura sottolineano che la duplice infezione determina un aumento della severità

(6)

della malattia epatica ed un aumento del rischio di sviluppo di epatocarcinoma (13, 14).

Anche in tale caso sembrerebbe essere il semplice portatore di HBsAg il soggetto da considerare a rischio. Tuttavia il numero di report che documentano l’esistenza dell’effetto sinergico è al momento limitato. Pertanto, anche in considerazione che il rischio di trasmissione di HCV da paziente ad operatore sanitario è del 2%, non riteniamo che al momento vi siano elementi conoscitivi sufficienti per limitare la operatività del personale sanitario unicamente HBsAg positivo nei confronti di soggetti HCV positivi, fatto salvo naturalmente il rigoroso rispetto delle precauzioni universali e delle procedure di sicurezza previste dalle singole strutture sanitarie.

Diverso potrebbe essere, a nostro parere, l’approccio nei confronti degli operatori sanitari portatori di epatopatia cronica HBV correlata; in questo caso sarebbe prudente , come per la sovrainfezione da HDV, escludere i soggetti con patologia epatica HBV correlata dal contatto potenziale con matrici biologiche di soggetti fonte HCV positivi e da attività caratterizzate da “procedure invasive ad alto rischio” verso pazienti fonte non noti appartenenti a categorie a rischio.

E’ necessario infine ricordare che esistono nelle attività sanitarie situazioni di possibile esposizione a sostanze chimiche dotate di potenzialità epatotossica; i soggetti portatori di epatopatia cronica HBV correlata dovranno essere esclusi da attività comportanti una condizione di effettiva esposizione a tali sostanze; è peraltro opportuno che in sede di valutazione del rischio vengano preventivamente evidenziate le aree di lavoro ove si può verificare tale effettiva esposizione. Al proposito riteniamo non corretto escludere a priori da attività in sala operatoria soggetti epatopatici stante la non dimostrata reale azione epatolesiva degli anestetici volatili oggi di uso comune.

Tutela del paziente

La tutela del paziente deriva dalla conoscenza dello stato di infettività del sangue dell’operatore sanitario; sull’argomento risultano chiare e precise le già citate linee guida ministeriali (6, 7); in particolare per l’epatite B sono considerati potenzialmente infettanti i soggetti HBsAg - HBeAg positivi (profilo sierologico 2 della tabella 3) e i soggetti HBsAg positivi – HBeAg negativi – HBV DNA positivi (possibile infezione da HBV mutanti); gli operatori sanitari che si ritrovano in queste due condizioni sierologiche non debbono essere adibiti “procedure invasive ad alto rischio”.

Questa limitazione dell’idoneità è in accordo con le raccomandazioni della SHEA (8) che prevedono il non impiego degli operatori sanitari portatori del profilo sierologico di cui sopra, in attività per le quali esista una evidenza epidemiologica di rischio di trasmissione di HBV da operatore a paziente.

EPATITE VIRALE TIPO C

La non completa conoscenza dei meccanismi patogenetici e la variabilità genomica dell’HCV non hanno permesso, sino ad oggi, la messa a punto di un vaccino efficace ed utilizzabile come forma di prevenzione possibile per gli operatori sanitari.

(7)

Tuttavia, secondo i dati statunitensi, la prevalenza dell’infezione da HCV negli operatori sanitari risulta del 1-2%, è sovrapponibile a quella della popolazione generale ed il rischio di contrarre tale infezione per motivi occupazionali è 10 volte inferiore al rischio osservato per il virus HBV (15, 16, 17, 18).

Ad esempio, i dati relativi alla nostra Azienda Ospedaliera risultano nell’ambito segnalato dagli autori americani; infatti la prevalenza dell’HCV negli operatori sanitari risulta ad oggi pari a 1.06% (12 casi su 1128).

Nonostante ciò la formulazione del giudizio di idoneità specifica alla mansione da parte del medico competente nei confronti degli operatori sanitari HCV positivi rimane, per gli stessi aspetti che hanno influenzato negativamente la possibilità della profilassi vaccinica, un problema rilevante. In particolare assume importanza rilevante la possibilità di una reinfezione con ceppi virali di genotipo diverso.

Nella tabella 4 è riportato uno schema interpretativo dei test diagnostici per l’epatite C.

Tabella 4 - Profili sierologici nelle varie situazioni cliniche Interpretazion

e

Test ELISA Test RIBA HCV-RNA Transaminasi Epatite acuta

Epatite cronica

Positivo Positivo Positivo Alterate Infezione

asintomatica

Positivo Positivo Positivo Normali Infezione

pregressa

Positivo Positivo/Negati vo

Negativo Normali Falsa positività Positivo Negativo Negativo Normali Naturalmente, anche in questo caso, il quadro di epatite acuta determina una temporanea sospensione della capacità generica al lavoro; per contro le condizioni di infezione pregressa o di falsa positività non comportano, a nostro parere, alcuna limitazione dell’idoneità lavorativa sia per quanto riguarda la tutela dell’operatore sanitario sia per quanto riguarda il paziente.

Rimangono invece da valutare analiticamente le situazioni sierologiche inquadrabili come epatite cronica e infezione asintomatica.

Tutela dell’operatore sanitario

L’operatore sanitario portatore di epatite cronica o di infezione asintomatica HCV correlata, nel caso non risulti già immunizzato nei confronti del virus dell’epatite B, deve essere invitato a sottoporsi alla profilassi vaccinale; in caso di suo rifiuto dovrà essere considerato non idoneo a svolgere attività lavorative a rischio di contatto accidentale con matrici biologiche potenzialmente infettanti provenienti da soggetti HBsAg-HBeAg positivi e da soggetti HBsAg positivo-HBeAg negativo-HBV-DNA positivo e dalla esecuzione di “procedure invasive ad alto rischio” su pazienti fonte non noti appartenenti a categorie ad alta prevalenza di soggetti HBV positivi (12, 13).

(8)

Per quanto riguarda il problema delle reinfezione con varianti genomiche del virus C, la letteratura è sostanzialmente concorde nel sostenere la possibilità che soggetti portatori di epatopatia cronica HCV correlata o di infezione asintomatica possano reinfettarsi in caso di contatto con altre quasi specie del virus (19, 20, 21, 22, 23), mentre meno chiare risultano le conseguenze della reinfezione sul piano clinico.

Appare comunque prudente escludere tali soggetti da mansioni comportanti la possibilità di contatto con liquidi biologici di pazienti sicuramente HCV-RNA polimerasi positivi e dalla esecuzione di “procedure invasive ad alto rischio” su pazienti fonte non noti appartenenti a categorie ad alta prevalenza di soggetti HCV positivi.

Tutela del paziente

Le linee guida ministeriali (6, 7) affrontano in maniera meno puntuale il problema della tutela del paziente da operatore sanitario HCV positivo.

E’ considerato potenzialmente infettante l’operatore sanitario HCV-RNA polimerasi positivo ed è nei suoi confronti che occorre attuare il massimo livello di attenzione per la tutela del paziente; per contro, non sussistono elementi per limitare l’attività lavorativa degli operatori sanitari con sierologia positiva per infezione HCV correlata pregressa in assenza di segni di replicazione virale.

Nelle linee guida del 1998 (6) si afferma che “gli interventi da attuare nel caso dell’operatore HCV-RNA positivo vanno considerati caso per caso in funzione del suo ruolo professionale e della presenza o meno di malattia epatica (fattore che aumenta il rischio di trasmissione dell’HCV), utilizzando come riferimento quanto riportato per l’epatite B al punto 3.3.3 del presente documento”.

Questo aspetto non è meglio definito nella bozza di documento (7) ove si indica che è necessario “ compatibilmente con le attività dell’unità operativa in cui opera, programmare un impiego che limiti la sua utilizzazione nelle procedure ad alto rischio eseguite in prima persona”

La maggior prudenza usata dalle linee guida nella gestione dell’operatore sanitario HCV-RNA polimerasi positivo deriva verosimilmente da una minore evidenza epidemiologica di trasmissione del virus da operatore a paziente della infezione da virus C.

D’altra parte, a supporto di questo atteggiamento, il documento della SHEA (8) afferma che non esistono elementi epidemiologici sufficienti per limitare l’idoneità lavorativa degli operatori sanitari HCV positivi se vengono attuate adeguate procedure di sicurezza (es. utilizzo di doppi guanti).

A nostro parere, in attesa che gli studi epidemiologici definiscano meglio tipo ed entità dell’associazione in funzione dell’aumento della numerosità delle osservazioni, appare comunque prudente consigliare al momento di escludere i soggetti HCV-RNA polimerasi positivi da “procedure invasive ad alto rischio”.

Per la possibile esposizione a sostanze epatotossiche di soggetti affetti da epatopatia cronica HCV correlata, si rimanda a quanto riportato nel paragrafo relativo alla epatopatia cronica da virus B.

(9)

HIV

Il rischio di sieroconversione per gli operatori sanitari dopo contatto accidentale con liquidi biologici potenzialmente infettanti di soggetti HIV positivi è inferiore allo 0,5% (24) mentre per la trasmissione da operatore sanitario a paziente sarebbero ad oggi documentati solo 8 casi (25). Ciò nondimeno per la gravità del quadro clinico conseguente all’infezione da HIV occorre prendere in considerazione il problema dell’idoneità lavorativa per il personale sanitario HIV positivo sia per quanto riguarda la sua tutela che per quella del paziente.

Tutela dell’operatore sanitario

Considerato che i soggetti sieropositivi presentano una generica aumentata suscettibilità nel contrarre infezioni è fondamentale, al fine di formulare i giudizi di idoneità, definire le fasi cliniche e le condizioni di immunodeficienza.

Nelle tabelle 5 e 6 sono riportati gli schemi di classificazione della infezione da HIV proposte dal CDC e dal Walter Reed Institute of Research (11)

Tabella 5 – Schema di classificazione della infezione da HIV secondo il CDC di Atlanta (modificata da Gioannini et al, 1993)

Gruppo 1 Infezione acuta da HIV

Gruppo 2 Infezione asintomatica da HIV

Gruppo 3 Linfoadenopatia generalizzata

persistente Gruppo 4

- Sottogruppo A - Sottogruppo B - Sottogruppo C

• C1 • C2

- Sottogruppo D - Sottogruppo E

Altri quadri clinici Malattia costituzionale Malattia neurologica Infezioni secondarie

Infezioni secondarie secondo il CDC Altre infezioni secondarie

Tumori secondari secondo il CDC Altre condizioni proprie dell’infezione HIV

(10)

Tabella 6 – Classificazione in stadi dell’infezione da HIV secondo il Walter Reed Institute of Research (modificata da Gioannini et al, 1993)

Stadio Anti-HIV o

isolament

o del virus

Linfoaden opatia cronica

T4/mm3 ICM Candidosi

orale

LO

WR0 - - > 400 NL - -

WR1 + - > 400 NL - -

WR2 + + > 400 NL - -

WR3 + +/- < 400 NL - -

WR4 + +/- < 400 Parziale - -

WR5 + +/- < 400 Parziale/a

nergia

+ -

WR6 + +/- < 400 Anergia +/- +

ICM= ipersensibilità cellulo-mediata NL= normale

LO= infezioni opportuniste

Se si accetta l’ipotesi che il soggetto HIV positivo sia comunque da considerare immunodepresso ne discende che l’operatore sanitario portatore di sieroconversione per il virus della sindrome da immunodeficienza acquisita debba essere allontanato dal contatto diretto ed indiretto con il paziente.

Se per contro l’esistenza di una condizione di possibile immunodepressione è in rapporto al numero di linfociti CD4 circolanti, allora è possibile immaginare una soluzione meno drastica per i soggetti appartenenti alle classi WR1, 2 e 3 ed al gruppo 2 della classificazione CDC purché il numero dei CD4 risulti maggiore di 400/mm.3.

In questo caso gli operatori sanitari potranno essere considerati idonei all’assistenza ai pazienti con l’esclusione da manovre in grado di determinare un possibile contatto accidentale con liquidi biologici potenzialmente infettanti di soggetti HBV/HCV positivi; tale limitazione si rende necessaria in considerazione della segnalata più rapida progressione verso la fase di malattia conclamata in caso di coinfezione HIV- HBV e HIV-HCV (Harrison 26).

Tutela del paziente

Le conseguenze operative che derivano dall’accettazione dell’affermazione che il soggetto HIV positivo sia comunque da considerare immunodepresso rendono naturalmente ampia garanzia anche per la tutela del paziente. In caso contrario, occorre prendere in considerazione la necessità di definire quali attività sanitarie possano configurare una condizione di rischio per la trasmissione dell’infezione HIV da operatore a paziente. La SHEA (8), riprendendo la posizione assunta dal CDC, riafferma sostanzialmente quanto già precisato a proposito dell’HCV e cioè che non esistono ad oggi elementi epidemiologici sufficienti per limitare l’idoneità lavorativa

(11)

degli operatori sanitari HIV positivi se vengono attuate adeguate procedure di sicurezza (es. utilizzo di doppi guanti).

Il Dipartimento di Sanità e Sicurezza Sociale del Regno Unito ha ritenuto più prudente limitare il coinvolgimento degli operatori HIV positivi nell’esecuzione di manovre chirurgiche (27).

In accordo con tali raccomandazioni, riteniamo opportuno consigliare di escludere gli operatori sieropositivi da attività comportanti l’esecuzione di “procedure invasive ad alto rischio”.

Procedure invasive ad alto rischio

La definizione del profilo di idoneità lavorativa dei soggetti HBV, HCV, HIV positivi è resa difficoltosa dalla non univoca definizione delle attività lavorative genericamente a rischio così come delle “procedure invasive ad alto rischio”.

Nel primo caso la soluzione appare più semplice in quanto deriva dalla classificazione dei liquidi biologici potenzialmente infettanti integrata dalla definizione delle condizioni che possono determinare il contatto con i suddetti liquidi.

I dati desumibili da una letteratura ormai consolidata (28) distinguono tra liquidi biologici infettanti e non infettanti (tabella 7).

Tabella 7

Liquidi e materiali biologici infettanti Liquidi e materiali biologici non infettanti*

Sangue Sperma

Secrezioni vaginali Liquido pleurico Liquido peritoneale Liquido pericardico Liquido sinoviale Liquido amniotico Liquido cerebrospinale Tessuti

Colture virali

Saliva Sputo Lacrime

Secrezioni nasali Urine

Feci Latte Sudore Vomito

* Non contaminati da sangue

Viene definito a rischio (28) “ogni contatto con sangue o altro materiale biologico potenzialmente infettante, attraverso puntura o ferita con aghi o altri oggetti taglienti, nonché per spruzzi o spandimenti sulle mucose o sulla cute che presenti soluzioni di continuità”.

Di più difficile definizione appare invece il concetto di “procedure invasive ad alto rischio”; le linee guida ministeriali (6) e le bozze di modifica (7) utilizzano due definizioni diverse.

Le procedure invasive considerate a rischio dal Documento 109 del 1998 (6) sono riportate nella tabella 8.

(12)

Tabella 8 – Procedure invasive ad alto rischio secondo il Documento n. 109 Penetrazione chirurgica in tessuti, cavità o organi, o la sutura di ferite traumatiche maggiori effettuate in sala operatoria o sala parto, pronto soccorso o ambulatorio sia medico che chirurgico

La cateterizzazione cardiaca e procedure angiografiche

Il parto naturale o cesareo o altre operazioni ostetriche durante le quali possano verificarsi sanguinamenti

La manipolazione , la sutura o la rimozione di ogni tessuto orale o periorale, inclusi i denti, manovre durante le quali si verifica il sanguinamento o esiste il rischio che il sanguinamento avvenga

Nella tabella 9 è, invece, riportata la classificazione delle procedure ad alto rischio di esposizione presente nella bozza di documento (7) che dovrebbe integrare e modificare il Documento 109. Tali indicazioni sono riprese da due lavori scientifici pubblicati nel 1999 (29, 30).

Tabella 9 – Procedure invasive ad alto rischio secondo la bozza di documento per distretto anatomico o tipologia di intervento

Gastroduodenale Gastrectomia parziale

Escissione di lesioni gastriche Anastomosi gastrodigiunale Intervento per ulcera peptica

Amputazione

Colorettale Colectomia totale

Emicolectomia con anastomosi termino- terminale

Sigmoido-colectomia Procedure di drenaggio Escissione di retto

Tiroide Tiroidectomia

Biliare

Colecistectomia

Anastomosi colecisto-digiunale

Mammella

Mastectomia parziale o totale Biopsia

Procedure di drenaggio Rene e vescica

Nefrectomia

Cistectomia parziale

Cardio-chirurgia

Laparotomia Appendicectomia Osso iliaco e ginocchio

Protesi totale dell’articolazione

Riparazioni di ernia Inguinale

Femorale Ombelicale Laparocele

Tutte quelle addominali Ginecologia/Ostetricia

Isterectomia Taglio cesareo

Miscellanea

Escissione ghiandola sottomandibolare Escissione ileo

(13)

Salpingectomia Escissione perianale del retto Splenectomia

Embolectomia aperta arteria femorale Adesioni peritoneo

Tendini

Dissezione linfonodo

Riduzione aperta di frattura e fissazione extramidollare

Le classificazioni, pur nelle loro differenti impostazioni, non sono antitetiche ma complementari e sono il riferimento di partenza per ogni valutazione che deve essere condotta all’interno delle differenti realtà ospedaliere.

A nostro parere, infatti, non è possibile definire come ad alto rischio una procedura invasiva prescindendo dalla analisi multidisciplinare delle singole attività operative che la caratterizzano (caratteristiche strutturali dell’ambiente di lavoro, aspetti organizzativi, tecniche chirurgiche, presidi medicali, etc).

Proponiamo, pertanto, che in ogni Azienda Ospedaliera si individui un gruppo di lavoro che comprenda uno specialista in Medicina del Lavoro, uno in Malattie Infettive, uno in Medicina Legale e il medico di Direzione Sanitaria, affiancati, di volta in volta, dai rappresentanti delle specialità mediche e chirurgiche coinvolte.

L’obiettivo di tale gruppo è quello di definire quali siano le effettive situazioni ad alto rischio di esposizione ad agenti virali trasmissibili per via ematogena nelle singole realtà prese in considerazione.

Valido supporto per la commissione interdisciplinare potrebbero essere i risultati dei vari progetti attualmente in fase di sviluppo, sia a livello regionale che nazionale, se consentiranno di identificare, all’interno delle singole strutture sanitarie, quali siano le situazioni operative che possono determinare, in misura significativa, fenomeni di sieroconversione negli operatori sanitari o nei pazienti dopo eventi accidentali.

Considerazione a parte meritano i casi in cui l’elevato rischio legato alla patologia presente e alla complessità e indifferibilità della procedura invasiva richiesta prevale sul pericolo di trasmissione di patologia virale da operatore - ad alta professionalità e limitato nella sua idoneità dal medico competente - a paziente e viceversa.

Nel primo caso, l’operatore, in accordo con la Direzione Sanitaria, deve informare il paziente in merito al suo stato sierologico, chiarire il rapporto costo (rischio di sieroconversione) beneficio (efficienza ed efficacia della procedura) e richiedere la sottoscrizione di un consenso informato. In caso di accettazione il paziente dovrà essere sottoposto a follow-up nei confronti della patologia virale di cui era portatore l’operatore sanitario.

Nel secondo caso, invece, fatta salva la messa in atto di tutte le possibili misure preventive tecnicamente compatibili con le caratteristiche della procedura invasiva da attuare e previa autorizzazione della Direzione Sanitaria, l’operatore sanitario, in linea con il codice deontologico e i principi dell’etica medica, non si può esimere dall’intervenire.

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BIBLIOGRAFIA

1. Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626 – Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro – S.O.G.U. n. 141, 12 novembre 1994 2. M. Gobbi et al – Il giudizio di idoneità specifica alla mansione in Medicina del

Lavoro – Folia Med 69 (3) 1285-1291, 1998

3. V. Anzelmo et al – Epilessia e lavoro. Criteri di idoneità – Folia Med 69 (3) 1227- 1241, 1998

4. G. Briatico-Vangosa et al – Tossicodipendenza e giudizio di idoneità alla mansione specifica – Folia Med 69 (1) 93-106, 1998

5. Corte Costituzionale – Sentenza 218 del 2 giugno 1994 in ??? 837-840

6. Documento n. 109 “Linee-guida per la diagnosi, la terapia ed il controllo delle epatiti” – Ministero della Sanità - Commissione Nazionale per la lotta contro l’AIDS e le altre malattie infettive – Roma, 22 luglio 1998

7. Linee guida per la diagnosi, la terapia ed il controllo delle epatiti –Commissione Nazionale per la lotta contro l’AIDS e le altre malattie infettive – Roma, 4 novembre 1999

8. AIDS/TB Committee of the Society for Healthcare Epidemiology of America – Management for healthcare workers infected with Hepatitis B Virus, Hepatitis C Virus, Human Immunodeficiency Virus, or other bloodborne pathogens -–Infect Control Hosp Epidemiol 18 (5) 349-363, 1997

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10. G. Marcer et al – Idoneità lavorativa nella patologia infettiva – Atti 2° Congr.

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