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Imaging diagnostico nell’invecchiamento dei vasi periferici C 13

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Imaging diagnostico

nell’invecchiamento dei vasi periferici

Riccardo Marano, Roberto Iezzi, Biagio Merlino, Antonio Raffaele Cotroneo

L’invecchiamento del sistema vascolare deve essere distinto in primario, in cui le altera- zioni vascolari sono direttamente ed esclusivamente determinate da un processo di invec- chiamento fisiologico (i cosiddetti “anziani sani”) e secondario, in cui le alterazioni ana- tomo-patologiche sono correlate a differenti condizioni patologiche concomitanti [1, 2].

La patologia vascolare periferica è prevalentemente rappresentata dall’aterosclerosi, alte- razione chiaramente correlata con l’età ma non esclusivamente età dipendente.Infatti,nono- stante la prevalenza di malattia aumenti proporzionalmente con l’aumentare dell’età dei pazienti (valori variabili tra 1,4% in caso di età inferiore a 50 anni e oltre il 10% in caso di pazienti con età superiore a 70 anni) [3, 4], il fatto che essa abbia una severità e un’in- cidenza variabili per individui, gruppi sociali ed etnici e aree geografiche è prova che essa non è una conseguenza inevitabile della vita, ma risulta piuttosto in stretta correlazione con la presenza di vari fattori di rischio. Le modificazioni istologiche primarie che inter- vengono sulla parete vascolare sono rappresentate dall’ispessimento fibroso dell’intima, secondario al graduale accumulo di cellule muscolari lisce e di tessuto connettivo, dalla deposizione di sali di calcio nel contesto della tonaca media e dalla perdita in contenuto di elastina, con conseguente riduzione della elasticità parietale. Qualora prevalga invece l’ispessimento intimale con formazione di placche ateromasiche quest’ultima alterazio- ne può determinare la tortuosità e l’allungamento delle arterie di maggior calibro, con con- seguente tendenza alla loro dilatazione o al restringimento del calibro vasale [5]. I prin- cipali fattori di rischio che accelerano e aggravano l’invecchiamento secondario dei vasi periferici sono rappresentati dal fumo, dall’ipercolesterolemia, dall’ipertensione arterio- sa, dalla familiarità e dal diabete [6-9]. Tali fattori di rischio individuali e ambientali pre- dispongono alla formazione di placche ateromasiche, con conseguente possibile patolo- gia steno-ostruttiva, associata o meno a patologia dilatativa. La steno-ostruzione del lume vasale determina una progressiva riduzione di perfusione dei distretti muscolo-cutanei a valle della lesione, stimolando la produzione di circoli collaterali che tendono comun- que a mantenere accettabili i livelli di irrorazione. In questa fase i sintomi compaiono solo sotto sforzo, manifestandosi con la classica claudicatio intermittens. Qualora la malat- tia progredisca, come spesso avviene se non si correggono i fattori di rischio e in assen- za di un’adeguata terapia, il quadro clinico tenderà a peggiorare, con l’instaurarsi di dolo- ri a riposo sino alla comparsa di lesioni trofiche [3]. È questo il quadro definito di “ische- mia critica”, in cui il trattamento di rivascolarizzazione diventa obbligatorio. Bisogna altresì considerare che l’arteriopatia è quasi sempre a localizzazione multi-distrettuale, il che comporta nei pazienti con ischemia critica un tasso di mortalità per accidenti car- diovascolari del 46% a 5 anni e una percentuale di amputazioni a 1 anno del 27% [10]. Il trattamento dei pazienti con arteriopatia periferica si basa essenzialmente sulla preven- zione ed eliminazione dei fattori di rischio, sulla terapia farmacologica e sui trattamenti di rivascolarizzazione in casi di patologia avanzata. Infatti, le nuove strategie di rivasco-

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larizzazione, comprendenti procedure chirurgiche e procedure di radiologia interventi- stica, utilizzate singolarmente o in maniera combinata, forniscono elevate garanzie di successo in termini di recupero funzionale dell’arto interessato e di durata a distanza di tempo del risultato immediato.Al fine di pianificare correttamente il tipo e il timing del- l’eventuale trattamento è necessaria un’accurata e dettagliata diagnosi morfo-funzionale della patologia, basata su una valutazione clinico-anamnestica e strumentale [11, 12]. L’e- same clinico di tali pazienti comprende una completa anamnesi (fattori di rischio e sin- tomatologia del paziente, secondo la classificazione di Leriche-Fontaine) e un esame obiettivo accurato mirato alla valutazione dei polsi periferici, all’auscultazione di eventuali soffi e all’evidenza di eventuali alterazioni cutanee e/o lesioni trofiche. Secondo la classi- ficazione di Leriche-Fontaine (LF), il primo stadio (LF-I) corrisponde alla fase iniziale della sintomatologia (generalmente asintomatico o con possibile sensazione di freddo o parestesie alle estremità); il secondo stadio (LF-II) è caratterizzato da claudicatio inter- mittens (dolori crampiformi muscolari durante lo sforzo che recedono alla sospensione dell’esercizio); il terzo stadio (LF-III) si associa alla presenza di dolore a riposo, mentre il quarto stadio (LF-IV) è caratterizzato dalla presenza di lesioni trofiche e/o gangrena. L’e- same clinico deve essere inoltre completato dalla misurazione dell’ABI (Ankle/Brachial Index) o indice di Winsor, ossia dell’indice pressorio caviglia/braccio; qualora esso mostri valori inferiori a 0,95 è considerato indicativo della presenza di patologia. Un valore di indi- ce di Windsor inferiore a 0,6 risulta indicativo di arteriopatia severa meritevole di appro- fondimento diagnostico strumentale [13]. La valutazione strumentale si basa sull’utiliz- zo delle seguenti metodiche d’imaging vascolare: eco-color-Doppler (ECD), angiografia digitale arteriosa (DSA), angiografia con tomografia computerizzata (Angio-TC) e angio- grafia con risonanza magnetica (Angio-RM).

Eco-color-Doppler

L’ECD è una metodica non invasiva, poco costosa, di semplice esecuzione, ampiamente dif- fusa sul territorio e dotata di un’adeguata accuratezza diagnostica (sensibilità > 82% e spe- cificità > 92%) nel rilevare stenosi superiori al 50% o occlusioni [14].Sicuramente,per le sue caratteristiche, tale metodica rappresenta l’esame di primo livello da effettuare nel sospet- to di arteriopatia periferica,come metodica di screening per porre l’indicazione a una meto- dica di seconda istanza e/o per pianificare un eventuale trattamento di rivascolarizzazione.

Inoltre, tale metodica risulta indispensabile nel follow-up di pazienti sottoposti a tratta- mento medico, chirurgico o endovascolare [15-20]. La semeiotica ECD si basa su informa- zioni morfo-strutturali ed emodinamiche. Le alterazioni morfo-strutturali della malattia ateromasica vengono individuate all’esame ecografico sotto forma di ispessimento della parete vasale, con aspetto ipo-aneocogeno in caso di placche lipidiche (Fig. 1a) o disomo- geneamente iperecogeno in caso di ateromi fibrotici. In caso di placche a prevalente com- ponente calcifica si associa la presenza di coni d’ombra per sbarramento acustico genera- to dai depositi di calcio. Tale metodica diagnostica consente inoltre di valutare i margini della lesione aterosclerotica (regolari o irregolari) e di evidenziare eventuali ulcerazioni intra-placca (Fig. 1a). Tali informazioni, tuttavia, nella patologia del distretto arterioso degli arti inferiori presentano un ridotto apporto clinico rispetto ad altri distretti (per esempio distretto carotideo), in quanto raramente la sintomatologia è secondaria a un micro-embo- lismo. Alla valutazione morfologica, lo studio color-Doppler aggiunge dati flussimetrici

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estremamente utili nella stadiazione della patologia steno-ostruttiva. In particolare, è pos- sibile escludere (Fig.1b) o registrare e misurare turbolenze del flusso sanguigno (Fig.1c) oppu- re, utilizzando il segnale colore, è possibile distinguere la parete vasale, la placca ateroma- sica e il lume residuo (Fig. 1d). Infine, in relazione al grado di stenosi, è possibile quantiz- zare l’aumento corrispondente della velocità sistolica (Fig. 1c) sino all’assenza di segnale in caso di ostruzione (Fig. 1e). Questi descritti sono i cosidetti segni “diretti”; sono inoltre pre- senti segni “indiretti”, quali la presenza di flusso rallentato con attenuazione o scomparsa dell’onda reverse e della seconda onda positiva a monte della stenosi e la presenza di ridot- ta modulazione sisto-distolica (flusso parvus-tardus) a valle. I segni indiretti sono presen- ti in caso di stenosi superiori al 50% e secondari oltre che al grado di steno-ostruzione anche all’entità del circolo collaterale instauratosi. Al fine di porre l’eventuale indicazione a una indagine di secondo livello, l’esame ECD mostra comunque dei limiti, rappresentati principalmente dalla stretta operatore-dipendenza,che necessita di adeguata conoscenza sia della metodica che della patologia vascolare. Inoltre, tale metodica è condizionata dall’ha- bitus e dalla collaborazione del paziente (asse iliaco), con bassa accuratezza diagnostica nell’identificazione e grading di multiple e successive steno-ostruzioni (soprattutto nel distretto femoro-popliteo); infine, risulta limitata nella valutazione di vasi infra-poplitei, non sempre esplorabili con sufficiente attendibilità diagnostica [21, 22].

Fig. 1. a Placca ipoecogena ulcerata osservata con il modulo B-flow. b Normale tracciato trifasi- co nell’arteria femorale comune (AFC) di un paziente arteriopatico; tale reperto permette di escludere con elevata accuratezza la presenza di stenosi significative a monte.c Stenosi significativa da placca fibrolipidica dell’arteria femorale superficiale (AFS) e corrispondente tracciato demod- ulato a valle. d Scansione longitudinale con power-doppler della AFC e della sua biforcazione con placche fibrocalcifiche determinanti coni d’ombra (*) e placche fibrose non stenosanti.

e Biforcazione della AFC, con assenza sia di segnale colore che di flusso nella AFS (frecce nere), in rapporto a occlusione. AFP, arteria femorale profonda

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Angiografia digitale

La metodica di imaging considerata ancora come gold standard nella valutazione della pato- logia steno-ostruttiva periferica è l’angiografia digitale (DSA) eseguita per via arteriosa, grazie alla buona risoluzione sia spaziale (0,1 mm) che temporale (< 10 msec), all’ampio campo di vista, alla capacità di fornire eccellenti dettagli anatomici riguardanti sede, enti- tà ed estensione della patologia ed eventuali circoli collaterali [23,24].Essa è tuttavia una pro- cedura diagnostica invasiva, eseguita previo accesso arterioso percutaneo, che richiede l’o- spedalizzazione del paziente, non scevra da rischi - con percentuale di complicanze pari al 3-7% e di mortalità pari allo 0,7% - correlati alla cateterizzazione e all’iniezione diretta intra-arteriosa del mezzo di contrasto (MDC) [25]. L’angiografia è comunque una tecnica prettamente “luminografica”, che consente solamente una valutazione relativa al “contenu- to” del vaso senza fornire informazioni “dirette” riguardo lo stato del “contenente”, ossia della parete (apposizione trombotica, dilatazioni aneurismatiche trombizzate, caratteristi- che della placca). Negli ultimi anni, il tumultuoso sviluppo tecnologico delle metodiche d’i- maging ha consentito di introdurre nella pratica clinica metodiche diagnostiche non inva- sive,rappresentanti una valida alternativa alla DSA,quali l’angiografia con tomografia com- puterizzata spirale (Angio-TC) e l’angiografia con risonanza magnetica (Angio-RM).

Angio-TC

Lo sviluppo della tecnologia spirale a singolo strato alla fine degli anni Novanta ha con- sentito di applicare la tecnica TC allo studio del distretto vascolare. Tale tecnica non ha comunque conseguito risultati soddisfacenti in questo ambito, in quanto l’eccessivo carico termico al tubo radiogeno e la bassa velocità di acquisizione rendevano impos- sibile studiare tutto il distretto arterioso degli arti inferiori se non utilizzando ulterio- ri scansioni, con conseguenti maggiori quantità di MDC e maggior esposizione del paziente alle radiazioni ionizzanti [26, 27]. L’avvento della tecnica multistrato nel 1998, per le sue peculiari caratteristiche tecniche (contemporanea acquisizione di più sezio- ni per ogni rotazione completa del sistema tubo radiogeno-detettori, associata a un’au- mentata velocità di rotazione di quest’ultimo, con conseguente riduzione dei tempi di acquisizione e possibilità di studiare ampi volumi anatomici con ottimale risoluzione spaziale e temporale delle immagini), ha consentito di superare tali limiti, permetten- do uno studio contemporaneo dell’aorta addominale e del distretto arterioso periferi- co degli arti inferiori (Fig. 2a, b) con una singola acquisizione TC e un’unica sommini- strazione endovenosa di MDC, con adeguata risoluzione spaziale e temporale. La tec- nica multistrato ha consentito, quindi, di ampliare le indicazioni cliniche dell’Angio-TC nello studio del distretto arterioso periferico [28-32]. Negli ultimi anni numerosi auto- ri hanno confrontato l’Angio-TC con tecnica multistrato e la DSA nello studio di pazien- ti con arteriopatia periferica degli arti inferiori, con ottimi risultati di concordanza [33- 38]. L’Angio-TC è una metodica non invasiva, rapida, poco costosa, eseguita con som- ministrazione endovenosa (ev) di MDC e in quantità inferiori rispetto alla DSA, che non espone l’operatore a radiazioni ionizzanti e non richiede l’impiego di un team di radiologi dedicato per l’esecuzione dello studio. La possibilità di rielaborare nel post- processing le immagini acquisite mediante l’impiego di software dedicati bi- o tridi- mensionali (muliplanar reconstruction, MPR; maximum intensity projection, MIP; volu-

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me rendering technique,VRT), ottenendo così immagini simil-angiografiche (Fig. 2c, d), consente in fase di refertazione un’adeguata valutazione della patologia steno-ostrut- tiva, anche se eccentrica o ostiale (in corrispondenza delle biforcazioni), senza la neces- sità di dover eseguire ulteriori acquisizioni (proiezioni aggiuntive) (Fig. 3a, d, e) come accade invece in angiografia (Fig. 3b, c). L’esame Angio-TC fornisce inoltre accurate informazioni “dirette” sulla parete vasale, sulle caratteristiche dell’eventuale apposi- zione trombotica, sulla presenza di dissezione e sulla componente calcifica della plac- ca, valutando inoltre la presenza di fattori compressivi ab-estrinseco. L’Angio-TC, come riportato in letteratura, è però gravata da una percentuale, seppur bassa, di sovra- o sottostima in caso di patologia stenotica del distretto infra-popliteo data l’esiguità del calibro di tali vasi, soprattutto in presenza di diffuse e grossolane calcificazioni parie- tali a manicotto che rendono difficoltosa la discriminazione tra lume e parete. In caso di patologia steno-ostruttiva, la valutazione del grado di stenosi viene effettuata com- parando il diametro del lume residuo con il diametro totale del vaso. Il grado della ste- nosi si distingue in lieve (1-30%), moderato (31-70%), severo (71-99%) e occlusione (100%). In realtà nel distretto infra-popliteo, data l’esiguità del calibro vasale, il gra- ding della stenosi si basa su un cut-off pari al 50% (inferiore o superiore). In caso di patologia aneurismatica, l’Angio-TC non solo consente una corretta valutazione della sede della lesione, delle dimensioni assiali e longitudinali della sacca aneurismatica, dell’eventuale presenza di trombosi parietale, dello stato della parete arteriosa e dei rapporti con le differenti efferenze vascolari, ma anche di ottenere misurazioni accurate per la scelta del corretto device in caso di presenza di indicazioni al trattamento endo- vascolare dell’aneurisma. Le indicazioni all’esame Angio-TC comprendono, oltre alla fase

Fig. 2. L’angiografia con tomografia computerizzata (Angio-TC) dell’aorta addominale e dell’asse ilia- co-femorale (a) documenta pseudo aneurisma della AFC destra,con occlusione bilaterale della AFS.In b si evidenzia buona riabitazione del tratto distale della AFS e dell’arteria poplitea a sinistra (visione posteriore), mentre a destra è evidente uno scarso run-off. Angio-TC del distretto tibio-peroniero (c- d):i software di ricostruzione elettronica con tecnica maximum intensity projection (MIP) (c) e volume ren- dering technique (VRT) (d) consentono di visualizzare le strutture vascolari con modalità simil-angiografi- ca,con il vantaggio di poter variare il punto di osservazione (per esempio antero-posteriore o viceversa, o obliqua) senza dover effettuare una nuova acquisizione TC o somministrare ulteriore MDC

a b c d

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Angio-RM

Nell’ambito della valutazione diagnostica della malattia aterosclerotica, la risonanza magnetica (RM) ha progressivamente guadagnato un ruolo dalla metà degli anni Novan- ta grazie allo sviluppo e all’introduzione della tecnica angiografica mediante sommini- strazione ev di MDC paramagnetico con iniettori automatici (contrast enhanced Angio- RM, CE-ARM) [40, 41].Analogamente a quanto avvenuto con la tecnologia TC, lo sviluppo di scanner RM sempre più veloci e a elevati gradienti ha consentito di ottimizzare l’im- piego del MDC, aprendo la strada all’applicazione clinica della tecnologia RM in ambi- to vascolare. L’introduzione della tecnica CE-ARM ha così consentito di superare le prin- cipali problematiche delle tecniche angiografiche senza MDC, ossia quelle cosiddette Fig. 3. Mediante una singola somministrazione endovenosa (ev) di MDC è possibile studiare adeguatamente l’asse vascolare (a) e la patologia associata. Infatti, mentre in angiografia è nec- essario eseguire proiezioni aggiuntive (oblique) (b, c) con ulteriore somministrazione intra-arte- riosa di MDC al fine di visualizzare la biforcazione dell’arteria iliaca comune (AIC), i software di ricostruzione delle immagini TC consentono di valutare adeguatamente lesioni eccentriche (teste di freccia in d ed e) o ostiali secondo differenti punti di osservazione, evitando così ulteriori acqui- sizioni o somministrazione di MDC

a

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diagnostica, lo studio di pazienti già sottoposti a rivascolarizzazione chirurgica median- te confezionamento di bypass periferici o a procedure endovascolari (follow-up) e in caso di esame ECD positivo/dubbio. Infatti l’esame Angio-TC consente un’ottimale valuta- zione della pervietà di tali device (bypass, stent), un accurato studio delle anastomosi del bypass e dell’in-flow e del run-off distale al tratto vascolare trattato [39].

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convenzionali (tecnica time of flight, TOF, e tecnica phase contrast, PC), rappresentate complessivamente dai lunghi tempi di acquisizione, dalla sensibilità ai flussi turbolenti e dalla bassa accuratezza diagnostica. Il principio di base della CE-ARM è rappresenta- to dall’acquisizione dei dati durante il “primo passaggio” del bolo di MDC nelle strutture vascolari in esame. Scanner allo stato dell’arte consentono acquisizioni Angio-RM rapi- de e durante una singola apnea, con ampi campi di vista. Fattori critici che possono influenzare la qualità d’immagine e l’accuratezza diagnostica di un esame Angio-RM sono rappresentati da fattori correlati sia alla tecnica RM utilizzata che al MDC impie- gato e alla sua modalità di somministrazione. Per quanto attiene alla tecnica RM, l’ac- quisizione è contenuta nella durata di una normale apnea (in genere inspiratoria), nel- l’ordine di 25-30 sec al massimo, con sequenze caratterizzate da determinati criteri di rap- porto segnale/rumore (S/R) e di copertura della regione anatomica di interesse. In gene- re, è possibile utilizzare strategie di acquisizione con piani paralleli al decorso dei vasi e non perpendicolarmente a essi (come per la tecnica TOF tradizionale), con netta ridu- zione del tempo di acquisizione. La tecnica è di tipo 3D, con acquisizione cioè di un inte- ro volume e calcolo successivo delle singole partizioni (immagini) 2D, fatto che com- porta un più favorevole rapporto S/R nelle immagini ottenute e spessori di strato infe- riori rispetto a quelli della tecnica 2D (migliore risoluzione spaziale), ottimali per appli- care dedicati algoritmi di ricostruzione (MPR, MIP). Il mantenimento dell’apnea, essen- ziale per la valutazione di altri distretti (vasi toracici e addominali), non è invece neces- saria nello studio dei distretti periferici. Quanto ai MDC, in genere della famiglia dei chelati del Gadolinio (Gd), sono tutti caratterizzati da buona tollerabilità e ridotta nefro- tossicità (utilità nei pazienti con insufficienza renale). Fattori importanti sono la dose, la velocità (flusso) di somministrazione, l’impiego di iniettore automatico (per la som- ministrazione a bolo) e il preciso timing dell’acquisizione. Risultano inoltre fondamen- tali i fattori legati al tempo di acquisizione rispetto all’iniezione, tanto più quanto mag- giore è la velocità della prima. Per ottimizzare l’insieme dei fattori riportati sono state ela- borate diverse modalità di esecuzione degli esami in rapporto ai differenti distretti stu- diati, man mano che la tecnica CE-ARM ha trovato applicazione negli anni nello studio di tutti i distretti arteriosi, con la sola eccezione, praticamente, del distretto coronarico.

Dato l’esteso volume anatomico del distretto arterioso degli arti inferiori, nonostante la somministrazione ev automatica del MDC e l’impiego di sequenze veloci, i protocol- li Angio-RM prevedevano inizialmente l’acquisizione di due o tre distretti separati (aorto- iliaco; femoro-popliteo e distale), ognuno con una somministrazione di MDC e median- te impiego di bobine di superficie. Sebbene applicabile, tale approccio risultava inficia- to dall’eccessiva dose di MDC somministrato e dall’enhancement vascolare non seletti- vo (enhancement vascolare venoso), motivi per i quali furono successivamente intro- dotti il movimento automatico o semiautomatico del lettino porta-paziente, l’impiego di bobine di superficie con maggiori campi di vista e differenti parametri tecnici di acqui- sizione, che tenessero conto delle differenti esigenze di risoluzione spaziale a seconda delle dimensioni dei vasi del distretto in esame (distretto aortico, iliaco-femorale, popliteo-infra- popliteo). Tali caratteristiche hanno permesso di sviluppare protocolli più soddisfacen- ti, consentendo di “seguire” il bolo di MDC impiegando differenti campi di vista, acqui- siti sequenzialmente dall’aorta addominale alle caviglie, con una singola dose di MDC somministrato mediante iniettore automatico. Attualmente, il requisito obbligatorio è quello di muovere il lettino (o il paziente) durante l’acquisizione RM e la somministra- zione del MDC (Fig. 4a, b).

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Tali caratteristiche spiegano perché i protocolli CE-ARM per lo studio del distretto arterioso degli arti inferiori siano così fortemente dipendenti dalla tipologia di scan- ner e dalle preferenze individuali di ogni operatore [42-47]. In termini generali, la tec- nica più comunemente utilizzata impiega tre step, con campi di vista da 350 a 450 mm (in funzione delle bobine), spessore della partizione da 1 a 2 mm, spessore del pac- chetto in funzione del paziente e del numero di step, dose di MDC da 0,1 a 0,3 ml/Kg a concentrazione 0,5 M, flusso di somministrazione del MDC variabile con una prima fase (di 1-1,5 ml/sec) e una seconda più lenta (0,4-0,6 ml/sec), ma dipendente dalla durata media dell’acquisizione (da 12 sec fino a oltre un minuto per ciascuno step). La variabilità dei protocolli riportata in letteratura non risulta di ausilio nel confrontare i risultati della CE-ARM versus DSA nei differenti centri diagnostici. Tali dati, tenendo conto delle indicazioni e/o controindicazioni classiche, suggeriscono comunque un ruolo della RM come metodica di seconda istanza nella valutazione diagnostica della patologia aterosclerotica del distretto arterioso degli arti inferiori, alla pari della TC multidetettore [48-59]. Tale ruolo è certamente confermato in modo sostanziale per i vasi aorto-iliaco-femorali, ove i risultati sono di qualità comparabile a quelli della TC, con i vantaggi radioprotezionistici noti [48-51, 53]. Meno soddisfacenti appaiono invece quelli nello studio dei vasi arteriosi distali (dalla poplitea in poi) [52, 54, 55]. Le ragio- ni principali di ciò vanno identificate nella maggiore “delicatezza” della tecnica RM, nella quale il corretto timing di enhancement del bolo di MDC rispetto alla durata e Fig. 4. Angiografia con risonanza magnet- ica (Angio-RM) del distretto arterioso aortico addominale e degli arti inferiori, in due dif- ferenti pazienti (a, b) eseguita mediante acquisizione di tre contigui campi di vista, con spostamento del lettino porta-paziente e ricostruzione con tecnica MIP

a b

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alla tecnica di acquisizione delle sequenze e dei campi di vista risulta determinante e non sempre ottimalmente realizzabile, e nella frequente presenza di lesioni critiche vascolari che condizionano un asimmetrico flusso tra i due arti, con picco di enhan- cement diverso e differente resa dello studio, cui conseguono problemi interpretativi.

L’introduzione di tecniche veloci con rapida acquisizione sequenziale hanno ridotto tali problemi, ma non li hanno eliminati del tutto. Buoni sono i risultati nei controlli post- chirurgici di bypass [59], anche se con problemi legati alla presenza di possibili clip (artefatti) o reperti associati (fistole artero-venose). Limitato appare invece attualmente l’impiego nel follow-up di procedure interventistiche, con posizionamento di stent endovascolari. In tali casi classico è infatti il “vuoto di segnale” visibile nel tratto di vaso in cui è presente lo stent, con l’incapacità di esprimere un giudizio, per esempio, di riste- nosi intra-stent. Nonostante questo, rimane comunque la capacità della tecnica RM di valutare la pervietà dello stent mediante l’ottenimento di informazioni indirette, docu- mentando la presenza di enhancement vascolare a valle dello stent e valutando le carat- teristiche dinamiche del flusso a valle, mediante tecnica PC. Lo studio di fistole artero- venose, o in generale di malformazioni arterovenose, si può giovare delle tecniche RM multifase ad alta risoluzione, oggi disponibili, costituendo un’indicazione preferenzia- le rispetto alla TC [57].

Conclusioni

In caso di sospetta arteriopatia periferica, l’obiettivo delle tecniche di imaging, qualunque sia la metodica scelta, è quello di individuare le caratteristiche morfologiche e funziona- li che, associate alla valutazione clinico-laboratoristica, permettono di selezionare i pazien- ti indirizzandoli verso il trattamento più adeguato (terapia medica, chirurgica o endo- vascolare) o verso un’osservazione periodica nel tempo dell’evoluzione dell’arteriopatia o del risultato dell’eventuale trattamento effettuato. Comunque, qualunque sia la metodica utilizzata, un esame diagnostico “ideale” in tali pazienti dovrebbe consentire la visualiz- zazione di tutto il distretto arterioso degli arti inferiori (panoramicità dell’esame) in maniera da ottenere informazioni sulla lesione target (responsabile della sintomatolo- gia), sull’in-flow (distretto arterioso a monte) e sul run-off (distretto arterioso a valle) sino alle arterie del piede con adeguata risoluzione spaziale, in modo da poter valutare anche i vasi di piccolo calibro. L’esame di prima istanza nei pazienti arteriopatici, da associare comunque e sempre a un’accurata valutazione clinico-laboratoristica, è rappresentato dall’ECD in virtù sia delle sue caratteristiche (disponibilità, attendibilità, non invasività e costi contenuti) che della possibilità di risultare esauriente o in grado di porre l’indicazione a una metodica di seconda istanza, quali DSA,Angio-TC o Angio-RM. L’obiettivo da per- seguire attualmente è quello di sottoporre a esame angiografico solamente i pazienti trat- tabili con procedure endovascolari interventistiche o casi selezionati nei quali perman- gono dubbi irrisolti dopo valutazione TC o RM. Ulteriore obiettivo della fase diagnosti- ca è quello di ottenere una completa pianificazione della distribuzione delle lesioni arte- riose tale da permettere l’approccio angiografico (trans-femorale omo-controlaterale, transfemorale anterogrado, trans-ascellare o trans-omerale) più adeguato a rendere sem- plice l’eventuale successivo trattamento endovascolare. Quindi, in caso di paziente con esame ECD (ritenuto tecnicamente adeguato) positivo e con indicazione a un trattamento endovascolare, la metodica di seconda istanza da eseguire è rappresentata dall’angio-

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grafia. In caso di esame ECD dubbio o discordante con la valutazione clinica, appare inve- ce giustificato il ricorso a un esame di seconda istanza (Angio-TC o Angio-RM) al fine sia di confermare/escludere la patologia, sia per la pianificazione del trattamento più indicato.

In caso di lesione del distretto femoro-popliteo-infrapopliteo, passibile di trattamento endovascolare, l’indicazione all’esame angiografico appare giustificata se l’esame ECD consente di escludere con certezza la presenza di lesioni contestuali a monte (distretto iliaco); infatti, l’esclusione di lesioni iliache consente in questi casi di utilizzare l’approc- cio più adeguato (anterogrado), tale da rendere la procedura più semplice, più veloce, più sicura, con conseguente riduzione della quantità di MDC utilizzato e dell’esposizio- ne a radiazioni ionizzanti, sia del paziente che degli operatori. In caso di esame ECD dub- bio o positivo con indicazione chirurgica, l’iter diagnostico prosegue con una metodica di seconda istanza non invasiva (Angio-TC,Angio-RM) che, sulla base dei vantaggi e dei limiti precedentemente descritti, consente di evidenziare l’eventuale lesione vascolare e di fornire al chirurgo/radiologo interventista informazioni tali da porre una corretta indi- cazione al trattamento, sia esso chirurgico che endovascolare. Nel follow-up dei pazien- ti sottoposti a terapia chirurgica/endovascolare la metodica di riferimento è certamente rappresentata dall’esame ECD, con il ricorso a una metodica d’imaging di seconda istan- za non invasiva in caso di reperto ECD negativo con valutazione clinica fortemente sospet- ta per recidiva/fallimento della procedura o in caso di ECD dubbio o, infine, con ECD positivo per lesione passibile di ulteriore trattamento.

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