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Academic year: 2022

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Indice

INTRODUZIONE ... 1

PARTE I Il linguaggio del fumetto ... 11

I.1 L’iconografia visiva ... 11

I.2 La composizione della vignetta ... 24

I.3 La costruzione della pagina ... 35

I.4 Il montaggio delle vignette ... 39

I.5 Le strutture del racconto ... 51

PARTE II Il fumetto di realtà ... 71

II.1 Il fumetto tra forma e contenuto. I generi ... 72

II.2 Il fumetto commerciale e il fumetto d’autore ... 79

II.2.1 Il fumetto commerciale... 79

II.2.2 Il fumetto d’autore ... 83

II.3 I fumetti dal fronte di guerra ... 93

II.3.1 Maus, racconto di un sopravvissuto ... 97

II.3.2 Persepolis... 102

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PARTE III

Analisi di Palestina ... 107

III.1 L’autore, Joe Sacco: breve biografia ... 107

III.2 Il connubio tra giornalismo e comics: Palestina come reportage a fumetti ... 113

III.2.1 Il giornalismo a fumetti... 113

III.2.2 Palestina come reportage a fumetti ... 115

III.2.3 La sofferenza dei palestinesi nei fumetti ... 131

III.3 Contesto storico-politico di Palestina... 134

III.3.1 Origini e sviluppi della questione palestinese (1895- 1987) ... 134

III.3.2 Intifade e tentativi di pace (1987-2001) ... 137

III.3.3 La situazione attuale (2001-2006) ... 141

III.4 Panoramica su Palestina ... 144

III.5 Il linguaggio di Palestina... 154

III.5.1 L’iconografia visiva di Palestina e le influenze dell’underground americano ... 154

III.5.2 La composizione delle vignette ... 162

III.5.3 La costruzione della pagina ... 166

III.5.4 Il montaggio delle vignette ... 170

III.5.5 La struttura narrativa... 174

BIBLIOGRAFIA ... 183

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INTRODUZIONE

“L’analisi dei contenuti risulta […]

incompleta se non viene commisurata a una analisi delle strutture formali […]”

(Eco, 1984: 158).

L’oggetto principale di questa tesi1 è Palestina di Joe Sacco, opera rappresentativa di un filone innovativo, quello del comic journalism. Il lavoro in questione costituisce un esempio di reportage a fumetti2, focalizzato sul dramma dei palestinesi nei Territori Occupati. Tramite questo caso studio si cercheranno di dimostrare le potenzialità artistiche e comunicative del fumetto, linguaggio autonomo a tutti gli effetti in grado di trattare qualsiasi tipo di contenuto, al pari di altri mezzi di comunicazione quali il cinema e la letteratura.

Fin dalla sua nascita, il fumetto è ostacolato dalle polemiche e dai pregiudizi. Il suo formato vivace e ‘cartoonesco’, l’abbinamento di parole ed immagini, l’appartenere alla cultura di massa, il suo uso spesso ristretto al mero intrattenimento, ha spesso sminuito, agli occhi dell’opinione pubblica, il suo reale valore artistico e comunicativo.

Almeno fino al 1950, il fumetto è ritenuto, infatti, dalla maggioranza, una forma di passatempo per ragazzini o per menti semplici e limitate.

1 L’obiettivo iniziale di questo lavoro era quello di realizzare una tesi panoramica sui fumetti d’autore, americani, italiani e francesi d’ispirazione realistica. Tuttavia, la mole di materiale esistente in materia non avrebbe permesso di analizzare compiutamente tale vasto campo d’indagine dal duplice punto di vista dei contenuti e della forma. Di qui la decisione di restringere l’analisi all’opera Palestina di Joe Sacco.

2 Nel contesto di questa tesi viene utilizzato il termine italiano ‘fumetto’ per indicare sia il medium in generale, sia la ‘nuvoletta’ che contiene i dialoghi e i pensieri dei personaggi. Negli Stati Uniti il fumetto è chiamato comic. Questo termine, che significa ‘comico’, deriva da comic strips, la prima applicazione del fumetto americano, cioè il formato a striscia che compariva nei giornali. In Francia il fumetto è chiamato bande dessinée, che significa ‘banda disegnata’, in questo caso il termine considera come tratto essenziale del fumetto proprio il disegno.

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Inoltre il fumetto è spesso e volentieri deprezzato dagli uomini di cultura, gli ‘apocalittici’, come direbbe Umberto Eco (1984), i quali lo accusano di inibire l’immaginazione, di favorire l’economia mentale e la passività, di disabituare alla lettura e al linguaggio corretto grammaticale, di turbare l’equilibrio nei più giovani, incitandoli alla criminalità, alla violenza e alle perversioni sessuali3. Soprattutto quest’ultima critica suscita non poche polemiche, tanto che il fumetto si trova al centro di dispute addirittura legali. Nel 1951, in Italia, è varata la proposta di legge Federici – Migliori, finalizzata ad una censura preventiva contro i fumetti. Nel 1954, Fredric Wertham pubblica il libro Seduzione degli innocenti che denuncia gli effetti negativi del fumetto sui giovani e scatena un’accesa rivolta contro il medium; nello stesso anno è, infatti, imposto al fumetto americano, dalle stesse case editrici, un rigido codice etico, il Comics Code, che limita notevolmente la libertà creativa, sia da un punto di vista estetico sia da un punto di vista contenutistico.

Questa sterilità è alimentata, tra l’altro, dai meccanismi dell’industria capitalistica del fumetto. Al fine di produrre un oggetto ad alto consumo, le grandi case editrici avevano, e hanno tuttora, la tendenza a favorire certi tipi di fumetto molto commerciabili (adatti ai gusti di un pubblico il più possibile ampio), e ottenibili in breve tempo e a bassi costi. Tale politica appoggia quindi la divisione dei ruoli nella creazione, per abbreviare i tempi di produzione, e il trattamento di contenuti piuttosto banali, d’evasione e stereotipati, con conseguente abbassamento del valore qualitativo e didattico del fumetto.

Dopo il 1954, grazie alla rivoluzione del movimento underground4 e all’affermazione del fumetto d’autore, questo medium

3 Per una minuziosa panoramica delle critiche rivolte al fumetto da molti intellettuali italiani e americani, cfr. Imbasciati/Castelli, 1975: 15-61.

4 Il movimento underground, della fine degli anni Sessanta e inizio Settanta, accomuna artisti di diversi linguaggi, quali il cinema, la musica, il teatro, il fumetto. Gli underground comix si ribellano ai condizionamenti imposti dal mercato editoriale e dalle ideologie conservatrici della società, che imponevano, attraverso il Comics Code, delle grosse limitazioni al fumetto, sia nei

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è oggetto di una riqualificazione intellettuale5. Il fumetto, soprattutto nel formato del romanzo grafico, dimostra che il suo linguaggio può affrontare, in maniera concreta, diretta e immediata, argomenti, tutt’altro che frivoli, come l’autobiografia, i fatti storici, le passioni, le relazioni umane, l’attualità. In questo caso il medium non è il messaggio, la forma del fumetto può raggiungere differenti livelli di qualità e di pubblico, tutto dipende dai fini che si propone chi lo produce. Ciò fa del fumetto un medium che oltre a dilettare, per la sua forma grafica artistica, ha anche la possibilità di istruire in modo coerente e approfondito una moltitudine di persone. Il fumetto, come fa notare Scott McCloud:

“[…] può servire uno scopo sociale e politico in quanto aiuta a compensare le immagini distorte della società che ci vengono costantemente fornite dai mass media, specialmente se le vite rappresentate non sono quelle dei beneficiari dello status quo della società” (2001: 42).

Ed è in questa direzione che si colloca la mia ricerca, vale a dire verso la dimostrazione delle potenzialità artistiche, letterarie, sociali e comunicative del fumetto; competenze queste già dimostrate da illustri autori ma ancora tutte da scoprire e da sfruttare, soprattutto nel campo dell’attualità, come valida alternativa al giornalismo tradizionale

Nella prima parte mi soffermo ad analizzare le componenti formali del linguaggio del fumetto, a prescindere dai contenuti, sia dalla parte del fumettista (le tecniche per creare una storia d’immagini), sia dalla parte del lettore (i meccanismi di decodifica).

Il fumetto è un linguaggio che dispone di un proprio codice comunicativo, basato su un’esperienza visiva comune sia agli autori sia al loro pubblico. Questo codice è un sistema di regole, che organizzano la struttura dei significanti, gli aspetti puramente materiali, mettendoli in relazione ai significati che l’autore vuole

5 Rivalutazione che si è concretizzata sia nella produzione di fumetti ad alto livello qualitativo, per forma e contenuti; sia nella proliferazione di saggi d’analisi del fumetto d’illustri intellettuali, da un punto di vista formale, ma anche sociologico, psicologico, narrativo e semiotico; sia nella nascita di riviste specializzate che presentavano le nuove esperienze fumettistiche, di una certa levatura formale e contenutistica.

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evocare. La struttura di base del fumetto possiede un proprio vocabolario e una propria grammatica, per questo è riconoscibile e sempre uguale a prescindere dai contenuti affrontati e dagli stili impiegati. Come fa notare Scott McCloud:

“[…] la forma artistica, il medium, noto come fumetto è un recipiente che può contenere qualsiasi quantità di idee e figure. Il contenuto di queste figure ed idee è compito, naturalmente degli autori […], il trucco è non confondere mai il messaggio con il messaggero” (1999:

14).

L’analisi, che applicherò al linguaggio del fumetto, parte dal particolare, una singola immagine, per arrivare al generale, la struttura della storia. Nel primo capitolo sarà quindi indagato il vocabolario di cui dispone il linguaggio del fumetto: l’iconografia visiva. Vedremo che attraverso la caricatura, la gestualità espressiva, la linea, la visualizzazione grafica della metafora, i segni grafici in funzione sonora e la forma dei balloon e delle vignette, il fumetto ha la capacità di rappresentare graficamente il mondo astratto delle emozioni, del tempo, del movimento e dei sensi invisibili.

Nel capitolo successivo sarà studiata l’applicazione dell’iconografia visiva nella composizione della vignetta, quindi la relazione tra le immagini e le parole, la selezione dell’oggetto da raffigurare, la scelta dell’inquadratura e della prospettiva.

Successivamente sarà presa in considerazione la costruzione della pagina, quindi l’impatto grafico ed emozionale della tavola nel suo insieme.

Il quarto capitolo si focalizza sul montaggio delle vignette, finalizzato a creare una continuità percettiva attraverso il susseguirsi di frammenti discontinui d’immagini statiche e cartacee; quindi i meccanismi attuati dall’autore per creare graficamente il tempo, il ritmo e il movimento.

L’ultimo capitolo della prima parte analizzerà l’organizzazione dell’opera in generale, quindi le strutture del racconto: il rapporto tra la fabula e l’intreccio, l’istanza e la prospettiva narrativa, i codici che

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proposta una scaletta generale che indica le tappe per la creazione di una storia a fumetti. Come vedremo le strutture del racconto sono delle macroforme comuni a tutti i linguaggi narrativi di mezzi e tecniche differenti, come cinema e letteratura.

Questa prima parte dimostrerà quindi i meccanismi e il valore del linguaggio del fumetto come forma artistica, letteraria e comunicativa, a prescindere dal genere, dallo stile e dal contenuto.

Nella seconda parte affronterò un’analisi panoramica sui generi di fumetto esistenti, al fine di delimitare e descrivere a grandi linee il filone del fumetto di realtà, cui appartiene l’opera di Joe Sacco.

Nel primo capitolo saranno analizzate le implicazioni tra la forma e il contenuto in vista di una divisione interna del fumetto in generi. Infatti, il linguaggio del fumetto, pur lavorando con gli stessi meccanismi in ogni sua applicazione narrativa, presenta delle differenze sia per quanto riguarda lo stile di disegno impiegato, sia per quanto riguarda i contenuti affrontati, sia per quanto riguarda il formato con cui si presenta.

Successivamente sarà esposta una distinzione tra il fumetto commerciale e il fumetto d’autore, saranno, di conseguenza, trattati a grandi linee i meccanismi dell’industria editoriale e la lenta rivalutazione del fumetto nel campo della cultura e della comunicazione.

Nel terzo capitolo della seconda parte il campo di ricerca sarà ulteriormente ristretto all’analisi dei fumetti di realtà bellica. Saranno riportati due illustri esempi, Maus, di Art Spiegelman,e Persepolis, di Marjane Satrapi, che dimostrano la capacità del fumetto di affrontare argomenti seri e di estrema attualità al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale circa le grandi contraddizioni della realtà odierna.

Nella terza ed ultima parte sarà affrontata l’analisi di Palestina di Joe Sacco. Questo studio sarà la dimostrazione dei concetti esposti nella prima e nella seconda parte. Affronterò quindi gli aspetti formali,

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quelli contenutistici e quelli ideologici, al fine di fornire una visione il più possibile ampia dell’opera in questione.

Il primo capitolo sarà dedicato alla figura dell’autore, Joe Sacco. Oltre a comunicare le tappe della sua vita personale e della sua carriera artistica e giornalistica, affronterà anche le influenze e i motivi che hanno spinto l’autore all’utilizzo del fumetto per raccontare la realtà attuale e le sue contraddizioni.

Nel secondo capitolo sarà analizzato il connubio tra il giornalismo e il fumetto, dapprima da un punto di vista generale, riportando esempi di questo recente genere di fumetto e inserendolo in un certo contesto editoriale, e in un secondo momento concentrando la mia attenzione sul reportage Palestina. Dell’opera saranno evidenziate le qualità comunicative, rispetto al giornalismo scritto ed audio – visivo, e le finalità morali, rispetto all’informazione stereotipata dei mass media ufficiali.

Il terzo capitolo si concentrerà sul contesto storico – politico dell’opera. Saranno quindi prese in considerazione, a grandi linee, le tappe storiche che hanno portato alla nascita dello stato d’Israele e all’occupazione illegale dei territori palestinesi. Questo capitolo offre un background storico – politico per collocare l’opera e giustificare i suoi contenuti, e una visione sugli eventi che caratterizzeranno gli anni successivi a Palestina, fino ai giorni nostri.

Il quarto capitolo riassume i contenuti del reportage di Sacco, nell’ordine del racconto. I contenuti si riallacciano inevitabilmente al contesto storico - politico, in quanto l’opera è un reportage dal taglio prettamente giornalistico e quindi informativo. La prospettiva tuttavia differisce rispetto a quella dei media ufficiali, in quanto considera il punto di vista dei palestinesi, vittime di un’occupazione, e la cui voce difficilmente raggiunge gli ampi strati dell’opinione pubblica.

L’ultimo capitolo s’immergerà direttamente nell’opera da un punto di vista formale e stilistico, riprendendo e amplificando, paragrafo per paragrafo, gli elementi del linguaggio del fumetto descritti nella prima parte di questa tesi: l’iconografia visiva, la

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del montaggio e l’organizzazione strutturale, adattandoli all’opera in questione.

Nota metodologica e bibliografica

L’analisi della mia tesi, che come ho detto si propone di valorizzare le potenzialità artistiche, comunicative del fumetto, si è fin da subito rivelata piuttosto impegnativa per l’ampiezza dell’argomento trattato6.

Nella prima e nella seconda parte mi sono basata su alcuni testi d’analisi del linguaggio del fumetto degli autori sotto elencati.

Ognuno di loro offre un’analisi peculiare approfondendone alcuni aspetti specifici.

Imbasciati e Castelli (1975) affrontano il fumetto da un punto di vista psicologico, indagando le dinamiche psichiche profonde sollecitate dalla lettura dei fumetti.

Umberto Eco (1984) affronta il fumetto da un’ottica sociologica, tesa a valutare gli effetti dell’allora nascente cultura di massa e dei suoi mezzi di comunicazione.

Fresnault-Deruelle, in Il linguaggio dei fumetti (1989), si concentra prevalentemente sugli aspetti semiotici e strutturali della narrazione in relazione ad alcuni fumetti in lingua francese; in I fumetti: libri a strisce (1990) tratta a organizza tutte le componenti del fumetto (aspetti tecnici, grammaticali, narrativi, commerciali).

Daniele Barbieri (1995) imposta la sua ricerca in una direzione interlinguistica, comparando gli aspetti formali del fumetto con quelli di altri linguaggi artistici come il cinema, la letteratura, la pittura, il teatro e la musica.

Pietro Favari (1996) affronta il fumetto da un’ottica storiografica, finalizzata alla comprensione delle differenti fasi attraversate dal medium nei suoi oltre cento anni d’età.

6 A questo proposito è interessante notare che Daniele Barbieri intitola, il suo saggio (1995), I linguaggi del fumetto e non Il linguaggio del fumetto, chiarendo sin dal titolo la moltitudine dei codici implicati nella forma del fumetto.

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L’approccio di Will Eisner (1997 e 2001) è sostanzialmente personale, essendo lui un grande fumettista, e si concentra sugli strumenti tecnici, narrativi e percettivi inerenti alla creazione di una storia per immagini con particolare riferimento ai suoi fumetti.

Scott McCloud (1999 e 2001) propone uno studio piuttosto vasto ed esauriente del fumetto, che include l’analisi formale, contenutistica, produttiva, sociale e psicologica soprattutto in relazione al fumetto americano d’ autore.

Oltre a questi saggi d’argomento specificamente fumettistico, ho esaminato anche testi più generali sull’arte grafica, l’arte del racconto e l’arte del comunicare. Comunicare per immagini, di Manfredo Massironi (1989), si fonda sull’analisi della geometria delle apparenze e della percezione; L’officina del racconto, di Angelo Marchese (2000), è focalizzato sull’analisi delle strutture narrative nel racconto verbale; Gli strumenti del comunicare, di Marshall McLuhan (2002), valuta il fenomeno del fumetto da un’ampia prospettiva, tesa a comprendere il funzionamento dei media nell’allora nascente società di massa.

La mia ricerca formale e contenutistica è stata ulteriormente arricchita e ispirata dalle nozioni apprese durante il corso di fumetto dei Giardini Margherita (2004-2005). Il corso prevedeva una serie di lezioni pratiche intensificate da lezioni puramente teoriche, relative alla storia e alla tecnica fumettistica.

Di particolare aiuto è stato uno dei miei maestri, Piero Ruggeri, anch’egli fumettista, che, oltre a fornirmi materiali e consigli, mi ha anche messo in comunicazione con artisti e editori di fumetto, permettendomi una ricerca sul campo, cioè dall’interno della produzione di un fumetto. In particolare sono debitrice a Omar Martini, direttore co-fondatore della Black Velvet e redattore della Coconino Press di Bologna, per i suggerimenti e i pareri sulla mia tesi.

Nella composizione della terza parte si passa, dal punto di vista metodologico, dall’approfondimento di nozioni teoriche, alla loro applicazione ad uno studio storico, formale, tematico e sociale di

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stimolata dalle interviste, dalle pagine web e dagli articoli di giornale relativi a Joe Sacco e al suo reportage a fumetti. Un particolare ringraziamento, a questo riguardo, va a Gianluca Costantini, fumettista e direttore artistico della rivista InguineMah!gazine, che, oltre ad offrirmi preziosi consigli, mi ha gentilmente ospitato nella sede dell’Associazione Mirada a Ravenna, dove mi sono stati forniti materiali riguardanti la rassegna stampa in occasione della mostra Joe Sacco. Nuvole da oltre frontiera, e altri articoli e interviste pubblicati in giornali di fumetti americani.

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Ringraziamenti

Oltre agli appena citati debiti scientifici, vorrei ringraziare le seguenti persone che mi sono state d’aiuto morale e materiale durante l’elaborazione della tesi ed in generale il mio percorso universitario.

Ringrazio i miei genitori, Marialuisa e Franco, perché senza il loro sostegno non sarei arrivata fino a qui, e mia sorella per le stimolanti discussioni inerenti all’argomento della mia tesi.

Ringrazio il mio relatore, Pietro Favari, per gli interessanti spunti di ricerca.

Ringrazio Piero Ruggeri, Gianluca Costantini e Omar Martini per i consigli, il materiale e tutto il tempo che mi hanno dedicato.

Ringrazio Willi per la scannerizzazione delle immagini e tutti gli amici che in qualche modo hanno contribuito alla realizzazione di questa tesi, anche sopportandomi nelle mie crisi di nervi.

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PARTE I.

IL LINGUAGGIO DEL FUMETTO

Ι.1 L’iconografia visiva

L’iconografia visiva è una forma d’alfabetizzazione universale ed è anche il vocabolario a disposizione del fumetto per definire ed enfatizzare un personaggio, informarci del movimento e dello scorrere del tempo, comunicare idee ed emozioni. Il fumetto è un’arte sostanzialmente visiva.

Esistono le icone non figurative, come i simboli del linguaggio e della scienza il cui “significato è fisso ed assoluto. Il loro aspetto non ha effetto sul loro significato perché rappresentano idee invisibili”

(McCloud, 1999: 36). Ci sono poi le icone figurative, il cui significato è fluido e variabile come lo è anche il loro aspetto. Il loro uso ripetitivo e costante per trasmettere idee analoghe, ha reso queste immagini e questi simboli comprensibili universalmente superando anche le potenzialità comunicative del linguaggio verbale, ostacolato dalle differenze linguistiche.

Le icone figurative di cui dispone il fumetto sono: la rappresentazione del personaggio, nelle sue caratteristiche fisiche e comportamentali (la caricatura), le visualizzazioni della metafora e della similitudine, i suoni onomatopeici, i balloon1, la resa grafica delle parole e gli elementi grafici convenzionali che esprimono il movimento. Questi elementi iconografici permettono di comunicare al

1 Il termine ‘balloon’ sta ad indicare la nuvoletta collegata al personaggio che racchiude il discorso, pensato ed espresso.

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lettore, con l’immediatezza e la vivacità delle immagini, concetti ineffabili e difficilmente verbalizzabili2.

Come vedremo nell’icona, significati e significanti vengono a coincidere formando un tutt’uno, creando così una sorta di sinestesia.

Tuttavia la predominanza dell’elemento visivo ha spesso scatenato aspre polemiche sul valore del fumetto, giudicato un linguaggio primitivo e superficiale, adatto a bambini e illetterati3.

Saranno ora analizzate più attentamente queste tecniche espressive, che costituiscono il vocabolario iconografico visivo del linguaggio del fumetto, al fine di sfatare gli antichi pregiudizi e di restituire a queste il loro reale valore comunicativo e artistico.

Nel fumetto non c’è molto spazio per sviluppare nel dettaglio la psicologia di un personaggio. Per questo motivo si ricorre all’enfatizzazione d’alcune caratteristiche fisiche comunemente riconoscibili e riconducibili ad un’idea o ad un atteggiamento. La creazione di un’immagine efficace sottolinea gli aspetti pertinenti dell’oggetto eliminandone altri più superflui, attraverso la semplificazione e l’esagerazione caricaturale. Come ricorda Daniele Barbieri:

“Saper disegnare non è […] solo saper creare delle immagini che assomiglino al loro oggetto; ma è anche – e soprattutto – saper creare delle immagini che sottolineino quegli aspetti dell’oggetto che sono importanti per il discorso che si vuole fare” (Barbieri, 1995: p. 18).

2 Questo concetto è ben sintetizzato dalle parole di Will Eisner: “I fumetti sono riproduzioni riconoscibili di gesti e atti umani. Ne rappresentano un riflesso, ed è compito dei ricordi e delle esperienze immagazzinati nella memoria del lettore utilizzarli per visualizzare rapidamente un’idea o un’azione. Questo rende necessaria la semplificazione delle immagini in simboli riproducibili, cioè in stereotipi” (Eisner, 2001: 21).

3 Tra le tante critiche, rivolte al fumetto, nel saggio di Antonio Imbasciati e Carlo Castelli, riporto quella di Cantucci che s’interessa particolarmente all’iconografia visiva (1975: 51): “Il fumetto riduce la psicologia a fisionomia e la fisionomia a maschera fissa, priva della sensibilità espressiva

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La caricatura è un’arte antica e non necessariamente finalizzata alla comicità. Le maschere del teatro antico deformavano le fattezze del volto per enfatizzarne l’espressività.

Nel corso della storia la caricatura fu poi recuperata dalla satira sociale e politica e dalla tradizione espressionista come strumento di caratterizzazione dei sentimenti e delle emozioni, molto più potente rispetto alla rappresentazione realistica.

Il fumetto utilizza la caricatura fin dal principio; solo dagli anni Venti e Trenta si impongono immagini non caricaturali nei fumetti d’azione e polizieschi.

Il cartoon, in generale, spoglia un’immagine fino al suo significato essenziale e, così facendo, lo amplifica perché si concentra su un’idea. La deformazione espressiva è usata per evidenziare le caratteristiche di ciascun personaggio rendendolo tipico e facilmente riconoscibile dal lettore. Questo tipo d’espediente visivo è utilizzato soprattutto nei fumetti comici, che tendono così a caricare taluni aspetti di un personaggio per aumentarne l’espressività.

La figura nel fumetto, poiché disegnata, si discosta necessariamente dall’apparenza del mondo fisico, ma in gradi diversi.

Una maggiore o minore aderenza alla realtà dipende dallo stile adottato dal disegnatore. Ci sono, infatti, stilizzazioni estreme, come per esempio i personaggi di Schulz, e stilizzazioni ibride che mantengono più elementi imitativi, come per esempio i personaggi di Will Eisner. Si può notare che più una figura si allontana dal piano della resa realistica e si avvicina al piano della resa stilizzata, più questa figura assume le caratteristiche e la chiarezza dei concetti.

Un’altra caratteristica del cartoon, come spiega Scott McCloud (1999: 44) è l’universalità del suo immaginario: più una faccia è astratta, più persone è in grado di descrivere, in questo modo si crea una sorta di identificazione tra pubblico e personaggio. Quando vediamo una figura realistica, noi vediamo un’altra persona, mentre se vediamo un cartoon, vediamo noi stessi. Come dire, che la caricatura è soggettiva mentre il realismo è più oggettivo.

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Inoltre, in molti fumetti, la caricatura diventa un modo di rappresentare che perde ogni connotazione con la nostra realtà, creando un mondo diverso ma non deforme, anzi del tutto naturale e coerente. Basta pensare al mondo antropomorfo della Disney dove i personaggi sono animali, ma ai nostri occhi appaiono come esseri umani a tutti gli effetti. Un altro esempio è il mondo di Maus di Art Spiegelmann dove gatti e topi sono rispettivamente i nazisti e gli ebrei, in un’astrazione del drammatico, ma non fantastico, mondo dell’Olocausto. I due esempi appena citati differiscono per contenuti e finalità, ma entrambi hanno la caratteristica di creare un mondo

‘possibile’, al contrario dell’immagine realistica o fotografica4.

A questo proposito è importante dare rilievo ad un altro aspetto della caricatura, ovvero l’uso che un autore né fa. Questo stile semplice e diretto non sempre è riflesso di una storia semplice. Il cartoon è usato sia nei fumetti comici, che nei fumetti d’azione e in eguale misura nei fumetti espressionisti o di contenuto serio5. Dagli anni Ottanta e Novanta, in particolare, la controcultura underground ha usato sempre di più stili da cartoon per sviluppare temi o soggetti maturi.

Quindi una stessa forma per diversi contenuti. Tuttavia, mentre nel fumetto comico la caricatura è utilizzata per caricare appunto alcune caratteristiche espressive, in un fumetto di contenuto serio la caricatura ricopre ulteriori compiti. Prima di tutto, serve per smorzare temi troppo impegnativi o drammatici, e qui mi riallaccio all’esempio di Maus. Oppure la caricatura può essere usata per rallentare la lettura, invece di velocizzarla, rendendo così profondi e tangibili i personaggi;

infatti, una semplicità apparente implica una complessità di particolari

4 “Le sontuose immagini dei rotocalchi hanno, per il lettore, il limite, spesso frustrante della quotidianità: esse ‘riproducono’ quanto è avvenuto, non quello che è possibile avvenga” (Rak Michele, in Krafft, 1982: 11).

5 Come spiega Daniele Barbieri: “Uno stesso stile o una stessa forma possono in fin dei conti venire utilizzati per comunicare messaggi addirittura opposti tra loro. È interessante vedere come il

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e significati che il lettore deve scoprire e decifrare all’interno della figura caricaturale.

Un altro elemento, insito alla rappresentazione dei caratteri e comune a pressoché tutti gli stili e contenuti di fumetto, è la resa grafica della gestualità espressiva.

La forma umana e il linguaggio dei suoi movimenti corporei sono trasformati in una serie di tipologie standard per esprimere determinate situazioni o emozioni6. Queste tipologie costituiscono esagerazioni del comportamento fisionomico umano così che, il lettore possa facilmente riconoscere il significato immediato di un dato gesto. La gestualità espressiva è importante perché il disegnatore ha a disposizione una sola immagine per evocare nella mente del lettore un’azione, che si compone d’innumerevoli movimenti intermedi. Così facendo da questa sola immagine il lettore riconosce intuitivamente l’insieme della coreografia.

Oltre alle posizioni del corpo, anche quelle del volto, più note come ‘espressioni’, costituiscono un vocabolario iconografico riconoscibile. Uno stesso enunciato prende connotati differenti secondo l’espressione di chi lo pronuncia. Più un autore è bravo a delineare una gestualità ed espressività significante, più la sua opera sarà diretta e coinvolgente per il lettore, anche in assenza di parole.

Will Eisner ci spiega che probabilmente il modo in cui si riconosce una certa posizione ed espressione, è un residuo di epoche ancestrali:

“Forse nelle prime esperienze di vita animale gli esseri umani impararono quali posizioni e configurazioni facciali risultavano minacciose o amichevoli” (1997: 24).

6 “[…] la quasi totalità delle mimiche ed espressioni fisionomiche […] si riferiranno o a sentimenti elementari o a rapporti interpersonali universalmente compresi […], oppure ancora ad azioni banali […], a operazione tecniche più complesse ma agevolmente riconducibili ad archetipi […], a comportamenti stereotipi, infine, caratteristici di certe categorie di persone” (Fresnault-Deruelle, 1989: 46).

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Prima di passare all’analisi degli altri elementi simbolici di cui si compone il ‘vocabolario’ del fumetto, sarà analizzato il potenziale espressivo astratto della linea nel fumetto.

Ogni linea porta con sé un significato espressivo. Direzione, forma e spessore di una linea evocano emozioni differenti. Una linea orizzontale fa pensare al riposo, alla quiete; una linea verticale indica vivacità e agilità; una linea diagonale suggerisce un senso d’instabilità; una linea spezzata dà un effetto dinamico, in continua trasformazione; una linea curva dà la sensazione di apertura, gentilezza, e così via. Per questo motivo una linea può essere associata ad uno stato d’animo, ad un sentimento, ad un’idea e, spesso può esserci corrispondenza tra un suono, un gesto ed un tracciato lineare.

Tale effetto è chiamato ‘isomorfismo’.

Ogni disegnatore tiene conto del potenziale psicologico ed evocativo che una linea possiede. A titolo d’esempio Scott Mc Cloud fa notare come

“[...] in Dick Tracy […] Chester Gould usava linee marcate, angoli ottusi e neri abbondanti per suggerire lo stato d’animo di un mondo di adulti feroce e mortale […] mentre le curve gentili e le linee aperte dello zio Paperone di Carl Barks comunicano una sensazione di fantasia, giovinezza e innocenza” (1999: 134).

Un’altra caratteristica importante della linea è che, oltre a definire visivamente il contorno di una forma, essa dà indicazioni anche sulla sua struttura, superficie e spazio. Questo dipende in gran parte da come una linea è modulata. Bisogna, infatti, distinguere tra la linea piatta, che ha uno spessore uniforme, e la linea modulata, che è ingrossata o assottigliata in certi suoi punti.

Quest’ultima non è solamente una linea di contorno, ma, come sostiene Daniele Barbieri:

“[…] ci informa in molti casi su spessori e illuminazione, su distanza e importanza [quindi] la linea modulata è molto più informativa della linea piatta […] le informazioni sono […] vissute anche a livello di emozioni, di coinvolgimento ” (1995: 23-25).

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Tuttavia anche la linea piatta ha le sue qualità espressive.

Innanzi tutto provoca un distacco emotivo dalle immagini che può dare maggior rilievo ai contenuti dialogici e narrativi. Inoltre esprime essenzialità e staticità, caratteristiche che ben si combinano a certi racconti psicologici.

La linea, oltre a definire il contorno delle forme, si dispone spesso in tessiture. La tessitura, chiamata in gergo fumettistico anche tratteggio e retinatura, è un insieme di linee che isolate non hanno significato, ma combinate possono informarci dell’illuminazione e della matericità delle superfici.7

La linea modulata e la tessitura costituiscono la caratterizzazione visiva delle superfici e possiedono un proprio effetto espressivo e comunicativo, che concorre a definire il significato di un’opera visiva.

Infine, la linea è spesso usata come metafora visiva per rappresentare fenomeni invisibili come il senso dell’olfatto o il movimento. Per quanto riguarda il movimento, la linea cinetica esprime lo spostamento delle figure rappresentate. Le linee cinetiche non rappresentano nessun oggetto, solo il movimento, tenendo insieme una serie di figure immobili. Le linee diventano quindi dei segni di movimento, con una vita ed una presenza proprie, atte a rendere più efficace ed emozionale l’effetto grafico generale.

Sulla resa del movimento e della durata nell’arte sequenziale mi soffermerò più avanti. Per il momento mi fermo alla considerazione che la linea è parte del vocabolario iconografico atto a rappresentare l’invisibile. Quest’espediente grafico fu adottato in maggior misura dopo gli esperimenti del Futurismo, che si serviva delle linee per risolvere il problema della rappresentazione del movimento e della dinamicità all’interno di un’immagine statica.

7 “[…] la tessitura è espressiva: una volta che abbiamo riconosciuto gli oggetti, una volta cioè che sappiamo che cosa sono, ci dice infatti come sono. Ci dice se sono lucidi o ruvidi, luminosi o oscuri, vicini o lontani […]” (Barbieri, 1995: 30).

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Un espediente fondamentale di cui si serve talvolta il fumetto per creare un’atmosfera è lo sfondo. Quando è astratto lo sfondo ha un valore psicologico importantissimo poiché evoca l’ambiente emozionale interiore dei personaggi e lo trasmette al lettore. Questa tecnica è utilizzata maggiormente in Giappone dove gli sfondi sono spesso resi attraverso una tessitura espressionistica, diversa per ogni emozione che si vuol trasmettere.

Quando lo sfondo non è astratto, ma rappresenta l’ambientazione realisticamente, esso diventa parte vitale della narrazione.

Un altro elemento di cui si compone l’iconografia visiva del fumetto è la visualizzazione grafica della metafora. Le immagini diventano dei simboli astratti tesi a rappresentare il mondo invisibile dei modi di dire e dei concetti. Per esempio la lampadina accesa indica che il personaggio ha avuto un’idea brillante, i cuoricini al posto degli occhi indicano innamoramento, le mosche che girano vorticosamente indicano cattivo odore, un punto interrogativo sopra la testa indica incomprensione, e così via. Ovviamente il significato di questi simboli dipende dal contesto8 in cui sono immessi, infatti, le goccioline di sudore possono indicare contemporaneamente paura, costernazione, timidezza, fatica. Questi elementi iconografici fanno parte di “[…] un vero e proprio repertorio simbolico, così che si possa parlare di una semantica del fumetto” (Eco, 1984: p. 146) e sono il frutto di anni e anni di applicazione effettiva; è, infatti, il loro uso sistematico e continuo ad averli resi convenzionali e immediatamente riconoscibili al lettore.

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Il fumetto per rappresentare visivamente il rumore è dotato di segni grafici in funzione sonora, primo tra tutti, l’onomatopea, che traduce in parole i fenomeni del mondo sonoro incontrati in natura. Le lingue anglosassoni sono dotate d’innumerevoli onomatopee atte a trascrivere graficamente il suono. Si pensi a parole come ‘argh’,

‘bang’, ‘gasp’, ‘sniff’, ‘zip’, etc. Esse sono entrate massicciamente nel gergo abituale dei fumetti per evocare immediatamente un certo rumore e, giustamente, non sono tradotte, nel passaggio da una lingua all’altra, giacché è proprio la loro struttura fonologica ad essere l’artefice dell’espressività di questi rumori9. Come afferma Umberto Eco, ciò permette che questi termini diventino soltanto il segno di se stessi,

“[…] perdendo l’immediata connessione col significato – diventando da segno linguistico che erano, equivalente visivo del rumore, e ritornando in funzione come segno nell’ambito delle convenzioni semantiche del fumetto” (1984: 147).

Il fumetto è un universo in cui il rumore spettacolare causato da shock, esplosioni, dolore, è l’espressione quotidiana della vita dei personaggi. Per questo motivo l’uso d’onomatopee è un linguaggio acquisito e condiviso universalmente e che facilita ed amplifica la fruizione dei fumetti10.

Oltre all’onomatopea, per rappresentare il rumore, il fumetto gioca molto sulla resa grafica delle parole11. Le variazioni dello stile della scrittura, sia all’interno sia all’esterno dei balloon, influisce sulla percezione che noi abbiamo della sonorità di una data parola. Si pensi a termini come ‘bang’, se le lettere che compongono il rumore sono ingrandite ed evidenziate riescono in qualche modo a catturare l’essenza del suono. I grandi rumori nei fumetti cercano di mimare l’esperienza quotidiana, quindi il loro impatto grafico è fondamentale

9 Solitamente le onomatopee sono trascrizioni non tradotte di espressioni verbali inglesi.

Un’eccezione sono le onomatopee italiane usate da Jacovitti. Ad esempio la parola pugno assume un valore espressivo e sonoro se trattata con adeguati espedienti grafici.

10 “La lettera recita nel senso teatrale del termine. Il segno diventa simbolo: siamo in presenza della funzione immaginifica della parola” (Fresnault–Deruelle, 1990: 131).

11 “Il trattamento visivo delle parole come forme di arte grafica costituisce parte del vocabolario”

(Eisner, 1997: 12).

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e deve essere fortissimo. Lo stesso si può dire dei dialoghi contenuti nei balloon, il loro carattere tipografico. Infatti, oltre ai grandi rumori, anche il lettering dei dialoghi deve essere coerente alla resa emozionale e all’insieme grafico delle figure della vignetta.

Generalmente è realizzato a mano ma vi sono casi in cui il lettering è stampato. Se questa scelta è imposta dall’editore si può notare che spesso mal si accosta ai contenuti e al disegno. Infatti, i caratteri a stampa solitamente s’impongono troppo a scapito dell’immagine e inoltre sono freddi e meccanici rispetto al disegno a mano libera. I caratteri scritti a mano invece possono mimare con più naturalezza una conversazione quotidiana, inoltre suggeriscono una personalità e influiscono sulla percezione sonora del discorso. Il loro carattere tipografico denota uno stato d’animo coerente con le espressioni del personaggio. Ad esempio il contorno tremolante delle lettere esprime la paura di chi le pronuncia. Inoltre spesso si ricorre all’uso del grassetto per evidenziare alcune parole all’interno di una frase; questo espediente enfatizza sia il suono sia il messaggio che si trasmette nella testa del lettore dove i discorsi devono essere sentiti e recitati12.

Uno degli obiettivi primari del fumetto è proprio riprodurre la conversazione orale quotidiana, ma nei fumetti il dialogo è prigioniero dei balloon13. Per questo motivo la rappresentazione grafica dei dialoghi si serve di alcuni espedienti convenzionali per farci dimenticare la distanza tra la realtà del fumetto, puramente visiva e cartacea, e la nostra realtà, oltre che visiva anche uditiva.

Il balloon racchiude i dialoghi e i pensieri dei personaggi.

Questa nuvoletta è collegata a chi parla attraverso un puntatore

12 “Vista l’assenza di suoni, il dialogo nei fumetti serve da copione e guida il lettore a una recita mentale. Lo stile con cui vengono scritti i caratteri del testo e i segni che indicano il tono di voce sono indizi che permettono al lettore di leggere anche le sfumature emotive volute dall’autore.

Tutto ciò è indispensabile per fornire credibilità alle immagini. Ci sono caratteristiche del testo comunemente accettate che danno informazioni sul volume della voce e sulle emozioni di chi parla” (Eisner, 2001: 65).

13 Uso il termine angloamericano balloon (alla lettera: pallone) per indicare la nuvoletta che racchiude dialoghi e pensieri dei personaggi e che assume spesso una forma sferica. In italiano tale

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grafico, o appendice, chiamato anche coda. Attraverso il balloon, il testo verbale dei discorsi è chiuso in uno spazio delimitato e diventa parte effettiva e integrante dell’immagine.

La forma del balloon è iconica nel senso che ci fornisce all’istante la qualità della frase pronunciata. Un discorso espresso è racchiuso solitamente in spazi ovali o rettangolari che finiscono nella bocca del parlante attraverso la coda, solitamente a forma di lama. Un pensiero invece è spesso reso tramite un balloon dai contorni ondulati o arrotondati, oppure unito al parlante tramite una serie di bollicine.

Oltre a indicare chi parla, o se il discorso è espresso o pensato, la forma del balloon ci informa anche del modo con cui una frase è pronunciata. Per esempio contorni frastagliati ci indicano che il discorso è concitato o rabbioso, mentre un balloon tratteggiato allude ad un discorso pronunciato a bassa voce, o ancora, balloon dai contorni seghettati indicano che l’emissario è un telefono, una radio o un televisore14, sempre tenendo presente il contesto della vignetta.

Quindi anche le forme del balloon fanno parte dell’iconografia visiva convenzionale di cui si serve il fumetto per esprimere immediatamente un certo tipo di sensazioni e informazioni non visive al lettore.

Inoltre i balloon non sempre contengono parole. Spesso i balloon sono riempiti di simboli che abbracciano il non verbale; ciò significa che i pensieri del personaggio sono incomunicabili a parole e, tuttavia, attraverso queste icone, figurali o non figurali (come il punto di domanda, i puntini di sospensione, etc.) il messaggio appare immediato e chiarissimo. Infatti, esse traducono istantaneamente l’emozione del personaggio, coerentemente col disegno espressivo.

Altre volte i balloon contengono persone ed oggetti, che sono ricordati, immaginati, o sognati dall’emissario. In tutti questi casi il messaggio iconico si sostituisce efficacemente al messaggio verbale.

I balloon richiedono la cooperazione del lettore per funzionare come emanazioni di discorso da parte di personaggi. Il lettore di

14 In questo caso il bordo del balloon simula la rappresentazione grafica delle onde radio.

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cultura occidentale legge i balloon da sinistra a destra e dall’alto in basso e in rapporto alla posizione del parlante. La coda attribuisce ad un personaggio il dialogo contenuto in un certo balloon, per questo diventa intermediaria tra testo e immagine. Può, inoltre, indicare un discorso diretto, le code ordinarie, oppure pensato, le code composte di bollicine.

Come le forme del balloon, anche le forme della vignetta hanno un valore iconografico atto a rappresentare l’invisibilità.

La vignetta è una scatola che incornicia una certa scena, ma è più che un semplice contenitore poiché, come vedremo, incrementa il significato dell’immagine rappresentata. I bordi della vignetta nel linguaggio del fumetto sono indicatori del tempo, della dimensione sonora, del clima emotivo, dell’atmosfera e del significato di una storia. La scelta di una certa forma deve essere motivata quindi dal contenuto e dal tipo di sensazione che l’autore vuole esprimere.

Per quanto riguarda il tempo, convenzionalmente le vignette dai bordi lineari danno l’idea che l’azione contenuta sia svolta nel presente narrativo, mentre vignette dai bordi ondulati o arrotondati implicano un riferimento al passato.

Il carattere dei bordi della vignetta contribuisce anche a creare l’atmosfera emozionale del racconto, coinvolgendo la partecipazione del lettore. Una vignetta dai contorni frastagliati esprime un’azione forte ed esplosiva, mentre un personaggio che straripa dai bordi aumenta il clima di paura e minaccia che l’immagine deve evocare.

La mancanza di una cornice che contenga l’azione è un espediente in grado di variare il ritmo grafico. Una vignetta senza il margine presuppone un’espansione nello spazio e nel tempo senza limiti e richiama l’attenzione del lettore, imponendo una sorta di pausa.

La forma stessa della vignetta è legata al contenuto che vuole

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intere, piani medi e primi piani. Al contrario uno sviluppo orizzontale della vignetta privilegia le scene intere, quindi le panoramiche.

Forme diverse di vignetta inducono, inoltre, ad una differente esperienza di lettura e quindi ad una differente percezione del tempo e della durata da parte del lettore. Per esempio forme rettangolari lunghe e orizzontali presuppongono una lettura più lenta che si traduce in una percezione di maggior durata dell’azione. Inversamente vignette rettangolari verticali stimolano una lettura più veloce, rendendo l’azione rappresentata più concitata. Ci torneremo dopo.

In questo capitolo ho esaminato singolarmente gli elementi che fanno parte dell’iconografia visiva del fumetto. Attraverso questo sistema di equivalenze ed espedienti grafici, come abbiamo visto, una forma d’arte puramente visiva e cartacea ha la facoltà di rappresentare il mondo astratto delle emozioni, del tempo e dei sensi invisibili, come l’olfatto, l’udito e anche il gusto.

La ricerca della sinestesia, cioè dell’unificazione dei sensi e delle emozioni attraverso una forma d’arte totale, ha impegnato i maggiori artisti di tutti i tempi. Si pensi agli espressionisti: pittori come Munch, Van Gogh, Kandinskij, che finalizzavano la loro arte verso un’amplificazione espressiva della linea, della forma e del colore, per suggerire la propria agitazione interna e stimolare tutti e cinque i sensi. Questa ricerca di equivalenze occupa anche altri campi artistici come la poesia, per esempio le corrispondenze di Baudelaire, o la musica, si pensi ai tentativi di sintesia delle arti effettuati da Wagner, o ancora il teatro.

A questo punto posso dire, e ho già un po’ dimostrato, che nel mondo dei fumetti la sinestesia ha trovato una delle sue applicazioni più efficaci.

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Ι.2 La composizione della vignetta

La composizione di una vignetta richiede prima di tutto che si delimiti la parte d’immagine che si vuol rappresentare (inquadratura).

Poi si deve stabilire un centro d’interesse dentro cui raffigurare l’azione principale (disposizione spaziale interna). Dopodiché si decide il punto di vista da cui questo oggetto è guardato (prospettiva).

Infine si cerca di creare un equilibrio coerente tra tessuto verbale e tessuto grafico (combinazioni tra immagini e parole).

I fumetti sfruttano due sistemi di comunicazione fondamentali, le parole e le immagini. Gli elementi costitutivi del linguaggio iconico, come la prospettiva, la simmetria, la figura e la linea, sono integrati agli elementi costitutivi del linguaggio verbale, come la grammatica, l’intreccio, la sintassi. Per leggere un fumetto al lettore è richiesta sia una percezione estetica sia una comprensione intellettuale.

La combinazione di parole e immagini, non è prettamente fumettistica e ha un’applicazione fin dai tempi più antichi; tuttavia nell’era moderna i due sistemi comunicativi si sono resi indipendenti.

Le figure precedono la parola scritta di molto tempo. Nel linguaggio primitivo le prime parole erano figure stilizzate che si rifacevano ad immagini di comuni esperienze umane depositate nella memoria collettiva. Più tardi i geroglifici egiziani cominciarono a codificare le immagini in simboli ripetibili per formare un linguaggio scritto ben utilizzabile e condivisibile.

Col tempo e con la nascita della scrittura moderna, le parole cominciarono a rappresentare solo il suono perdendo ogni traccia di

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somiglianza col mondo visibile15. Agli inizi dell’Ottocento le figure e le parole non sono mai state così lontane.

Tuttavia già nel Novecento in campo artistico, con la nascita delle correnti d’avanguardia, quali il Futurismo, il Surrealismo, il Dadaismo, si assiste ad un ritorno al significato insito nella figura.

Il fumetto sin dal principio insegue l’ideale di una fusione equilibrata tra parole ed immagini per stimolare emozioni e sensi e trasmettere idee.16

Nel fumetto, i dialoghi contenuti nei balloon entrano nella sfera delle immagini (la parola assume un’esistenza quasi fisica) mentre le figure diventano leggibili iconograficamente entrando nella sfera dei concetti (il disegno assume una funzione quasi linguistica). Questi due linguaggi non sono quindi riducibili né al linguaggio visivo né a quello verbale, ma associati danno vita ad un fenomeno unico e inconvertibile che simula a suo modo la realtà in cui viviamo.

Infatti, abbiamo già visto in I.1 come i balloon e le parole nella loro resa grafica possono suggerire sentimenti e sonorità, ottenendo così la consistenza delle cose, mentre le immagini possono assumere significati simbolici, ottenendo la chiarezza dei concetti. Ora vediamo come si organizzano e si rapportano tra di loro queste due forme.

Innanzi tutto bisogna tener presente che esistono vignette senza parole, in cui il disegno non è accompagnato da alcun supporto verbale. Sono i casi, ad esempio delle vignette iniziali che presentano una data situazione e un dato personaggio, che saranno sviluppati durante la sequenza narrativa. Oppure le vignette che impongono una pausa descrittiva, queste raffigurano dettagliatamente un certo ambiente o un’azione e sono talmente esaurienti che le parole diventano superflue. O ancora quando le vignette ingrandiscono un particolare visivo nello svolgimento di un’azione. O, infine, quando rappresentano un movimento veloce e concitato, in questo caso

15 “Ad eccezione del calligrafismo della grande arte barocca che con la sua prevalenza della forma, suggerisce un parallelismo con il fenomeno d’oggi.” (Gubern, Il linguaggio dei comics, 1975).

16 Sull’avvicinamento del fumetto con l’arte contemporanea più intellettuale o per niente figurativa rispetto alla pittura tradizionale, cfr. Barbieri, 1995, par. 3.2.

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l’inserimento della parola provocherebbe un rallentamento della lettura e di conseguenza del ritmo narrativo.

I casi di vignette, non accompagnate da alcun testo verbale sono comunque rari nel linguaggio del fumetto il cui fine è un’armonica fusione di parole e immagini per rappresentare una storia.

Le relazioni tra parole e immagini facilitano, infatti, la lettura del fumetto. Queste relazioni si manifestano in innumerevoli modi, secondo l’estro dell’autore, tuttavia ci sono combinazioni standard che ritroviamo frequentemente e che presuppongono un certo tipo di trama ed emozione da esprimere.

Il tipo di relazione più frequente tra la parola e l’immagine è la combinazione di tipo complementare o interdipendente, in cui la figura rappresenta un’idea che la parola è inabile ad esprimere efficacemente e viceversa. Tuttavia, non sempre parole e immagini sono equilibrate e hanno lo stesso peso nella resa del messaggio.

A volte sono le parole ad essere parte integrale delle immagini e a trasmettere il maggior numero d’informazioni, cancellando ogni ambiguità presente nel disegno. In questo caso la figura non aggiunge nulla al significato e può comportarsi in vari modi, libera dalle immediate necessità comunicative del messaggio. Allora l’immagine può illustrare fedelmente ciò che il testo esprime già a parole. Oppure la scena già descritta verbalmente può essere rappresentata attraverso alcuni particolari visivi rilevanti, che concorrono a creare l’atmosfera generale. O, ancora, la figura può esplorare stili astratti amplificando espressionisticamente il valore delle parole. Inoltre con la prevalenza della parola, le figure sono libere di muoversi avanti e indietro nel tempo oppure di percorrere percorsi indipendenti rispetto il parlato, non rispecchiando fedelmente il messaggio verbale.

Inversamente, quando è la figura a rappresentare tutti gli elementi per fissare il significato, allora è la parola a rendersi libera.

Nel caso di prevalenza del visivo la parola può essere illustrativa nel senso che chiarisce continuamente ciò che è già esplicito visivamente.

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frammenti di una scena già abbondantemente raffigurata. La parola può anche fungere solo da colonna sonora aggiungendo alcuni particolari sonori alla sequenza narrata visivamente. O ancora la parola può distanziarsi dall’immagine descrivendo qualcosa d’incongruente al messaggio rappresentato. Inoltre in caso di ricchezza visiva, spesso il lettore può perdere di vista il centro d’interesse, in questo caso la parola interviene come processo di selezione al fine di orientare il fruitore verso gli elementi visivi pertinenti alla narrazione.

Le combinazioni di parola e immagine sono quindi innumerevoli, l’importante è che una delle due forme non ecceda in virtuosismi inutili ai fini della rappresentazione. Ogni scelta deve essere accuratamente mirata alla resa complessiva e con criteri di coerenza nell’equilibrio tra indicazioni visive, verbali e simboliche. A questo proposito Will Eisner fa notare che “il processo di scrittura ideale è quello in cui il soggettista e il disegnatore sono la stessa persona” (2001: 115).Tuttavia nella pratica del fumetto questo non è sempre possibile soprattutto a causa dei limiti dettati dall’editore.

Infatti, un lavoro di squadra facilita il rispetto delle scadenze di pubblicazione. In questo modo si crea spesso una discrepanza d’intenti tra soggettista e disegnatore, che impedisce la rinascita di parole e immagini in un unico linguaggio narrativo.

Oltre alle limitazioni editoriali dovute alle scadenze, il fumetto ha dovuto fronteggiare anche i limiti imposti dal mercato. Con la nascita dei comics book, e soprattutto delle storie dei supereroi, si assiste ad una banalizzazione della trama ed ad un’accentuazione della spettacolarità visiva delle azioni. Solitamente il primo giudizio su di un fumetto si basa sulla qualità dello stile e del disegno, per questo, molti editori e fumettisti hanno sempre puntato sull’impatto grafico virtuoso per attrarre il maggior numero di lettori, spesso a scapito della trama. Ci torneremo nella seconda parte.

Per riprendere una suggestiva metafora di Scott McCloud (1999: 164): nei fumetti le parole e le immagini devono comportarsi

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come i partners in un ballo; ognuno dei due deve conoscere il proprio ruolo e le proprie potenzialità e sostenere i punti forti dell’altro, senza pestarsi i piedi ma collaborando per un superbo risultato complessivo.

Quindi ognuno dei due codici deve essere usato in modo da sfruttare al massimo le proprie specifiche potenzialità e svolgere un’azione sussidiaria l’uno nei confronti dell’altro.

Accade, a volte, che alcuni autori decidano di eliminare completamente la dimensione verbale dalle loro storie17. In questo caso la narrazione è realizzata interamente come una pantomima figurativa. Come è stato detto precedentemente in I.1, le immagini hanno enormi potenzialità di espressione e di narrazione in quanto si riallacciano all’esperienza comune e sono integrate dalla nostra immaginazione. Allora siamo proprio noi a ricostruire il dialogo e il flusso d’azione, sottintesi alle immagini collocate in sequenza.

Ovviamente un’operazione del genere, che manca di parole per supportare e rafforzare le immagini, richiede una gran partecipazione del lettore per essere compresa completamente.

A proposito dello statuto narrativo dell’immagine fumettistica mi soffermo brevemente sulla differenza che intercorre tra una vignetta e un’illustrazione.

L’illustrazione è essenzialmente un’immagine di commento che ripete e amplifica un testo narrativo completo. L’essenza della comunicazione è contenuta nel testo scritto, l’immagine è superflua ai fini del racconto ma è importante per esprimere la connotazione emozionale e ambientale. L’illustrazione è descrittiva, statica e globale, e riassume su di sé gli elementi importanti di una storia. Si

17 Uno dei primi artisti ad usare le immagini collocate in sequenza come strumento narrativo fu Frans Masereel. Intorno al 1930 pubblicò in Germania diverse incisioni senza supporto verbale.

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presenta quindi fortemente particolareggiata e informativa, per questo motivo ha trovato scarsa applicazione nei fumetti.18

L’immagine contenuta nella vignetta è spesso, come abbiamo visto sopra, interdipendente al testo di dialoghi e didascalie. La mancanza di uno di questi due elementi pregiudicherebbe la chiarezza del racconto. Per questo motivo l’immagine risulta generalmente concisa e sintetica e presenta una singola azione comprensibile soltanto nella successione della sequenza narrativa e nella combinazione con il tessuto verbale.

Quindi, malgrado, una somiglianza di tecniche e forme stilistiche, vignetta e illustrazione sono due forme di linguaggio diverse. Tuttavia spesso i fumettisti utilizzano una prima pagina totalmente illustrativa per introdurre la storia. Questa prima pagina, di solito senza la divisione tipica in vignette, è chiamata in gergo splash page e stabilisce il tono e il clima della narrazione che segue.

Will Eisner, maestro indiscusso nell’invenzione di soluzioni grafiche geniali, ha usato frequentemente questo espediente per fissare il tono di una storia e afferrare l’attenzione dello spettatore. Le sue pagine d’apertura introducono degli elementi decisivi della storia, in composizioni grafiche originali e divertenti in cui spesso le lettere che compongono il titolo sono trattate graficamente come delle immagini;

le lettere assumono cioè la consistenza delle cose e giocano insieme alle figure. A questo proposito Daniele Barbieri19 trova delle affinità tra le splash page di Will Eisner e i prologhi dei film polizieschi, scene di forte impressione che precedono e danno indizi sulla narrazione vera e propria (1995: 187).

18 L’illustrazione nelle tavole a fumetti fu utilizzata da Winsor McCay; tra il 1905 e il 1911 le immagini di Little Nemo rispecchiavano le caratteristiche tecniche dell’illustrazione. O, ancora l’illustrazione fu usata dal fumettista Harold Foster nel 1937; le vignette del suo fumetto Prince Valiant erano splendide illustrazioni dettagliate, che non si fondevano col tessuto verbale; esse si mostrarono in grado di portare avanti efficacemente il flusso narrativo.

19 Daniele Barbieri, in questo caso si riferisce alle storie settimanali di The Spirit, prodotte da Will Eisner tra il 1940 e il 1950. Tuttavia posso affermare che in tutta la sua produzione Eisner si sia distinto per la cura grafica della pagina d’apertura.

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Il fumetto, essendo un’arte della raffigurazione su superficie bidimensionale, incontra sin dal principio il problema della prospettiva per suggerire l’idea di tridimensionalità.

La prospettiva, infatti, informa sulla profondità dello spazio, sulla distanza, sulle dimensioni e sui rapporti tra le figure rappresentate.

La tecnica prospettica nasce nel Quattrocento, quando una serie d’espedienti grafici, per evocare la profondità, furono codificati in un insieme di regole la cui esatta applicazione permetteva la riproduzione ottica della realtà vista da un punto stabilito.

L’effetto di prospettiva nelle raffigurazioni è ottenuto attraverso l’applicazione di principi geometrici (prospettiva lineare), integrati dalle componenti di luce, colore e ambiente (prospettiva aerea).

Vediamo in rassegna gli indici di profondità universalmente accettati nella rappresentazione della prospettiva da un punto di vista centrale.

L’indice di deformazione è l’uso di linee oblique per rappresentare forme che si allontanano progressivamente dall’osservatore. In questo caso si stabilisce una linea dell’orizzonte che rappresenta il punto di vista e la posizione del disegnatore e quindi, di riflesso, del fruitore. Su questa linea è fissato un punto di fuga cui tutte le linee convergeranno. Le prospettive ad un solo punto di fuga sono più semplici da realizzare, ma spesso è necessario impiegarne più di uno per rendere efficace l’immagine. Per esempio quando si rappresentano scene da una grande altezza, gli elementi che vanno verso il basso subiscono gli stessi effetti di distanza. In questo caso si lavora con due orizzonti. La figura umana stessa cambia d’aspetto conformemente al punto di vista dal quale la si disegna. I suoi assi di costruzione orizzontali saranno quindi, a loro volta, orientati verso i punti di fuga.

L’indice di sovrapposizione, dato dalla discriminazione tra figura e sfondo, suggerisce l’idea di piani differenti nello spazio e

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quindi la percezione di tridimensionalità. In questo modo se una figura ne copre parzialmente un’altra, si presuppone che occupi un piano.

Infine ci sono i gradienti di profondità. I gradienti di dimensione e di tessitura presuppongono che un loro graduale aumento o diminuzione favorisca la percezione di profondità. I gradienti d’altezza fanno sì che più la figura è vicina alla linea di base della composizione, maggiormente appaia in primo piano, e viceversa.

Con i gradienti di colore e ambiente, gli oggetti più delineati nella forma e nitidi nei colori ci sembrano più vicini degli oggetti sfocati e annebbiati.

La prospettiva rinascimentale di tipo centrale ha continuato, per molti secoli, ad influenzare il modo di rappresentazione degli artisti e la percezione degli uomini nella civiltà occidentale. Infatti, questo uso continuo ci ha abituati a considerarla come il modo più naturale e più giusto di rappresentare la realtà delle cose.

Ma durante il Novecento qualcosa cambiò. Gli artisti del movimento d’avanguardia cominciarono a rifiutare le regole ferree della rappresentazione prospettica per utilizzare modi più liberi e più conformi alle proprie esigenze comunicative.

Ancora una volta accosto l’arte del fumetto all’arte contemporanea per comunanza d’intenti. Infatti, se alcuni fumetti fanno un uso realistico della prospettiva, adeguandosi alle regole della tradizione rinascimentale, altri disubbidiscono a tali regole a scopo espressivo. La deformazione della prospettiva crea rappresentazioni paradossali e mostruose ed effetti emozionali e di coinvolgimento cui nessuna rappresentazione realistica potrebbe arrivare. Inoltre molti fumetti, soprattutto comici, sono caratterizzati dall’assenza di prospettiva. Questa scelta stilistica ed espressiva presuppone un’assoluta atemporalità e concentra l’attenzione sul personaggio.

Nel fumetto la prospettiva è usata quindi per le necessità narrative della storia e per coinvolgere emozionalmente il lettore. Un bravo disegnatore deve evitare ogni rigida e meccanica applicazione

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delle regole ed essere libero di manipolare, a scopo espressivo, la realtà che ci circonda.

L’inquadratura di una scena presuppone una serie di scelte preventive. Innanzi tutto si seleziona il frammento di realtà che si vuole rappresentare, questa scelta inevitabilmente eliminerà dalla scena quegli oggetti e quelle figure ritenuti superflui per il discorso che si vuole fare. L’inquadratura sottolinea quindi l’importanza di un elemento a scapito di altri e in questo modo “trasforma […] un frammento di realtà in un pezzo di discorso” (1995: 130).

A questo punto nella composizione della vignetta è necessario considerare il centro d’attenzione, dentro il quale collocare l’azione o la figura di maggior rilievo.

Ogni vignetta contiene un punto focale che s’individua tracciando due linee diagonali dagli angoli opposti della cornice.

L’area in cui queste linee s’intersecano gode di maggior rilievo ed è quindi adatta a contenere gli elementi più importanti per il discorso che si vuole fare.

Nell’individuazione del punto focale bisogna considerare lo spazio occupato dal balloon, se questo occupa la maggior parte della vignetta, lo spazio che genera il centro d’interesse è formato dall’area restante.

Una volta stabilito il punto focale che contiene l’azione principale, si passa alla scelta dell’inquadratura, cioè del punto da cui tale azione è vista. Questa scelta espressiva determinerà come vedremo l’impatto della vignetta, sia da un punto di vista narrativo sia da un punto di vista emozionale.

Le inquadrature sono classificate in base alla distanza ed angolazione da cui riprendono un soggetto.

Il campo lungo e lunghissimo riprende la scena da lontano abbracciando una porzione di spazio molto vasta. In questo modo

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figure appaiono piccole e così non veniamo informati dei dettagli. Il campo lunghissimo è un espediente molto usato per introdurre una situazione e un tema all’inizio di una sequenza di vignette.

Nel campo medio e totale riusciamo a distinguere di più la figura ripresa, ma sempre in rapporto all’ambiente circostante che è, ancora, abbondantemente rappresentato.

La figura intera abbraccia il soggetto da capo a piedi, il piano americano la riprende dalle ginocchia mentre il piano medio taglia la figura a metà del busto. Avvicinandoci sempre di più è usato il primo piano per riprendere dall’altezza del petto, il primissimo piano inquadra solo il volto, mentre il dettaglio rappresenta un particolare a tutto campo della figura. Rispetto al campo lunghissimo, lungo e medio, questi piani ravvicinati c’introducono nell’universo dei personaggi e focalizzano la nostra attenzione sui particolari rilevanti dell’oggetto in questione ma non sulla situazione complessiva, per questo richiedono una maggior partecipazione creativa al lettore, che deve dedurre da solo il resto dell’immagine.

Le inquadrature sono riprese da angolazioni differenti.

Solitamente si usa l’angolazione orizzontale, chiamata anche prospettiva piatta o a livello degli occhi. Essa informa il lettore dei dettagli della situazione, rafforza il realismo, l’oggettività e la sensazione di normalità quotidiana della scena.

Frequenti sono anche le angolazioni verticali dall’alto o dal basso. La prospettiva dall’alto dà una visione chiara e onnipotente di tutta la situazione e così favorisce un senso di distacco, in questo caso il lettore s’identifica meno col personaggio. La prospettiva dal basso, a livello del suolo, alimenta inversamente il coinvolgimento del lettore alle vicissitudini dei personaggi evocando un senso di minaccia.

Più rare sono invece le angolazioni oblique dall’alto o dal basso. Solitamente spezzano le sequenze ad angolatura orizzontale rendendo la scena più dinamica e la lettura più coinvolgente.

Inoltre le angolazioni oblique ci suggeriscono la presenza di uno sguardo interno al racconto. Infatti, questo tipo di prospettiva è usato

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