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CAPITOLO 1: ANATOMIA DELL’INTESTINO E FUNZIONI DEL MICROBIOTA.

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CAPITOLO 1:

ANATOMIA DELL’INTESTINO E

FUNZIONI DEL MICROBIOTA.

1.1 L’intestino umano.

Figura 1.1: Apparato digerente. Nell'intestino tenue si compie la fase fondamentale del processo digestivo e cioè la scissione dei cibi nei loro componenti più semplici e il passaggio di tali componenti nel sangue, per i lavori di costruzione e conservazione

dell'organismo.L’intestino crasso ha il compito principale di estrarre l'acqua e di rassodare i rifiuti.

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http://www.anagen.net/apparato-L’intestino è una porzione dell’apparato digerente compresa tra il piloro e l’orifizio anale (FIG.1.1). Dal punto di vista anatomico si suddivide in due tratti, il piccolo intestino o intestino tenue ed il grande intestino o intestino crasso. (1)

L’intestino tenue inizia con la valvola pilorica, che lo separa dallo stomaco, e termina con la valvola ileo-cecale, che lo congiunge con il crasso. Lungo circa 7 metri e con un diametro medio di 4 centimetri, può essere suddiviso in tre tratti: duodeno, digiuno e ileo. Il primo rappresenta il segmento

maggiormente coinvolto nei processi digestivi, mentre il secondo ed il terzo sono coinvolti nel processo di assorbimento dei nutrienti (90%).

La superficie interna di questo tratto del tubo digerente è sollevata a formare pieghe, le quali a loro volta presentano numerose e sottili estroflessioni dette villi. Questa particolare conformazione anatomica ha lo scopo di aumentare la superficie di contatto, al fine di ottimizzare i processi digestivi e

l'assorbimento (FIG. 1.2). Ogni villo è tappezzato da cellule la cui membrana, rivolta verso il lume interno, presenta delle sottili estroflessioni chiamate microvilli (orletto a spazzola). La conformazione di queste cellule, chiamate enterociti, ha lo scopo di aumentare ulteriormente la capacità digestiva ed assorbente dell'intestino. Alla base di ogni villo sono presenti delle piccole fossette chiamate cripte. Così come i villi, anche le cripte sono tappezzate da cellule che però, a differenza di quelle che ricoprono la parte sporgente, sono ancora immature.

Una delle principali caratteristiche degli enterociti è quella di vivere soltanto pochi giorni. Mano a mano che invecchiano, queste cellule si staccano dal villo e passano nel lume intestinale per essere eliminate con le feci. Il processo di rinnovamento della popolazione cellulare è continuo e gli enterociti sfaldati vengono prontamente rimpiazzati da nuove cellule che migrano dalle cripte. Mano a mano che risalgono dalla cripta verso la

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Il peculiare fenomeno della migrazione cellulare fa sì che ogni 3-5 giorni la popolazione enterocitaria venga completamente rimpiazzata da nuove cellule. Lo scopo di questo rapido e continuo rinnovamento è quello di mantenere elevata l'efficienza digestiva ed assorbente dell'intestino.

All'interno di ogni villo confluisce una fitta rete di capillari, fondamentale per il trasferimento dei nutrienti dal lume intestinale al circolo sanguigno.

A differenza di acqua, sali minerali, glucidi ed aminoacidi, i lipidi non entrano direttamente nel sangue ma, attraversando l'enterocita, confluiscono in un vaso linfatico a fondo cieco presente al centro del villo.

Le vitamine meritano un discorso a parte poiché alcune di esse, in virtù della loro natura lipidica, seguono la via linfatica comune ai grassi, mentre le altre, essendo idrosolubili, vengono assorbite direttamente dai capillari sanguigni. Nell'intestino tenue viene completata la digestione degli alimenti, iniziata già nella bocca per quanto riguarda l'amido e nello stomaco per quanto riguarda le proteine. Se nel cadavere il tenue è lungo quasi sette metri, nel vivente appare molto più corto. Questa particolarità è legata alla muscolatura che lo avvolge, la quale, contraendosi e rilassandosi ritmicamente, rimescola il

contenuto intestinale e lo spinge in direzione aborale (verso l'intestino crasso). L’intestino crasso, invece, con una lunghezza di circa 2 metri, cioè quattro volte inferiore a quella del tenue e un diametro maggiore, si estende dalla valvola ileo-cecale all’ano e può essere suddiviso in sei porzioni: cieco, colon ascendente, colon trasverso, colon discendente, sigma e retto; a questo livello avviene l’accumulo dei residui del processo digestivo e loro espulsione

all’esterno tramite le feci. La capacità assorbente del crasso è comunque importante poiché, soprattutto a livello del colon, si ha un notevole

assorbimento di acqua ed elettroliti. Tanto più i prodotti digestivi rimangono nel crasso e tanto maggiore sarà il riassorbimento di acqua e sali. Tale

fenomeno diventa evidente in caso di diarrea (perdita di sali ed acqua) o di stitichezza (feci particolarmente dure, compatte e disidratate). Nell'intestino

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crasso vengono assorbite anche vitamine, non tanto quelle introdotte con gli alimenti (già assorbite a livello del tenue), ma soprattutto quelle prodotte dai miliardi di batteri simbionti che popolano il colon. Tali microrganismi

sintetizzano in particolare la vitamina K ed alcune vitamine del gruppo B. L'intestino crasso funge anche da "deposito" per le feci, grazie ad un diametro decisamente superiore rispetto a quello dell'intestino tenue. Come ricordato in precedenza, il colon ha anche la proprietà di concentrare i residui della

digestione e, in ultimo luogo, di favorirne l'espulsione. Assorbendo acqua ed aumentando la massa fecale, la fibra alimentare e gli integratori che la

contengono stimolano la motilità intestinale, facilitando l'evacuazione. Quando non vengono supportati da un abbondante apporto di liquidi, gli effetti lassativi della fibra sono invece modesti.

La durata della digestione è correlata alla quantità ed alla qualità degli alimenti ingeriti. Un pasto medio rimane nello stomaco per circa 2-3 ore, permane nel tenue per altre 5-6 ore e, arrivato nel crasso, vi soggiorna per circa 48-72 ore. Le feci, espulse all'esterno attraverso l'ano, sono costituite prevalentemente da acqua (75%), batteri, grassi (poiché la loro digestione è più complicata di quella degli altri nutrienti), sostanze inorganiche (minerali ed in particolare calcio, ferro, zinco), proteine, materiale indigerito (in

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Figura 1.2: I villi e le cripte intestinali. La superficie interna dell’intestino tenue è

sollevata a formare pieghe, le quali a loro volta presentano numerose e sottili estroflessioni dette villi, alla cui base sono presenti delle fossette chiamate cripte.

Tratto da: http://www.my-personaltrainer.it/fisiologia/intestino.html

1.2 Distribuzione del microbiota nel lume gastro-intestinale.

I batteri presenti nel lume gastro-intestinale si differenziano per tipologia e per localizzazione. (2) (FIG. 1.3). A livello dell’esofago, troviamo specie batteriche quali Prevotella, Streptococcus e Veillonella; a livello dello stomaco, organo coinvolto nella secrezione di acido cloridrico in cui il pH è fortemente acido (pH≈2), albergano batteri tra cui l’Helicobacter, i

Proteobacteria, i Bacteroidetes, gli Actinobacteria e i Fusobacteria; a livello

invece di digiuno ed ileo, in cui avviene la digestione e l’assorbimento di monosaccaridi, aminoacidi e acidi grassi, vi sono Enterococci e Lactobacilli, mentre nell’ileo e nel colon (a livello del quale avviene l’assorbimento degli

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acidi biliari) vi sono una miriade di batteri, tra cui Ruminococcus,

Staphylococcus, Streptococcus, Peptococcus, Escherichia, Eubacterium, Clostridium e molti altri...

Figura 1.3: Distribuzioni microbiche nell’apparato gastrointestinale. I diversi compartimenti del tubo digerente costituiscono un insieme di nicchie ecologiche e rappresentano un ambiente favorevole alla colonizzazione batterica.

Tratto da: Brock. Biologia dei microrganismi. Vol3, microbiologia biomedica. (2012)

1.3 Caratteristiche del microbiota intestinale umano e sue funzioni.

Il microbiota intestinale umano rappresenta un vero e proprio organo adattato a proteggere la nostra vita ed il nostro benessere durante tutta la nostra

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Le principali popolazioni batteriche coltivabili nelle feci del neonato tra 0 e 3 giorni di vita includono enterobatteri (tra cui E. Coli), streptococchi,

stafilococchi (dominanti temporaneamente) e, anche se non sistematicamente, bifidobatteri e lattobacilli. Il microbiota intestinale del neonato, composto

soltanto da pochi generi batterici nei primi giorni di vita, si sviluppa poi fortemente e rapidamente a seconda dell’ambiente e dell’eventuale

assunzione di antibiotici, per variare ulteriormente e stabilizzarsi in seguito. Le sue funzioni sono influenzate da numerosi fattori, quali età, regime

alimentare, immunocompetenza, pH intestinale, tempo di transito nel tenue e nel colon, interazione tra i vari costituenti della flora stessa e, infine,

disponibilità di substrati dietetici fermentabili. Con l’invecchiamento si assiste in particolare ad una significativa variazione della sua composizione, con incremento di Bacteroides, Escherichia Coli, Streptococcus, Clostridia,

Lactobacilli e diminuzione di Bifidobacterium. Vi sono, inoltre, importanti

interazioni tra dieta, microbiota intestinale e transito gastro-intestinale; la motilità gastro-intestinale è strettamente correlata con il cibo e con il

microbiota e le alterazioni del transito gastro-intestinale possono mediare gli effetti della dieta sula composizione del microbiota e possono alterare il tempo di transito gastro-intestinale. Ne deriva che i rapporti fra nutrienti e microbiota intestinale sono estremamente importanti per la salute dell’uomo ed interessano in particolare la digestione dei carboidrati, la fermentazione degli zuccheri, la produzione di gas.

L’attenzione crescente per una sana alimentazione, una buona funzione

intestinale, un’efficace prevenzione e lotta all’obesità, al diabete di tipo-2, alle malattie cardiovascolari e al cancro, ha avuto il risultato di stimolare la ricerca sulla composizione della dieta (in particolare sul suo contenuto in fibre,

probiotici e prebiotici) in rapporto alla composizione e all’attività del microbiota.

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I fattori che in qualche modo influenzano lo sviluppo del microbiota sono diversi, tra cui:

Background genetico (sequenze di geni dell’individuo) Modalità di nascita

Microflora materna Microflora ambiente Microflora personale Nutrizione

Igiene del cibo Medicazioni

Le funzioni del microbiota sono diverse:

Metabolica:

Fermentazione dei residui dietetici non digeribili Produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA) Possibilità di fermentare zuccheri

Produzione di sostanze ad attività antibiotica come batteriocine, lattocidine, acidoline, ecc.

Metabolismo anaerobico di peptidi e proteine Sintesi di vitamine (gruppo B, K)

Assorbimento di ioni (calcio, magnesio, ferro) Metabolismo degli acidi biliari primari

Trofica:

Controllo della proliferazione e differenziazione delle cellule epiteliali 

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Protettiva:

Effetto barriera nei confronti dei germi patogeni

Immunologica:

Coinvolgimento nello sviluppo dell’immunità sistemica e locale

L’interfaccia epiteliale separa il lume che contiene il microbiota ed i prodotti residui dell’alimentazione e delle secrezioni organiche (salivari, gastrica, pancreatica, biliare, intestinale), dal sistema immunitario specifico associato alla mucosa. Il sistema di difesa intestinale può essere diviso in tre

componenti principali:

Pre-epiteliale: muco, trifoil peptides, lipidi, che formano un gel continuo in cui è secreto un fluido ricco in bicarbonati che mantiene un pH neutro. Epiteliale: cellule legate tra loro dalle tight junctions (giunzioni

occludenti) formate da un complesso di proteine occludenti (zonuline ZO-1, ZO-2, ZO-3, claudine, cinguline, 7H6, occludine, caderine): la permeabilità delle tight junctions può essere modulata dall’espressione di tali proteine.  Post-epiteliale: costituenti della lamina pro-membrana basale o lamina propria.

1.3.1 Gli acidi grassi a catena corta (o SCFA).

Per vivere, la flora batterica intestinale ricava l'energia necessaria al proprio sostentamento dalla digestione della fibra alimentare e di altri prodotti

(soprattutto zuccheri) che risultano indigeribili all'uomo. Dalla degradazione batterica della fibra si formano acidi grassi a catena corta (o SCFA), in

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crasso. (2) Gli acidi grassi, componenti fondamentali dei lipidi, sono molecole costituite da una catena di atomi di carbonio, denominata catena alifatica, con un solo gruppo carbossilico (-COOH) ad una estremità. La catena alifatica che li costituisce è tendenzialmente lineare e solo in rari casi si presenta in forma ramificata o ciclica. La lunghezza di questa catena (fino a 6 atomi di carbonio negli SCFA) è estremamente importante, in quanto influenza le caratteristiche fisico-chimiche dell’acido grasso: man mano che si allunga, la solubilità in acqua diminuisce e aumenta, di riflesso, il punto di fusione. Gli SCFA sono molecole volatili con elevata solubilità in acqua e vengono assorbiti come tali a livello del colon e veicolati al fegato tramite la vena porta. La produzione di acidi grassi a catena corta, la maggior parte dei quali viene assorbita dall’intestino permettendo all’organismo di utilizzare i

nutrienti non digeriti nella parte superiore del tubo digerente, è il più importante processo fisiologico mediato dal microbiota intestinale. È

comunque difficile stabilire l’influenza della composizione della dieta sulla produzione degli SCFA nell’intestino umano, essendo l’unico metodo di determinazione rappresentato dal dosaggio nelle feci, significativamente inficiato dal loro rapido assorbimento da parte della mucosa colica. Sono stati ottenuti diversi dati sottoponendo l’uomo a dieta con contenuto in fibre

diverso: è stato visto che una dieta ricca in fibre provoca una escrezione di SCFA circa 3 volte superiore ad una dieta priva o povera in fibre. Anche la percentuale dei singoli SCFA può variare, in quanto può essere influenzata dal tipo di fibra. Il nostro organismo è in grado di utilizzare tali acidi grassi per ricavare energia. Per questo motivo non è corretto affermare che la fibra è priva di calorie, senza specificare che il suo modesto apporto calorico viene compensato dalla perdita di nutrienti legata alle sue proprietà chelanti e lassative. Oltre ad essere una fonte di energia, gli acidi grassi a catena corta hanno anche proprietà bioattive, in quanto possono avere vari effetti sul metabolismo. L'acido butirrico (4 atomi di carbonio), prodotto dalla flora

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batterica che popola l'intestino crasso, sembra avere un effetto protettivo contro il cancro al colon. Da qui nasce la raccomandazione salutistica di arricchire la propria dieta con un'ampia varietà di vegetali freschi ed alimenti integrali, spesso esclusi dalle abitudini dietetiche degli occidentali.

L’acetato (2 atomi di carbonio) e il propionato (3 atomi di carbonio) vengono metabolizzati rispettivamente dai tessuti periferici (muscoli) e dal fegato e hanno la funzione di modulare il metabolismo di glucosio e colesterolo; il butirrato, invece, è un’importante fonte di energia per l’epitelio del colon. L’effetto di butirrato e propionato sulle contrazioni del colon che favoriscono la progressione aborale del contenuto con effetto regolatorio sull’evacuazione, potrebbe far ritenere che una carenza di SCFA rappresenti uno dei

meccanismi patogenetici della stipsi e spiegherebbe anche l’effetto

regolarizzante l’alvo di alcune fibre, specie quelle solubili che non aumentano la massa fecale. Studi recenti concludono che livelli fisiologici di SCFA sono vitali per il benessere e la salute dell’ospite e la presenza di fibre dietetiche e prebiotici è essenziale per favorire l’attività fermentativa del microbiota e per una ottimale attività motoria dell’ileo e del colon. La formazione di SCFA, specialmente propionato e butirrato, contribuisce inoltre ai meccanismi di difesa della parete intestinale. Il butirrato è in particolare considerato come la sostanza nutriente primaria per le cellule epiteliali ed è il substrato preferito dei colonociti.

1.3.2 Fibre dietetiche (FD).

Il termine “fibra dietetica” è stato coniato nel 1953, ma i suoi effetti benefici sono noti da secoli. Già Galeno nel 130 a.C. scriveva che alcuni cibi

“stimolano l’intestino ad evacuare mentre altri hanno effetto contrario” e che “il pane bianco rallenta il passaggio delle feci mentre quello nero lo facilita”.

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Probabilmente da allora i cibi che “stimolano l’intestino” sono stati associati alla buona salute e nasce allora il concetto, ovviamente non espresso in termini attuali, di fibre dietetiche. (2) Le fibre dietetiche (FD) assunsero un’importanza nutrizionale verso la fine degli anni ’60, quando gli studiosi Burkitt, Painter, Walker e Trowell osservarono che, malattie regolarmente presenti nei paesi dell’Occidente, erano rare in Africa, perciò ritennero che questa differenza fosse dovuta alle diversità dal punto di vista dietetico (in particolare per i carboidrati non raffinati). Tutte le attuali definizioni di FD, comprese quelle che preferiscono parlare di “polisaccaridi non amidacei” (non-starch polysaccharides (NSP)), identificano le FD come carboidrati (CHO), polimeri ed oligomeri costituiti prevalentemente dai pentosi arabinosio e xilosio, dagli esosi glucosio, galattosio e mannosio, dai 6-desossiesosi ramnosio e fucosio, dall’acido glucuronico e dall’acido galatturonico.

Il polisaccaride più abbondantemente rappresentato è la cellulosa, costituita da un polimero lineare di diverse migliaia di molecole di glucosio legate con legame β-1,4. Altri importanti polisaccaridi sono il glucano, costituito da molecole di glucosio unite fra loro con legami β-1,4 e β-1,3 glucosidici, il ramnogalatturonano costituente le pectine, il galattomannano formato da molecole di galattosio e mannosio, il glucomannano da molecole di glucosio e mannosio. Unità di fenil-propano legate in una rete tridimensionale formano la struttura delle lignine, parzialmente legate all’emicellulosa delle pareti cellulari, che rappresentano la porzione più marcatamente idrofoba delle fibre. Tutte le fibre dietetiche sono resistenti alla digestione nell’intestino tenue ed arrivano intatte nel colon. Il fattore che determina la loro suscettibilità alla digestione è la conformazione dei legami chimici fra le molecole degli

zuccheri (legame glicosidico): gli enzimi dell’intestino tenue umano possono scindere solo i legami di tipo α, ma non quelli di tipo β. Si spiega così perché l’amilosio, polimero del glucosio con legame glicosidico α-1,4 sia digeribile,

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mentre la cellulosa, polimero del glucosio con legame glicosidico β-1,4, sia indigeribile per mancanza dell’enzima specifico.

Di particolare importanza risulta la differenza tra fibra solubile e fibra

insolubile: la prima è caratterizzata da una notevole idrofilia, cioè a contatto con l’acqua forma una sostanza gelatinosa che aderisce molto bene alle pareti dell’intestino; è fermentabile, ha proprietà chelanti, per cui interferisce con l’assorbimento di alcuni macronutrienti (glucidi e lipidi), formando all’interno del lume intestinale un composto gelatinoso che aumenta la viscosità del contenuto, con conseguente rallentamento dello svuotamento gastrico ed intestinale. Al contrario, la fibra insolubile è caratterizzata dalla capacità di trattenere notevoli quantità di acqua aumentando il volume delle feci, che divengono abbondanti, poltacee e più morbide: questo permette di stimolare la velocità di transito nel lume intestinale, e, di conseguenza, diminuire

l’assorbimento dei nutrienti. Altra fondamentale caratteristica che distingue le fibre è la loro fermentabilità con produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA).

1.4 Reciproche interazioni tra microbiota intestinale e sistema immunitario.

All'omeostasi, il microbiota beneficia di un ambiente caldo, ricco di sostanze nutritive dell'intestino, in modo tale che è possibile stabilire un ecosistema relativamente stabile. Grazie ad esso, aumenta anche la nostra capacità di raccogliere le sostanze nutritive dal cibo. Inoltre, il microbiota limita le risorse disponibili per agenti patogeni potenziali che devono competere con i microbi residenti. Tuttavia, il microbiota non è del tutto innocuo, infatti alcune specie possono invadere i tessuti dell’ospite e causare una determinata

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malattia. La disbiosi, perturbazione del normale equilibrio dell’organismo, è più spesso associata a malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD o MICI), tra cui il morbo di Crohn e la colite ulcerosa e, nei neonati prematuri, l’enterocolite necrotizzante; oltre a questo può essere associata a malattie del colon retto, ma anche a malattie extra-intestinali immuno-mediate come per esempio l’obesità e la sindrome metabolica (dovute per la maggior parte a reattività del sistema immunitario nei confronti del microbiota), il diabete di tipo 2, l’asma, l’artrite reumatoide, la dermatite atopica, ecc.

Il sistema immunitario dei mammiferi è forse l'esempio più elaborato del complesso rapporto simbiotico che ha portato alla co-evoluzione dei vertebrati e del loro microbiota. (3) A differenza di altri vertebrati, i mammiferi placentati partoriscono giovani che sono portati a termine nell'utero e vengono allattati con latte ricco di anticorpi materni. Questi anticorpi forniscono un trasferimento passivo dell’immunità dalla madre al figlio, che ha implicazioni per lo sviluppo del sistema immunitario del bambino e del microbiota che colonizza l'intestino.

Il tessuto linfoide associato all’intestino (GALT) stabilisce un mutualismo perinatale ospite-microbiota nell’intestino (FIG. 1.4). I modelli molecolari microbo-associati (MAMPs) stimolano l’ulteriore reclutamento di cellule B e T e provocano lo sviluppo di criptoframmenti in follicoli linfoidi isolati maturi. I microbi attraversano l’epitelio ed entrano nelle placche di Peyer attraverso le cellule M (FIG. 1.5); le cellule dendritiche interagiscono con i linfociti locali per differenziare le cellule T e maturare le cellule B cellule T-dipendenti per far sviluppare plasmacellule che producono immunoglobuline di tipo A (IgA). Le cellule epiteliali intestinali, tramite i MAMPs, proliferano nelle cripte fino al piccolo intestino e rilasciano peptidi antimicrobici (AMP). L’epitelio intestinale, fungendo da vera e propria barriera, è formato da

diverse sottopopolazioni di cellule intestinali epiteliali (IECs) integrate in uno strato di cellule continuo singolo, diviso da giunzioni strette in regioni apicali

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e basolaterali. Gli enterociti nel piccolo intestino e i colonociti nel grande intestino, così come le cellule di Paneth specializzate nelle cripte,

sensibilizzano il microbiota per indurre la produzione di AMP. Vi sono cellule caliciformi che secernono mucina, organizzata in un gel di

proteoglicano che forma uno strato di muco interno aderente alle cellule epiteliali intestinali e uno esterno meno reticolato e colonizzato dai costituenti del microbiota, con lo scopo di limitare l’interazione microbica con le cellule epiteliali. Lo strato interno è più impermeabile alla colonizzazione batterica o alla penetrazione, grazie alla sua elevata concentrazione di AMP battericidi, come anche di sIgA (immunoglobuline A secretorie), traghettate attraverso le cellule epiteliali intestinali dalla loro superficie basolaterale, dove sono legate dal recettore Ig polimerico (pIgR) allo strato mucoso interno, dove poi sono rilasciate. Le cellule linfoidi innate (tra cui le LTi), inoltre, producono l’interleuchina-22 (IL-22) che stimola la produzione di AMP e dà quindi integrità alla barriera epiteliale.

Figura 1.4: Tessuto linfoide associato all’intestino (GALT). Prima della nascita (a) i tessuti linfoidi secondari (Placche di Peyer e linfonodi mesenterici) e criptoframmenti si sviluppano dal reclutamento dell’induttore del tessuto linfoide (cellule LTi) ai siti di sviluppo dell’intestino e dal supporto di strutture neurovascolari; questo recluta cellule dendritiche, cellule T e B per attuare una risposta immunitaria al microbiota. I linfociti intraepiteliali seminano l’epitelio prima della nascita. Dopo la nascita (b), i batteri colonizzano l’intestino del neonato subito, dando origine ad eventi che influenzano lo

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sviluppo o la maturazione funzionale della mucosa e i tessuti linfoidi associati all’intestino. Tratto da: Nature, 13 september 2012, Reciprocal interations of the intestinal microbiota and immune system.

Fig. 1.5: Barriera mucosale intestinale. Protezione contro i patogeni e prevenzione penetrazione di componenti immunogenici.

Tratto da: www.docvadis.it

1.5 Immunità disregolata per il microbiota.

Quando si verificano risposte sregolate effettrici al microbiota, come risultato ho malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI o IBD). Certi microbi, influenzano positivamente o negativamente il processo di malattia nelle MICI (Actinobatteri e Proteobatteri), ma è difficile trarre conclusioni senza

conoscere la flora batterica e la sua composizione prima della diagnosi. (3) Nel caso specifico di malattie infiammatorie croniche intestinali, lo strato di muco è alterato: risulta essere più sottile e meno continuo nei pazienti affetti da colite ulcerosa, con ridotte concentrazioni di fosfatidilcolina e inoltre i livelli di glicosilazione della mucina sono alterati. I glicani sono più brevi e presentano una struttura generalmente meno complessa con livelli di

solfatazione ridotti. Poiché i residui solforati conferiscono carica negativa alle mucine e migliorano la resistenza dei glicani contro la degradazione

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enzimatica da parte dei batteri, un livello di solfatazione ridotto potrebbe comportare una maggiore vulnerabilità delle mucine alla digestione

enzimatica batterica. Inoltre, i peptidi antimicrobici presentano una carica positiva che ne garantisce l’adesione elettrostatica al muco, per cui una carenza di cariche negative nelle mucine riduce la produzione di peptidi antimicrobici. Di conseguenza, avendo sia meno cariche negative, sia meno peptidi antimicrobici si ottiene una maggiore esposizione per ridotta

protezione mucosale e quindi una barriera alterata. Nei pazienti con MICI saltano le prime barriere, costituite dai peptidi antimicrobici, ma anche le seconde, costituite dall’epitelio intestinale; si distruggono le giunzioni strette e aumenta lo spazio tra le cellule epiteliali, quindi aumenta la capacità di traslocazione dei batteri e questo porta all’innesco del processo infiammatorio cronico recidivante: si liberano citochine pro-infiammatorie coinvolte appunto nelle alterazioni della barriera intestinale. In particolare, si liberano e sono incrementati TNF (Tumor Necrosis Factor) e IFN-γ (interferone gamma) nel morbo di Crohn, mentre nella colite ulcerosa si osserva un aumento di TNF e IL-13 (interleuchina-13). L’ultima linea di difesa è rappresentata dalla lamina propria: poiché il sistema immunitario cambia a seconda del tratto

dell’intestino considerato (digiuno/ileo o colon), considerando anche che il tutto è mantenuto in un certo equilibrio, se esso viene meno si verificano processi patologici. Il tratto gastrointestinale si caratterizza per il fatto di essere a stretto contatto con l’ambiente esterno ed essere continuamente esposto ad antigeni derivati da alimenti e dalla flora enterica. Al fine di mantenere una condizione di omeostasi, l’intestino ha sviluppato una serie di meccanismi di difesa, sia fisici (peristalsi, secrezione di muco, epitelio) che biologici (molecole antibatteriche come defensine, lactoferrina, lisozima e cellule immunitarie). La risposta integrata di questi sistemi di difesa si riflette con l’accumulo di una quantità enorme di cellule immunitarie localizzate nelle placche di Peyer nel piccolo intestino e nei follicoli linfoidi nel colon o a

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livello dell’epitelio e della lamina propria: per questo motivo, in seguito ad un esame istologico, la mucosa intestinale sembra essere “infiammata” se

confrontata con altri tessuti mucosi e su tale evidenza è stato coniato il

termine infiammazione “fisiologica” intestinale (FIG. 1.6). In questo ambito, i macrofagi e le cellule dendritiche espongono il materiale microbico e quando l’attività dei CD4 e CD8 (co-recettori facenti parte dei linfociti T) è

esasperata entrano in gioco i linfociti T-helper 17 (TH17). I TH17 sono indotti

dal TGFβ e dall’interleuchina-6 (IL-6) e la loro maturazione è indotta dal rilascio di IL-23 da parte delle cellule dendridiche (DC) in seguito alla

fagocitosi di microrganismi che sono riusciti a superare la barriera epiteliale. Le citochine rilasciate dai linfociti TH17 (IL-17A e IL-17F) svolgono effetti

pro-infiammatori mediando la chemiotassi dei neutrofili. Inoltre, le cellule TH17 producono IL-22 che contribuisce all’omeostasi epiteliale e stimola la

secrezione di molecole antimicrobiche. L’infiammazione acuta è contrastata attraverso i CD4+ regolatori (T

Reg) che inibiscono l’attività dei linfociti T

effettori.

Concludendo, il contesto infiammatorio delle MICI prevede un minor strato di muco, una maggior vicinanza dei batteri all’epitelio con conseguente contatto con la lamina propria e quindi tutto questo si innesca in un contesto già alterato (entra in gioco il sistema immunitario adattativo). Con il rilascio di citochine e la riduzione della componente TReg ne consegue un’espansione

di CD4 e CD8 (non vengono più tenuti a freno), per cui il processo diventa cronico (in particolare, nel morbo di Crohn è espanso, nella colite ulcerosa si manifesta più che altro nella parte distale). Soggetti con MICI, inoltre,

risultano più suscettibili di altri di sviluppare cancro al colon-retto, poiché l’infiammazione cronica persistente determina una proliferazione abnorme del tessuto che prima diventa metaplastico e poi neoplastico, quindi il sistema immunitario lavora in questo contesto non più in senso antitumorale ma protumorale: il sistema risulta cioè amplificato, per cui si va più facilmente

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incontro a neoplasia.

Figura 1.6: In risposta al microbiota, le cellule intestinali epiteliali (IECs) secernono mucina per limitare l’interazione microbica con le cellule epiteliali. I modelli molecolari microbo-associati (MAMPs) producono citochine per lo sviluppo di macrofagi e cellule dendritiche (sviluppo di Treg indotte); in questo modo, si stabilisce un equilibrio

antinfiammatorio (3). In condizioni omeostatiche e quindi eubiotiche (a), i MAMPs

stimolano la secrezione di citochine come TSLP, IL-33, IL-25 e TGFβ da parte delle IECs, che portano a loro volta allo sviluppo di cellule dendritiche e macrofagi: le cellule

dendritiche sviluppano delle Treg indotte (iTreg) attraverso processi dipendenti da TGFβ e

acido retinoico (RA). In condizioni, invece, di invasione o lesioni (disbiosi, b), i MAMPs stimolano la secrezione di citochine pro-infiammatorie IL-6, IL-1 e IL-18 da parte di IECs e di macrofagi e cellule dendritiche (IL-6, IL-23 e IL-12) che sviluppano a loro volta T 1 e

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TH17. I linfociti TH17 rilasciano citochine pro-infiammatorie (IL-17A e IL-17F) e

producono IL-22 che contribuisce all’omeostasi intestinale e produce molecole antimicrobiche.

Tratto da Nature, 13 september 2012, Reciprocal interations of the intestinal microbiota and immune system.

1.6 Omeostasi intestinale: come si mantiene?

L’omeostasi intestinale (dal greco ομέο-στάσις, stessa fissità), è “la tendenza naturale al raggiungimento di una relativa stabilità, sia delle proprietà

chimico-fisiche interne che comportamentali, che accomuna tutti gli organismi viventi, per i quali tale regime dinamico deve mantenersi nel tempo, anche al variare delle condizioni esterne, attraverso precisi meccanismi autoregolatori.” (4)

Lo scopo del microbiota intestinale è mantenere questo equilibrio, in quanto esso regola l’integrità dell’epitelio, la motilità dell’intestino (peristalsi) e la formazione del sistema immunitario (risposte immunitarie innate ed

adattative). (5) Il sistema immunitario, nel mantenimento dell’omeostasi intestinale è chiamato in causa per la presenza di batteri luminali buoni e cattivi, antigeni alimentari, per cui risulta continuamente stimolato. Il tessuto intestinale ha molte cellule immunitarie rispetto ad altri tessuti. Il sistema immunitario intestinale deve contrastare gli agenti patogeni (difesa) e deve coesistere con il microbiota intestinale residente (tolleranza). Questa

tolleranza è mediata da molteplici fattori, tra cui la composizione del microbiota intestinale stesso, l’epitelio intestinale, le cellule stromali e le cellule immunitarie innate ed adattative intestinali. Tra i meccanismi implicati nella tolleranza intestinale ci sono quelli che minimizzano l’esposizione e il

(21)

riconoscimento immunitario della microflora intestinale e quelli che mitigano le risposte immunitarie attraverso meccanismi intracellulari e intercellulari. L’esposizione della mucosa intestinale al microbiota è minimizzata da diversi meccanismi di difesa:

> muco intestinale prodotto dalle cellule caliciformi

> produzione di peptidi antibatterici (da parte delle cellule di Paneth)

> secrezione di IgA (prodotte dai linfociti B) che limitano la penetrazione dei

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6.2 Trattamento conservativo 6.3 Trattamento chirurgico 6.4 Tecniche intracapsulari 6.5

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