UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA
Scuola di Ingegneria
Tesi di Laurea Magistrale in Ingegneria
Edile e delle Costruzioni Civili
“Nuovo
Polo Scolastico di Ribolla. Gli Spazi "1+4" della Scuola Innovativa.
Principi di Biocompatibilità e Salubrità.”
RELATORI CANDIDATO
Prof. Ing. Giampaolo Munafò Anastasia Dotolo
Ing. Alberto Forconi
“Occuparsi di edifici scolastici è un rammendo che, prima ancora che edilizio, è sociale”. Renzo Piano
Indice
Introduzione 4
1. Lo spazio della scuola in Italia nel tempo 5
1.1 Il periodo post-unione 5
1.2 Primi del Novecento 10
1.3 Periodo fascista 13
1.4 Secondo dopoguerra. La prima fase dello sviluppo dell’edilizia scolastica 18
1.5 Seconda fase dello sviluppo dell’edilizia scolastica 26
2. Le #scuoleinnovative e gli Spazi educativi “1+4” 36
3. Dai fruitori ai progettisti 45
3.1 La ricerca delle esigenze degli utenti 45
3.1.1 Il questionario formulato per la ricerca 46
3.1.1.1 I numeri del questionario 47
3.1.1.2 I commenti degli utenti 50
3.1.1.3 Analisi e conclusioni 54
3.2 Gli arredi per gli spazi flessibili della scuola innovativa 64
4. Il benessere degli utenti e dell’ambiente 67
4.1 Benessere termico 71
4.2 Benessere luminoso 72
4.3 Benessere acustico 73
4.4 Benessere igienico olfattivo e IAQ 75
4.4.1 I fattori inquinanti negli ambienti interni: 76
4.4.1.1 Inquinamento chimico: i VOC e gli IPA 76
4.4.1.2 Particolato e anidride carbonica CO2 84
4.4.1.3. Il carico allergenico 86
4.4.1.4 Concentrazione di “metalli pesanti” 87
4.4.1.5 Gas RADON 90
4.5 Sick building syndrome 94
4.6 La sicurezza 96
4.6.1 La più bassa concentrazione d’interesse (LCI) 97
4.6.2 Somma totale di tutti i composti organici volatili (TVOC) 99
4.6.3 Tecniche di campionamento e di analisi dei composti organici volatili 99
4.6.3.1 Metodo attivo 99
4.6.3.2 Metodo passivo 100
4.6.3.3 Metodo speditivo 101
4.6.4 I riferimenti regolamentari e normativi in materia di emissioni 102
4.7 Il protocollo Biosafe 112
4.7.1 Protocollo di gestione cantiere Biosafe 116
4.8 I terpeni, i VOC benefici 120
4.8.1 Il legno di cirmolo 122
4.8.1.1 Azione ed effetto bionibitorio 122
4.8.1.2 Gli effetti del legno di Cirmolo sulla circolazione, sul sonno e sulle
condizioni di salute 123
4.8.2 L’edificio terapeutico 124
5. Nuovo polo scolastico di Ribolla - Il progetto 125
5.1 Analisi dello stato di fatto 125
5.2 Analisi storica dell’edificio 126
5.3 Inquadramento del lotto per la nuova costruzione 129
5.4 Il progetto 134
5.4.1 L’idea progettuale 135
5.4.2 Requisiti dimensionali dell'opera da progettare 137
5.4.3 Comfort termico 145
5.4.3.1 Trasmittanza termica delle strutture verticali opache di progetto 146
5.4.3.2 Trasmittanza termica del solaio a pavimento di progetto 148
5.4.3.3 Trasmittanza termica del solaio piano copertura di progetto 149
5.4.3.4 Gli Infissi 150
5.4.3.5 L’impianto di riscaldamento invernale e raffrescamento estivo 150
5.4.4 Comfort luminoso 150
5.4.5.1 I requisiti acustici passivi 154
5.4.5.2 La riverberazione 154
5.4.5.3 Le verifiche 154
5.4.6 Comfort igienico olfattivo: Il progetto dell’aria interna con
Protocollo certificativo Biosafe® 156
5.4.6.1 La scelta di materiali Biocompatibili e Sostenibili 157
5.4.6.2 La sicurezza nei confronti del gas RADON 161
5.4.6.3 L’applicazione del protocollo 162
5.4.6.4 Emissività di stratigrafie con struttura lignea. Confronto tra
ipotesi di progetto biocompatibile e ipotesi di progetto convenzionale 167
5.4.6.5 La concentrazione di anidride carbonica 171
Bibliografia 173
Introduzione
Gli edifici scolastici sono il luogo dell’apprendimento delle generazioni future. I bambini e i ragazzi vi passano gran parte della giornata per circa 15 anni in media. Il tessuto edilizio italiano si presenta invecchiato e caratterizzato da gravi carenze strutturali, prestazionali e funzionali. Questo lavoro di ricerca si pone lo scopo di indagare a fondo sulle esigenze della scuola “ideale” per l’utenza, al fine di progettare il Nuovo Polo Scolastico di Ribolla. Le nuove frontiere della didattica necessitano di spazi educativi flessibili e di strutture spaziali interpretabili come matrici di atelier. L’utilizzo della tecnologia deve essere agevolato e facilmente fruibile non solo nei laboratori preposti, per questo la struttura spaziale adottata è stata quella degli Spazi “1+4” della Scuola Innovativa organizzati in cluster indipendenti. Attorno allo Spazio Classe gravitano gli altri 4 ambienti: lo Spazio per
l’Esplorazione, lo Spazio Individuale, lo Spazio Informale e l’Agorà.
Una buona progettazione di un edificio scolastico non può prescindere dal raggiungere elevati livelli di comfort. Per la produttività e la salute è importante creare condizioni ambientali, termiche, luminose e acustiche tali da garantire il maggior benessere possibile. In questo studio è stato approfondito l’aspetto del benessere igienico-olfattivo, indagando i diversi inquinanti indoor che contribuiscono a creare un ambiente insalubre e approfondendo le ultime ricerche nel campo dei terpeni che forniscono all’edificio caratteristiche terapeutiche.
1. Lo spazio della scuola in Italia nel tempo
Effettuare un’indagine tipologica sugli edifici scolastici, vuol dire indagare sulla relazione esistente tra la forma dell’edificio, il pensiero pedagocico adottato e il quadro normativo di riferimento. L’evoluzione dei metodi didattici ha infatti determinato la traduzione di principi educativi in diverse forme architettoniche raggruppabili in varie tipologie scolastiche. Ogni periodo storico ha i propri metodi educativi, dettati dal tipo di società, dalla legislazione, dal grado di alfabetizzazione, praticamente dallo stile di vita del popolo. Analizzando lo sviluppo della società italiana dal secolo scorso a oggi si può notare come sia cambiato l’edificio scolastico in base al mutare della società. Inoltre l’evoluzione delle tipologie ha fortemente influenzato le tecniche costruttive, rendendo estremamente vario ed interessante lo studio del patrimonio di edifici scolastici di una nazione.
1.1 Il periodo post-unione
La necessità di un luogo dove “insegnare” è un’acquisizione recente, la storia ci mostra infatti che finché la cultura rimase un privilegio di nobili ed ecclesiastici essa fu divulgata in luoghi privati o conventi.
Per secoli rimase sotto tale monopolio quasi esclusivo, ma comunque priva di ambienti destinati unicamente all’insegnamento.
In molte nazioni d’Europa, con l’avvento della rivoluzione industriale, l’esigenza di educare i fanciulli ed insegnare loro un mestiere divenne sempre più forte.
L’eco della della rivoluzione industriale coincise con l’Unificazione del paese ed alle istituzioni scolastiche fu attribuito un ruolo fondamentale nella formazione del neo nato Stato e dei suoi cittadini. Con la nascita della scuola come istituzione di stato nel periodo post-unitario nacque una nuova tipologia edilizia: l’edificio scolastico. La scolarizzazione era il problema principale e la diminuzione dell’analfabetismo costituiva la condizione necessaria per la costruzione di uno stato democratico, di
conseguenza si iniziarono a studiare e progettare edifici adatti allo scopo ed a funzione esclusiva di scuola, evento segnato dal passaggio dalla chiesa allo Stato del potere decisionale sull’istruzione.
I primi esempi però non risultarono funzionali ed igienici, sia perché contenevano troppi allievi, sia perché si basavano sulla mera esigenza di istruire il prima possibile grandi masse di analfabeti.
Erano costituiti da aule uniche o comunque da blocchi, il cui impianto ricordava spesso un capannone industriale.
La prima legge sulla scuola risale al 1859, quando un decreto promulgato per la sola regione della Sardegna venne esteso a tutta la nazione, la Legge Casati.
I concetti principali sanciti dalla legge erano :
● Obbligatorietà e gratuità dell’istruzione elementare; ● Uguaglianza dei sessi di fronte all’educazione; ● Norme precise per l’abilitazione all’insegnamento.
La legge stabiliva che spettava ai Comuni la costruzione delle scuole, ma in tal modo penalizzava il sud che, sia per mancanza di fondi che per la poca sensibilità della popolazione verso il tema, non fece fronte adeguatamente al bisogno. L’analfabetismo era diffuso ma, se da una parte la legge obbligava i genitori a mandare i figli a scuola, dall’altra non provvedeva alla costruzione di edifici allo scopo.
Nonostante alcuni anni dopo venissero varate leggi preposte a erogare mutui ai Comuni, le prassi rimanevano complesse e difficili da applicare.
La conseguenza fu uno sviluppo estremamente lento dell’edilizia scolastica, a fronte però di un dibattito aperto in proposito e di un bisogno di locali impellente.
Le carenze economiche e l’abolizione dell’Asse Ecclesiastico fecero sì che le scuole venissero collocate nei palazzi delle famiglie nobiliari o degli ordini religiosi resi disponibili all’uso pubblico, con il risultato di ambienti inadatti alla loro funzione e spesso anche antigienici.
Il tema dell’igiene era molto sentito in quegli anni, ed infatti i primi trattati e regolamenti riguardo gli edifici scolastici erano orientati soprattutto a risolvere queste problematiche. Già nel Regio Decreto del 15 settembre 1860, immediatamente successivo alle legge Casati, si poteva leggere: “Art. 137. Le
scuole debbono essere salubri, con molta luce, in luoghi tranquilli e decenti per ogni riguardo, e adatte per ampiezza al numero degli allievi obbligati dalla legge a frequentarle.”. Qualche anno dopo nel 1888 vennero pubblicate le Istruzioni Tecnico
Igieniche nazionali per la costruzioni di nuovi edifici scolastici; queste sono le prime disposizioni normative che cercano di definire un vero e proprio modello fissando il corretto dimensionamento dello spazio aula e le caratteristiche dell’edificio. Il lotto dove sarebbe sorto l’edificio doveva essere distante da altri edifici esistenti, gli allievi dovevano avere almeno 1 mq ciascuno ed i soffitti delle aule, che non potevano ospitare più di 50 alunni, dovevano essere alti almeno 4,5 metri. L’attenzione rivolta alle caratteristiche mirate ad un migliore apprendimento riguardavano alcune finiture “Le pareti delle classi siano preferibilmente di colore grigio o azzurrognolo, o bianco” per le quali si fornivano anche indicazioni di natura igienica ”… senza tappezzerie e abbiano uno zoccolo di pietra o altro materiale suscettibile di lavatura alto 1,50 m”.
Su queste norme era particolarmente accurata la trattazione, partendo dall’esposizione dell’edificio, con le classi a sud-sudest, ed i corridoi verso nord. Per evitare le problematiche relative all’umidità nelle aule si consigliava di realizzare un piano cantinato laddove possibile o comunque di rialzare il piano terreno e di progettare l’edificio scolastico di forma «unilineare» in modo da ottenere l’aerazione e l’illuminazione più uniforme possibile.
A riguardo si indicava per le superfici di finestre e porte che “l’ampiezza delle
finestre sia regolata in modo che, per gli edifici liberi d’ogni intorno, la somma delle superfici di esse equivalga circa ad un sesto della superficie del pavimento della classe, per quelli circondati da altri edifici, circa un quarto”.
Le latrine dovevano trovarsi in un posto areato, facilmente raggiungibile da tutte le aule ma non troppo vicino ad esse, in genere venivano collocate dal lato del corridoio opposto alle aule, in modo da affacciarsi sul prospetto posteriore ed aerarsi dal lato opposto alle aule stesse. Sull’aspetto poche e vaghe informazioni venivano fornite, rivolte ad un senso del decoro e della semplicità del disegno oltre che l’invito ad adattare l’edificio al contesto circostante.
Dunque nei centri urbani gli edifici vennero progettati a più elevazioni, con un massimo di tre, e con prospetti dal disegno lineare e semplice, tale da denunciare a primo sguardo la funzione svolta dall’edificio, mentre nei centri rurali le scuole richiamavano le costruzioni del luogo per disegno e materiali, con tetti a falde ed uso di paramenti in muratura a faccia vista.
Pianta a C di scuola di fine ottocento. La scuola Niccolò Turrisi a Palermo da un rilievo del 1910
Consegue così l’evoluzione della tipica tipologia di scuola a palazzo ad una tipologia di scuola a blocco, detta anche a corridoio, derivante dallo schema a caserma di matrice tedesca. Questo si sviluppava o in linea, oppure ad L o talvolta a C, a seconda della forma del lotto su cui l’edificio sarebbe sorto, con le aule e gli ambienti distribuiti su un corridoio. L’impianto è semplice: una serie di aule dalle dimensioni stabilite orientate verso la migliore insolazione collegate tra loro da un lungo ed ampio corridoio. Si delineano inoltre le diverse funzioni all’interno dell’edificio scolastico: acquistano importanza lo spazio dell’atrio, l’auditorium e gli spazi aperti che conferiscono qualità all’intero edificio. L’aspetto del corretto svolgimento delle funzioni pedagociche restava in secondo piano, anche se qualcuno iniziava a rendersi conto che per educare i fanciulli si doveva « in primis et ante omnia disporre di conveniente edificio e arredamento, secondo che lo Stato […] deve preoccuparsi perché tali istituti siano allegati e corredati in modo normale…».
In realtà, vista la cogente esigenza di locali la tendenza più diffusa rimase quella dell’adattamento dei conventi, decisione naturalmente supportata da motivazioni di assoluta convenienza economica, e non sempre nel rispetto delle regole riguardo le caratteristiche dei luoghi destinati a scuola elementare.
Esempio di ex convento adattato a scuola. La pianta del primo piano dell’Ex convento di S. Gregorio a Palermo da un rilievo del 1908
Tale schema a blocco rimase per anni quasi inalterato, in proposito anche le indicazioni dei regolamenti del 1912 e del 1925, ripresero molti concetti da quelle del 1888 senza pronunciarsi in maniera determinante riguardo la disposizione degli ambienti in funzione a criteri pedagogici. Infatti le teorie già diffuse all’inizio del XX secolo non approvavano tale schema distributivo che sottendeva ad un insegnamento meramente frontale, ma auspicavano ad un insegnamento «attivo», che richiedeva spazi e forme differenti. In realtà le indicazioni che i pedagogisti davano risultavano molto vaghe sia dal punto di vista estetico sia da quello distributivo degli spazi, pertanto rimasero semplici indicazioni teoriche e per il momento non influenzarono la tipologia edilizia.
1.2 Primi del Novecento
Agli inizi del novecento il sistema scolastico aveva già dato i primi effetti positivi. I tassi di analfabetismo erano scesi notevolmente. I cambiamenti sociali avvenuti in seguito alla Rivoluzione Industriale avevano infatti regalato alla società la consapevolezza che l’istruzione avrebbe avuto un’importanza cruciale per la costruzione della società moderna e le famiglie iniziavano ad investire nell’istruzione dei propri figli, specialmente maschi.
Nel 1904 la legge Orlando ribadiva l'obbligatorietà dell'istruzione elementare. Essa portava l'obbligo scolastico sino al dodicesimo anno d'età ed estendeva tale obbligo anche per le classi del corso elementare superiore (quarta e quinta). Nei Comuni dove esisteva il corso elementare superiore si faceva obbligo non solo ai genitori o a chi ne facesse le veci, ma anche ai datori di lavoro nei confronti dei lavoratori alle loro dipendenze ed obbligava all'istruzione elementare anche gli adulti analfabeti,
che alla leva militare fossero stati assegnati alla terza categoria o dichiarati rivedibili o riformati. La legge veniva inoltre a stabilire l'istituzione della sesta elementare che con la classe quinta costituiva il “corso popolare” e alla scuola secondaria si passava dalla quarta classe, superato l'esame di maturità. Se da un lato la legge Orlando limitava il corso elementare alle prime quattro classi, dall'altro istituiva obbligatoriamente in tutti i Comuni con più di 4000 abitanti di popolazione agglomerata, il Corso Popolare, avente carattere di scuola di avviamento professionale, a conclusione del quale si conseguiva la licenza elementare.
Successivamente, nel 1911 con la legge Daneo-Credaro la scuola elementare divenne un servizio statale, i bilanci dei Comuni furono così alleggeriti dal costo degli stipendi degli insegnanti e lo stato poté disciplinare l'obbligo scolastico in modo più vigoroso anche in quelle realtà locali molto disagiate dove i bilanci comunali non avevano consentito una corretta organizzazione della scuola. Sempre nel 1911 il Ministero della Pubblica Istruzione pubblicò la “Casa della Scuola”, una raccolta di piante e progetti tipo. L'edificio scolastico studiato era una costruzione simmetrica, separata internamente in due ale, una maschile, l’altra femminile, si estendeva fino ai bordi del lotto disponibile lasciando così all’interno uno spazio aperto. L’edificio doveva essere simbolo di decoro civile e rappresentare l’istituzione scolastica seppur con pochi apparati decorativi.
Scuola elementare De Amicis. S.Pietro in Casale (BO) 1911.
Scuola elementare G.Allievo Torino 1911.
Con l’avvento della Prima Guerra Mondiale, si bloccò lo sviluppo di tutta la società e di conseguenza degli edifici scolastici. Molti di questi vennero utilizzati come rifugio bellico.
Alla fine della Guerra, la Croce Rossa Internazionale affermò per la prima volta l’esistenza dei diritti dell’infanzia. Nel 1924 anche la Società delle Nazioni citò i diritti dei bambini in qualche documento. Queste idee vennero rielaborate nel 1942 dalla “Ligue Internationale de l’Éducation Nouvelle”. Dalla prima idea della Croce Rossa Internazionale passarono circa 40 anni, durante i quali si ebbe un altro conflitto mondiale: bisognò aspettare il 1959 per avere definitivamente la “Carta dei diritti dell’infanzia”, proclamata il 20 novembre 1959 dall’ONU.
Da essa emergono due indicazioni importanti: la prima proclama il diritto del bambino all’educazione (di ogni bambino, prescindendo dalla nascita, dalla razza, dal censo, dal sesso, dalle convinzioni politiche o religiose dei genitori); la seconda, sottolinea che il superiore interesse del bambino deve guidare tutti coloro che si occupano della sua educazione.
Da queste affermazioni discendono alcune certezze che sono divenute patrimonio pedagogico:
A. la persona ha il diritto ad essere inserita in un valido sistema di sicurezza sociale e di incontrare un ambiente che le consenta di essere e di esprimere tutto ciò che può essere ed esprimere, cioè un ambiente totalmente educativo.
B. L’educazione non è un’educazione ai contenuti ma alle “funzioni della mente”, alla capacità di ragionare da sé, di gestire in proprio la propria cultura e il proprio destino, di adattarsi continuamente e dialetticamente al continuo mutamento per essere protagonisti della vita e non passivi esecutori di una routine da altri proposta e da altri gestita. Deve essere, insomma, educazione “alla creatività”.
C. Il maestro non è il centro della scuola, ma non lo è nemmeno l’allievo: centro della scuola è il rapporto educativo, e la centralità del rapporto educativo vuole che gli adulti operino concordemente; vuole che il maestro non sia più isolato arbitro del rapporto stesso ma controlli, verifichi, discuta, giudichi e faccia giudicare, confronti il suo lavoro di animatore culturale e di operatore sociale con tutto il gruppo degli altri operatori scolastici e apra la scuola sulla vita lasciandovi entrare la vita.
D. La scuola è quindi “scuola aperta”, scuola democratica, alla gestione della quale devono concorrere tutti gli utenti (educatori, personale,genitori, forze sociali) uniti nella volontà di inserirla nella realtà ambientale (quartiere, borgo, distretto), a patto che la gestione sia ben consapevole che a guidare le ricerche e le decisioni è, e deve essere, il supremo interesse dell’allievo e non altro.
1.3 Periodo fascista
Durante il primo governo Mussolini (1922-1924) la riforma Gentile cambiò notevolmente l’impianto scolastico italiano e portò l’obbligo di istruzione a 14 anni di età. La riforma prevedeva cinque anni di scuola elementare uguale per tutti, frequentata da tutti gli aventi diritto con iscrizioni in base all'anno di nascita. La scuola elementare aveva scansione 3+2, preceduta da un grado preparatorio di tre anni (scuola materna) e seguita da un grado successivo chiamato scuola media inferiore, con diversi sbocchi, seguito a sua volta dalla scuola media superiore, di tre anni per il liceo classico, di quattro per il liceo scientifico, di tre o quattro anni per i corsi superiori dell'istituto tecnico, dell'istituto magistrale e dei conservatori. Durante il periodo fascista, la scuola svolgeva un ruolo molto importante, la didattica era il mezzo per dare alle nuove generazioni l’impronta del regime. Il periodo fascista non aprì molte strade alle nuove teorie pedagogiche che auspicavano un insegnamento “attivo” ma favorì l’insegnamento frontale che era quanto di più vicino
ci fosse all’idea di scuola del regime. Nel 1928 Mussolini pronunciò queste parole:
“La scuola italiana in tutti i suoi gradi e i suoi insegnamenti si ispiri alle idealità del Fascismo, educhi la gioventù italiana a comprendere il Fascismo, a nobilitarsi e vivere nel clima creato dalla Rivoluzione Fascista”.
La scuola quindi non dava solo nozioni di grammatica, matematica o storia, ma attraverso una rigida dottrina insegnava ai bambini atteggiamenti, modi di essere e rigore, una vera propaganda per plasmare il pensiero e adattarlo all’idea politica. Il regime prestava molta attenzione alla formazione del fisico, per questo il tema delle palestre fu molto sviluppato e costituì anche occasione di sperimentazione di tecniche innovative viste le luci che andavano coperte.
Lo schema militaresco a caserma trovò in tutte le scuole realizzate in quegli anni il suo disegno ideale. Gli insegnanti erano ridotti a fedeli servitori dello Stato, gli studenti andavano irregimentati in organizzazioni giovanili di massa che dovevano "credere, obbedire, combattere”. La politica scolastica portò così alla completa fascistizzazione della scuola. Nello stato italiano gli ambiti scolastici erano diversi per contesti e tradizioni, ma diventavano molto simili per organizzazione didattica e strategie di intervento.
Anche l’organizzazione interna della scuola doveva seguire le indicazioni del regime, i bambini erano divisi in classi per età e per sesso, venivano chiamati “balilla” e “piccole italiane” e tutti dovevano indossare l’uniforme scolastica. I programmi didattici erano uguali in tutte le scuole, doveva essere usato, da tutti il libro unico di Stato. Le aule erano organizzate in 7 file dibanchi ognuna con 7 banchi doppi
(per un totale di 28 alunni per aula), sulle pareti delle aule vi era appesa la foto di Mussolini e la cartina geografica, punto di riferimento per studiare le conquiste dello Stato italiano.
I programmi edilizi promossi dal Fascismo, avevano il compito di riportare in ogni provincia l'immagine del governo centrale, ne è un esempio la Scuola Elementare di Lavello, scuola con pianta a forma di M di Mussolini. Lo sviluppo dell’architettura è ancora visibile. L’edificio è caratterizzato da una facciata centrale che riporta la scritta “scuola elementare” e gli edifici laterali presentano due scalinate che indicano l’ingresso per la sezione maschile, a sinistra, e quello per la sezione femminile, a destra. Lo scopo principale dell’architettura era quello di incanalare il gusto popolare in un’estetica che fosse lo specchio fedele del regime fascista. Il Bedarida scrisse in quegli anni che chi si accostava al progetto di una scuola aveva il difficile compito di dover fornire agli insegnanti uno strumento per svolgere la loro missione.
Progettare edifici razionali e funzionali in quel momento significava concepire
l’edificio scolastico come una
“macchina per educare”, dunque un
perfetto funzionamento degli ambienti e dei percorsi e la “armonica fusione
dei locali occorrenti” realizzati in
economia, preferibilmente con l’uso di materiali locali ed assenza nelle forme
.
Scuola elementare Guglielmotti di Roma, 1932, Arch. Ignazio Guidi
di «facili virtuosismi stilistici".
Gli edifici eretti in questi anni hanno un’immagine gelida e cupa seppur grandiosa, a causa dell’utilizzo di lastre piane di marmo per le facciate, della ripetizione di forme geometriche come il cubo e il cilindro, del contrasto dei bianchi e dei neri e
l’assenza di decorazioni. Il regolamento vigente negli anni tra le due guerre era contenuto nel R. D. 1 maggio 1925 ed in pochi elementi differiva dai precedenti. Si riscontra tuttavia una più accurata descrizione delle caratteristiche di aule e finestre per assicurare una corretta ventilazione ed illuminazione, “nella elevazione
dei muri si abbia per norma di lasciare condotti di sezione circolare e ben levigati da utilizzare specialmente a scopo di ventilazione “ ed ancora “le finestre illuminanti le aule si apriranno da uno solo dei lati, il più lungo, in modo che gli allievi ricevano la luce dalla loro sinistra”. In realtà negli anni a seguire questa teoria dell’illuminazione unilaterale venne decisamente disattesa in favore di una distribuzione della luce naturale da due direzioni. Infine ancora molte indicazioni di carattere igienico, alcune indicazioni strutturali ma poche direttive sulla distribuzione funzionale.
L’architettura si è trasformata di pari passo con l’aumentare della fama del regime fascista e come questo, ha iniziato a cambiare alcuni aspetti: dal rigore tecnicista basato soprattutto sull’uso geometrico di volumi e forme, si è passati a un aspetto che privilegiava l’effetto di stupore e grandezza realizzando così il monumentalismo. L’aspetto che veniva messo in evidenza era quello della scenografia che colpiva per l’utilizzo di proporzioni enormi e del marmo, che ha sostituito il semplice intonaco. Parallelamente al fascismo si sviluppò il Razionalismo, che finì per identificarsi totalmente nel regime, diventandone così la diretta espressione architettonica. Il Razionalismo era inizialmente comparabile, anche ideologicamente, al fascismo in quanto proponeva un distacco netto dal passato, recuperandone solo alcuni elementi classici, che venivano resi in chiave razionalistica. Inoltre il Razionalismo era identificabile anche con la volontà di emancipare l’Italia in senso moderno, rendendola così in linea con gli altri paesi europei, maggiormente sviluppati dal punto di vista economico: non bisogna dimenticare che l’architettura fascista aveva uno scopo propagandistico.
Le nuove scuole dovevano essere coerenti all’idea di scuola nata dalla riforma Gentile, sono sorte scuole con rigorosi corpi di fabbrica ricche di forme classiche, interpretate in chiave ideologica nazionalistica e monumentali, testimonianza
dell’idea di grandezza che il regime aveva di sé: volumi geometrici elementari, coperture piane, elementi cilindrici e aperture di luce circolare generavano architetture metafisiche. Lo sforzo del regime di lasciare impronte tangibili e celebrative si estendeva da nord a sud. Cosa che si traduce in una realizzazione capillare di edifici scolastici rurali. Lo stile architettonico, semplice e privo di decorazioni, si è ripetuto sul territorio nazionale con poche varianti estetiche e distribuite. Ogni paese aveva la sua scuola, anche nei centri abitati più piccoli, come le frazioni, vi erano edifici scolastici.
Alcuni di questi edifici tutt’oggi sono utilizzati come scuole, altri hanno cambiato destinazione d’uso, ma tuttavia sono tutti facilmente riconoscibili.
Uno dei principale interpreti del razionalismo italiano è stato Giuseppe Terragni (1904-1943), che con la realizzazione dell’asilo Sant’Elia a Como, rappresentato nelle immagini qua in pagina, ha fornito un notevole esempio di edilizia scolastica,
tanto che come sottolineato in un articolo comparso sulla rivista
Costruzioni-Casabella, l’asilo comasco doveva essere l’esempio per tutti gli edifici scolastici fascisti.
“Una scuola bella, sana, chiara e luminosa, pulitissima creerà nel bambino un senso naturale
dell’igiene, una spontanea predilezione per l’ordine e la pulizia, una decisiva impronta di civiltà..."
Articolo di G.Pagano, “L’asilo Infantile di Como” (Costruzioni-Casabella n.150 giugno 1940)
Asilo Sant’Elia a Como, Giuseppe Terragni
Nel 1939, con la Carta della Scuola di Bottai, i bambini e i ragazzi, dai 6 ai 21 anni, erano obbligatoriamente inseriti nelle organizzazioni giovanili del regime, la Gil e il Guf, la partecipazione a tutte le adunate costituiva attività didattica obbligatoria. Durante il secondo conflitto mondiale gli effetti della guerra non tardarono a farsi sentire anche sull’edilizia scolastica: gli edifici scolastici diventarono i contenitori privilegiati dove svolgere ogni tipo di attività, far affluire uomini, mezzi e attrezzature di carattere bellico e militare.
1.4 Secondo dopoguerra. La prima fase dello sviluppo
dell’edilizia scolastica
Dopo anni di immobilità e distruzione dovuti alla guerra, il paese riprese a crescere e a costruire. Gli studi e le realizzazioni dei decenni precedenti avevano fornito precise informazioni riguardo le situazioni igienicamente ottimali, distribuzione aule, aerazione, illuminazione con il risultato di “scuole scientificamente perfette e ineccepibili dal punto di vista dell’igiene fisica, ma di tipo ancora tradizionale per quanto riguarda il metodo d’insegnamento (passivo) e la forma delle aule (rettangolare con illuminazione unilaterale)”. L’obiettivo era definire i nuovi caratteri dell’edificio scolastico nell’italia repubblicana e antifascista riconfigurandone nuove scelte progettuali, con un’attenzione particolare all’intenso dibattito pedagogico di
quegli anni. Si ripartì dal dibattito che era iniziato già molti anni prima con il I Congresso nazionale di pedagogia (1898), al quale partecipò anche Maria Montessori, dove si iniziarono a discutere metodologie didattiche diverse; le teorie elaborate da pedagogisti come F. Froebel, M. Montessori e R. Steiner sostenevano infatti che la scuola dovesse essere un edificio a misura di bambino, che rispettasse le sue proporzioni, le sue necessità fisiologiche e psicologiche, dove “sentirsi
padrone del proprio spazio”. Tali teorie promuovevano un apprendimento che
passava attraverso le esperienze dirette del bambino, il quale doveva scoprire, sperimentare per poter sviluppare la propria individuale personalità e tutto ciò doveva attuarsi in un ambiente più aperto e vario possibile. Da qui le scuole all’aperto, che auspicavano spazi ampi e flessibili ed aule da utilizzarsi solo in condizioni climatiche avverse.
Ovviamente si trattava di realizzazioni possibili solo in aree extraurbane dove la scuola poteva anche diventare il perno della vita del piccolo centro urbano e svolgere dunque altre funzioni utili alla società. Questo schema trovò applicazione in numerose scuole nel mondo. In Italia, soprattutto per considerazioni di tipo economico, che vedevano la realizzazione di edifici scolastici di tipo intensivo decisamente molto meno costosa, rimase a livelli sperimentali e si fece riferimento tipologicamente allo schema tradizionalmente utilizzato, con alcune variazioni ed eccezioni.
La rottura con gli schemi del passato e la storia dell’edilizia scolastica moderna avvenne nel 1949 quando venne bandito per la prima volta un concorso dal Ministero della Pubblica Istruzione che invitava esplicitamente i partecipanti a non tener conto dei regolamenti sino ad allora vigenti. Il titolo del concorso era: “Scuole all’aperto”. La libertà dai vincoli normativi fruttò la notevole apertura dei progetti che furono presentati. Venne completamente superato lo schema convenzionale a corridoio, tipico della “scuola-caserma” ed acquistò subito un nome ed un’immagine altrettanto incisiva il nuovo schema a: “unità funzionale”. I parametri importanti per
la progettazione divennero sempre più legati alla pedagogia ed al comfort e non esclusivamente all’igiene.
Il concorso venne vinto dall’Arch. Ciro Cicconcelli che identifica nel Padiglione, la forma più adatta ad ospitare l’aula. In occasione del IV Congresso Internazionale di edilizia scolastica e di istruzione all’aperto, tenuto a Firenze nello stesso anno, espose con molta cura i riferimenti del proprio progetto e tutto il dibattito cui si appoggiava, e vi sviluppò la impostazione e le novità della sua proposta.
Modello del progetto di Ciro Cicconcelli, premiato al concorso “Scuole all’aperto” del 1949.
“Ma il Padiglione, visto nel modo tradizionale, è oggi passibile di una trasformazione atta a renderlo idoneo, oltre che a contenere le aule, ad avere una vita quasi autonoma, poiché è nel carattere semi-autonomo di esso dove, a mio avviso, il concetto di comunità, quale fondamento della vita sociale, trova una ,migliore piattaforma di vita, una più essenziale ed ambientale occasione di essere: io lo vedrei trasformato in unità funzionale e non più disimpegnato da corridoi o da porticati.” Secondo Cicconcelli l’unità funzionale è “elemento fisso e ripetibile direi all’infinito, dovrebbe comprendere non più di cinque ambienti (aule), disimpegnati da un ambiente comune:concetto quindi di scuola-casa (ricordare le montessoriane case di bambini?) quale ambientazione più idonea ad alimentare promuovere e facilitare lo spirito associativo dei fanciulli. Queste unità funzionali dovrebbero
disporre di più spazi distinti: uno per le esercitazioni libere, l’altro per le aule.”
(estratto dal capitolo: “ANNI '50 - LA DEMOLIZIONE DELLA SCUOLA FASCISTA”, tratto dal volume: “ Nuova architettura per la scuola”. F. E. Leschiutta)
L’unità funzionale è ideata con lo scopo di stimolare la comunicazione sia tra insegnanti e allievi sia tra allievi di aule diverse, che possono condividere le proprie esperienze.
Più unità funzionali, aggregate in modo diverso in base al contesto urbano, costituiscono un aggregato scolastico.
Piante delle unità funzionali del progetto di Cicconcelli, premiato al concorso “Scuole all’aperto” del 1949.
Le diverse unità funzionali si espandono tra l’interno e l’esterno, creando una fluidità degli spazi che accompagna il bambino nel suo sviluppo.
Nel 1952 venne istituito il Centro Studi per L’Edilizia Scolastica, una commissione composta da architetti, medici, pedagogisti ed amministratori, con l’obiettivo di configurare i nuovi caratteri dell’edificio scolastico dell’Italia repubblicana e antifascista. Cicconcelli, una volta alla direzione della commissione, sviluppa un piano strategico per gestire l’edilizia scolastica:
“La scuola è un servizio pubblico e deve svolgere un ruolo primario nella formazione delle nuove
generazioni, l’emergenza non deve essere un alibi per adeguarsi all’idea di standard minimi o differenziati; è necessario ricollegarsi a quanto si sta sperimentando soprattutto negli USA, in Inghilterra e in Germania da Scharoun (progetto del 1951): quindi il superamento dell’aula, predisposizione di spazi
attrezzati e specializzati, individualizzazione e democratizzazione
dell’insegnamento. La scuola deve essere flessibile per adeguarsi al mutare delle strategie di insegnamento; il ruolo di promozione della qualità deve essere assunto dall’ente pubblico attraverso le sue istanze tecniche. Quindi un ruolo fondamentale è da assegnare al sistema normativo, alle modalità di appalto e di verifica delle opere realizzate, di promozione della industrializzazione.” -C. Cicconcelli-
Immagine di edifici scolastici tipo estratta dal l’articolo di Ciro Cicconcelli su Casabella n. 245, 1960.
Assumendo importanza il fattore psicologico del fanciullo - a cui si deve fornire un’esperienza il più possibile completa da un punto di vista spaziale, visivo e tattile - la tipologia scolastica si evolve e si passa dal concetto di istruzione a quello di educazione.
“La progettazione di una scuola moderna, deve nascere soprattutto dalla ricerca di uno spazio idoneo psicologicamente, oltre che funzionalmente, allo svolgersi dei
problemi educativi. Bisogna cioè intuire e quindi realizzare, degli spazi capaci di favorire le tendenze del fanciullo e rendere questi efficaci; bisogna
realizzare degli spazi che accompagnino il bambino nella sua crescita biologica e psichica, il bambino deve stare al centro della ricerca di uno spazio scolastico del nostro tempo.” (estratto da: "Lo spazio scolastico" di Ciro Cicconcelli n.25 del 1952 di Rassegna Critica di Architettura)
Non basta che gli ambienti siano ben illuminati con colori idonei e caratteristiche igieniche appropriate devono essere conformati in maniera tale da poter agevolare le diverse fasi evolutive del fanciullo. Cambia la forma della scuola, intendendo per scuola sia l’edificio che la funzione che vi si svolge; che viene vista come edificio collettivo per eccellenza con il compito di trasmettere le norme di comportamento per adattare l’individuo alla società. Si elimina lo spazio gerarchizzato della tipologia a “corridoio” e si introduce, secondo il modello fornito dalla scuola di Darmstadt di Hans Scharoun del 1951, uno spazio non autoritario pensato in termini di attività e non più di aule.
Scuola di Darmstadt, Hans Scharoun, 1951
Dalla scuola di stampo “funzionalista” per cui l’edificio era l’insieme di parti autonomamente definite si passa alla concezione dell’edificio come “organismo”, caratterizzato dalla fluidità ed elasticità dell'impianto e dalla fusione fra gli ambienti e gli spazi esterni. Il concetto nuovo è che la scuola si articola nella somma di "unità funzionali" -aggregazione di più aule distribuite senza corridoi con uno spazio comune e relativi servizi igienici - la cui combinazione e articolazione dipende dal tipo di scuola.
Nel 1954 il Centro Studi preparò un nuovo regolamento per la progettazione degli edifici scolastici e pubblicò quattro quaderni; i “Quaderni del Centro Studi della
Pubblica Istruzione, Servizio Centrale per l’edilizia scolastica”, riguardanti le scuole elementari, medie e materne, con prescrizioni adottate anche nel volume pubblicato da Cicconcelli:’”Architettura pratica".
I quaderni enunciavano e riassumevano il nuovo regolamento per la progettazione degli edifici scolastici con riferimento alle ricerche e sperimentazioni effettuate da dopo l’indagine del 1951.
Alcune indicazioni del nuovo regolamento:
● L’edificio scolastico può avere al massimo due piani;
● L’edificio deve essere adeguatamente e uniformemente illuminato e razionalmente areato;
● L’illuminazione artificiale deve essere adeguata e uniformemente distribuita
La scuola elementare e centro negozi di Ivrea, realizzata da Ludovico Quaroni nel 1955 sintetizza tutti i caratteri della ricerca teorica sull’edilizia scolastica. Il progetto della scuola è il frutto della collaborazione dell’architetto Quaroni e Adriano
Olivetti, che, grazie alla sua mente aperta, riuscì ad arricchire la realtà lavorativa e quotidiana dei propri dipendenti dell’Olivetti.
Nella scuola di Ivrea emergono sia la
collaborazione tra pedagogia e
architettura, nella ricerca del contatto interno-esterno e nella distribuzione delle unità funzionali organizzate
intorno alla sala comune
multifunzionale, sia il legame tra
architettura e luogo, espresso
attraverso l’utilizzo di materiali poveri propri della tradizione.
Scuola elementare e centro negozi di Ivrea, Ludovico Quaroni, 1955. Vista planimetrica, Foto di archivio
e Pianta della Scuola
1.5 Seconda fase dello sviluppo dell’edilizia scolastica
La seconda fase si svolge tra gli anni ’60 e la metà degli anni ’70. In questi anni la costruzione di nuovi edifici scolastici riceve un forte impulso grazie al varo della scuola media unica nel 1962. Si nomina una Commissione nazionale di studio sull'edilizia idonea alla nuova scuola media e nel 1968 viene istituita la scuola materna statale
e nascono gli asili nido, in
concomitanza con il Primo censimento nazionale dell'edilizia scolastica. Di questi anni è la prima legge che affronta il problema dell’edilizia scolastica che tuttavia non dà i risultati sperati, soprattutto per la mancanza di una vera Normativa Tecnica e di
standard funzionali adeguati. Le
facoltà di architettura iniziarono a fare oggetto di ricerche e studi l’edificio scuola.
XII Triennale di Milano, 1960, “La casa e la scuola"- Prototipo di scuola
In questo periodo la XII Triennale di Milano, del 1960, dedicata alla scuola, con l’esposizione intitolata “La casa e la scuola” è di fondamentale importanza per l’evoluzione della tipologia scolastica. Il tema dell’accentramento degli spazi attorno a piazze comuni diventa sempre più caldo e si arriva quindi all’eliminazione del corridoio e all’introduzione del metodo costruttivo industrializzato, che permetteva
tempi e costi di costruzione minori. Alla Triennale venne accolto molto bene un prototipo di scuola elementare inglese, in quanto era il riassunto di tutti gli aspetti innovativi della nuova direzione della progettazione di spazi educativi. Le eccellenze nazionali e internazionali diventarono punti di riferimento per una nuova edilizia scolastica: sono le prime occasioni importanti in cui i principi e i metodi per la costruzione dell’edificio scolastico vengono affrontati con spirito critico.
Già dai primi anni Sessanta e poi negli anni Settanta a causa delle misure economiche restrittive, si va approfondendo la ricerca sulla prefabbricazione come sistema indispensabile per razionalizzare il processo edilizio. Infatti la prefabbricazione è considerata uno strumento basilare per conseguire gli obiettivi della qualità diffusa e della flessibilità: la scuola è pensata non più solo come una struttura spaziale ma anche come un luogo di variazioni a componente temporale, e inoltre i nuovi metodi pedagogici e la naturale tendenza degli scolari al lavoro in piccoli gruppi necessitano della creazione di aree centrali collettive. Si riprendono i principi della scuola attiva, si passa dalla “scuola per ascoltare” alla “scuola per scoprire” in cui si da maggiore importanza alle esperienze dirette dei bambini. Lo studio di nuovi sistemi costruttivi libera e approfondisce i temi dell’aula modificabile, delle unità didattiche accorpabili, dell’intercambiabilità, concetti già indagati alla fine degli anni Quaranta sebbene in un regime costruttivo tradizionale. In questi anni si assiste così al passaggio dal cantiere tradizionale a procedure di costruzione industrializzate, ma anche alla crescente standardizzazione.
Seppure in ritardo rispetto agli altri paesi europei,l’entrata della scuola-fabbrica nel panorama edilizio italiano si combina con la produzione di alcuni progetti di alta qualità nei quali il rischio dell’indifferenza planimetrica è costantemente annullato da una complessità spaziale e da uno standard elevato, non paragonabile con l’edilizia comune. Con la costruzione di scuole prefabbricate si sperimentano unità didattiche diversamente organizzabili con la continuità spaziale dei percorsi e delle aree dei servizi (palestre, auditorium..).
Nel 1970 inoltre si stabiliscono le nuove Norme Tecniche per l’edilizia scolastica. Ogni edificio scolastico deve essere concepito come un “organismo architettonico
omogeneo e non come una semplice addizione di elementi spaziali, contribuendo così allo sviluppo della sensibilità dell’allievo e diventando esso stesso strumento di comunicazione e quindi di conoscenza per chi lo usa” . La disposizione, la forma, le dimensioni e le interazioni degli spazi scolastici vanno concepiti in funzione dell’età degli alunni e delle unità pedagogiche determinate dai tipi di insegnamento e dai metodi pedagogici. Si abbandona il “parametro classe” e si acquisisce una definizione più complessa ed articolata del "posto alunno". Col successivo regolamento del 1975 si pone una particolare attenzione anche al percorso che l’alunno deve fare per raggiungere la scuola e si consiglia di disporre di edifici che contengano sia la scuola materna che quella elementare per una migliore continuità pedagogica. Per la prima volta si inizia a parlare della flessibilità dell’organismo scolastico e dell’elasticità degli spazi per accogliere varie attività anche extra-scolastiche.
In un momento di forte crescita demografica, lo studio da parte dell'industria delle costruzioni di nuovi sistemi costruttivi prefabbricati risolve in breve tempo la forte richiesta di nuove scuole, approfondisce i temi della flessibilità con l'aula modificabile e delle unità didattiche accorpabili, e nello stesso tempo tende alla qualità diffusa su tutto il territorio. Si diffondono così, nei diversi quartieri della città, edifici scolastici simili localizzati al centro dei lotti disponibili. Ma se lo spazio interno è un’attenta sequenza percettiva; spazi variati di diverse altimetrie con una configurazione non predefinita in grado di rispondere a molteplici esigenze e di sollecitare nuove forme di insegnamento, l’esterno nega la sua valenza urbana, calato sempre uguale all’interno delle diverse realtà di quartiere per cui la costruzione rappresenta al più una pausa nella fitta edificazione residenziale. Tenendo presente che l’ambiente ha la capacità di stimolare e favorire lo sviluppo del fanciullo in tutte le fasi della sua formazione, si definiscono i parametri essenziali per dare forma ai diversi spazi dei vari cicli scolastici. La forma della scuola
elementare, che si articola in unità funzionali autosufficienti unite al centro da una sala comune per lo svolgimento delle attività collettive, è data dalla diversa aggregazione delle unità e il loro rapporto con gli spazi comuni oltre che con l’esterno. Estrema attenzione è rivolta all’illuminazione e alla diversa altezza degli ambienti come elementi atti a diversificare i vari spazi senza separarli anche attraverso l’inserimento di pareti mobili che consentono una diversa configurazione dello spazio, secondo le diverse necessità. Per la scuola media l’impostazione preferibile
è quella che assicura un’ampia
relazione tra le parti in cui si sviluppano le diverse attività: le aule, i laboratori e gli spazi comuni che devono costituire un tutto fluido e legato, per cui gli ambienti si fondono dinamicamente integrandosi tra loro e con gli spazi esterni. Queste norme, elaborate dal Centro Studi, stabiliscono ancora oggi i principi di base a cui si rifanno le scuole
contemporanee e rappresentano
l’eredità del Centro Studi insieme alle ricerche, al confronto internazionale ed alle sperimentazioni effettuate in
materia di edilizia scolastica.
L’opera Gino Valle (1923-2003) nell’ambito della edilizia scolastica prefabbricata si inserisce durante la ricostruzione post-terremoto in Friuli Venezia Giulia: si tratta di un prototipo di una scuola elementare, progettata in funzione della prefabbricazione e della ripetitività, data l’esigenza di una realizzazione rapida e con costi contenuti. La nuova struttura scolastica si basa su una struttura modulare a maglia rettangolare che si sviluppa longitudinalmente in una sequenza flessibile di contenitori per attività omogenee (corpo didattico, corpo palestra, corpo mensa e centrale termica). Il vano centrale dell’edificio è a doppia altezza, assumendo così la funzione di luogo d’incontro, spazio per interagire e per dare la possibilità ai bambini di avere diversi punti di vista della scuola e di poter vedere dall’alto il centro della scuola.
Aldo Rossi (1931-1997) a partire dagli anni Settanta, presenta diversi progetti di scuole in cui è evidente una rilettura del "monumentalismo", con disegni che ne riprendono il rigore tipologico e ne rievocano la forza. Rossi critica le scuole che propongono modelli d’uso che condizionano l’autonomia dell’esperienza scolastica del bambino: le scuole realizzate da Aldo Rossi in questo periodo diventeranno vere e proprie icone dell’architettura italiana.
Scuola elementare a Fagnano Olona (Varese) 1972-1976 Aldo Rossi. Plastico e tavola di progetto
Nella scuola elementare di Fagnano Olona si riscontrano gli elementi che portano alla nuova progettazione degli edifici scolastici:
● organizzazione delle aule attorno a una piazza centrale; ● flessibilità delle aule dotate di setti mobili;
● ampi spazi esterni per attività collettive.
Fino a questo momento i dibattiti sull’edilizia scolastica si erano sviluppati in modo del tutto lineare, mentre ora si frammentano: nonostante la produzione edilizia del settore sia fatta da numerosi esempi di qualità, essi risultano essere assolutamente dissimili tra loro. A partire dagli anni sessanta fino ai giorni nostri, la figura dell’architetto Günter Behnisch (1922-2010) è stata estremamente significativa per lo sviluppo dell’architettura scolastica tedesca e di riflesso internazionale. Il suo linguaggio, inizialmente centrata sulla prefabbricazione, trova applicazione in numerose scuole.
Behnisch & Partner, School of Engineering, Ulm, 1963
Behnisch & Partner, High School Auf dem Schaefersfeld Lorch, 1973
In Italia purtroppo a parte casi isolati, negli anni ’50, ’60 e ’70, accanto a una frenetica ricerca pedagogica e culturale e a un fermento di rinnovamento architettonico, non si sviluppano fatti costruttivi coerenti. Sul finire degli anni Settanta il tema dell’edilizia scolastica è orientato per lo più verso la semplice manutenzione e accompagnato da una seconda ondata di prefabbricazione che risulta molto diversa dalla precedente: si pone l’accento sui virtuosismi morfologici raggiungibili attraverso l’innovazione della tecnica.
Contemporaneamente, con la crisi petrolifera degli anni Settanta (1973) prendono il via diverse esperienze nel campo della ricerca delle fonti energetiche alternative, e in particolar modo alcuni interessanti studi sulla sperimentazione dell’energia solare promossi dal Centro Studi per l’Edilizia Scolastica. I vantaggi del processo di prefabbricazione e le tecnologie costruttive economiche e rapide furono presto dimenticate per una fase di sperimentazione, per lo più incentrata sulla memoria storica come elemento conduttore del progetto, che apre una terza fase a partire dai primi anni Ottanta. Negli anni Novanta subentra un progressivo disinteresse sul tema dell’edilizia scolastica, e come conseguenza non sono state prodotte particolari innovazioni rispetto a quanto già sperimentato negli anni passati.
Un’indagine del MIUR (2001-2002), che ha coinvolto l’89,9% delle scuole italiane, ha offerto dati poco confortanti su problemi quali l’agibilità statica, la prevenzione degli incendi, la conformità a norma degli impianti elettrici. Malgrado questa tendenza negativa, negli ultimi anni l’attenzione ha iniziato a concentrandosi sull’adozione di tecniche e tecnologie di progettazione finalizzate al controllo bioclimatico degli ambienti scolastici: la letteratura specializzata e gli esiti dei concorsi dimostrano una sempre più crescente abitudine alla progettazione orientata verso l’inserimento di soluzioni di risparmio energetico e di risorse.
Da tutto questo si sono delineate due diverse tendenze:
1. la prima, che riprende e continua la tradizione degli anni Ottanta e Novanta, che riguarda la progettazione di edifici in cui si sperimentano le nuove
tecnologie, cubici compatti che, a prescindere dalla loro rigida soluzione di pianta, offrono un’ampia molteplicità di relazioni spaziali, con pochi spazi qualificanti ma perlopiù "neutrali" e un uso più razionale delle risorse energetiche.
2. La seconda, l’urgente riorganizzazione e recupero degli edifici scolastici esistenti, gran parte dei quali edificati nel secondo dopoguerra (1965), riprogettando gli spazi per ottenere ambienti adeguati per l’esplicazione delle attività formative e la loro riqualificazione attraverso interventi che tengano conto contemporaneamente di aspetti funzionali, distributivi, strutturali, ambientali, architettonici e tecnologici.
Massimo e Gabriella Carmassi, Complesso scolastico in piazza Garibaldi, Trevi (PG), 2008
Tra gli esempi italiani del decennio scorso possiamo ricordare le importanti lezioni dell’architetto Massimo Carmassi, che in Italia ha fatto una vera e propria teoria dell’edificio scolastico, sia insegnando a tener conto delle sue caratteristiche
peculiari, legate allo speciale profilo di utenza cui è destinato, sia spingendo a valorizzarne la valenza simbolica, la vocazione di edificio pubblico destinato a durare nel tempo e ad assumere un ruolo nei confronti del contesto urbano.
In conclusione queste tre fasi dal secondo dopoguerra mostrano un notevole sviluppo sul tema dell’edilizia scolastica investito dalle nevralgiche questioni sull’architettura civile, quali il rapporto con il luogo, i caratteri distributivi e l’indagine tipologica.
Accanto al dibattito puramente architettonico si affianca la discussione sui programmi istituzionali di intervento e le modalità operative, sollevando questioni più ricche e complesse, integrate con le tematiche didattiche e pedagogiche. Da tutto questo ne derivano progetti di nuovi edifici scolastici esclusivamente dettati dagli standard istituzionali, che risultano spesso essere inadeguati ai cambiamenti della società, come il numero e caratteristiche dimensionali, e dalle scarse risorse finanziarie. Ma nonostante ciò emergono realizzazioni singolari, che a fronte dei vincoli normativi ed economici, apportano nuove riflessioni sul linguaggio formale e distributivo della scuola.
2. Le #scuoleinnovative e gli Spazi educativi “1+4”
L’ambiente fisico influenza l’apprendimento. Dove apprendiamo, che cosa apprendiamo e come apprendiamo sono tutti elementi correlati. Il rapporto tra soluzioni architettoniche e apprendimento è un elemento decisivo. Gli spazi e le funzioni sono interconnessi e l’architettura soddisfa le esigenze funzionali. Tuttavia, un edificio di per sé non influenza direttamente l’apprendimento. Gli effetti si ripercuotono indirettamente, attraverso altri fattori come la possibilità funzionale, l’ambiente sociale e l’ambiente psicologico. In parte condiziona le modalità in cui si possono organizzare la didattica e l’apprendimento, influenza le relazioni sociali e l’interazione, il clima e le opportunità delle persone che lo occupano di esprimersi e realizzarsi – così come incide sulla salute e la sicurezza. Possiamo affermare: benessere, quindi apprendimento. Benessere significa poter realizzare esperienze positive nello svolgere le proprie attività all’interno dell’edificio scolastico e nel suo ambiente sociale e psicologico.
Il comportamento degli alunni è fortemente legato alle condizioni dell’ambiente di apprendimento. Inoltre, l’atteggiamento degli alunni e degli insegnanti rispetto alla scuola è condizionato anche da valutazioni estetiche. Gli esterni dell’edificio scolastico possono avere un effetto accogliente e invitante o al contrario risultare sgradevoli e indurre un atteggiamento passivo. Un ambiente anonimo e noioso è più facilmente legato a comportamenti vandalici. La qualità estetica di un edificio scolastico influisce sul benessere dei bambini. Un ambiente confortevole trasmette un messaggio di cura e attenzione.
«La classe è obsoleta» . Con queste parole l’architetto Prakash già nel 2011 evoca la necessità di un ripensamento dello spazio didattico, additando la classe organizzata in file di banchi allineati in uno spazio ristretto, come un’eredità della rivoluzione industriale.
In Italia i primi segnali di un cambiamento nel processo di riflessione sulla funzione degli spazi scolastici è stato avviato con una ricerca di tipo osservativo condotta da «Indire» nel 2012. Lo spazio scolastico come parte essenziale del setting educativo, il dialogo architettura-pedagogia, la partecipazione della comunità-scuola alla progettazione e alla strutturazione degli spazi, l’edificio scolastico come occasione educativa per la sostenibilità ambientale, sono i temi più rilevanti.
Si apre un dibattito tra decisori, operatori della scuola, studenti e genitori sui parametri di qualità attraverso i quali può passare tale progetto educativo:
● la sicurezza e l’accessibilità;
● la funzionalità e l’interazione tra attività intellettuale individuale e collettiva, curricolare ed extracurricolare e spazi fisici di riferimento;
● l’agio, la gradevolezza, la possibilità di personalizzazione e di organizzazione partecipata;
● l’integrazione dell’edificio scolastico nel tessuto ambientale e sociale circostante;
● il rispetto, sia nella fase di ideazione e costruzione sia nell’uso di determinati materiali così come nelle scelte tecnologiche, dei principi di tutela ambientale e di ecosostenibilità.
La ricerca ha poi supportato l’attività di progettazione delle Nuove linee guida per l’edilizia scolastica pubblicate dal MIUR nel 2013. Nell’attesa delle specifiche tecniche, diverse scuole si sono comunque cimentate nell’avviare percorsi di riflessione sul rapporto tra spazio e apprendimento e hanno cominciato ad esplorare nuove modalità di uso dello spazio nonostante i limiti strutturali dovuti all’impossibilità di cambiare in maniera incisiva gli spazi della scuola.
Nelle Linee Guida sono descritti 1+4 Spazi educativi paradigmatici identificati come modelli significativi di ambienti di apprendimento, basati su una logica di tipo «prestazionale», non più «prescrittiva» come era lo stile degli spazi descritti nel DM del ‘75, che li rende versatili rispetto agli obiettivi di apprendimento purché si
utilizzino arredi mobili, confortevoli, in grado di supportare attività didattiche differenziate, spesso accompagnate dall’utilizzo di tecnologie digitali in rete:
“1” Spazio Classe: rappresenta l’ambiente di apprendimento polifunzionale del gruppo-classe, l’evoluzione dell’aula tradizionale che si apre alla scuola e al mondo. Un ambiente a spazi flessibili in continuità con gli altri ambienti della scuola dove le parole chiave sono: condividere, discutere, collaborare.
“4” gli spazi complementari e non più subordinati agli ambienti della didattica quotidiana. Questi sono:
● L’agorà: spazio in cui condividere eventi o presentazioni in modalità
plenaria. Sono molte le attività che possono essere svolte in questo
ambiente: gli alunni possono presentare i loro lavori ad altri alunni,
docenti e genitori;si possono creare occasioni di condivisione con
esperti esterni o altri soggetti in grado di fornire un contributo su temi
specifici di approfondimento.
● Lo spazio informale: dove potersi rilassare, socializzare, studiare, leggere o ripassare. Questo è lo “spazio per la pausa”, l’ambiente dedicato ad attività non strutturate, senza orari, che possono avere
luogo in punti diversi. È il luogo per l’apprendimento informale, non
intenzionale e privo di obiettivi in termini di risultati. L’ambiente è
concepito per favorire la condivisione delle informazioni con gli altri e
per stimolare lo sviluppo delle capacità comunicative. Le attività che gli
studenti svolgono in questo spazio durante le proprie pause non
possono essere definite in maniera preventiva: insieme al gioco e ad
altre attività che prevedono interazione, ci possono essere occasioni
in cui gli studenti vogliono semplicemente stare da soli per distrarsi,
riposarsi, riflettere, leggere o usare dispositivi elettronici. Questo
spazio può essere vissuto in una moltitudine di modalità: ci si può
distendere a leggere un libro, anche non inerente a materie
video su un tablet, rilassarsi esplorando gli spazi esterni. Lo studente in questo spazio può avere un’interazione informale con altre persone
su argomenti scolastici e non, può partecipare a giochi di gruppo, può
osservare le attività svolte dagli altri. Questo spazio deve offrire sedute
confortevoli e arredi soffici (divani, poltrone, cuscini, tappeti, pouf,
ecc.) poiché molte delle attività che questa tipologia di ambiente deve
accogliere sono statiche. Ma, come detto in precedenza, le attività che
definiamo comunemente come “pausa” sono piuttosto complesse e
difficilmente prevedibili: l'area deve quindi offrire una serie di
opportunità diverse e offrire accoglienza sia in ambito interno che in
ambito esterno alla scuola (con giardini, playground, ecc).
● Lo spazio individuale: dove dedicarsi all’apprendimento con i propri ritmi ed attitudini, fare ricerche, riflettere, confrontarsi in modo individuale con i docenti e consultare strumenti cartacei e digitali.
Questo è l’ambiente in cui lo studente sviluppa un personale percorso
di apprendimento in sintonia con i propri tempi e ritmi, con le proprie
attitudini e propensioni. Nello spazio individuale impara ad acquisire
autonomia e ad assumere la responsabilità del suo iter di crescita,
destinato a proseguire per tutto l’arco della vita. Lo spazio si configura
come un “ambiente di apprendimento personale” che ruota intorno alle
specificità cognitive e culturali individuali e che si apre agli
apprendimenti esterni al sistema-scuola (compresi quelli maturati in
modo non intenzionale) come ad esempio l'apprendimento informale,
quello motivato da interessi personali, quello maturato in famiglia.
Nello spazio individuale lo studente organizza autonomamente il
proprio tempo e il proprio apprendimento utilizzando gli spazi e gli
strumenti a disposizione. Lo spazio individuale non è soltanto spazio
fisico, ma anche virtuale, poiché si estende online grazie alle
tecnologie digitali e alla connettività diffusa alla Rete. Per lo studente è
una “casa nella scuola” a lui riservata, uno spazio in cui può studiare,
lavorare, organizzare le proprie attività, riordinare le idee utilizzando
uno smartphone o un tablet oppure utilizzare in maniera individuale la
dotazione tecnologica messa a disposizione dalla scuola. Nello spazio
individuale lo studente può riflettere sulle informazioni ricevute,
approfondire e rinforzare il bagaglio di conoscenze acquisite tramite
analisi e ricerche che svolge in autonomia col supporto di strumenti
cartacei e contenuti digitali; può avere un confronto informale con i
propri docenti e tutor di riferimento oppure fruire, ad esempio, delle
risorse online condivise dalla scuola per il recupero del debito
scolastico.
● L’area per l’esplorazione: uno spazio dove lo studente sviluppa un approccio laboratoriale confrontandosi con l’esperienza attraverso strumenti specifici, per osservare, raccogliere i dati, analizzare, sperimentare, manipolare ed elaborare.
Questo è uno spazio “altro” rispetto all'aula, caratterizzato da strumentalità specialistica legata alle differenti discipline. Qui siamo nello "spazio del fare", un luogo pensato per favorire una metodologia
didattica centrata sull’operatività e sull'imparare facendo. Il docente
diviene una sorta di "mediatore della conoscenza" che opera in un
ambiente in cui gli studenti, simultaneamente o in piccoli gruppi,
apprendono grazie al coinvolgimento attivo, all'attività di
investigazione, all'esplorazione, all'ideazione e alla realizzazione di
prodotti. Gli studenti in questo ambiente sviluppano competenze per
esaminare problemi complessi e per risolvere situazioni
problematiche, si imbattono in occasioni per esercitarsi a progettare e
mettere in atto una gamma differenziata di strategie di intervento,
hanno l’opportunità di osservare fenomeni reali con strumenti dedicati,
sperimentazioni. Uno spazio così concepito richiede una
configurazione nella quale lo studente possa immergersi in autonomia
- anche utilizzando applicazioni disponibili in Rete - in situazioni e
contesti reali pensati per consolidare le conoscenze e competenze
acquisite. Poiché i compiti, i prodotti e le modalità organizzative
variano in maniera significativa in funzione delle diverse discipline e
degli obiettivi curricolari, è necessario che lo spazio fisico della classe
collaborativa sia predisposto ad avere un assetto facilmente
modificabile, in grado di accogliere di volta in volta le attrezzature e gli
strumenti che creano i differenti contesti di esperienza.
Un prototipo dinamico e interattivo di questa scuola innovativa è stato presentato da
INDIRE durante il salone dell'educazione, dell'orientamento e del lavoro che si è
svolto dal 14 al 16 Novembre del 2012. L’area espositiva: “Quando lo spazio
insegna: ripensare lo spazio e le dotazioni per la scuola del nuovo millennio”
ha dato la possibilità ai visitatori di assistere a vere e proprie lezioni nei cinque
ambienti realizzati in accordo con modelli di didattica sperimentati a livello europeo,
con differenti strumentazioni, nell’ottica di un ripensamento modulare,
riconfigurabile, per rispondere a contesti educativi in continua evoluzione. Per tre
giorni, docenti e studenti della scuola italiana hanno vissuto le proprie lezioni in
spazi e arredi insoliti (di esplorazione, individuale, informale, la classe e l’agorà) con
tecnologie studiate per supportare nuove metodologie d’insegnamento proprie della
scuola digitale. L’obiettivo di questa ricerca è quello di avviare un processo di
cambiamento ad un livello intermedio prima di arrivare a costruire scuole senza classi o con spazi così poco connotati da renderli modificabili a semplice richiesta degli utenti, studenti e docenti, come si può già trovare all’estero, alcuni di questi esempi sono l’Ørestad Gymnasium in Danimarca e l’Hellerup school a Copenaghen.