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Antonio Calderara 1. STORIA DEL TERRITORIO 1.1. Pietrasanta e la Versilia storica

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Academic year: 2021

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“L’arte è il dono di un uomo agli uomini”

Antonio Calderara

1. STORIA DEL TERRITORIO

1.1. Pietrasanta e la Versilia storica

La definizione geografica di Versilia è tutt’oggi ancora molto discussa. Nella sua accezione più ampia i suoi confini sono riconosciuti ad est dalle Alpi Apuane e ad ovest dal mar Ligure, mentre a nord il confine è dato dall’antico bacino del lago di Porta e a sud dalla città di Viareggio. Tuttavia, se si parla di Versilia storica, il territorio risulta meno esteso e limitato geograficamente ai comuni di Pietrasanta, Seravezza, Stazzema e Forte dei Marmi, ovvero le città bagnate dal fiume Versilia, appunto, che ha origine dalla confluenza dei due torrenti Serra e Vezza.

Il termine “Vesidia” è utilizzato per definire questa parte del litorale toscano già nel I secolo d. C., nell’Itinerarium Provinciarum Antoninum.

Il fascino di questa lingua di terra è dato dal suo estremo, delicato equilibrio con la montagna, la collina e il mare e queste sono alcune delle ragioni che hanno fatto di questa zona un punto di passaggio fin dal Paleolitico superiore e di vera e propria dimora stanziale dal Neolitico. Infatti il territorio si presenta anche ricco di metalli e l'attività di estrazione è portata avanti dagli Etruschi prima e dai Romani poi, che nel II secolo a. C. colonizzano la zona occupata dai Liguri Apuani. Come tramandato dallo storico Livio, per mettere fine alla fiera resistenza opposta dagli indigeni, nel 180 a. C. i Romani decisero per una loro deportazione di massa nel Sannio: 40mila uomini con donne e figli. L’anno seguente, per volere del console Fulvio, ci fu un ulteriore esodo forzato di 7mila uomini.1

All’epoca la palude era estesa dal fiume Serchio fino a Montignoso, delimitata verso il mare da una fascia sabbiosa di tomboli, interrotta da zone coperte da una fitta macchia mediterranea. I Romani cominciarono allora importanti lavori di bonifica e si insediarono ai piedi delle colline, dove lasciarono la loro forte impronta inscrivendo e ristrutturando il territorio nelle linee di centuriazione, spesso a prescindere da situazioni idrografiche e di viabilità preesistenti: queste terre furono ripartite e affidate ai veterani che avevano

1Cfr. pag. 8, “Pietrasanta: provincia di Lucca”, monografia, pubblicata nella collana Quaderni della Regione Toscana. La Toscana

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combattuto a fianco dei triumviri e le tracce di questa suddivisione sono quelle che si possono riscontrare con maggiore evidenza nel territorio versiliese.2

Successivamente i Longobardi dettero vita ad un nuovo assetto fondiario, espropriando le antiche proprietà terriere di origine romana (fundi) e creandone di nuove (che chiamarono massae) nei pressi delle antiche chiese paleocristiane.

Fra i beneficiari della nuova ripartizione del territorio prevalse il casato dei Fraolmi che in documenti dell’VIII secolo risultano titolari di beni nella piana di Lucca e in Versilia.3

Col tempo la loro posizione si rafforzò fino a diventare veri feudatari col titolo di visconti di Corvaia. Sotto il loro dominio dotarono la zona di castelli, fortilizi e rocche, fra cui quella di Sala.

Nei successivi secoli, nello scontro fra la ghibellina Pisa e la guelfa Lucca, per difendere i privilegi acquisiti, i feudatari versiliesi si divisero nel sostegno all’una o all’altra città. Per tenere i Lucchesi lontani dalla Versilia, nel 1116 Enrico V stabilì che, per le concessioni ottenute dall’Impero, il Comune di Lucca aveva come confine territoriale la località di Motrone; nel 1131 la decisione fu confermata da Lotario II. Con diploma del 6 marzo 1185, Federico I il Barbarossa emancipò i signori della Versilia dalla giurisdizione di qualsiasi città e nel 1209 Ottone IV ordinò ai Lucchesi di liberarli da ogni obbligazione e promessa verso di loro4. Ma nei successivi decenni Lucca lentamente prevalse sul

partito ghibellino, fino ad espugnare i castelli di Corvaia e Vallecchia nel 1254. Nello stesso anno il Consiglio di Lucca deliberò la messa al bando e la confisca dei beni dei nobili versiliesi. A Pisa restavano Sala e Motrone, dove dalla metà del XII secolo esisteva un approdo fortificato conteso da Lucca, Pisa e Genova.

L’anno seguente podestà della Repubblica di Lucca fu il nobile milanese Guiscardo da Pietrasanta, che scacciò i Pisani dai luoghi ancora occupati e raccolse gli abitanti della zona in due centri: uno fu Camaiore, l’altro, sorto ai piedi dell’antico borgo di Sala, sovrastato dalla sua rocca, prese il nome dal suo fondatore. L’istituzione dei due Comuni mise fine alla lotta contro i Fraolmi per il possesso di questo territorio molto importante sia dal punto di vista strategico che economico, per il controllo della via di comunicazione litoranea, per le sue risorse agricole (fra cui l’olio di oliva, l’allevamento del baco da seta, la lana) e minerarie (fiorente l’industria metallurgica, grazie all’attività

2Cfr. pag. 9, “Pietrasanta”, Toscana, 11, pubblicato in Atlante storico delle città italiane, collana diretta da Francesca Bocchi ed Enrico Guidoni, Bonsignori Editore/Regione Toscana, Roma/Firenze, 2003

3Cfr. pag. 11, DANILO ORLANDI, “Pietrasanta - la storia, i monumenti, gli artigiani”, Edizioni Monte Altissimo, fotografie di Erio Forli e Michela Cancogni, Pietrasanta, 2001.

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delle ferriere collocate lungo il tratto montano del fiume Versilia, dove si lavorava il materiale estratto dalle miniere locali e quello proveniente dagli altri bacini minerari della Toscana) e per il possesso del porto di Motrone, approdo importante sia come punto di interconnessione dei traffici marittimi, sia come scalo di merci per l’entroterra toscano. Nel 1308 Lucca, consapevole che la Versilia costituiva un’entità demografica ed economica ben distinta, organizzò Pietrasanta e il territorio circostante in una propria vicaria, distinta da quella di Camaiore, più a sud, il cui confine naturale andava da Motrone, dove allora sfociava il fiume Versilia, al Monte Gabberi.

Durante la signoria di Castruccio Castracani, dal 1316 al 1328, la città fu dotata di un valido sistema di mura, corredate dall’edificazione di due rocche: quella superiore, sul sito dell’abitato di Sala, detta “Ghibellina” per la fedeltà all’imperatore, e quella urbana, in prossimità della Porta Pisana, dedicata al figlio Arrigo. Ancora oggi sono ancora visibili alcuni resti della cinta muraria.

Nel 1430 Lucca cedette parzialmente l’amministrazione di Pietrasanta a Genova, a garanzia di un prestito di denaro fatto dalla repubblica ligure per continuare una guerra contro Firenze. Dopo sette anni i Genovesi ebbero il pieno possesso di Pietrasanta, che durò fino al 1484, quando il comune passò sotto il controllo di Firenze.

Durante tutto il Medio Evo i lavori di bonifica furono davvero sporadici e ripresero solo nel 1488, ma la malaria continuò a imperversare per altri tre secoli. Nello stesso anno, vista la preponderanza dell’attività metallurgica sulle altre, per gestirla al meglio il Granducato istituì un ente paragovernativo, la Società della Magona, che ne guidò le sorti fino alla prima metà del XIX secolo.

Il dominio della repubblica toscana non durò molto; già nel 1494, con la calata in Italia di Carlo VIII di Francia, Firenze perse la città, in seguito contesa fra gli stessi Fiorentini e i Lucchesi. Nel 1513 Papa Leone X de’ Medici la assegnò definitivamente con un lodo ai primi. Due anni dopo i Fiorentini chiesero alle comunità locali la donazione degli agri marmiferi di Monte Altissimo, della Cappella, di Trambiserra e della Ceragiola.

Durante il XVI secolo, nonostante l’alternarsi di guerre e febbri malariche, fu migliorato il decoro del centro urbano, furono costruiti il campanile e la torre civica dell’orologio e si riorganizzarono il servizio medico e la pubblica istruzione. Nel 1545, sotto il regno di Cosimo I de’ Medici, fu modificato l’ordinamento politico-amministrativo del circondario e Pietrasanta divenne sede di un Capitanato. Nel 1559 cominciarono i lavori per la deviazione del corso del fiume Versilia verso nord-ovest.

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XIII e il XIV secolo) e di altre chiese versiliesi, la Granduchessa Maria Cristina, vedova di Ferdinando I de’ Medici, si prese cura di proseguire l’opera di bonifica.

Fino alla metà del XIX secolo Pietrasanta rimase territorio staccato dello Stato fiorentino, sotto il Granducato di Toscana dei Medici prima e dei Lorena poi, succeduti alla nobile famiglia fiorentina la cui dinastia si estinse nel 1737, anno della morte di Gian Gastone.

Nel 1741 furono finalmente ripresi i lavori di bonifica per porre fine al secolare problema della malaria: su progetto di Bernardino Zendrini si costruirono delle “cateratte a bilico” e si procedette al disboscamento della macchia esistente. Nel 1784, per agevolare la colonizzazione e la conseguente costruzione di nuclei abitativi, il granduca Leopoldo I decise di ricorrere a sgravi fiscali, ma le operazioni di risanamento ottennero qualche risultato significativo solo agli inizi del XIX secolo, quando cominciò l’assegnazione delle terre con vendite all’incanto e con contratti di enfiteusi, cioè locazione pluriennale o perpetua con l’obbligo di migliorare il fondo.

Nell’ambito della revisione statale delle comunicazioni, nel 1783 l’Ingegnere dei Fossi Mazzoni venne incaricato di rilevare tutte le strade del Capitanato; otto anni dopo fu affidata sempre a lui la redazione di un catasto geometrico particellare. Concluso nel 1795, il manoscritto, composto di 3642 pagine, risulta essere un documento dettagliatissimo della situazione immobiliare dell’epoca.

In seguito alla Restaurazione, in Toscana fu redatto il Catasto Leopoldino – Ferdinandeo, che, rispetto al precedente, risulta più indeterminato per quanto riguarda la destinazione di un immobile ad abitazione privata o in affitto; ciò è dovuto al timore dei grandi proprietari che una reale quantificazione dei beni avrebbe comportato una maggiore richiesta fiscale5.

5 Cfr. pag. 14, “Pietrasanta”, Toscana, cit.

Figura 2: monumento di Pietro Leopoldo II, Granduca di Toscana, in Piazza Duomo a Pietrasanta

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Nel 1841 il granduca Leopoldo II proclamò Pietrasanta “Città nobile per il rango assunto, la sua antichità, la signorilità degli edifici, l’importanza delle istituzioni, nonché per la dimora di tante famiglie nobili e facoltose”6.

Sotto il regime dei Lorena il territorio versiliese fu amministrato direttamente dal circondario di Pisa fino al 1847, quando, inglobata Lucca, questa fu ordinata provincia e Pietrasanta passò sotto il suo controllo e così è rimasto fino ad oggi.

Il primo treno arrivò alla stazione di Pietrasanta il 1 febbraio 1861 e la lavorazione del marmo trasse un enorme beneficio dall’arrivo della ferrovia per quanto riguarda il risparmio del trasporto: a ridosso delle mura vennero costruiti i laboratori, fra i quali uno dei più rinomati fu quello di Ferdinando Palla, sulla Piazza della Rocchetta, tutt’oggi attivo grazie ai suoi discendenti. La Porta Pisana, luogo dove venivano scaricati i blocchi da lavorare, diventò fulcro di un nuovo spazio urbano, mentre le porte lucchese e massetana furono demolite poiché ritenute ormai una barriera alla fusione della vecchia città con le nuove costruzioni.

Figura 3: immagine del Catasto leopoldino del 1825; in blu è evidenziato il centro di Pietrasanta

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L’opera di bonifica può dirsi conclusa solo intorno al primo dopoguerra, quando furono messi a coltura migliaia di ettari di palude. A ricordo di questa lunga impresa per la conquista di terra fertile rimangono i venti chilometri quadrati del lago di Massaciuccoli, caro a Puccini.

Fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento l’intera fascia litoranea visse un’importante fase di sviluppo economico e urbano, al punto che la frazione di Forte dei Marmi nel 1914 riuscì a costituirsi come comune autonomo.

Nel 1922 venne promulgata la legge sulla tutela del paesaggio, mentre per controllare l’espansione della Marina fu approvato un apposito piano regolatore.

Durante la Seconda Guerra Mondiale la particolare posizione geografica della Versilia fece sì che questo lembo di terra fosse nuovamente al centro della storia: nel 1943 i Tedeschi, che temevano lo sbarco alleato, disposero reticolati, bombe e casematte sulla battigia; Pietrasanta fu liberata il 19 settembre dell’anno seguente.

Nel dopoguerra, in località Focette, fu inaugurata la Bussola, un locale che si proponeva meno esclusivo ed in alternativa alla Capannina di Forte dei Marmi.

Il trend positivo dell’economia versiliese in quegli anni è confermato anche dal censimento del 1961. All’ammodernamento dell’educazione scolastica seguì quello degli edifici per l’istruzione: fra gli interventi, si stabilì che la scuola d’arte venisse collocata lungo la strada per Vallecchia, dove si trova tutt’oggi.

1.2. La Piccola Atene: il marmo e l’artigianato artistico nella storia della

città

Molti sono i documenti che testimoniano lo sfruttamento di alcune cave nei bacini marmiferi delle Alpi Apuane da parte dei Romani fin dal II secolo a. C. Vi erano impiegati un gran numero di schiavi, guidati e liberti e la tecnica di escavazione adottata sarebbe rimasta la stessa fino al ‘500: questa consisteva nel fendere i blocchi avvalendosi delle sottili fessure naturali che frammentano gli strati rocciosi, per poi incidere la pietra con scalpelli e successivamente introdurvi dei cunei di legno che, una volta bagnati, si gonfiavano producendo la frattura. I marmi estratti erano poi imbarcati al porto di Luni, da dove partivano per Roma, dove venivano impiegati in monumentali costruzioni architettoniche.

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versiliese ha conosciuto un periodo di decadenza, in particolare proprio nel settore dell’attività marmifera. Ma una valida testimonianza dell’amalgama fra arte e artigianato durante il Medio Evo sono le pievi romaniche e gli altri edifici di culto, sparsi sull’intero territorio da Seravezza a Viareggio lungo antichi tracciati come la via Aurelia – Emilia e la via Francigena. A Pietrasanta vanno citate la pieve di San Giovanni e Santa Felicita in località Valdicastello e quella di Santo Stefano a Vallecchia.

Dal ‘200 in poi, fra alti e bassi, si assiste ad un movimento utile per artisti e architetti: alle cave giungono maestri pisani (Nicola e Giovanni Pisano), lucchesi (Lorenzo e Stagio Stagi), senesi e lombardi. Nel XIV secolo scalpellini locali furono chiamati a lavorare nel duomo di Lucca e in quello di Pisa, dando inizio ad un proficuo scambio culturale e professionale che portò i suoi frutti già alla fine del secolo, quando emerse il talento dei fratelli Bonuccio e Antonio Pardini, quest’ultimo nominato archimagister (soprintendente) del duomo di Lucca dal 1395 al 1419. Sono gli anni in cui Pietrasanta si arricchì di notevoli opere di architettura, scultura e pittura, fra cui il Duomo di San Martino e la chiesa di Sant’Agostino; la statua dell’Annunziata, il San Giovanni sopra la porta del transetto del Duomo e il fonte battesimale del Pardini; le tavole della Madonna dei Giusdicenti, l’affresco della Madonna con San Giovanni e un santo vescovo e la tavola della Madonna di San Martino, terminata nel terzo decennio del XV secolo e nota dal ‘600 come Madonna del Sole.

Il ‘400 vide affermarsi nell’arte della lavorazione del marmo la stirpe dei Riccomanni, chiamati a lavorare a Roma, Napoli e Sarzana, mentre nei due secoli successivi emersero gli Stagi: Lorenzo, Stagio (attivo anche nel Duomo di Pisa nella prima metà del ‘500), Giuseppe e Giovanni Battista.

Ma l’impulso decisivo allo sfruttamento delle cave venne dato solo due secoli più tardi dai fiorentini, in particolare da Michelangelo Buonarroti.

Quest'ultimo soggiornò a varie riprese a Pietrasanta e in Versilia fra il 1516 e il 1520. Del soggiorno dell'artista ne riporta brevi cenni Giorgio Vasari. Intorno alla metà del XVI secolo alcuni blocchi di marmo bianco statuario si trovavano ancora “alla marina” inutilizzati e alcuni esemplari di questo marmo, già abbozzati (una colonna e altri pezzi architettonici) vicino alla porta della basilica di San Lorenzo a Firenze, cui erano destinati. Una volta rescisso unilateralmente da papa Leone X il contratto per la sistemazione della facciata, il progetto fu abbandonato e i pezzi di cui sopra interrati lungo il fianco sinistro della chiesa.

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Figura 4: la targa in Piazza Duomo che ricorda la presenza di Michelangelo a Pietrasanta

Prima di giungere a Pietrasanta, l'autore della Cappella Sistina ha visitato spesso, fin dal 1505, il territorio carrarese, per l'acquisto di partite di marmo; ma, come si ricava da alcune lettere e ricordi dello scultore, nel 1518 fu indotto a rivolgersi, per nuove forniture, a una cava scoperta di recente nel monte Altissimo. In apparenza, la controversia riguardava la qualità dei marmi, ma nei fatti Leone X, appartenente alla famiglia de’ Medici, fu probabilmente spinto da semplici valutazioni di interesse, visto che il capitanato di Pietrasanta all'epoca rientrava nei domini dello stato fiorentino e forse dal sospetto che la particolare confidenza di Michelangelo con i Malaspina di Fosdinovo, signori di Carrara, giustificasse in parte le resistenze dell'artista. In seguito, egli stesso confessò che la scelta era da valutare positivamente e rimase così incantato dall’aspra bellezza di queste montagne, tanto da voler scolpire sul monte Altissimo “un colosso che da lungi apparisse ai naviganti”7. La sistemazione della strada utilizzata per

il trasporto dei marmi, già iniziata da Michelangelo, fu poi continuata per ordine di Cosimo de' Medici. Il Vasari afferma che l'artista scoprì un'altra cava “eccellente per marmi”.

L’estrazione del marmo aumenta e lo stato fiorentino si libera così dalla dipendenza da Carrara: le facciate e gli interni delle ville e delle chiese fiorentine, pisane e livornesi di quegli anni sono rivestite di marmi provenienti dalla Versilia8. Fu così che nel corso del

'500 il comprensorio pietrasantino assunse rilevanza economica e artistica sempre maggiore. Oltre al Buonarroti e a Donato Benti – che curò, per conto del primo, il trasporto dei marmi dalle cave di Seravezza – vi soggiornarono il Giambologna, il

7Cfr. pag. 7, “Pietrasanta: provincia di Lucca”, cit. 8Cfr. pag. 12, “Pietrasanta”, Toscana, cit.

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9 Vasari, l'Ammannati.

Nel 1613 la granduchessa Maria Cristina emise un’ordinanza con la quale si imponeva alle comunità di Seravezza e della Cappella di provvedere, ognuna nel proprio ambito territoriale, a sistemare la strada già tracciata da Michelangelo con l'aiuto di Baccio d'Agnolo, per facilitare il trasporto dei blocchi alla marina. Ma la lenta decadenza dei Medici fu accompagnata dalla progressiva recessione dell’escavazione e della lavorazione dei marmi, che conobbero il punto più basso nel ‘700.

Le cave del Monte Altissimo furono riaperte solo dopo la caduta di Napoleone e ciò segnò la ripresa dell’industria marmifera.

Nel 1821 l’ex ufficiale napoleonico Jean Baptiste Henraux, in società col seravezzese Marco Borrini, fonda la società che ancora oggi porta il suo nome ed è una realtà ormai consolidata nel campo dell’estrazione e della lavorazione dei prodotti lapidei. Per dare l’idea del ruolo che questa società ha avuto nel ridare slancio all’imprenditoria nel settore lapideo in Versilia, basti pensare che una delle prime importanti commesse fu l’affidamento della fornitura dei marmi per la chiesa di Sant’Isacco a Leningrado.

In seguito all’espansione del commercio dei marmi, Borrini e il notabile pietrasantese Giovanni Battista Masini proposero al Governo di istituire a Pietrasanta una scuola per la lavorazione artistica del marmo. L’idea fu accolta con favore dal Granduca Leopoldo II di Lorena, che invitò il Comune ad aprire la scuola. Questa fu istituita nel 1842 e affidata alla direzione dello scultore Vincenzo Santini. Oltre all’insegnamento della scultura, vi furono quelli del disegno, dell’ornato, dell’architettura e della pittura. L’iniziativa si rivelò proficua, poiché servì a fornire a parecchi giovani una valida preparazione professionale di teorie, di esperienze tecniche e di informazioni artistiche e culturali. Ciò contribuì alla formazione di una nuova generazione di scultori, modellatori, ornatisti e disegnatori che crebbe di numero con l’andare del tempo; ma l’aumento di laboratori non è mai andata a discapito della qualità e dell’arte, tanto che ancora oggi l’abilità dei marmisti locali è riconosciuta a livello internazionale.

Inoltre, sul finire dell’ ‘800 si svilupparono altri due rami dell’artigianato artistico: la fusione in bronzo, cresciuta in modo esponenziale negli ultimi sessant’anni, e la composizione del mosaico; entrambe hanno contribuito ad aumentare ulteriormente la fama di Pietrasanta.

Il ‘900 vede gli albori artistici litoranei, che hanno un vero e proprio nucleo attivo a Forte dei Marmi, ma nel corso del secolo tutta la Versilia è visitata da artisti, poeti, giornalisti,

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10 scrittori e politici.

Se a Forte dei Marmi il punto di incontro degli artisti è il Quarto Platano, a Pietrasanta lo sono i bar di piazza Duomo, dove gli scultori di tutto il mondo si ritrovano il pomeriggio e la sera.

Dopo la seconda guerra mondiale, letterati e artisti tornarono in Versilia; gli scultori continuavano a frequentare i laboratori del marmo e ora vengono persino dall'estero. A Pietrasanta è notevole il contributo di Leone e Marcello Tommasi, scultori, pittori e disegnatori. Anche se di generazioni differenti, fra i due ci sono molte affinità: infatti Leone (1903-1965), autore di vari bassorilievi in bronzo per la Cappella della Madonna del Sole nel Duomo di San Martino a Pietrasanta e di opere in marmo per le cattedrali di Catania e Messina, ha scelto volutamente la Versilia per esprimere una psicologia indubbiamente legata all'esaltazione e alla rivisitazione del passato; il figlio Marcello invece riprende ed esalta i canoni della grande tradizione toscana.

La tradizione dell’ospitalità versiliese propizia agli artisti nasce dallo scambio tra lavoro e arte che è alla base di un umanistico concetto di civiltà. Pietrasanta che accoglie Michelangelo ne è il simbolo, ma l’autore del famoso David è stato solo il capostipite di una lunga lista di artisti che hanno visitato questo territorio, attratti dalla qualità dei marmi e dalla maestria che potevano trovare nei laboratori artigiani locali, specializzati nella lavorazione del marmo, del bronzo e del mosaico. Fra questi vale la pena ricordare Henry Moore, che sceglie sulle Apuane i marmi più adatti per le sue sculture e rimane molto affezionato alla Toscana e in particolare all'intera zona apuo-versiliese ricordata spesso nelle sue corrispondenze. E ancora: Salvador Dalì, Francesco Messina, Juan Mirò, Pietro Cascella, Folon, Giuliano Vangi, Kan Yasuda, Girolamo Ciulla. Alcuni di questi artisti, come Fernando Botero e Igor Mitoraj, hanno deciso anche di stabilirsi a Pietrasanta.

Dagli anni ’60 viene riscoperta la cultura del marmo in Versilia: gli artisti si incontrano a Parigi e a New York, ma anche a Querceta e a Pietrasanta, nei laboratori dove ferve una tale collaborazione tra artisti e artigiani da ottenere dei risultati ottimali sotto ogni punto di vista. A coronamento di questo ennesimo rinascimento dell’attività artistica, nel 1977 viene organizzata una grande mostra collettiva intitolata Scultori e artigiani in un centro storico, che ottiene un successo tale da far sì che la piazza del Duomo sia tutt’oggi sede di esposizioni personali e collettive. È in questo periodo che, grazie al suo glorioso passato e alla fervida attività dei laboratori artigiani, a Pietrasanta viene assegnato il degno soprannome di Piccola Atene.

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Nel 1982 è stato fondato il Consorzio per lo sviluppo dell'attività marmifera della Versilia (Cosmave): l'obiettivo principale della società è tutt’oggi quello di coordinare le attività delle aziende del settore e di aggiornarsi sull’andamento dei mercati e le novità tecnologiche degli strumenti, in modo da agevolare una presenza sempre più valida dell’industria marmifera versiliese nel mondo. Dieci anni dopo è nata Nuova Cosmave, società costituita con l’obiettivo principale di studiare il problema dello smaltimento e del deposito degli scarti di lavorazione nel settore marmifero ricercando possibili riusi delle cosiddette materie “prime seconde”.

Gli impegni dei due consorzi sono diretti verso lo sviluppo e la promozione delle numerose aziende aderenti sia sui mercati interni che su quelli esteri. In particolare, Cosmave ha l'obiettivo di incoraggiare la produzione, estendere l'uso dei marmi e favorire la cooperazione tra le aziende affinché il mercato possa avere i migliori materiali selezionati e la più alta qualità della produzione. Per fare questo, fra le altre cose questo consorzio negli anni scorsi ha aperto un Centro di formazione e di servizi nel Palazzo Luisi a Pietrasanta.

L’ambiente naturale del bacino del marmo in Versilia è uno dei più suggestivi e belli della penisola. Il fiume che dà il nome a questa terra scorre dalle vette delle Alpi Apuane al mar Tirreno. Fino a una ventina d’anni fa questo corso d’acqua scontava la contraddizione irrisolta tra lavoro, produzione e sfruttamento delle risorse naturali da una parte; equilibri ambientali, tutela e valorizzazione del territorio dall’altra.

Per far fronte al problema, grazie agli imprenditori del marmo è stata realizzata in località Brentino, nel comune di Massarosa, una discarica controllata ed autorizzata dove conferire i fanghi e i residui della lavorazione, e le acque del fiume non sono più inquinate e sono tornate ad essere limpide.

Negli ultimi decenni la lavorazione del marmo si è estesa ad altri materiali lapidei, i marmi provengono da tutta Italia e dal mondo (Africa, America, Russia), così come i

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graniti, esportati soprattutto per la realizzazione di grandi lavori architettonici. Quest’ultimo settore ha conosciuto un notevole sviluppo, con la produzione di opere per edifici pubblici, civili e religiosi. Altri filoni del più recente sviluppo dell'export dei materiali lapidei sono costituiti dall'arredo urbano e dalle nuove frontiere del design. Per venire incontro alle nuove esigenze di mercato provenienti dall’estero, oltre alla definizione, a livello mondiale, di nuove regole di classificazione dei materiali lapidei, è stato affrontato il problema della certificazione riguardo la affidabilità di materiali e tempi di consegna dei lavori.

Le botteghe artigiane hanno conservato memoria della loro attività costituendo delle gipsoteche private coi modelli dei lavori eseguiti negli anni e la città è stata dotata di un pubblico Museo dei Bozzetti, ospitato nel centro culturale di Sant’Agostino e nella sede distaccata degli ex magazzini della Cooperativa di Consumo in via Marconi: vi si possono trovare modelli per sculture realizzati dalla metà dell’ ‘800 sino ai giorni nostri da nomi, fra i tanti, come Henri Georges Adam, César, Pietro Cascella, Costantino Nivola, Claudio Capotondi, Isamu Nogouchi. Le opere qui conservate rappresentano un catalogo documentale dell’attività artistica e artigiana svolta a Pietrasanta da due secoli a questa parte.

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1.3. L’area dei laboratori Pierotti

Gli edifici oggetto del presente studio sono collocati su un lotto di forma quasi triangolare, determinata dall’incrocio fra la Strada Statale Aurelia a sud-ovest, la via Santini (che dà origine all'ascesa, detta "della Madonnina") a est e la via del Castagno a nord.

Non vi è dubbio che la sua collocazione e la sua forma diano al complesso un’importanza strategica per segnare l'ingresso alla città, che, anche se oramai priva di mura, necessita comunque di un elemento significativo che ne ricostituisca un limite sia pur simbolico alla sua natura urbana.

All’interno l'isolato, proprio alla stregua di una moderna cinta muraria, presenta un rapporto di chiusura verso l'esterno; infatti lo schema organizzativo attuale del lotto consta di edifici disposti lungo i tre lati, caratterizzati da limitate finestrature lungo i fronti stradali, ma aperti con vasti portali sul piazzale interno, dove sono depositate lastre e blocchi di marmi vari, provenienti da diverse parti del mondo e locali.

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Ancora oggi all'interno dei laboratori si possono osservare numerosi modelli di gesso in stato di abbandono, che fino a qualche decennio fa erano utilizzati per la realizzazione di opere in marmo.

1.3.1. Genesi del lotto

Come detto, il lotto è fortemente caratterizzato dalla forma triangolare dovuta alle tre strade che ne creano i margini: tale profilo è già presente nella redazione del catasto leopoldino del 1825.

L'area è delimitata a nord dalla strada realizzata per creare un collegamento diretto fra la via Regia, oggi via Aurelia, e la Porta Pisana delle mura della città di Pietrasanta; a est dall’odierna via Santini, che collega la via Aurelia a Porta a Lucca e ad ovest dalla via sulla quale negli anni ’20 del XX secolo furono posate le rotaie della tramvia che andava dal centro cittadino fino alla marina. In questo modo si forma l'area ex Pierotti, oggetto del nostro studio, che mantiene lo stesso perimetro che possiamo osservare ancora oggi.

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1.3.2. I laboratori

Edificazione dei laboratori

Il 10 luglio 1922, la Ditta A. Pierotti & Co. fa domanda alla "Onorevole commissione edilizia" di Pietrasanta di poter costruire un laboratorio marmi, allegando un progetto di massima, in località Osterietta, “confinante con la strada provinciale, prospiciente il laboratorio Dati, la strada del tram e il tronco di strada già provinciale, allora comunale”9.

9Come riportato sull’atto originale, conservato presso l’Archivio Storico di Pietrasanta.

Figure 9, 10 e 11: richiesta di concessione edilizia e atti amministrativi del Comune di Pietrasanta relativi all’edificazione del primo laboratorio della ditta Pierotti (1922 – 1924)

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Il 13 luglio 1922, dopo che la Commissione edilizia aveva dato il proprio nullaosta alla costruzione dell’edificio, la Giunta municipale approva il progetto, subordinandolo però alla condizione che il fronte del fabbricato, prospiciente la Via Comunale di accesso al piano della ferrovia nella quale è situata la linea tranviaria, dovesse distare 1,5 m dal confine tra la proprietà e la via stessa. Il 18 febbraio 1924 viene data l'abitabilità.

La storia dell’azienda sarebbe davvero interessante, poiché strettamente legata alla vita produttiva di Pietrasanta; ma purtroppo, le informazioni a riguardo risultano limitate, dato che Giovanni Filippo Schweitzer, penultimo proprietario dei laboratori, per motivi ignoti, non ha ritenuto opportuno argomentare. È però risaputo che la A. Pierotti & Co. è stata una delle più grandi aziende del settore marmifero e lapideo del passato, che ha eseguito lavori di notevole importanza fino alla cessazione dell’attività, avvenuta intorno al 1993.

Collocato all’ingresso di Pietrasanta, il laboratorio occupava uno spazio importante e aveva tanta attrezzatura, in gran parte composta di macchinari per la realizzazione di opere architettoniche.

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La ditta fu fondata nel 1922 da Alessandro Pierotti e Giovanni Gualtiero Schweitzer e nell'ultimo periodo è stata gestita dai loro eredi. Prima di mettersi in proprio, i due soci avevano lavorato presso la ditta Barsanti: Pierotti era scultore e Schweitzer si occupava della conduzione generale dell'azienda. Nei primi anni di vita il laboratorio impiegava dalle 50 alle 80 maestranze con varie specializzazioni e personale tecnico: disegnatori, architetti, progettisti e personale d'ufficio; inoltre la ditta commissionava parte dei lavori ad altri laboratori della zona. Alla ripresa dell’attività successiva alla fine della Seconda Gerrra Mondiale vi fu una prima significativa riduzione del personale; vi lavoravano allora circa 30 persone. Una seconda, drastica riduzione si ebbe nel 1972, quando il laboratorio prese sostanzialmente l'assetto che ebbe fino alla chiusura, negli anni '90, con circa 10 addetti fra cui 5 architetti. A seconda delle necessità, la ditta si avvaleva inoltre di prestatori d'opera – scalpellini, ornatisti, anatomisti, pannisti, lucidatori – e di maestranze per l'elaborazione di bozzetti in creta e gesso.

Pur essendo in grado di effettuare qualsiasi tipo di lavorazione del marmo, l'attività cardine della ditta è sempre stata l'arte sacra e liturgica, con particolare riferimento all'arredo delle chiese, che copriva circa l'85% della produzione; anche quando, a causa del rinnovo liturgico voluto da Giovanni XXIII, la richiesta è drasticamente diminuita , il laboratorio ha mantenuto, seppur ridimensionandosi, questa specializzazione, che negli ultimi tempi si alimentava della progettazione di mosaici per le chiese cattoliche del Medio Oriente.

L'attività dell'azienda era caratterizzata soprattutto dalla realizzazione di grandi opere di arredo sacro, dai transetti, cappelle, altari, bassorilievi della via Crucis, fino alle acquasantiere, alle cassette per le elemosine, per una committenza prevalentemente straniera, statunitense e mediorientale. Un esempio significativo è la cattedrale del Sacro Cuore di Newark (New Jersey), per la quale la ditta realizzò l'intero complesso degli arredi in stile neogotico che comprendeva, fra l'altro, oltre 250 statue di varie dimensioni: l'esecuzione della commessa ha richiesto circa dieci anni. Si ricordano inoltre le realizzazioni degli arredi interni della chiesa National Schraine a Washington; di due chiese in Portorico commissionate dal Vaticano; i bassorilievi per la facciata della chiesa di San Paolo a New York su progetto dello scultore Winter; gli arredi interni ed esterni del Mausoleo del Bahai ad Haifa in Israele e di un centro commerciale a Singapore; la statua di S. Lucia Filippini collocata nella prima nicchia a sinistra nella cattedrale di San Pietro.

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importanti commesse per la progettazione di mosaici, sia sacri che civili. Il laboratorio Pierotti poteva essere considerato l'ultimo dei grandi laboratori artistici di Pietrasanta. Il laboratorio eracomposto da diversi fabbricati, presenti ancora oggi:

- Il primo edificio, già menzionato, risale agli anni '20: situato lungo il lato nord, ha una vasta superficie e si presenta come un unico vano con una copertura a capriate. La pavimentazione era in parte a grosse piastre di marmo e in parte a battuto di terra; all'interno vi e` sempre conservato un carroponte e le relative vie di corsa;

- Un secondo edificio, adiacente al primo, costruito negli anni sessanta, conserva diverse testimonianze di vecchie macchine per la lavorazione del marmo;

- Un terzo edificio, costruito negli anni '50 e collocato sul lato ovest dell’area, è diviso in più locali in cui si svolgevano diverse lavorazioni;

- Un quarto fabbricato, risalente agli anni '30, prospiciente via Santini, si sviluppa su due piani: al secondo sono presenti due appartamenti e lo studio del laboratorio. A piano terra vi era il laboratorio: tale struttura comprende spazi per la lavorazione, per l'esposizione, una gipsoteca, un deposito, oltre che una parte destinata ad uso abitativo per il guardiano.

I laboratori Pierotti hanno una struttura architettonica e organizzativa di grande pregio e rappresentano un’importante testimonianza di come era organizzato nel passato un laboratorio per la lavorazione del marmo nelle sue diverse forme, dall'architettura alla scultura.

Adiacente agli ex laboratori, in prossimità del vertice sud dell’area, si trova una marginetta, posta sul bivio tra via Aurelia e via Santini, che riporta scritto sul piano appeso all'ingresso "non grave sit a vobis dicere ma(t)er ave". Il tipo edilizio della marginetta era, tradizionalmente, riparo per il viandante e per gli animali domestici che, secondo la transumanza, si portavano sugli alpeggi; era ricovero temporaneo degli attrezzi contadini, ma, soprattutto, era luogo di preghiera del singolo come della collettività che, in particolari ricorrenze, la adornava di fiori e la rischiarava con il lume delle candele o col fioco lumino ottenuto dalle chiocciole svuotate e riempite d'olio. La maestà, oltre la funzione di evidenziare i confini e i limiti, assumeva il ruolo di tutela della casa, della stalla, del podere, della fonte, rivestendoli quasi di un manto di sacralità. L’iconografia ha come soggetto principale o comprimario la Madonna, tema dominante della predicazione degli ordini mendicanti, e attinge a piene mani all’ispirazione mariana sia dei dogmi che dei privilegi. La marginetta ha assolto

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pienamente alla sua funzione di riparo dei viandanti, ha soddisfatto il bisogno devozionale del montanaro religioso, ha trasformato il panorama divenendo un elemento decorativo del paesaggio ed è entrata a pieno titolo nella cultura dei paesani tanto da sconvolgerne la toponomastica. Questo vasto patrimonio culturale, non più difeso dalla fede degli uomini, ha bisogno di un serio programma di recupero e salvaguardia basato sulla conoscenza, la conservazione, la valorizzazione di queste opere. Dobbiamo riconoscere che l'interesse teorico e l'impegno al recupero di queste testimonianze, anche laddove sono arrivati, sono stati tardivi, e così la dispersione delle maestà ha impoverito il territorio versiliese di un patrimonio eccezionale.

L'insieme degli edifici dell'area Pierotti, nel loro complesso, anche per la caratteristica forma del lotto su cui insistono, sono degni e meritevoli di tutela come testimonianze storiche della città e della sua economia; in uno dei suddetti edifici si trova a tutt’oggi l'unico esemplare di calco in gesso del Cristo in bronzo che si trova all’interno del Duomo di Pietrasanta, realizzato da Pietro Tacca, scultore nato a Carrara nel 1577 e allievo del Giambologna, e che operò in tutta Europa.

Lo studio di nuova viabilità

Nel luglio 2011 il Comune di Pietrasanta ha stipulato un contratto col Polo “Sistemi logistici” dell’Università di Pisa al fine di studiare una soluzione per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di efficienza della circolazione nel tratto urbano della SS n° 1 Aurelia compreso tra via Primo Maggio e via Pontenuovo: lo studio è suddiviso in quattro lotti, di cui uno riguarda proprio l’adeguamento viario dell’intersezione tra SS N.1 Aurelia, Via del Castagno e Via Santini.

Attualmente, nel tratto di nostro interesse, la via Aurelia interseca sia Via Santini sia Via del Castagno (quest’ultima in due punti), che possono essere classificate di categoria F (per quanto al DM 5/11/2011), stanti le modeste caratteristiche geometriche della loro sezione ed il contesto specifico con fabbricati a ridosso e ridotti, se non assenti, spazi di pertinenza stradale, assenza diffusa di marciapiedi e accessi diretti dalle proprietà frontiste.

Di seguito sono specificate le caratteristiche geometriche degli elementi che costituiscono il lotto in esame:

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- SS N.1 Aurelia: può essere classificata come strada urbana di quartiere (cat. E, secondo il DM 5/11/2001), ha corsie di larghezza 3.25 m, banchina di 0.50 m e pista ciclabile in sede non protetta sul lato destro della carreggiata. Tale strada è caratterizzata da elevati carichi di traffico veicolare con una componente consistente di veicoli pesanti.

La realizzazione in epoca recente di nuove aree commerciali in questa zona e l’ampliamento di quelle esistenti, con accessi che avvengono direttamente sulla SS N.1 Aurelia, pone il problema della sicurezza dei pedoni a causa della mancanza di marciapiedi e di attraversamenti pedonali protetti, oltre a difficoltà di immissione sulla SS N.1 Aurelia per i veicoli in uscita dalle attività commerciali suddette.

In corrispondenza dell’intersezione con Via Santini, la mancanza della corsia di accumulo per la manovra di svolta a sinistra da SS N.1 Aurelia sulla stessa Via Santini produce code che inducono gli automobilisti ad impegnare la pista ciclabile (non protetta) per proseguire sulla SS N.1 Aurelia in direzione di Viareggio. Questo arreca pregiudizio per la sicurezza dei ciclisti e produce interruzioni nel deflusso della corrente veicolare con conseguente formazione di code e rallentamenti.

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- Via Santini: può essere classificata come strada urbana locale (cat. F, secondo il DM 5/11/2001), è a senso unico di marcia con larghezza media della carreggiata di 8.00 m, con sosta su entrambi i lati.

- Via del Castagno: può essere classificata come strada urbana locale (cat. F, secondo il DM 5/11/2001), è a senso unico di marcia.

Quest’ultima strada è stata suddivisa in tre tratti, caratterizzati da differenti criticità, e sui quali è stato previsto di intervenire in maniera diversa. Per consentire la corretta identificazione di ciascun tratto, questi ultimi sono stati identificati con le lettere A, B e C (vedi figura 12).

Il tratto A è a senso unico di marcia con larghezza media della carreggiata di 3.75 m, con marciapiede pedonale su lato destro di larghezza 1.50 m; su di esso sono presenti l’ingresso e l’uscita del Terminal Bus, separato dal tratto di strada in esame da un’aiuola, e l’ingresso e l’uscita del parcheggio adiacente alla stazione ferroviaria.

Il tratto B è a senso unico di marcia con larghezza media della carreggiata di 6.00 m con sosta sul lato sinistro.

Il tratto C è a senso unico di marcia con larghezza media della carreggiata di 3.75 m e presenza di stalli per la sosta di larghezza 2.50 m e lunghezza 5.00 m su entrambi i lati della carreggiata.

Dall’analisi dello stato attuale, al fine di aumentare la sicurezza della circolazione e per favorire il deflusso della corrente veicolare, è stato elaborato un nuovo schema della circolazione che prevede l’introduzione della circolazione a senso unico (come mostrato nella Figura 13).

Il tratto della SS N.1 Aurelia, compreso tra le intersezioni con Via del Castagno e con Via Santini, diventerà a doppia corsia e senso unico di marcia in direzione di Viareggio; i veicoli in arrivo da Viareggio e diretti in direzione Massa dovranno percorrere Via Santini o Via del Castagno; per questo motivo il tratto C di quest’ultima strada, già a senso unico, sarà invertita la direzione di marcia. Di seguito vengono descritti in dettaglio gli interventi progettuali su ciascun tratto di strada.

- Su SS N.1 Aurelia, con l’introduzione del senso unico tra le intersezioni con Via del Castagno e con Via Santini in direzione Viareggio, il tratto diverrà a due corsie con unico senso di marcia; si prevede inoltre la realizzazione della corsia di accumulo per le svolte a sinistra su Via Santini, di larghezza pari a 3.00 m.

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A lato della carreggiata in direzione Viareggio rimane la pista ciclabile; il tratto di essa compreso tra l’accesso al negozio di elettronica e Via Santini viene sostituito dal marciapiede di larghezza pari a 1.50 m.

Pertanto sarà necessario adeguare la segnaletica orizzontale e verticale esistente alle nuove condizioni di circolazione.

- Su Via del Castagno:

Tratto A: in seguito alla modifica del senso di circolazione, si prevede un aumento del traffico e della componente di veicoli pesanti rispetto allo stato attuale; questa nuova condizione unita al transito degli autobus, dovuta alla presenza del Terminal Bus, richiede un aumento della capacità di questo tratto di strada. Pertanto, sarà necessaria l’eliminazione dell’aiuola per guadagnare nuovi spazi per la viabilità e questo permetterà il passaggio da una a due corsie di marcia. Per consentire l’iscrizione in curva dei veicoli pesanti (nella svolta dal tratto C al tratto A) sarà, altresì, necessario l’arretramento dell’accesso al Terminal Bus, con conseguente rifacimento dell’isola triangolare.

In corrispondenza dell’intersezione tra il tratto stradale in esame e la SS N.1 Aurelia è prevista la realizzazione di una rotatoria a tre rami, con larghezza dell’anello variabile per agevolare le traiettorie dei veicoli pesanti, che permetta di canalizzare le correnti veicolari dirette o in direzione Massa o in direzione Viareggio; questa soluzione prevede che l’ingresso al Terminal Bus possa avvenire soltanto dalla nuova rotatoria, mentre l’uscita può avvenire sia da quella esistente sia dalla rotatoria. Questa consentirà agli autobus in uscita dal Terminal di dirigersi sia verso Viareggio che verso Massa. L’accesso al parcheggio adiacente alla stazione ferroviaria mantiene la stessa collocazione.

Inoltre per garantire maggiore sicurezza ai pedoni si prevede la realizzazione di marciapiedi su ambo i lati della carreggiata e di due attraversamenti pedonali che permettano di raggiungere le aree commerciali che si affacciano sulla SS N.1 Aurelia, il Terminal Bus ed il parcheggio adiacente alla stazione ferroviaria.

Gli interventi sin qui descritti richiederanno l’adeguamento della segnaletica orizzontale e verticale esistente alle nuove condizioni di circolazione.

Tratto B: si prevede la realizzazione di un marciapiede pedonale sul lato sinistro della carreggiata, di larghezza pari a 1.50 m, e il rifacimento della segnaletica orizzontale che allo stato attuale è praticamente assente.

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Tratto C: viene modificato il senso di marcia in direzione opposta a quella attuale per consentire il recupero della direzione ora vietata sulla SS N.1 Aurelia; si prevede la realizzazione di un marciapiede pedonale su lato destro della carreggiata di larghezza pari a 1.50 m e di stalli per la sosta veicolare sul lato sinistro di larghezza 2.40 m e lunghezza 5.00 m. Gli interventi sopra descritti richiedono l’adeguamento della segnaletica orizzontale e verticale.

- Su Via Santini si prevede la realizzazione di due corsie con unico senso di marcia: la corsia di destra potrà essere utilizzata dai veicoli per raggiungere il centro di Pietrasanta mentre, la corsia di sinistra, potrà essere utilizzata per proseguire in direzione di Massa oppure per entrare all’interno del Terminal Bus o del parcheggio.

E’ prevista, inoltre, la realizzazione di un marciapiede pedonale sul lato sinistro della carreggiata di larghezza pari a 1.50 m10.

10 Cfr. pagg. 19-23 e 41-43, “Relazione Tecnica - Contratto tra il Comune di Pietrasanta ed il Polo Universitario “Sistemi Logistici”

dell’Università di Pisa per la collaborazione scientifica in Applicazioni di Ingegneria del Traffico per il Miglioramento delle Condizioni di Sicurezza ed Efficienza della Circolazione nel tratto urbano della SS N.1 Aurelia compreso tra Via Primo Maggio e Via Pontenuovo nel Comune di Pietrasanta”, a cura di Prof. Ing. Antonio Pratelli e collaboratori, Direzione Servizi del Territorio, U. O. Lavori Pubblici del Comune di Pietrasanta, supporto scientifico a cura di Laboratorio LOGIT – Università di Pisa, Polo “Sistemi Logistici”, Pisa, luglio 2011

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