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C APITOLO VII

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Academic year: 2021

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(1)

C

APITOLO

VII

Il palazzo pretorio di Pontremoli

1.

L’aspetto attuale

L’antico palazzo pretorio, oggi palazzo comunale, costeggia il lato orientale di piazza della Repubblica (fig. 69). La facciata è caratterizzata da un ampio porticato a otto campate su pilastri, sormontato da una terrazza accessibile dal secondo piano. Il centro del fastigio è coronato da una piccola campana a vela.

Il pianterreno dell’edificio è occupato da negozi e da uno storico bar, mentre nei piani superiori hanno sede vari uffici, il centro per l’impiego e l’ufficio del sindaco, adiacente ad una grande sala di rappresentanza. Quest’ultima è impreziosita da un soffitto affrescato e diversi quadri alle pareti tra cui una tela raffigurante una Crocifissione con San Geminiano, un tempo posta nella sala del Consiglio generale.

Un passaggio al centro del porticato del pianterreno conduce sull’altro lato dello stabile, in una piccola piazza interna di forma rettangolare sulla quale si affaccia l’edificio del vecchio palazzo pretorio, prospettante sul fiume Magra1. Vi si accede tramite molteplici ingressi, dei

quali il principale reca traccia di un arco ogivale attinente ad un’antica apertura leggermente decentrata rispetto al portone modanato in pietra, sormontato dallo stemma di Pontremoli datato al 1787 (figg. 70-71). La struttura, che si sviluppa su tre livelli, ospita gli uffici comunali, l’anagrafe, la pro loco e la polizia municipale.

Lungo le cortine esterne del palazzo, specialmente sotto il loggiato e nella corte interna, sono sistemate parecchie targhe commemorative ed epigrafi in pietra, alcune delle quali di un certo pregio estetico2.

Una piccola rampa, collocata all’estremità meridionale della piazzetta, permette di scendere nei locali sotterranei dell’edificio più antico, recentemente restaurati (figg. 72-74). I lavori

1 I due palazzi risultano comunicanti su uno dei due lati corti del cortile, mentre sul fronte opposto l’area

confina con il palazzo Bocconi.

2 Rientrano tra le più elaborate quelle dedicate a Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi, mentre tra le più

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hanno riportato alla luce una stratificazione assai complessa dei vari ambienti, attualmente riconoscibile dalla presenza di una serie di archi e volte collocate su più livelli di altezza, ascrivibili a fasi storiche diverse, collocabili tra il XIV e il XV secolo. Nella parte settentrionale sono inoltre visibili due poderose colonne cilindriche, del diametro di circa un metro, in gran parte interrate, sulle quali poggiano due enormi archi tamponati (figg. 73-74), verosimilmente parte di un antico portico databile al XIV secolo3. In uno dei locali si conserva

un pozzo risalente al XVII secolo.

Il fronte sul fiume Magra, privo d’intonaco, presenta una muratura in pietra grezza, ma sostanzialmente uniforme, composta di bozze irregolari (fig. 75). In corrispondenza delle numerose finestre emergono le tracce di piccoli archi, pertinenti ai primitivi affacci. Poco oltre il centro della cortina la superficie presenta uno scalino rafforzato da una possente scarpa, probabilmente attinente ad un corpo di fabbrica originariamente autonomo e successivamente inglobato nella struttura del pretorio.

2.

Cenni storici

La prima testimonianza dell’esistenza di un palazzo pubblico a Pontremoli risale al 4 ottobre 1110 ed è riscontrabile in un atto redatto dalla contessa Matilde di Canossa mentre risiedeva in città nel “palatio vocato della Corte”4. Si ritiene che tale palazzo, residenza abituale delle

comitive reali e imperiali di passaggio, coincidesse con l’edificio del vecchio palazzo pretorio affacciato sul fiume Magra5, originariamente prossimo alla chiesa di San Giovanni6, ambedue

racchiusi entro un’unica cinta muraria. Tale identificazione è supportata da evidenze di

3 Vedi Francesco Bola, Vetrina della Città – Statue Stele in Vetrina, in www.turismoinlunigiana.it (consultato il

12/04/2014).

4 Vedi REPETTI,1841, p.545;MAFFEI, 1973, p. 65; ZUCCHI CASTELLINI, 1976, p. 98. 5Vedi M

AFFEI, 1973, p. 65; ZUCCHI CASTELLINI, 1976, p. 98. Vedi ZUCCHI CASTELLINI, 1976, pp. 98-99.

6 La chiesa di San Giovanni con annesso monastero, ricordati per la prima volta nell’anno 1297, si trovavano sul

luogo dell’odierna casa Bocconi, affacciata su piazza della Repubblica. Sembra che la chiesa abbia costituito la prima organizzazione parrocchiale della zona di “Imoborgo”. In un’epoca imprecisata tra il 1297 e il 1470, la chiesa fu abbandonata e la cura unita alla parrocchia di San Colombano. I fabbricati della chiesa e del monastero furono venduti nel 1593 alla famiglia Curini e nel 1602 acquistati dal dott. Maurizio Venturini, che li inglobò all’attigua Cà di Piazza, già possesso della famiglia Curini, trasformandoli nel palazzo ancora oggi esistente. Vedi in particolare FORMENTINI,1940;GIULIANI,1961, p. 83 e p. 87 eMAFFEI, 1973, p. 65. Formentini

ipotizza che la chiesa e convento di San Giovanni siano una fondazione regia di epoca longobarda, istituiti con funzioni ospitaliere in relazione alla collocazione di Pontremoli lungo della strada regia che metteva in comunicazione la capitale longobarda con la Tuscia. Vedi FORMENTINI,1940,p.9.Si potrebbe dunque presumere che la chiesa fosse in stretta connessione con l’adiacente palazzo regio, successivamente pretorio.

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ordine storico: è noto, infatti, come nei secoli a venire il palazzo pretorio sia stata la dimora privilegiata di ospiti illustri, governanti o stranieri, che si trovavano a fare tappa nella città di Pontremoli con il proprio seguito di eserciti e accompagnatori: la stessa Matilde di Canossa nel 1110, l’imperatore Federico II nel 1226, Carlo VIII di Francia nel 1494, Carlo V nel 1536, papa Paolo III Farnese nel 1538 e persino il granduca di Toscana Pietro Leopoldo nel 17867. Si

potrebbe presumere che questa funzione di sede rappresentativa si sia tramandata fin dai tempi più antichi.

In occasione di alcuni lavori stradali compiuti negli anni ’80 del XIX secolo, si è riscontrata infatti l’esistenza, sotto il piano stradale, dei ruderi di spesse muraglie correnti dalla casa Bocconi fino alla piazza superiore e delle fondamenta di due torri, una collocata davanti all’ingresso della casa e l’altra, più piccola, davanti all’arco di accesso al cortile del Comune8.

Inoltre nel corso di alcuni sondaggi archeologici diretti da Pietro Ferrari nel 1940, venne rilevata la presenza di un tratto di muro avente caratteri preromanici, sul quale si appoggia l’attuale palazzo comunale dalla parte del fiume Magra9.

Nei primi decenni del XIV secolo il Comune di Pontremoli prende in affitto l’adiacente casa della famiglia Bernardi che viene risistemata e utilizza per ampliare gli spazi del palazzo10.

Quando nel 1321 la città affida il governo nelle mani del lucchese Castruccio degli Antelminelli, il palazzo viene utilizzato per ospitare gli ufficiali e i funzionari del nuovo signore. Come racconta Aldo Manucci, cronista della vita di Castruccio Castracani, il primogenito Enrico, “piacendogli d’abitare nella terra di Pontremoli”, acquista il fabbricato dei Bernardi “adornandolo di ogni comodità”11. Nel 1324 l’edificio viene accresciuto

mediante una nuova ala costruita sull’area della vicina casa Trincadini12.

Il palazzo è separato dalla piazza pubblica da un cortile delimitato da una cortina merlata alla quale, nello stesso anno, Castruccio fa addossare un porticato denominato dalle fonti “gabelle” o “Doana del Comune”13. Il muro merlato con l’antistante loggiato e il portone

d’ingresso nel cortile, collocato al termine di una scalinata, è ben rappresentato in un

7 Gli ospiti illustri del pretorio di Pontremoli sono ampiamente descritti in TARGIONI TOZZETTI, 1779, pp. 211-410,

REPETTI, 1841, pp. 543-562 e più sinteticamente in BOLOGNA, 1898, pp. 28-32.

8 Vedi ZUCCHI CASTELLINI, 1976, pp. 98-99. 9 Vedi ZUCCHI CASTELLINI, 1976, p. 99. 10 Vedi ZUCCHI CASTELLINI, 1976, p. 99.

11 MANUZIO, 1843, p. 94. L’atto, redatto da Ser Nicolao Boccella di Lucca e datato al 20 settembre 1323, è

conservato nell’archivio di Lucca e dimostra come Arrigo figlio di Castruccio acquistò il palazzo dai figli di Apollonio de’ Bernardi. VediBOLOGNA, 1898, p. 26.

12 Vedi ZUCCHI CASTELLINI, 1976, p. 99.

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disegno risalente al 1661 conservato nell’Archivio di stato di Firenze, il quale raffigura gli alzati di tutta la piazza inferiore del paese (fig. 76)14. L’illustrazione dimostra che l’aspetto

esterno del pretorio conserva le sue forme trecentesche almeno fino alla seconda metà del XVII secolo e presumibilmente anche oltre15.

Il lato settentrionale del complesso confina con la fortezza Cacciaguerra, eretta nel 1322 da Castruccio Castracani per dividere le due fazioni discordi dei guelfi, residenti nel “summoborgo”, e ghibellini, abitanti nell’“imoborgo”16.

Alcune indagini compiute nei sotterranei del palazzo municipale affacciato sul fiume Magra nel corso dei lavori di restauro realizzati negli anni 2010-2011, hanno evidenziato che il piano di calpestio originario si trovava su un livello molto più basso di quello odierno di almeno 4 metri17. Il brusco innalzamento del livello del pavimento è dovuto all’interramento

alluvionale dei locali, fenomeno comune a tutto il centro storico pontremolese18. La

presenza di grandi archi tamponati, impostati su due massicce colonne di poco sporgenti dal pavimento, testimoniano la presenza di un’ampia struttura porticata databile al XIV secolo19,

la cui esistenza è evidenziata anche dalle fonti documentarie20.

14 A.S.F., Nove Conservatori del dominio e della giurisdizione fiorentina, 3586.

15 Probabilmente fino al 1779, anno in cui il capomastro Martino Portugalli inizia la costruzione del nuovo

edificio del palazzo pretorio, addossandolo proprio alla cortina merlata.

16 Sulla fortezza vedi BOLOGNA, 1898, pp. 23-26; GIULIANI, 1961, pp. 77-78; MAFFEI, 1973, pp. 66-67; ZUCCHI

CASTELLINI, 1976, pp. 99-100. Il fortilizio divideva l’odierna piazza del Duomo da quella della Repubblica per mezzo di un muro dotato di cammino di ronda, intervallato da tre torri, due più piccole affacciate rispettivamente sul fiume Verde e sul Magra ed una centrale più grande, successivamente rialzata e ridotta a pubblico orologio. La cortina era fiancheggiata da ambedue i lati da fossati e la porta per il passaggio da una zona all’altra, adiacente alla torre centrale, era dotata di due ponti, dei quali quello a mezzogiorno a levatoio. Alla metà del XVII secolo la fortezza perse la sua importanza e i fabbricati circostanti iniziarono ad addossarsi al muro, coprendo i fossati; nello stesso periodo la porta fu allargata per facilitare il passaggio dei carri e nel 1841 fu definitivamente demolita. Nel 1583 alla torre centrale venne aggiunta una cuspide a forma di edicola, mentre nel 1641 la torre orientale viene adattata a campanile della chiesa di Santa Maria del Popolo. La torre occidentale è stata parzialmente demolita: il troncone è ancora visibile nel disegno della piazza della metà del XVII secolo ed a tutt’oggi sembra riscontrabile in un elemento situato tra l’arcivescovado e il palazzo della pretura. Vedi MAFFEI, 1973, pp. 66-67.

17 Vedi Francesco Bola, Vetrina della Città – Statue Stele in Vetrina in www.turismoinlunigiana.it (consultato il

12/04/2014).

18 VediMAFFEI, 1973, p. 60 e 77.

19 Vedi Francesco Bola, Vetrina della Città – Statue Stele in Vetrina, in www.turismoinlunigiana.it (consultato il

12/04/2014). Per Maffei tali arcate in pietra sbozzata poggiate su colonne suggeriscono, a livello stilistico, una datazione dell’edificio originario all’epoca longobardo-carolingia. Vedi MAFFEI, 1973, p. 65.

20 Un documento del 1417 riporta il ricordo di un “…porticu versus Macram lumen” situato “in palatio

Comunis”. La fonte è citata nella Relazione storica redatta dall’arch. Mauro Lombardi in occasione del restauro dei locali del piano seminterrato del palazzo comunale di Pontremoli da destinarsi a Vetrina della Città, senza riportare l’indicazione della segnatura archivistica.

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Nel 1495 il palazzo pubblico viene colpito da un incendio, appiccato dalle truppe svizzere al seguito di Carlo VIII di ritorno da Napoli, occasione nella quale andarono distrutti l’archivio pubblico e quello del Comune21.

Sotto il dominio mediceo, avviatosi nel 1650, l’intera città di Pontremoli vive una fervente stagione di rinnovamento edilizio che si protrae fino alla seconda metà del XVIII secolo22. Nel

corso del secolo il tessuto edilizio medievale viene completamente ristrutturato e aggiornato ai canoni del gusto moderno. Quasi sul finire della sua corsa, il risveglio edilizio sembra coinvolgere anche la fabbrica pretoriale, di cui viene predisposto l’ampliamento tramite la costruzione di un nuovo edificio a tre livelli affacciato sulla piazza inferiore. Il moderno fabbricato va ad addossarsi alla vecchia cortina merlata, che scompare dietro l’intonaco, conservando tuttavia il loggiato preesistente23, per ragioni di pubblica utilità nonché di

decoro urbano.

I lavori si rendono necessari per adattare la sede pretoriale ai nuovi standard imposti dalla legge di riforma dei governi provinciali del 1772 e per ospitare abitazione ed uffici del vicario, dei suoi due notai ed un adeguato numero di carceri segrete. Un cortile interno separa la recente costruzione dal palazzo più antico, prospettante sul fiume Magra.

Nel 1776 il progetto viene affidato al capomastro Martino Portugalli24, appartenente ad una

delle più note famiglie di artisti di origini ticinesi operanti a Pontremoli25. Il lavori hanno

inizio solamente tre anni dopo, nell’aprile del 1779, ma già a partire dall’anno seguente il cantiere riceve ben due visite dell’ingegnere Neri Zocchi, sul quale viene dirottata la direzione progettuale della fabbrica26.

Le opere vengono ultimate nel 1782, ma già cinque anni dopo Martino Portugalli stila una relazione in sei punti riguardante i “lavori da farsi per il loggiato o faciata del palazzo pretorio” comprendente due disegni acquerellati27. Dal resoconto si apprende che la

21 Vedi GIULIANI,1961, p. 88.

22 Sull’argomento vedi GIULIANI,1961, pp. 89-93; MAFFEI, 1973, pp. 68-69 e per i rapporti tra rinnovamento

edilizio e pittura vediTRIVELLONI MANGENELLI, 1996, pp. 83-104.

23 Confrontando il porticato visibile nel disegno del 1661 (fig. 76) e il profilo dello stesso disegnato

dall’ingegnere Neri Zocchi nel 1780 (tav. XXXIV) e tenuto conto del numero delle campate, che sono sei nel primo e otto nel secondo, non è da escludersi che il loggiato fosse già stato oggetto di un intervento.

24 Vedi Appendice, n. VII.36.

25 Martino Portugalli (Arosio, 1741-Pontremoli, 1812) è figlio di Jacopo Portugalli e fratello di Antonio e del più

famoso Pietro. Nel 1772 si sposa con Margherita Fugazza, dalla cui unione nello stesso anno nasce Giacomo, anch’egli menzionato dalle fonti come “muratore”. Sull’attività della “dinastia” dei Portugalli a Pontremoli e sull’attività di Martino vedi MAGNI, 1983, pp. 142-152 e ANGELLA, 1997, pp. 123-146.

26 Per l’intera vicenda costruttiva vedi infra, § 3.

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Comunità intende sistemare la facciata del palazzo, imbiancandola e rifinendone il cornicione e l’ornato delle finestre; inoltre si vuole sostituire la tettoia in pietre esistente al di sopra del porticato con una terrazza dotata un elegante parapetto ideato dallo stesso capomastro (fig. 77).

Piccole opere di adeguamento sono occorse tra la fine del XIX secolo e ai primi anni del secolo successivo, mentre agli anni ’70 del Novecento risalgono assai più radicali interventi di ristrutturazione28.

I recenti lavori di restauro, diretti tra il 2010 e il 2011 dall’architetto Mauro Lombardi, hanno riguardato i locali sotterranei del palazzo più antico affacciato sul Magra29. Alcuni saggi

archeologici compiuti in tale occasione hanno messo in luce la complessa stratigrafia dell’edificio.

3.

L’analisi della vicenda

Nel luglio del 1784 il vicario Carlo Panzanini riceve una lettera da parte del soprassindaco Mormorai in cui viene richiesto un resoconto circa il grado di ultimazione dei lavori al palazzo pretorio30. Il Giusdicente, insediatosi da pochi mesi nella sede di Pontremoli e del tutto

ignaro dei trascorsi, in seguito ad una faticosa ricerca tra le filze dell’archivio e dopo aver interpellato alcuni testimoni, replica con una lunga informativa contenente un puntuale riepilogo dei fatti31.

Il 15 dicembre 1776 il Magistrato cittadino affida al maestro Martino Portugalli il disegno della nuova fabbrica del pretorio; il progetto viene approvato solo nel febbraio del 1779 e nell’aprile dello stesso anno si dà inizio al cantiere.

I lavori, inizialmente eseguiti in conto, sotto la supervisione del provveditore di strade, vengono successivamente dati in cottimo al maestro Portugalli in vista di una minore spesa e

28 Tra gli altri si nota l’assenza di un corpo di fabbrica che originariamente occupava una parte della piazzetta

interna, vicino alla torre, dove alla fine del XVIII secolo esisteva l’ingresso al nuovo appartamento del notaio civile e l’archivio.

29 Vedi la Relazione storica redatta dall’arch. Mauro Lombardi in occasione del restauro dei locali del piano

seminterrato del palazzo comunale di Pontremoli da destinarsi a Vetrina della Città.

30 Vedi Appendice, n. VII.35. 31 Vedi Appendice, n. VII.36.

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soprattutto di una più pronta esecuzione32.

Ciononostante le opere sembrano proseguire con lentezza, evidentemente anche a causa di alcune difficoltà insorte tra la Comunità e il capomastro muratore33.

Assecondando le lamentele del vicario, il granduca cerca di ovviare alla “somma indolenza” del Magistrato comunitativo incaricando il soprassindaco di occuparsi della faccenda avvalendosi, nell’occasione di “portarsi a Pontremoli per la visita, e riapposizione de i confini con la Repubblica di Genova […] dell'opera dell'Ingegnere che condurrà seco per la visita sopradetta”34.

L’ingegnere incaricato del sopralluogo è Neri Zocchi, il quale deve fare luce su quattro aspetti: osservare la qualità dei lavori eseguiti, esaminare il progetto del Portugalli con particolare attenzione alla distribuzione degli ambienti e alla loro funzionalità, elaborare eventuali rimedi ad errori commessi ed infine prescrivere i tempi di ultimazione della fabbrica35.

Nella perizia dell’11 agosto 1780 viene evidenziato come le fondamenta siano eseguite “secondo le buone regole, e con la necessaria stabilità”, ma il restante del lavoro risulti “fatto con poca diligenza, ed esattezza avendo trovato, che diversi pezzi di muro altro non sono, che un ammasso di sassi con troppa quantità di Calcina mal disposti, e alla rinfusa […] senza avere usata la necessaria diligenza nel ben collocare, spianare, calzare, e battere i sassi”36. A

causa di tale imperizia, una porzione del muro esterno sul cortile mostra segni di “sgonfiamento” e parte dello stesso si è distaccato “certamente a causa dalla spinta delle volte delle due stanze contigue, le quali non hanno trovata la necessaria resistenza nella detta muraglia esterna, che dovea essere ancor troppo fresca quando le volte suddette furono disformate”37.

Per ovviare a mali peggiori è necessario collocare al di sopra delle volte dei mezzanini due catene, atte a tenere uniti i due muri esterni per mezzo di grossi paletti a lunghe pietre che facciano presa su un’ampia superficie di muro; una volta collocati i tiranti, il muro pericolante deve essere rifatto mettendo in opera i necessari accorgimenti. Il costo del lavoro deve

32 Vedi Appendice, n. VII.3. L’edificio viene costruito in conto della Comunità fino a poco più di tre braccia sopra

le fondamenta; il cottimo prevede il pagamento di “una somma fissa per ogni braccio, non compresa la calcina, la quale doveva esser somministrata dalla Comunità”. Vedi Appendice, n. VII.4.

33 Vedi Appendice, n. VII.1. 34 Vedi Appendice, n. VII.2.

35 La relazione di Neri Zocchi (vedi Appendice, n. VII.4) è corredata da tre distinte note dedicate rispettivamente

al pianterreno, piano ammezzato e piano nobile (vedi appendice, n. VII.5) e ben sei planimetrie e una sezione del fabbricato (tavv. XXVIII-XXXIV).

36 Appendice, n. VII.4. 37 Appendice, n. VII.4.

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essere ripartito equamente tra il muratore e la Comunità, responsabile di aver approvato un disegno mal concepito.

Inoltre Zocchi osserva che la parte rimanente del muro “pende verso il Cortile un soldo, e mezzo di braccio fiorentino in circa di ragguagliato”38, anche se l’assenza di crepe nella

cortina e nelle volte lascia credere che l’inclinazione non sia di alcun nocumento alla fabbrica e che, anzi, la prosecuzione della costruzione possa conferire maggiore fermezza alle pareti. Anche il resto della costruzione “non è dell’ultima perfezione” e addirittura talune soglie e architravi di porte e finestre sono rotti a causa della disattenzione degli operai.

L’ingegnere prosegue con alcune indicazioni circa la costruzione del tetto, con la cui travatura è necessario “incatenare ancora le due muraglie esterne corrispondenti una sulla Piazza, e l’altra sul Cortile e con ciò palettare gli gl’asinelli” (tav. XXXIV), in modo da aumentare la resistenza della struttura, controbilanciando la spinta delle volte dell’ultimo piano.

Anche il giudizio sul disegno delle planimetrie (tavv. XXVII, XXX, XXXII) è stroncante, essendo “fatto veramente contro tutte le buone regole di una giudiziosa, e comoda simmetria”39. I

difetti principali sono due: anzitutto la maggior parte delle stanze sono soggette a passaggio, dunque non indipendenti; secondariamente tutti i vani sono di dimensioni piuttosto ristrette, tanto che con difficoltà vi possono essere collocati i letti e i mobili necessari.

Visto che la costruzione della fabbrica si trova ad uno stadio avanzato, non è possibile attuare che poche semplici variazioni, dettagliate in tre note dedicate rispettivamente al pianterreno, al mezzanino e al piano nobile e illustrate nei sei disegni allegati alla perizia.

Infine, per quanto concerne i tempi di ultimazione, l’ingegnere stima che possano occorrere poco più di cinque mesi.

Successivamente Zocchi effettua una seconda in visita al cantiere in quanto, a seguito del rescritto reale del 14 luglio 1777, reso noto con la circolare del 16 maggio 1778, anche il palazzo pretorio di Pontremoli deve ricevere la visita formale di un ingegnere.

Nella relazione dell’11 gennaio 1781 il tecnico traccia brevemente la storia del palazzo vicariale: a seguito della riforma dei governi provinciali, la necessità di includere nel pretorio le abitazioni dei notai civile e criminale, prima alloggiati al di fuori, ha portato all’edificazione di un nuova fabbrica contigua a quella antica (tavv. XXXVI, XXXVIII)40, in grado di offrire un

38 Appendice, n. VII.4.

39 Appendice, n. VII.4.

40 Alla relazione sono allegate altre piante raffiguranti pianterreno, mezzanini e piano nobile della nuova

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comodo sufficiente a tutti i suoi ministri e alle attività del tribunale. Dato lo stadio avanzato dei lavori, Zocchi ne prevede il completamento nella successiva primavera.

Il nuovo edificio sulla piazza è arricchito da una loggia che si sviluppa su quasi tutta la lunghezza della facciata. Tuttavia gli archi del portico, estesi fino al piano nobile, tolgono luce ed aria alle stanze del mezzanino, le cui finestre si trovano immediatamente sotto la volta. Per questo motivo e per ovviare alla considerevole spesa che servirebbe per creare una terrazza scoperta al di sopra della loggia, l’ingegnere consiglia la demolizione di tutta la struttura e la sua sostituzione con delle tettoie in legno amovibili che proteggano dalle intemperie le botteghe sottostanti e le finestre delle carceri pubbliche.

Inoltre l’ingegnere rileva la necessità di trasferire altrove due delle sei segrete, gravemente sottoposte ad allagamento a motivo della loro ubicazione in due ambienti sotterranei del vecchio pretorio prospicienti il fiume Magra. Le due nuove celle vengono ricavate nelle due anticamere di accesso alle vecchie segrete ubicate nella “torre”, tramite l’erezione di una parete divisoria.

Essendo uno di questi ricetti occupato dal soprastante, l’ingegnere coglie l’occasione per riformare l’appartamento del guardiano assegnandogli un’ampia camera prima occupata dall’archivio, due stanzini contigui e una stanza sopra questi ultimi ad uso di cucina.

Infine si pensa di conferire al bargello buona parte delle stanze rimanenti dello stabile, ad esclusione di tre locali e dell’ampio salone, lasciati all’uso della Comunità.

Il totale delle spese per le sistemazioni prescritte è valutato in 157.1.1.8 scudi.

Nonostante la previsione di completamento per la successiva primavera, la fase finale dei lavori viene intralciata da alcuni impedimenti che posticipano il compimento al 1782.

Come riferisce il gonfaloniere Aurelio Maracchi in una lettera del 13 aprile 1781 diretta al soprassindaco, a seguito della prima visita dell’ingegnere Zocchi al cantiere, nel dicembre 1780 l’assemblea cittadina notifica al muratore Portugalli il testo della perizia contenente l’indicazione di rafforzare le murature inserendo due catene. Ciò nondimeno il capomastro respinge l’intimazione ritenendo il lavoro non necessario e obiettando al Magistrato di non avere il permesso dell’autorità sovrana per obbligarlo ad un tale adempimento41. La

Comunità dunque cita in giudizio il capomastro, ma dopo “tre scritture per parte” il Portugalli mantiene la sua posizione denunciando anzi “la mancanza della licenza necessaria per

41 Vedi Appendice, n. VII.10 e VII.11.

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intraprender liti” da parte della Comunità42. In sostanza quest’ultima domanda che il

soprassindaco avalli gli atti giudiziali finora intrapresi “altrimente ad onta del lavoro fatto con mala fede trionferebbe il muratore Portugalli con poco decoro del Magistrato comunitativo”43.

Otto mesi dopo la stesura della seconda relazione, il vicario Pietro Mordini lamenta all’auditore fiscale l’incompiutezza della fabbrica e persino l’abbandono dei lavori, nonostante manchino da realizzarsi soltanto il pavimento e l’intonaco delle pareti e delle volte dell’appartamento vicariale, porte, finestre e il rifacimento dell’intonaco dei quartieri dei due notai, in parte già rovinato44. Di conseguenza i ministri sono costretti ad abitare fuori

del pretorio e ad esercitare le loro incombenze in casa propria, in condizioni che non garantiscono adeguata riservatezza.

La macchina amministrativa si mette immediatamente in moto secondo le consuete forme: la segnalazione del vicario viene prontamente girata all’attenzione del granduca, il quale chiede al soprassindaco di prendere un sollecito provvedimento45. Questi, a sua volta, riscrive al

vicario Mordini manifestando tutto il suo stupore per l’incompiutezza dei risarcimenti46;

ordina al Giusdicente di comunicare al Magistrato cittadino l’obbligo di portare a completamento la fabbrica secondo le indicazioni presenti nella relazione e piante di Zocchi, in conformità a quanto prescritto dagli ordini sovrani.

Nonostante gli sforzi, la situazione non sembra mutare e nei mesi seguenti le proteste del vicario tornano a farsi sentire. Il 5 gennaio 1782 Mordini segnala al soprassindaco come la Comunità abbia ripreso i lavori proseguendoli però “con la maggiore indifferenza, e lentezza” fino a abbandonarli nuovamente47. A seguito della nuova segnalazione, Nelli si rivolge al

sovrano confessando di non avere altri mezzi con cui far fronte a tale “ostinata indolenza” se non coinvolgere S.A.R. attendendone gli ordini48.

Pochi giorni dopo, il 15 gennaio 1782, la Segreteria di finanze risponde al soprassindaco intimandogli di insistere nuovamente presso il Magistrato comunitativo di Pontremoli

42 Appendice, n. VII.12.

43 Appendice, n. VII.12. 44 Vedi Appendice, n. VII.13. 45 Vedi Appendice, n. VII.14.

46 Vedi Appendice, n. VII.15. Nel caso in cui la Comunità differisse ulteriormente l’esecuzione degli ordini, il

vicario è tenuto a darne sollecita informazione in modo da prendere gli opportuni provvedimenti.

47 Appendice, n. VII.17. 48 Vedi Appendice, n. VII.18.

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affinché proceda al compimento dei lavori, dandone poi conto nelle consuete forme49.

Altri documenti risalenti allo stesso periodo, tuttavia, svelano il motivo di tanta deprecata inoperosità da parte della Comunità: al 19 novembre 1781 risale l’atto che attesta la comparsa davanti al vicario di Giuseppe Dolfi, Bonifazio Cella e Francesco Fugazzi, detentori di alcune botteghe situate sotto i portici del pretorio, i cui fondi sono stati acquistati o presi a livello dalla Comunità stessa50. Avendo avuto notizia dell’intenzione del Magistrato cittadino

di demolire la loggia, i commercianti contestano lo smantellamento, che lascerebbe le loro attività esposte alle intemperie e notevolmente svalutate di prezzo.

Come da richiesta dei comparenti, la protesta viene notificata al gonfaloniere “all’effetto che non possa allegarsene ignoranza”51.

D’altra parte lo stesso Magistrato non sembra intenzionato a procedere. Nel gennaio 1782, infatti, i capimastri muratori Agostino Lorenzelli e Bartolomeo Cebuffi visitano la fabbrica pretoriale su commissione della Comunità per verificare se la demolizione possa recare qualche minaccia alla stabilità dell’edificio. Dopo aver valutato attentamente le strutture, i due periti concludono dando parere sfavorevole allo smantellamento, spiegando che, “siccome il muro della facciata del Pretorio per tutta quella estensione, che s'inalza sopra il Portico è stato fabbricato su d'una muraglia vechia, che ha per appoggio il Portico suddetto, ed elevato sopra detto Portico per Braccia dieci con una cornice nel suo fine di sporto in fuori di un braccio, essendo detto muro troppo sotile non oltrepassando in grossezza soldi diciotto fiorentini, perciò giudichiamo, che levandoli tale appoggio, col strapiombo che ha la muraglia vechia, col peso della cornice, che ha la muraglia nuova, e sottile correrebbe pericolo di rovinare”52. Questo è vero tanto più che, osservando bene la cortina, la fabbrica nuova verso

la piazza ha già dato qualche segno di movimento.

Sul fondamento del rapporto dei due muratori, il Magistrato rivolge una supplica al sovrano dove giustifica il proprio ritardo con la necessità “di sentire le ragioni de suoi sudditi, e di

49 Vedi Appendice, n. VII.19. L’ordine di insistere presso la Comunità viene girato dal soprassindaco al vicario il

28 gennaio 1782. Vedi Appendice, n. VII.21.

50 Vedi Appendice, n. VII.16. 51 Appendice, n. VII.16.

52Appendice, n. VII.16. Oltre alle motivazioni strutturali, i due muratori non mancano di mettere in evidenza

“l'utilità, ed abbellimento, che porta detto Portico alla fabbrica sudetta architetata sull'esistenza di esso, e dove nell'occasione di Fiera, e di Mercati, che sogliono fasi due volte la settimana nella Piazza al detto Portico annessa, trovano un riparo dalle acque le genti, che ad esso concorrono, e custodiscano le loro merci”. Appendice, n. VII.16. Tale muraglia “vechia” e “sotile” è identificabile con la cortina merlata di origini medievali, ancora visibile nel disegno del 1661 conservato all’Archivio di Stato di Firenze (fig. 76).

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restare meglio informato”53. La Comunità espone i suoi dubbi circa la demolizione dei portici,

che oltre ad donare un certo decoro a tutta la piazza, sono di grande utilità durante le fiere e mercati del paese, soprattutto in caso di maltempo, ma anche un valido riparo per le carceri pubbliche e le botteghe dei commercianti che si affacciano sotto la loggia. Ma il maggiore impedimento consiste nel fatto che, come dimostrato dall’annessa perizia, una volta privato del sostegno del porticato, il vecchio muro della facciata non assicurerebbe un corretto sostegno alla nuova muratura costruita al di sopra e rischierebbe di sgretolarsi. I supplicanti non risparmiano infine una dura stoccata al “savio ingegnere”, ideatore di un tale intervento foriero di gravissime conseguenze54. Per questi motivi si rende nota l’interruzione dei lavori,

in attesa di vedere riconosciute le ragioni della Comunità.

Nel corso del raduno magistrale del 18 marzo viene letta la “proposizione” dei due deputati Giovanni Battista Venturini e Lodovico Maraffi, evidentemente incaricati di vagliare una soluzione alternativa all’abbattimento, in accordo con tutte le parti coinvolte55. Dato che il

problema principale consiste nella scarsa illuminazione del quartiere del notaio civile, ubicato nei mezzanini, si ritiene conveniente spostare l’abitazione del Ministro in altro sito, occupando una parte del vecchio palazzo pretorio. La Comunità tratterrebbe per sé i locali oscuri prima occupati dal notaio, destinandoli per l’archivio dell’estimo e degli atti civili. I costi di riadattamento, stimati in 210 scudi, risultano assai più contenuti rispetto a quelli da sostenersi per una eventuale demolizione, con il vantaggio di non compromettere il decoro della facciata. Considerando dunque i vantaggi economici, funzionali ed estetici e che anche il notaio civile si dimostra favorevole alla nuova soluzione, i due deputati chiedono l’approvazione dell’assemblea cittadina, affinché il vicario possa a sua volta domandare il benestare di Pietro Leopoldo.56

Nel mese di giugno il vicario Mordini torna a lamentare l’incompiutezza dei lavori, iniziati ben tre anni prima. Rimangono da fare ancora il nuovo appartamento del notaio civile, il

53 Appendice, n. VII.22.

54 “Il savio Ingegnere, che ha riferito doversi procedere ad una tale demolizione per dare una maggior luce ai

due Quartieri dei Notari Civile, e Criminale tutt'altro compenso averebbe ritrovato se riflettuto avesse alla divisata ragione dello strapiombo, alla quale come Egli stesso ha ingenuamente confessato non aveva fatta riflessione”. Appendice, n. VII.22.

55 Vedi Appendice, n. VII.23.

56 Il partito viene approvato con sei voti favorevoli, nessuno contrario. Il 22 marzo 1782 il vicario comunica la

“proposizione” al sovrano, allegando il proprio parere favorevole. Vedi Appendice, n. VII.24. La raffigurazione della facciata principale del pretorio con il portico risale a questo lasso di tempo ed è evidentemente legato alla questione dell’abbattimento dei portici (tav. XXXV). Il disegno, anonimo, non è citato nei documenti per cui resta difficile azzardare un’attribuzione.

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riadattamento delle carceri segrete e del quartiere del soprastante57. Inoltre bisogna

terminare l’abitazione del vicario ed effettuare la provvista dei mobili per lui e per i ministri, i quali vanno inventariati e consegnati come prescritto dagli ordini sovrani. Il giusdicente coglie poi l’occasione per denunciare la ristrettezza della propria abitazione composta da tre camere da letto “assai piccole”, le quali, seppure sufficienti per lui, non lo sarebbero per un altro vicario che avesse famiglia e una servitù più numerosa. Per questo domanda che gli vengano concesse almeno tre stanze del piano ammezzato recentemente sgombrato dal notaio civile, da destinare ad ingresso, stanza di udienza e archivio segreto. Così facendo il vicario otterrebbe la disponibilità di cinque camere da letto e la comodità di avere i due banchi civile e criminale adiacente al suo ufficio.

Nello stesso mese di giugno il soprassindaco accoglie in parte le lagnanze del vicario, richiedendogli di intimare i rappresentanti della Comunità “a non farsi debitori di qualunque ulteriore benché minimo ritardo”58 e di vigilare sull’ultimazione dei lavori e sulla formazione

dell’inventario dei mobili.

Nonostante le ripetute raccomandazioni il 29 giugno Mordini torna a dolersi dell’atteggiamento ostruzionista della Comunità, la quale escogita nuove scuse per procrastinare i lavori59. In particolare i rappresentanti cittadini affermano di non trovare

manovali per il trasporto della calcina e pregano il vicario affinché obblighi i paesani a portarla, scortati dalle guardie. Il giusdicente obietta l’assurdità di una tale pretesa e controbatte affermando che il vero problema consiste nell’incapacità, o meglio nella mancanza di intenzione da parte del Magistrato di assicurarsi la giusta provvista di materiali nei tempi opportuni, rimanendo sforniti proprio durante i mesi primaverili e estivi60.

Inoltre il vicario denuncia uno spreco di risorse impiegate nell’acquisto di cattiva calcina e legname non stagionato, nonché nella commissione di pitture ridicole e voluttuose, per le quali il precedente Magistrato aveva già speso 400 lire; quello attuale ha commissionato un dipinto simile per un salotto a due “professori”, solo per il capriccio di “far vedere, che è di

57 Vedi Appendice, n. VII.25. 58 Appendice, n. VII.26. 59 Vedi Appendice, n. VII.27.

60“[…] ogn’anno quando sono arrivati alla Stagione favorevole per poter lavorare, sono rimasti senza materiali,

e per dare ad intendere, che avevano buona idea di proseguire il lavoro, sono sempre venuti avanti di me, ed hanno preteso, che io obblighi i Contadini nel colmo delle loro faccende rusticali a portare i materiali, sebbene sempre io gli abbia detto, che non potevo farlo, e che dovevano avere la premura di fare le provviste per tempo, e come fanno tutti quelli, che veramente vogliono proseguire i Lavori.” Appendice, n. VII.27.

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miglior questo nella Pittura il nuovo, al vecchio Magistrato”61.

D’altro canto la Comunità non si cura nemmeno di attuare le migliorie richieste per il ristretto quartiere del giusdicente, dimostrandosi ostile a concedere le stanze del mezzanino, con la scusa che queste dovranno servire per l’archivio comunitativo, allorché i vecchi spazi dell’archivio e delle adunanze saranno occupati dal quartiere dell’erigendo vescovo di Pontremoli. Con l’evidente scopo di trattenere per sé le camere liberate dal notaio civile, il vicario suggerisce di creare i comodi necessari al Magistrato nello spazio del salone del vecchio pretorio, dove con “pochissima spesa” si potrebbe costruire un divisorio in modo da formare un deposito “servibile per delle centinaia, e centinaia d’anni”62.

Similmente non si è ancora provvisto alla fornitura del mobilio perché, non disponendo di una lista precisa dei pezzi, il Magistrato è intenzionato a scrivere alla Signora Irene Forti di Pescia63 per domandare quali mobili siano stati forniti al palazzo pretorio della città.

Nello stesso giorno in cui il soprassindaco risponde con biglietto alla lettera del vicario, invitandolo a perseverare nel suo intento64, il Magistrato cittadino avverte l’urgenza di

esprimere le proprie ragioni in una lunga lettera indirizzata al funzionario fiorentino65.

In rapporto alle accuse di negligenza e indolenza, in presunto disprezzo degli ordini sovrani, i rappresentanti obiettano di aver terminato pressoché tutto, mancando non più di un mese di lavoro. La maggior parte dei ritardi viene imputata alla difficoltà nel reperimento della manodopera e della materia prima, soprattutto in ragione delle complicanze nel trasporto. Il lastricato della cucina del vicario, benché ordinato, “per mancanza di lavoratori non è possibile che sia fatto che circa la fine del corrente mese di luglio”, mentre la calcina necessaria ad ultimare gli altri appartamenti e le carceri, seppure acquistata dalla Comunità ad un prezzo più alto dell’ordinario, è venuta a mancare per la carenza di trasportatori66.

Riguardo alle pretese del giusdicente di utilizzare alcune stanze nel vecchio quartiere del notaio civile per ingrandire il proprio, i rappresentanti ribadiscono di aver eseguito le

61 Appendice, n. VII.27. È verosimile che le pitture citate possano appartenere ad Antonio Contestabili e Giovan

Battista Natali, due pittori impegnati questi anni nella decorazione delle ville delle agiate famiglie pontremolesi. Vedi TRIVELLONI MANGENELLI, 1996, pp. 83-104.

62 Appendice, n. VII.27.

63 Quella dei Forti è una delle famiglie più importanti di Pescia, non è tuttavia chiaro il collegamento con la

Comunità pontremolese.

64 Vedi Appendice, n. VII.28. 65 Vedi Appendice, n. VII.29.

66 Nelle ultime righe della lettera il Magistrato ribadisce ancora il medesimo concetto: “[…] se la Fabbrica non è

stata ultimata ciò non è seguito per trascuratezza del Magistrato, ma per mancanza di Calcine, e tal volta di Operai, mettendole in considerazione che si tratta di una Fabbrica quasi da Fondamenti elevata, e che presentemente vi lavorano in continuo cinque muratori”. Appendice, n. VII.29.

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disposizioni impartite dall’ingegnere Zocchi nelle due relazioni del 1780 e 1781, le quali, anche a mezzo delle successive modifiche intercorse con l’approvazione della Camera delle comunità, hanno stabilito in via definitiva una degna dimora per i ministri del tribunale67.

Dunque il Magistrato ritiene infondata ogni ulteriore pretesa, tanto più che nel corso delle due visite suddette il vicario non aveva avanzato alcun reclamo.

Si ribadisce poi come la Comunità ritenga ingiusto, dopo aver costruito la fabbrica pretoriale “con sì grave dispendio”, doversi privare persino delle poche stanze conservate per le proprie adunanze e per l’archivio, tanto più che, una volta istituita a Pontremoli la sede vescovile, il Magistrato sarà costretto a abbandonare il palazzo pubblico.

Infine, per quanto concerne la fornitura del mobilio, i rappresentanti affermano di aver già provveduto, ma di non aver ancora stilato l’inventario con l’intenzione di aspettare che tutti i pezzi siano disposti nei vari ambienti per evitare aggiunte e confusioni.

Nonostante la questione sembri conclusa, forse a seguito di ulteriori rimostranze, il gonfaloniere Aurelio Maracchi torna su quest’ultimo argomento solamente una settimana dopo68. Certo di non poter sperare di accontentare i ministri del tribunale, Maracchi supplica

il soprassindaco affinché gli venga fornita una lista del mobilio da procurare o che almeno gli si indichi una Comunità da prendere a modello. Infatti, avendo già speso molto, si vorrebbe provvedere tutto quanto necessario “avendo anche in mira di non dar luogo che ella [il soprassindaco] sia importunata con ulteriori rappresentanze il più delle volte ingiuste”, ma altresì evitando esborsi superflui69.

Si coglie poi l’occasione per portare all’attenzione del funzionario l’insolita pretesa del Notaio civile di voler lastricare la cucina di mattoni anziché pietre, materiale inadatto a tale impiego perché troppo fragile e bisognoso di frequente manutenzione70.

La questione è più diffusamente affrontata in una lettera coeva del vicario, dove si spiega che, essendo la cucina collocata a pianterreno, esposta a tramontana e affacciata su un piccolo orto, l’umidità che abitualmente si trova in un ambiente simile e quella proveniente dall’orto, unita all’infelice esposizione, renderanno la pietra sempre fradicia e gelida,

67 Il Magistrato ripercorre a grandi linee la vicenda progettuale e costruttiva, allegando la copia di due piante

che riproducono il quartiere del vicario al piano nobile e la suddivisione del piano ammezzato tra il quartiere del notaio criminale, evidenziato in giallo, e civile, colorato di verde (tavv. XXXIX-XXXX).

68 Vedi Appendice, n. VII.30.

69 Su questo punto il soprassindaco risponde che la provvista del mobilio venga fatta a discrezione del

Magistrato comunitativo, avendo chiaro lo scopo di stabilire un corredo soddisfacente, evitando altresì ogni superfluità. Vedi Appendice, n. VII. 31.

70 Inoltre la pavimentazione in mattoni della cucina provocherebbe lo slittamento della fine dei lavori nel mese

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diversamente dal mattone71.

Contemporaneamente l’ambizioso vicario cerca di perorare la propria causa presso l’auditore fiscale, al quale si fa presente l’inconveniente di avere gli uffici dei due notai fuori mano rispetto alla sua stanza di udienza, perché collocati su piani diversi72.

Il soprassindaco, interpellato dall’auditore, pone fine alla questione rispondendo con una certa ironia, che svela l’intenzione del giusdicente di accaparrarsi le tre stanze del mezzanino73. Queste sono necessarie alla Comunità, alla quale sono state assegnate

allorquando fu stabilita una comoda e decente abitazione per i ministri, incluso il vicario.

4.

I progetti

Il primo progetto per la costruzione del nuovo palazzo pretorio di Pontremoli viene commissionato dalla Comunità al capomastro Portugalli il 15 dicembre del 1776. Il disegno, che risulta già smarrito nel luglio del 178474, prevede l’ampliamento degli spazi dell’antico

palazzo affacciato sul fiume Magra, tramite la l’elevazione di un fabbricato posto tra il vecchio pretorio e la piazza principale del paese75.

Il nuovo edificio si compone di un pianterreno, destinato ad ospitare le carceri pubbliche, la cappella dei detenuti e le stanze per le guardie, un piano ammezzato dove si collocano gli appartamenti e i banchi dei notai civile e criminale, infine un piano nobile, nel quale viene trasferita l’abitazione e stanza d’udienza del vicario. Nel vecchio palazzo pretorio restano le carceri segrete e le stanze del soprastante; i rimanenti locali sono destinati in parte alla Comunità e in parte al quartiere del bargello.

71 Vedi Appendice, n. VII.32. Dai documenti non è lecito capire quale tipo di pavimento sia stato prescelto, ma

dato che, come afferma il successivo vicario di Pontremoli Carlo Panzanini, nell’aprile del 1783 il Notaio civile non risiedeva ancora nel suo nuovo quartiere (vedi Appendice, n. VII.36), si potrebbe presupporre che ciò fosse dovuto ad ulteriori ritardi nei lavori, probabilmente anche a causa della necessità di rimpiazzare la pietra con i mattoni.

72 Vedi Appendice, n. VII.33. 73 Vedi Appendice, n. VII.34. 74 Vedi Appendice, n. VII.36.

75 La struttura preesistente era composta da un semplice muro merlato cui si addossava un portico affacciato

sulla piazza. Come indicano i documenti, Portugalli costruisce le fondamenta di questo edificio, che su un solo lato presenta una porzione di muro vecchio e “sottile”, collocato dietro al loggiato, sopra il quale si imposta il muro nuovo attinente alla parte superiore dell’edificio. Vedi Appendice, n. VII.3, VII.4, VII.20.

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La distribuzione degli ambienti ideata da Portugalli viene fotografata in tre piante disegnate da Zocchi nell’agosto del 1780, in occasione della visita al cantiere ancora in costruzione commissionatagli da Nelli su espressa richiesta del granduca (tavv. XXVIII, XXX, XXXII).

Nella planimetria del piano nobile si nota l’incompiutezza della fabbrica, con il piano costruito solo in parte e mancante della copertura (tav. XXXII).

Zocchi osserva nel progetto del muratore due gravi difetti: quasi tutte le stanze sono soggette l’una all’altra al passaggio e sono di dimensioni assai ridotte. Al fine di apportare qualche miglioria, vengono proposte alcune variazioni, elencate in tre note distinte per ciascun piano e rappresentate graficamente in tre ulteriori piante76.

Al piano terreno77 l’ingegnere suggerisce di demolire la scala a due rampe che porta al piano

superiore, riducendola ad un’unica rampa in modo da ricavare un piccolo spazio che funga da ricetto per le carceri pubbliche degli uomini (tavv. XXVIII-XXIX). Questa operazione permette di trasferire le carceri delle donne dal sottoscala alla stanza “dei famigli”, più comoda e affacciata sotto i portici della piazza. Le guardie sono sistemate nei nuovi ambienti ottenuti mediante la chiusura di due campate della loggia prospiciente il cortile interno. Infine, in questo ampio vano o in altro adiacente, può essere collocato lo scrittoio del bargello (fig. 78).

Anche al piano superiore, quello dei mezzanini78, va rifatta la scala con una sola rampa in

maniera da acquistare un piccolo andito che, unito a qualche variazione nel sistema degli accessi, svincoli alcune camere del quartiere del notaio civile dalla soggezione del passaggio (tavv. XXX e XXXI). Nessuna modifica è possibile per il quartiere del notaio criminale, che anzi perde un piccola camera, assegnata all’altro ministro (fig 79).

Il piano nobile79, occupato dall’abitazione e stanza di udienza del vicario, permette maggiori

cambiamenti in ragione della sua incompiutezza (tavv. XXXII e XXXIII). Anche in questo caso, la costruzione di una scala a una rampa riproduce gli stessi vantaggi già ottenuti nel livello sottostante in termini di indipendenza dei locali limitrofi, mentre la fusione di due stanze confinanti permette la creazione di una sala piuttosto ampia. Dal vicino salotto si accede a tre camere, una delle quali, seppure soggetta al passaggio, viene allargata con l’abbattimento di un muro (fig. 80).

76 Vedi Appendice, n. VII.5 e Tavole XXVII, XXIX, XXXI. Alle piante è unito uno spaccato dell’edificio lungo la linea

dell’ingresso evidenziata dalle lettere RR (tav. XXXIV).

77 Vedi Appendice, n. VII.5.a. 78 Vedi Appendice, n. VII.5.b. 79 Vedi Appendice, n. VII.5.c.

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In vista della maggiore stabilità della fabbrica, Zocchi suggerisce di aumentare lo spessore del muro della facciata ancora da costruirsi e indica con precisione come realizzare la struttura del tetto, con la cui travatura “incatenare ancora le due muraglie esterne corrispondenti una sulla Piazza, e l'altra sul Cortile e ciò con palettare gl'asinelli”80 nella

maniera raffigurata nel disegno dello spaccato dell’edificio, allegato alle altre piante (tav. XXXIV). Si tratta di un accorgimento che si rende necessario “per collegare, e tenere unita la fabbrica, e servirà di molta resistenza contro la spinta delle volte da costruirsi nell'ultimo Piano”81.

Infine sopra i portici viene progettata la realizzazione di una terrazza scoperta, rivestita di un lastricato ben commesso e dotata di un adeguato sistema di scoli per far defluire le acque piovane. Per contrastare infiltrazioni e umidità Zocchi suggerisce di inserire tra la volte sottostanti e il piano inclinato della terrazza uno strato impermeabile di smalto e ghiaia (tav. XXXIV)82.

In ossequio al rescritto del 14 luglio 1777 anche il palazzo di Pontremoli è oggetto di un sopralluogo formale, compiuto ancora dall’ingegnere Zocchi83.

La relazione scritta, datata all’11 gennaio 178184, assume un carattere più compìto ed è

introdotta da un breve cappello dove vengono riassunte le recenti vicende riguardanti le opere di costruzione della nuova fabbrica pretoriale.

In quest’occasione Zocchi elabora tre nuovi disegni che illustrano le planimetrie del vecchio pretorio, dei tre livelli del nuovo palazzo in corso di realizzazione e un dettaglio delle carceri segrete (tavv. XXXVI-XXXVIII), tutte corredate di una legenda piuttosto particolareggiata. Le piante che concernono la nuova fabbrica si limitano a prendere atto delle variazioni scaturite dalla precedente relazione del 178085.

Tuttavia l’ingegnere annota un grave inconveniente riguardante il quartiere del notaio civile, nel quale le finestre di ben cinque delle sei stanze assegnategli, sono collocate poco al di

80 Appendice, n. VII.4. 81 Appendice, n. VII.4.

82 La soluzione migliore consisterebbe nella costruzione di un tetto che separi le volte dei portici dalla superficie

della terrazza, tuttavia in questo caso non si può fare per mancanza di spazio essendo le volte quasi a livello del piano di calpestio. Vedi Appendice, n. VII.4.

83 Il vicario Carlo Panzanini, nel suo resoconto del 17 luglio del 1784, confonde le motivazioni delle due visite di

Zocchi, affermando che la prima ispezione venne compiuta a seguito del rescritto reale del 1777, comunicato con circolare del 16 maggio 1778, mentre questa è evidentemente la motivazione della seconda visita. Vedi Appendice, n. VII. 36.

84 Vedi Appendice, n. VII.7.

85 Un’unica modifica riguarda la sala del vicario, ulteriormente ampliata tramite l’inglobamento del contiguo

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sotto delle volte della loggia sulla piazza. Per rimediare a una siffatta condizione, che pregiudica notevolmente l’illuminazione e la ventilazione degli ambienti, Zocchi ritiene opportuno demolire i portici, operazione che permetterebbe altresì di ovviare all’ingente spesa necessaria per la realizzazione della terrazza scoperta. Per continuare a garantire la protezione contro le intemperie alle carceri pubbliche e alle botteghe affacciate al di sotto viene consigliata la predisposizione di tettoie di legno amovibili.

Un altro intervento necessario interessa le carceri segrete. Mentre quattro delle sei celle sono ubicate al primo e secondo piano della “torre” del vecchio pretorio, le due rimanenti si trovano nei sotterranei del palazzo e vengono allagate da ogni minima piena del fiume Magra, verso il quale sono rivolte86. Per sostituire questi due ambienti, la soluzione migliore

consiste nel ricavarle in altro luogo, sfruttando i due ampi ricetti delle segrete collocate su due piani sovrapposti di un corpo di fabbrica posto a settentrione, denominato “torre” (tav. XXXVIII87. L’occupazione del ricetto inferiore, prima destinato al guardiano dei carcerati,

determina il ripensamento dell’intero quartiere, che si immagina di trasferire nel locale a pianterreno occupato dall’archivio, nei due stanzini adiacenti e nel vano sovrastante, adibito a cucina (tav. XXXVIII) 88.

I rimanenti ambienti del vecchio edificio vengono in parte lasciati all’uso della Comunità e in parte assegnati al bargello, il quale può trasferirvi la propria abitazione con una spesa complessiva di circa 30 scudi89.

Le proposte progettuali contenute nelle due relazioni dell’ingegnere Zocchi vengono portate a compimento ad eccezione della demolizione dell’elegante loggia sulla piazza principale. Oltre alla riluttanza della Comunità a privarsi di una struttura tanto utile e decorosa per l’estetica della piazza, a seguito del sopralluogo di due periti, viene appurata la rischiosità di un tale smantellamento a causa del disassamento delle vecchie mura appoggiate sui portici, del tutto incapaci di sostenere la cortina muraria sovrastante senza l’appoggio della loggia90.

Il fuori programma determina la necessità di traslocare l’appartamento del notaio civile, mancante della necessaria luminosità, nei locali del vecchio pretorio lasciati a beneficio della

86 Le quattro carceri segrete “buone, e sane” si trovano in due piani sovrapposti in corrispondenza dei numeri

16 e 17 della tav. XXXIII, mentre le altre “inservibili” sono ubicate sotto le stanze 5 e 6 della medesima.

87 L’intervento, che prevede l’erezione di un muro divisorio, è specificato nella tav. XXXVIII dove il colore scuro

rappresenta le strutture preesistenti mentre il tono rosato evidenzia le parti da costruire.

88 L’elenco degli interventi, il cui costo totale ammonta a poco più di 126 scudi, è specificato nell’annessa nota

N°IV. Vedi Appendice, n. VII.8.

89La breve lista degli interventi è contenuta nell’annessa nota N°V. Vedi Appendice, n. VII.9. 90 Vedi Appendice, n. VII.20.

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Comunità, dove vengono occupate tre stanze e una porzione del vasto salone per ottenere tre camere da letto, un salotto per ricevere, una stanza da pranzo e una cucina. L’accesso al nuovo quartiere viene ricavato creando un corridoio al posto dei due stanzini del pianterreno, precedentemente assegnati al guardiano dei carcerati (fig. 81).

Conseguentemente anche l’abitazione per il soprastante viene trasferita in un piano collocato allo stesso livello delle carceri segrete, al di sopra dei locali realizzati per il notaio civile nello spazio del salone91.

In questo modo alla Comunità resta la disponibilità dell’archivio degli atti criminali92, del

salone, seppure ristretto a circa due terzi della superficie originaria e dei locali oscuri dei mezzanini, tre delle quali vengono riservati all’archivio degli atti civili e i rimanenti lasciati a disposizione del giudice di appello (fig. 81).

91 Queste informazioni sono trasmesse nel racconto del vicario Carlo Panzanini del 17 luglio 1784. Vedi

Appendice, n. VII.36 e confronta tav. XXXVI.

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