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Abitare Occupando

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Academic year: 2021

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Abitare

Occupando

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Abitare

Occupando

Volume 1

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1. Metodologia di ricerca

Premesse e specificazioni sullo 'Step 1' Metodologia - Step 1

2. Introduzione

Il mutevole concetto delle città

Nuovi emergenti rischi sociali e vulnerabilità Dibattito contemporaneo sulla crisi abitativa

La risposta pubblica ai bisogni della società, la questione abitativa e la crisi

Il diritto di occupare la città

3. Definizione e configurazioni

Come definire l’occupazione?

Occupazione per deprivazione

Occupazione come strategia abitativa alternativa

4. Storia dell’occupazione

Niente di nuovo

Investigando i cicli storici

5. Mostre, ricerche e manuali d’uso

Architettura dell’appropriazione

Manuale degli occupanti (13a edizione)

6. Casi studio

Torre David Hotel Cambridge Ponte City Apartments Rooftop Dwellings Grand Hotel Beira Corrala Utopia

Via Oglio 8 Christiania

7. Glossario delle icone

8. Glossario delle parole

9. Bibliografia

10. Fonti fotografiche

29 41 53 66 69 91 107 121 137 157 167

Indice

177 186 7 13 192 196 204

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1. Metodologia di ricerca

Premesse e specificazioni sullo 'Step 1'

Il capitolo qui riportato ha la funzione di anticipare e specificare alcune tecniche utilizzate per la prima parte di metodologia, o meglio definito 'Step 1', che concerne principalmente questo primo volume. Quest'ultimo è il prodotto di un semestre di ricerca ed analisi, e successivamente oggetto di esame, per il corso di Laboratorio Finale di Tesi tenutosi presso il Politecnico di Milano nell'anno accademico 2019/20 (tenutosi in lingua inglese), il quale aveva come tematica principale l'Affordable Housing - Domesticity Reloaded, ovvero una reinterpretazione e studio delle (nuove e non) crescenti alternative dell'abitare (più) accessibili.

Il nostro soggetto di studio è stata, appunto, l'occupazione come alternativa alle tradizionali strategie abitative e come una delle più popolari risposte alla carenza di case popolari e residenze di emergenza.

Questo capitolo, in particolare, aveva (ed ha ancora) lo scopo di puntualizzare alcune premesse riguardo l'utilizzo di una specifica tecnica di analisi della parte architettonica dei casi studio presenti in questo libro, che verrà successivamente meglio approfondita.

E' di fondamentale importanza, quindi, specificare che i risultati raccolti e presentati in questo volume, sono il prodotto di una limitata quantità di dati secondari, informazioni, diagrammi, fotografie ed immagini da noi collezionati durante questa prima fase di ricerca. Al momento, ricordiamo al lettore che non è per noi possibile avere un quadro più completo e definitivo dell'attuale stato dei fatti, così come ci risulta praticamente impossibile visitire ed avere l'accesso in prima persona ai siti-casi studio riportati nel successivo capitolo. Molteplici sono le ragioni che ci spingono a voler specificare queste difficoltà pratiche: innanzitutto, i vari edifici e strutture sono sparse in giro per il mondo, creando notevoli distanza geografiche al momenti impossibili da percorrere, soprattutto a seguito delle recenti condizioni globali legate alla diffusione del virus Covid-19; inoltre, la scarsità di evidenze e prove accessibili al pubblico riguardo alcuni aspetti e situazioni interne di alcune occupazioni, rendono difficile una completa visione di queste realtà e obiettività sull'argomento.

Infine, queste difficoltà riscontrate dipendono soprattutto dall'illegalità* che questa tematica comporta e ancora include, in molti stati del mondo, sebbene i vari governi reagiscano secondo diverse modalità di risposta.

In ogni caso, abbiamo cercato di mantenere una visione sull'argomento il più oggettiva possibile, sebbene risulti difficile. In particolare, abbiamo sfruttato e utilizzato dati secondari raccolti da precedenti ricerche ed esibizioni avvenute negli anni, svolte anche da autorità accademiche ed altre università.1

Infatti, al termine della sequenza di casi studio analizzati principalmente secondo criteri di tipologia più architettonica, verrà posta una bibliografia specifica per le fotografie e fonti utilizzate, appunto indirizzabili a già esistenti pubblicazioni e ricerche.

*Ricordiamo che occupare un edificio è considerato un reato e un'attività illegale nella maggior parte degli stati di tutto il globo, e per questo motivo, molto spesso, non ci è permesso sapere cosa succede all'interno delle occupazioni, poichè viene tenuto in sicurezza e all'interno delle stesse strutture. Questo avviene in modo da poter evitare situazioni di

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Metodologia - Step 1

Come precedentemente anticipato, questo primo volume di tesi è indubbiamente caratterizzato da una metodologia e tecniche differenti dalla restante parte, che verrà a sua volta suddivisa in altri due 'step' e fasi metodologiche.

Questo primo approccio si differenzia sicuramente per la base di informazioni scelta per il nostro studio, che in questa sezione si fonderà strettamente ed unicamente su dati secondari, o meglio, già disponibili e precedentemente reperiti da altre figure esterne o ricercatori, utili per la ricerca che si vuole intraprendere, anche se non necessariamente costruiti per tale scopo. Innanzitutto, essi sono stati utilizzati per inquadrare storicamente ed analiticamente il fenomeno, che ha rappresentato ovviamente il primo passo mosso per poter comprendere le basi del concetto di occupazione e le sue diverse sfaccettature; soprattutto, nostra priorità è stata definire il contesto in cui essa nasce e le motivazioni socio-economiche alle sue spalle, che bene la collegano alla questione abitativa, ancora molto attuale.

Tutti questi aspetti sono stati frutto di un'analisi per lo più di tipo quantitativo, ovvero come lascia intendere la parola usata, una raccolta di informazioni che si presentano per lo più sotto forma numerica.

I dati secondari da noi raccolti erano finalizzati alla misurazione con sufficiente precisione dell’oggetto di studio, per poi giungere a conclusioni molto precise e dettagliate. Un'analisi di questo tipo ci permetteva di giustificare e confermare quanto era stato letto nei periodici, libri ed altri studi attraverso delle quantità, importanti anche per capire e dare una scala al fenomeno e intuire il grado di rilevanza delle precedenti crisi globali, che hanno poi portato alla sua formazione. Di carattere quantitativo è stata anche la successiva ricerca e collezione di esempi di ricerche, mostre, manuali e pratiche legate all'occupazione, che ci avrebbero permesso di comprendere le metodologie solitamente utilizzate da altre fonti (accademiche e non) per studiare lo specifico fenomeno.

Tuttavia, se in una prima fase ci siamo preoccupate di registrare il più grande numero possibile di indagini a riguardo, in modo tale da poterle categorizzare e suddividere in differenti tipologie e modalità d'approccio, un successivo passo è stato quello di valutare il più affine alle nostre possibilità e conoscenze, soprattutto da studentesse di architettura, e non solo in ambito sociologico. Quindi, questa investigazione di carattere decisamente più qualitativo, ci ha permesso di selezionare e snellire, di conseguenza, una lista di casi studio già precedentemente individuati, che ci era a questo punto possibile, tramite altri studi ad essi già indirizzati, analizzare ed 'anatomizzare'.

Le modalità di selezione dei casi studio, riportati a partire dal successivo capitolo (p. 66-187), sono state differenti e molteplici:

• Abbiamo cercato di garantire esempi in tutto il globo, ma con una maggiore attenzione ai casi localizzati in quello che viene definito il Sud Globale1 (Global South), in contrapposizione ad altri presenti nel Nord Globale. E’ stato stimato che ci sono globalmente dai 600 milioni ad un bilione di persone che occupano, con una vasta maggioranza di loro appunto localizzati nelle città e paesi del Sud Globale. Quindi, esso si caratterizza soprattutto per una maggioranza numerica di effettivi occupanti.2 Le occupazioni che emersero nelle città del Nord Globale a partire dagli anni Sessanta e Settanta erano effettivamente di una scala minore, nonostante essi giochino ancora un importante ruolo nello sviluppo di nuove forme di politiche urbane, e hanno tutt'ora più rilevanza di carattere sociale e politico. Tuttavia, in questo settore del mondo, risulta

più definita quella categoria di senza-tetto o bisognosi di un rifugio che ricorrono all’occupazione. Nel Sud mondiale questo confine è molto più labile, dato anche un molto più grande numero di accampamenti illegali, un’effettiva occupazione della terra. Importante è sottolineare la condizione del Sud Globale, data anche la diversa attitudine e risposta dei Governi e delle Istituzioni a questa pratica: essi sembrano disinteressati e tendono a non praticare lo sgombero delle strutture, considerando gli occupanti comunque possibili votanti; o, comunque, in una situazione di povertà simile, che gli occupanti si sposterebbero immediatamente in una delle altre migliaia di occupazioni presenti nel paese, come istinto alla sopravvivenza.3 Risulta per loro, quindi, una situazione ingestibile a tale scala.

• Come precedentemente specificato, la scelta è anche basata sulla pre-esistenza di ricerche, possibilmente accademiche, direttamente legate al caso studio selezionato. Ad esempio, il caso di Torre David ha avuto come base di analisi la ricerca portata avanti dal ETH di Zurigo e lo studio architettonico Urban Think-Tank.4

• In base a elementi ed attributi di profonda peculiarità, che li rende unici nel loro genere e li distingue, ma da cui altre occupazioni di secondaria importanza hanno preso, volontariamente o non, ispirazione, sia nella loro strutturazione, che nell'organizzazione interna o negli interventi di carattere spaziale o architettonico.

I casi studio esemplari determinati sono stati, poi, separati in due macrogruppi, che li dividono in modelli di importanza esclusivamente storica/politica/sociale, e in episodi di altrettanta rilevanza spaziale o architettonica, molto spesso attraverso interventi e modifiche involontarie apportate dagli occupanti e/o attivisti.

Infine, l'analisi di ogni esempio è stata svolta secondo quest'ordine e passaggi:

1. localizzazione goegrafica, su scala nazionale e urbana, che illustra il rispettivo contesto; 2. composizione di una linea del tempo, che evidenzia i principali spill-over effects, o eventi

precipitanti, che hanno portato al disuso e abbandono dell'iniziale funzione dell'edificio, fino ad arrivare all'occupazione e all'eventuale sgombero;

3. descrizione dello stato della struttura, organizzazione interna e servizi offerti;

4. (solo) nel caso di rilevanza architettonica, un'analisi aggiuntiva di alcuni spazi ed

interventi effettutati dagli occupanti secondo cinque categorie (vedi glossario delle

icone), come risultato dei loro bisogni e necessità.5

L'insieme dei dati raccolti con l'indagine svolta su questa serie di casi, ci porterà a confermare alcuni elementi e caratterestiche, e a definire quali sono le tendenze e i bisogni più comuni tra gli occupanti delle varie strutture. Queste informazioni fungeranno da base di partenza e verranno poi riutilizzate e riproposte nelle successive sezioni della ricerca. Questo materiale ci servirà anche da parziale conferma per poter procedere con il prossimo step (metodologico), che avverrà attraverso, invece, la raccolta di dati primari direttamente sul campo, a proposito della questione abitativa e delle occupazioni nella Città di Livorno, che preannuncerà a sua volta il caso studio conclusivo della Torre della Cigna.

1. The makeshift city: Towards a global geography of squatting. Vasudevan, A. Aprile, 2014. https://doi. org/10.1177/0309132514531471

2. Shadow Cities: A Billion Squatters, A New Urban World. Neuwirth, R. 2006. Routledge; New York. 3. https://www.spatialagency.net/database/why/political/squatting

4. Brillembourg, A., Klumpner, H. (2012). Torre David. Informal vertical communities. Baden: Lars Muller Publishers.

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2. Introduzione

Il mutevole concetto delle città

La crisi energetica degli anni settanta e il declino dell’economia delle città, portò alla riorganizzazione del settore industriale e ad apportare modifiche alle attività produttive, alle abitudini del consumatore e alla ricerca di innovazioni nel campo tecnologico. Le tendenze riguardanti l’occupazione, la popolazione e le normative di ogni stato, iniziarono a cambiare e a modificarsi come consequenza del mutamento di contesto.

Dal punto di vista delle occupazioni, quelle, una volta, ritenute più convenzionali, sicure e durature iniziarono ad essere meno popolari, e nuove forme di lavoro più flessibili, come il part-time, collaborazioni esterne, lavoro da casa, iominciarono ad essere adottate. Questo fattore ebbe un impatto negativo su coloro che non avevano un educazione adeguata o abilità professionali alle spalle, e la disoccupazione a lungo termine inizò ad essere una grave problematica che affligeva ogin stato e società. Inoltre, il modello dell’uomo di famiglia che “porta a casa il pane” iniziò a scomparire, e le donne iniziarono ad avere un ruolo attivo nel mondo del lavoro.

Altri importanti cambiamenti furono osservati nella sezione demografica della società: l’allungamento dell’aspettativa di vita, il tasso di divorzi, di famiglie con genitori single, famiglie ricomposte post-divorzio, nascite al di fuori del matrimonio e nuclei da una persona singola, così come il calo di nascite e matrimoni. Il modello di nucleo familiare tradizionale, in cui l’uomo lavora e guadagna, e la donna si prende cura della casa e dei bambini, inizia a scomparire.

L’instabilità e le trasformazioni in questi due settori modificarono le possibilità e capacità di protezione dello stato welfare. I sistemi welfare rimasero intrappolati in un modello che non era più in armonia con gli emergenti profili di rischio delle nuove società.1 La loro rigidità era

in contrasto con la mutevolezza delle ultime.

I nuovi trend e cambiamenti causarono un incremento nella richiesta di nuovi servizi e occupazioni sia per lavoratori con importanti qualità e abilità, sia per coloro che ne erano insufficienti. Questo processo aumentò la polarizzazione sociale tra ricchi e poveri. Mentre unna parte della società rientrava nell’inclusione sociale, la restante parte risultava esclusa a causa dell’allungamento di questo divario. Come risultato, gli esclusi persero la possibilità di partecipare nella società, così come nel mondo del lavoro, settore immobiliare e assistenza scolastica. Disoccupati, donne, giovani adulti e coloro con un basso livello educativo hanno un più grande rischio di povertà o esclusione sociale rispetto ad altri membri della popolazione appartenenti all’EU-28*. I dati analizzati in base a sesso, età, livello di educazione e stato di occupazione nel 2016, sono riportati nella Figura 1. Il rischio di povertà ed esclusione sociale risultava pià alta per le donne (24.3% rispetto al 22.4% degli uomini). Nella sezione dell’età, il rischio più elevato era stato riscontrato per i giovani adulti (trai 18 e 24 anni) con il 30.7%, e quello meno rilevante (17.7%) gli over 65. Se si considera invece il livello educativo, più di 3 ogni 10 (30.7%) con un basso livello risultano più a rischio di povertà, a differenza dei coetanei con un titolo di studio affermato. Nel complesso, l’analisi per stato di occupazione mostra che i disoccupati rischiano maggiormente, come potremmo aspettarci. Più dei due terzi degli intervistati (67.0%) è a forte rischio.

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D’altro canto, non cambiò solo il sistema sociale, ma anche l’organizzazione spaziale delle nuove infrastrutture e servizi iniziò ad essere studiata ed osservata nelle città. Come risultato di queste trasformazioni, quando fu ritenuto necessario e ,soprattutto, conveniente per i Comuni, i più poveri vennero spostati o allontanati dalla propria area, in modo tale da poter attrarre nuovi acquirenti e affittuari più benestanti, e disposti ad investire capitale. Purtroppo, questo processo di “rimozione” dei locali più poveri portò alla loro stigmatizzazione ed esclusione economica e sociale. Per molti studiosi ed esperti, la polarizzazione sociale può essere basata anche su un distanziamento spaziale, poichè la concentrazione della sezione della popolazione più povera in specifiche zone delle città, solitamente svalutate, è ritenuta causare esclusione dal resto degli abitanti.

Così, le nuove politiche di rivitalizzazione urbana divennero un argomento di cruciale importanza nei vari stati. Queste ultime erano finalizzate a favorire un mix sociale nei distretti più poveri, in modo tale da poter attrarre la classe media, migliorando la qualità di vita, le infrastrutture e servizi, e rendendo questi quartieri più appetibili.

Purtroppo, questi tentativi di “gentrificazione” e “riqualificazione” non ebbe successo nnell’intento di creare più inclusione sociale e, molto spesso, etnica.

La Gentrificazione fu definita dal teorico Hamnett, come una nuova fase nell’organizzazione della struttura urbana, una riflessione nello spazio della ristrutturazione economica, o un criterio strategico per analizzare la creazione di strati sociali e collegamenti tra posizione sociale e spaziale.2

*EU-28: i 28 stati membri dell’Unione Europea.

Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettoina, Lituania, Lussembrugo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia.

1. Taylor-Gooby, P. (2004). New risks, new welfare: the transformation of the European welfare state. Oxford: Oxford University Press.

2. Hamnett, C. (1991). The Blind Men and the Elephant: The Explanation of Gentrification. Transactions of the Institute of British Geographers, 16(2), 173. doi: 10.2307/622612.

Figura 1. Persone a rischio di povertà o esclusione sociale per caratteristiche socio-economiche, EU-28,

2017(% Percentuale della popolazione totale)

Nota: l’analisi per livello di educazione e stato lavorativo è riferito alla popolazione maggiorenne.

Fonte: Eurostat 15 30 45 (%) 0 60 75 Mascio Femmina < 18 18-24 25-49 50-64 65+ Basso Medio Alto Occupato Disoccupato Pensionato Altro

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Nuovi emergenti rischi sociali e vulnerabilità

I nuovi rischi sociali appaiono a causa delle insicurezze ed instabilità del mondo del lavoro, della trasformazione del concetto tradizionale di famiglia e della sua fragilità, e dell’inefficienze dei sistemi sociali welfare. Queste nuove vulnerabilità emergono in diretta proporzione ai nnuovi rischi sociali. La povertà è sempre esistita nella sotria della nostra società, ma oggi, oltre chi è consistentemente povero, c’è un gruppo più ampio di persone che vivono in situazioni di incertezza e che sono esposte al rischio di povertà. Questi rischi non portano necessariamente a uno stato di povertà o di deprivazione permanente, ma piuttosto generano difficoltà ricorrenti distribuite lungo tutta la nostra vita1-3.

Questa porzione di popolazione è afflitta da una povertà temporanea, in un periodo ridotto della loro esistenza, o nel peggior caso, continuano più volte ad uscire e rientrare in questo stato di precarietà.

La diffusione di forme non-standard di occupazione, costretti alla flessibilità ed instabilità del lavoro, e la pressione di competizione internazionale mette gli individui più in pericolo. Recentemente, la discussione a livello europeo sugli indicatori degli svantaggi sociali, ha concentrato alcuni tra i “responsabili” e da tenere in considerazione il guadagno e lo stato lavorativo. Inoltre, nell’arena politica, decisioni prese all’interno dell’Unione Europea si sono mosse in questo senso nell’ultima decina di anni, e che “avere un tetto sopra la testa” dovrebbe risultare tra gli indicatori più importanti (Laeken Council del 2001). La crisi abitativa è il risultato di profondo trasformazioni sia nella richiesta che nella provvista di abitazioni, ma anche cambiamenti nel sistema di produzione e il loro impatto nella stratificazione sociale (aumento dell disuguaglianze, impoverismento e vulnerabilità sociale), la diffusione di politche neo-liberali nel settore immobiliare, cambi demografici, della struttura familiare. Nel 2017, c’erano 112.8 milioni di persone nell’EU-28 che vivevano in contesto familiare a rischio di povertà ed esclusione sociale, equivalenti al 22.4% dell’intera popolazione. Questi individui risultavano almeno in una di queste situazioni: povertà per reddito ed entrate, con gravi deprivazioni di beni materiali o in stato di bassa intensità lavorativa o disoccupazione. L’analisi sul rischio di povertà ed esclusione sociale è riportata nella Figura 2. 53.5 Milioni di persone nell’EU-28, vivono in stato di povertà (ma non di deprivazione materiale o disoccupazione). 13.8 Milioni di persone sono afflitte da deprivazione materiale (ma non glia ltri due rischi prima citati) e 11.9 milion di persone fronteggiano la disoccupazione o sono in uno scarso stato occupativo (ma non gli altri due).

Infine, se 26.5 milioni di persone vivono in una famiglia che è soggetta a due su tre di questi rischi, i restanti 7.1 milioni di individui hanno sperimentato tutti e tre le situazioni citate.

3. Whelan, C., Layte, R., & Maître, B. (2004). Understanding the Mismatch between Income Poverty and Deprivation: A Dynamic Comparative Analysis. European Sociological Review, 20(4), 287-302.

Figura 2. Persone a rischio di povertà o esclusione sociale per tipologia di rischio, EU-28, 2017

Fonte: Eurostat 53.5 11.9 14.4 1.9 13.8 10.2 7.1 A rischio di povertà Intensità lavorativa molto bassa Grave deprivazione materiale

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Dibattito contemporaneo sulla crisi abitativa

Come precedentemente anticipato, la crisi abitativa può essere tracciata già negli anni settanta. Mentre i tassi di profitto calavano in quegli anni, unna transizione dalla produzione industriale ai mercati finanziari era vista come una soluzione per mantenere i profitti attivi. In particolare, i mercati finannziari hanno mirati al settore abitativo ed immobiliare. Speculazioni nel settore urbano erano così solo una delle operazioni avvenute durante il capitalismo. Questo consiste in crediti, debiti, mutui, fondi pensionistici, patenti ogni sorta di affare legato ai titoli legali e al denaro, che carburavano la capacità di accumulo del capitale, non tenendo conto delle comodità, servizi, lavoro, risorse naturali e informazioni di background.4 Le istituzioni finanziarie come le banche, il Fondo Monetario Internazionale

(IMF) e la World Bank furono capaci di dettare le politiche di stati indebitati, ma anche di controllare le nostre vite, presenti e future, attraverso prestiti studenteschi, mutui per immobili, consumo di crediti, fondi pensionistici, e così via.5

Per essere in grado di comprendere i conflitti sulla questione abitativa, dovremmo connsiderare la crisi globale finanziaria del 2008. Questa portò al collasso del mercato immobiliare in molte città del mondo. I debiti per rate del mutuo non pagate, e il pignoramento delle case furono dovuti alla disoccupazione, privatizzazione delle banche, e progetti di rinnovo urbano furono velocizzati per attrarre nuovo capitale. Come conseguenza, molti abitanti furono sfrattati dalla propria casa e abitazione; furono obbligati a cercare case abbordabili in un mercato fondato sul capitale ed eccessivi costi. Appartamenti ed edifici ad uffici vuoti, fabbriche, industrie e scuole abbandonate, demolizione di parchi pubblici e terre coltivabili o il rinnnnovamento di vecchi quartieri sono i risultati di forze speculative supportate dalle istituzioni politiche. La necessità di abitazioni era diventata più evidente che mai.

Questo mostra il fallimento dei governi nel fornire politiche adeguate per i cittadini. Inoltre, another important feature of the early twentieth century is that housing development in l’Europa era fortemente caratterizzata da forniture private. Le politiche abitative furono riviste in quest’ottica e il coinvolgimento dei governi fu scarso e troppo breve. L’agenda politica non si focalizzava sulle politiche abitative, ma su una svolta verso la proprietà degli immobili. Gli inndividui proprietari di immobili furono incoraggiati dai governi tramite concessioni sulle tasse e altri sussidi diretti come la riduzione degli interessi sui prestiti.

Più di un quarto (26.5%) della popolazione dell’EU-28 possedeva un immobile tramite mutuo o prestito, mentre più dei due quinti della popolazione (42.8%) viveva in unn’abitazione da loro posseduta, senza aver fatto ricorso ad un prestito bancario (guarda la Figura 3). Da questa analisi, possiamo riassumere che 7 ogni 10 persone nell’EU-28 vivono in una casa di proprietà (69.3%). Al contrario, il 20 % è composto da cittadini in affitto, al prezzo di mercato e il 10.7% è un affittuario a prezzo ridotto o senza costi.

4. López, I. and Rodríguez, E. (2010) Fin de ciclo. Financiarización, territorio y sociedad de propietarios en la onda larga del capitalismo hispano (1959–2010) [The End of the Cycle: Financialisation, Land and Society of the owners in the Long Wave of Spanish Capitalism]. Madrid: Traficantes de Sueños.

5. Harvey, D. (2007) ‘Neoliberalism as creative destruction.’ Annals of the American Academy of Political and Social Science 610(1), 21–44.

Proprietario, con mutuo o prestito Proprietario, senza prestito o mutuo Affittuario, affitto a prezzo di mercato Affittuario, affitto a prezzo ridotto o senza costi 25 50 75 100 EU-28 Ne

therlands Sweden Denmark Belgium

Luxembou

rg

Finland Portugal Ireland France Spain

Germany

UK

Austria Ma

lta

Czechia Estonia Cyprus Slovakia Hungary Greece Italy Slovenia Lithuania Poland Latvia Croa

tia

Bulgaria Romania Iceland Norway

Switzerlnad

(%)

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Proprietario, con mutuo o prestito Proprietario, senza prestito o mutuo Affittuario, affitto a prezzo di mercato Affittuario, affitto a prezzo ridotto o senza costi 25 50 75 100 EU-28 Ne

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Figura 3. Distribuzione della popolazione per titolo di godimento delle famiglie, 2017

(% Percentuale della popolazione totale)

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La risposta pubblica ai bisogni della società, la questione abitativa e la

crisi

A causa di una riduzione nell’aiuto e servizio pubblico, di regolamentazioni flessibili sulla condizione di lavoro, di un’aumento del costo della vita nelle città e della segregazione spaziale supportata dallo stato tra i più ricchi e la deprivata classe lavoratrice, il povero, migranti e lavoratori occasionali sono stati afflitti da nuove espropriazioni.

Le necessità abitative e i bisogni sociali dei residenti possono essere valutate all’interno di questo argomento. La carenza di abitazioni accessibili economicamente comparata con gli effettivi introiti della società, lo stock di edifici vacanti ed abbandonati, politiche abitative e sociali inefficienti e lunghissime liste d’attesa per case popolari o d’emergenza, hannospinto la gente a rispondere ed entrare in azione.

Questa è la ragione per cui l’occupazione viene vista da alcuni cittadini come una risposta a le precedenti questioni sociali ed economiche citate, e anche, come una soluzione ai fallimenti dello stato welfare e del capitalismo.

I bisogni degli individui variano in base ai loro bisogni e alle loro esigenze. Anzitutto, i senza-tetto hanno come prorità assoluta “l’avere un senza-tetto”.

Altri possiamo ritrovare che sono in cerca di una casa, ma rappresentano coloro che necessitano di una residenza più adatta alle proprie esigenze, come giovani adulti, residenti di case di qualità sotto la media, famiglie che si allargano, coppie divorziate, chi lavora da casa, così come rifigiuti e immigrati; insomma, categorie che, come precedentemente preannunciato, sono altrettanto fragili, seppur a un livello differente.

Nonostante l’occupazione non possa essere l’unica “soluzione” alla crisi abitativa, il professore e managing director di OTB, Research Institute for Housing, Urban and Mobility Studies, Hugo Priemus afferma che gli occupanti possono contribuire nel preservare e nell’aggiungere edifici vuoti allo stock immobiliare, migliorando le proprie premesse. Inoltre, promuovono e inseriscono la questione abitativa nell’agenda politica, espongono l’abuso di proprietà e spingono le autorità ad affrontare le speculazioni effettivamente nel mercato immobiliare, e a gestire meglio le politiche per rispondere alla richiesta di abitazioni. 6

6. Priemus, Hugo (1983) Squatters in Amsterdam: Urban Social Movement, Urban Managers or Something Else? International Journal of Urban and Regional Research 7: 417–427.

Source: Housing Europe Dublin Cork 5% 27% 21% Belfast Manchester 13.2% London Bologna 6% Naples 11% Barcelona Bilbao 2% Lisbon 30% Ghent Brussels Aarhus Gothenburg Copenhagen Helsinki 10% 12% 28% 20% 19% 13% Amsterdam Hamburg Berlin Vienna Trieste Milan 42% 8.5% 5.9% 43% 11% 10% Paris 19% Linz 54% Poznan Ljubljana Munich Almere 27% Social welfare land use Revitalization EU supported urban regeneration Rent caps & expropriation Growing supply by the Housing Fund

Land zoning for social housing

Combining public with private funds

Affordable Housing Revitalizing

housing estates

Centralizing for scale & efficiency THE SHARE OF SOCIAL HOUSING Poland Czech Rep Belgium Slovenia Italy Spain Germany Portugal 4% 30% 8% 2% 6% 3% 3% 2% Netherlands Austria Denmark Sweden UK France Finland Ireland 30% 24% 21% 19% 18% 16.5% 13% 9%

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Il diritto di occupare la città

“Il governo ha fallito nell’accettare il principio che tutti hanno il diritto di avere una casa e, come risultato, non ha garantito la fornitura di abitazioni per tutti come da priorità.

Nella nostra visione, in una società civilizzata uno dei diritti essenziali di ogni persona dovrebbe essere quello di avere una casa decente. Questo diritto non è stato riconosciuto dalla nostra società e la gente è stata, quindi, forzata all’occupazione. Occupare non è una pratica separata dalla questione abitativa ma ne fa parte e può essere solo risolta con essa.” 7

L’approccio del filosofo e sociologo Henry Lefebvre sul diritto alla città fu sviluppato nei tardi anni sessanta, quando la pratica dell’occupazione iniziò a diffondersi nei vari stati europei.8

L’intento di Lefebvre era di criticare le città capitaliste e la moderna pianificazione urbana alla luce dell’idea Marxista; egli propose un’ideologia per rivelare una riforma urbana.

Il diritto alla città fu adottato dagli accademici per analizzare i dibattiti sulle politiche abitative, la gentrificazione, spazi pubblici ed esclusione sociale. Dall’argomentazione di Mitchell e Holm’s 9-10, il diritto alla città è stato ampiamente interpretato come diritto ad

occupare la città e a re-immaginare gli spazi pubblici, e un diritto all’abitazione.

Inoltre, Purcell afferma che “il diritto alla città, secondo Lefebvre, è un diritto all’insediamento, appropriazione e partecipazione.”11

I diritti di Lefebvre sono, in questo modo, “diritti di utilizzo più che di scambio”. Così, il diritto alla riappropriazione implica il reclamo e la riorganizzazione dello spazio per massimizzare il suo utilizzo, piuttosto che massimizzare il valore di scambio per il capitale.

Alcuni dei principi che hanno determinato la teoria del diritto alla città:

- accesso per tutti (ma, in particolare, per la classe operaia) a un rinnovato centro-città secondo le necessità sociali e valore;

- appropriazione dello spazio urbano per incoraggiare il pieno sviluppo della vita quotidiana ed incoraggiare la creatività umana;

- profonda democratizzazione, partecipazione del cittadino, rafforzamento delle parti di cittadini esclusi, e auto-controllo e organizzazione della città;

- opposizione alla burocrazia del governo, consumo alienante, speculazione immobiliare e segregazione socio-economica.

Il diritto alla città venne così visto come un diritto emergente accanto ad altri già stabiliti e civilizzati come quello all’abitazione, educazione, salute, ecc. 8

Tenendo connto della letteratura e alle informazioni pervenute sulle occupazioni urbane, è stato notato che i movimenti più autonomi e gli attivisti per l’occupazione mostrano simili interessi, sebbene con un diverso vocabolario.

D’altro canto, le questioni del tipo “diritto di chi” e “quale città” furono ipotizzate da vari studiosi ed accademici.

Notoriamente, Marcuse definì due gruppi critici: i deprivati e gli insoddisfatti.

I deprivati si riferiscono ai ‘più marginalizzati, meno pagati ed insicuri membri della classe lavoratrice’, con un interesse speciale sui bisognosi, direttamente oppressi, coloro per cui anche le necessità primarie non sono soddisfatte: senza-tetto, gli affamati, gli imprigionati, i perseguitati per sesso, religione, basi razziali; coloro il cui lavoro affaticae aggrava la loro vita, il cui reddito è al di sotto del minimo necessario, coloro che sono esclusi dai benefits della

5 - < 10 10 - < 20 20 - < 30 >30 < 5 EU-28 = 15.8

Edifici Inutilizzati

(% Percentuale della popolazione totale)

(14)

27 26

vita urbana.12 Così, gli occupanti che chiedono un’abitazione accettabile e minima ceramente

sono parte di questo gruppo.

Gli insoddisfatti, al contrario, sono persone da altre classi sociali, lontani da servizi della città, deprivati da una effettiva vita sociale e partecipazione politica;coloro la cui attività può essere rimandata ai centri sociali dei centri occupati.

Infine, è ovvio che ci sia un discordo tra le necessità abitative delle persone e le politiche sociale urbane. Inoltre, lo stock di edifici vuoti e innutilizzati è in contraddizione con la situazione descritta. Come conseguenza, l’occupazione viene vista come una strategia e tattica usata dagli individui per trovare un tetto o riparo e migliorare le proprie condizioni.

7. Squatting, trespass and civil liberties National Council for Civil Liberties, January 1976 8. Lefebvre, Henri (1968) [1996] Writings on Cities. Oxford: Blackwell

9. Mitchell, Don (2003) The Right to the City. Social Justice and the Fight for Public Space. New York: The Guilford Press.

10. Holm, A. & Kuhn, A. (2011). Squatting and urban renewal: The interaction of squatter movements and strategies of urban restructuring in Berlin. International Journal of Urban and Regional Research, 35(3): 644–658.

11. Purcell M (2003) Citizenship and the right to the global city: Reimagining the capitalist world order. International Journal of Urban and Regional Research 27:564–590.

12. Marcuse, Peter (2012) Whose Rights(S) to What City? In Neil Brenner, Peter Marcuse & Margit Mayer (Eds) Cities for People, Not for Profit. Critical Urban Theory and the Right to the City. Abingdon: Routledge.

(15)
(16)

31 30

4. Definizione e configurazioni

Come definire l’occupazione?

L’occupazione rappresenta la pratica dell’occupare una area o struttura vuota e disabitata, senza permessi nè diritti di proprietà su di esso.

Come il giornalista americano Robert Neuwirth suggerisce, nel mondo ci sono circa un bilione di persone che vivono in un edificio occupato, quasi definendo gli occupanti “il costruttore colletivamente più grande al mondo”.1

Analizzando le architetture occupate e auto-costruite nel nostro pianeta, specialmente in aree e nazioni caratterizzate da una grave deprivazione come nel sud del globo, l’autore offre un’ampia visione della questione. Così, egli propone una visione alternativa alla pratica dell’occupazione, che prende le distanze dai “miti” classici e mainstream diffusi nelle società occidentali. A questo riguardo, una delle questioni più rilevanti portate in evidenza nel suo saggio è la reale possibilità di costruire e costituire vere e proprie comunità all’interno delle occupazioni, con lo scopo e la volontà di investire e lavorare per rendere questi luoghi abitabili e accessibili.

Inoltre, il giornalista afferma che le comunità di occupanti non sono così differenti e lontane da altre forme di comunità conosciute, con la condivisione di stessi valori, codici e regole non scritte, e scopi da raggiungere e soddisfare nel corso della loro esistenza.

Dato che gli occupanti devono di solito combattere e insistere per poter ottenere diritti e beni che di solito tutti noi consideriamo di prima necessità, e diamo per scontati, come acqua, elettricità e fognatura, “essi sono gli attori chiave caratterizzati dalla volontà, dall’energia e dal bisogno di costruire le città di domani”.1

Il nostro interesse su questa tematica, riguarda la stretta affinità di queste pratiche con la realtà formale dell’organizzazione e sistema abitativi. Per comprendere questo cruciale fenomeno dell’occupazione, è importante definire un background e quadro teorico per poter giustificare e spiegare i diversi scenari che si presenteranno nel corso del libro.

Il sociologo Olandese Hans Pruijt ha eseguito un accurato studio sulle logiche dell’occupazione urbana. Secondo Pruijt, i movimenti di occupazione possono essere analizzati e suddivisi secondo diverse tipologie, o meglio definite, configurazioni.2 Esse differiscono in base alle

caratteristiche degli attori o persone coinvolte, tipo di edificio occupato, composizione e struttura organizzativa, presenza o meno di attivisti. Ogni configurazione implica, poi, problematiche o aspetti positivi corrispondenti. In particolare, riportate di seguito le cinque configurazioni da lui riconosciute (Tabella 1):

• occupazione per deprivazione;

• occupazione come strategia abitativa alternativa; • occupazione imprenditoriale;

• occupazione per conservazione; • occupazione politica.

(17)

L’occupazione per deprivazione include le persone più povere, in difficoltà a causa di deprivazione della loro abitazione e quindi ora senza-tetto.

Nella seconda configurazione, invece, la gente si organizza in gruppo per potersi ricreare una situazione abitativa alternativa, che segua e rispetti i loro bisogni comuni.

L’occupazione imprenditoriale offre l’opprtunità di organizzare ed adattare quasi ogni tipo di struttura a questa funzione, senza la necessità di vaste risorse e senza il rischio di aprire attività scavalcando tutti gli aspetti burocratici, che a volte agiscono, al conrario, da freno. Di solito, non sono altro che attività a basso costo come bar e locali, che arricchiscono e sono a perti a tutto il quartiere e vicinato.

La configurazione con scopo di conservazione dell’edificio, mira al recupero della struttura che era stata lasciata abbandonata a sè stessa e vuota, perchè in attesa di essere smantellata e rimossa dal quel sito.

Infine, l’occupazione a sfondo politico riguarda coloro coinvolti in sistemi che occupano per dimostrare una questione politica, molto spesso riguardante diritti abitativi.

Questa suddivisione è stata ampiamente applicata, ma anche criticata da molti teorici. In particolare, le configurazioni ‘per deprivazione’ e ‘politica’ sono state le più bersagliate dagli studiosi. Da un lato, gli occupanti più poveri possono collaborare e lavorare con attivisti per diritti abitativi, i quali, in cambio, politicizzano le loro azioni e richieste.

Dall’altra parte, invece, molte configurazioni implicano caratteristiche e faccettature politiche senza necessariamente rappresentare una specifica organizzazione o partito politico.3

Come evidenziato qui di fianco, il nonstro interesse per questa ricerca si focalizzerà solo le prime due configurazioni, quelle che più riguardano e rispondono alla questione abitativa.

1. Neuwirth R. 2007. Squatters and the city of tomorrow, Journal city

2. Pruijt, H.D. 2013. The Logic of Urban Squatting. International Journal of Urban and Regional Research. 3. Martínez Miguel A. 2020. Squatters in the capitalist city: housing, justice, and urban politics. New York, NY: Routledge.

Occupazione per deprivazione

Occupazione come strategia abitativa alternativa

Occupazione imprenditoriale

Occupazione per conservazione

Occupazione politica

Senza-tetto che occupano per necessità abitative

• Occupanti di classe inferiore supportati da attivisti della classe media • Organizzazione top-down, divisione tra attivisti e beneficiari • Tipologia di edificio: strutture appartenenti allo stock residenziale inspiegabilmennte abbandonati o vuoti

Attivisti occupano edifici come protesta o per fondare centri sociali • Classe media (ma non solo)

• Organizzazione top-down annche se il confronto è essenziale • Tipologia di edificio: poche restrizioni

• Rende l’occupazione un target per la repressione più di spicco. Può anche, in breve termine, aiutare gli occupanti con le concessioni

Persone che occupano edifici per fornire un servizio alla comunità a basso costo come bars, clubs, ecc.

• Classe media (ma non solo)

• Valore prezioso nella comunità e vicinato • Tipologia di edificio: spazi di uso non-residenziale • Preservano identità dopo la legalizzazione

Persone non disponibili a liste d’attesa agiscono e si auto-organizzano • Classe media (ma non solo) che crea residenze per sè stessi • Organizzazione orizzontale, nessuna divisione

• Tipologia di edificio: in stato troppo cattivo o buono per essere affittati come abitazioni a basso costo

Preservazione di edifici lasciati a sè stessi e in stato di decadimento • Classe media (ma non solo)

• Valore prezioso nella comunità e vicinato

• Tipologia di edificio: strutture vuote per pianificazione di utilizzo diverso della terra

• Contro la pianificazione tecnocratica e distruzione degli ambienti

(18)

35 34

1.

1. Occupazione per deprivazione

2. Occupazione come strategia abitativa alternativa 3. Occupazione imprenditoriale

4. Occupazione per conservazione di edifici 5. Occupazione politica

2.

3.

4.

(19)

Occupazione per deprivazione

La prima configurazione è la meno recente apparsa storicamente e include i più poveri, e persone legate alla classe operaia, afflitti dalla deprivazione della loro abitazione. Non solo necessitano una residenza, ma nel loro stato sono i soggetti più a rischio e costretti a vivere per strada, divenendo senza-tetto. Questo è il loro specifico stato che li rende più bisognosi un “tetto”. Gli attori principali che influiscono in questa categoria non sono solo i senza-tetto,4 ma anche attivisti con un interesse sull’argomento o fanno parte di un movimento più

generale,5 volenterosi di aiutare il prossimo, per lo più membri della classe media.

Questo porta a una chiara distinzione dei ruoli, secondo una organizzazionne top-down. Gli attivisti supportano gli occupanti nell’ingresso all’edificio e in tutto il processo dell’occupazione.

“Nell’occupazione per deprivazione, è possibile avvantaggirasi della percezione che gli occupanti sono bisognosi e in cattive condizioni sociali, scegliendo edifici vuoti appartenenti a personaggi e organizzazioni che hanno obblighi (anche morali) a garantirgli una casa e che si sentirebbero in imbarazzo e ingiustificati nel sgomberarli e cacciarli. Tra questi, ci sono lo Stato e la Chiesa.”2

Edifici poco costosi e di valore appartenenti allo stock residenziale dello Stato o della Chiesa, inspiegabilmente lasciati abbandonati o vuoti, sono per queste ragioni sono il principale bersaglio per questa prima configurazione.

La risposta pubblica a questa pratica di occupazione gioca un importante ruolo: se negativa, permette e lascia le autorità arrivare alla rimozione e sgombero degli occupanti, a volte anche con violenza; al contrario, se positiva, permette agli occupanti di chiedere più tempo, aiuto alle autorità, e solo alcune volte una completa regolarizzazione della situazione.

Anche i rischi legati a questa categoria sono molteplici: le persone in necessità di una abitazione potrebbero soffrire di altre problematiche aggiuntive;6 gli attivisti potrebbero

perdere il proprio interesse nella questione col tempo o le difficoltà, o scoraggiati dalla cattiva organizzazione degli abitanti; il dialogotra occupanti ed attivisti potrebbe complicarsi a causa di background differenti alle spalle e potrebbe sorgere unn rischio di dipendenza.

Tutte le caratteristiche, membri, attori e contesti riguardanti questa configurazione sono stati riassunti nel diagramma qui di fianco riportato (Tabella 2).

Alcuni esempi che potrebbero essere collegati a questa prima categoria, potranno essere successivamente ritrovati nel capitolo dei casi studio di questo libro. 7

4. Famiglie e gruppi omogenei come immigrati, ex-militari, e persone in cerca di abitazione. 5. Socialisti, filantropi, religiosi.

6. Abuso di sostanze, spacci e furti, violenza domestico o sessuale. 7. Hotel Cambridge, Via Oglio 8-Aldo Dice 26x1, Corrala Utopia. Tabella 2. Occupazione per deprivazione

PERSONE in NECESSITA’

ATTIVISTI Persone classe media:

- Socialisti; - Filantropi; - Religiosi.

Focus specifico o parte di un movimento. Senza/a basso reddito o classe operaia: - Famiglie; - Gruppi omogenei con problemi di grave deprivazione.

Entusiasti di aiutare gli altri

Obblighi morali/costituzionali

della Chiesa e dello Stato POSITIVI:Collaborazione con le autorità, possibile legalizzazione. NEGATIVI: Sgombero Problemi aggiuntivi: - Abuso di sostanze; - Spacci/furti; - Violenza sessuale/ domestica. - Edifici appartenenti allo stock residenziale inspiegabilmennte abbandonati o vuoti; - Edifici vuoti dello Stato o della Chiesa.

- Cattiva organizzazione; - Perdita di interesse. RISCHI RISCHI RISCHI O RGANIZZ AZI O NE TO P-D O WN EDIFICI RESIDENZIALI, HOTEL, SCUOLE, OSPEDALI, ECC. MOVIMENTI di FAMIGLIE OCCUPANTI UK: Coppie sposate con bambini

hanno la precedenza; Olanda: Coppie sposate senza bambini hanno gli stessi diritti.

OCCUPAZIONE DI MASSA - Ex-militari o forze dell’ordine;

- Persone in cerca di casa; - Immigrati o rifugiati.

CHI

COSA

COME

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39 38

Occupazione come strategia abitativa alternativa

Secondo il sociologo Hans Pruijt, l’occupazione rappresenta una delle attività più attuabili come alternativa all’affitto. Questo scenario presentato nella seconda configurazione è meno restrittivo rispetto al precedente. In questo caso, i principali attori sono persone con origine nella classe media, che hanno però scelto di dedicare sè stessi ad attività che portano meno introiti finanziari.

“L’occupazione come strategia abitativa alternativa comprende membri, al di fuori del gruppo di persone precedentemente visti come urgentemente bisognosi di un tetto, ma sono comunque fragili e in cerca di una abitazione poichè non sono, ad esempio, sposati, non hanno figli, sono molto giovani o ben istruiti.”2

Questa configurazione, basata sul concetto di una abitazione senza costi, include fanatici del DiY8, disponibili a investire il loro tempo e sforzo in una nuova e alternativa soluzione

abitativa. Risultano, anche, meno vulnerabili dei senza-tetto della precedente categoria, poichè vengono poco, o non, stigmatizzati dalla società.

Essi agiscono direttamente e in prima persona per risponndere ai propri bisogni, ed è quello che caratterizza il loro modo di vivere, e l’orgoglio di unna situazione gestita e organizzata da sè stessi. Tuttavia, uno dei principali rischi è il problema di (presunta) legittimità, poichè essi non risultano tra i più ed effettivi bisognosi di una residenza, con cui non volgiono comunque entrare in conflitto. Per questa ragione, scelgono la loro struttura-bersaglio tra gli edifici in stato troppo cattivo o buono per essere affittati come abitazioni a basso costo, spazi commerciali non progettati per essere adibiti ad uso residenziale o ampie strutture senza appartamenti, che favoriscono la vita di comunità.

Un’altra fondamentale differenza tra le due configurazioni fin’ora citate, è l’organizzazione decisamente più comunitaria, definita orizzontale, della seconda. Questo significa che non è presente alcuna figura o gruppo che ha più autorità di altri, ma tutti sono sullo stesso livello decisionale, e tutto viene concordato in comunità.

Tutte le caratteristiche che definiscono questa seconda configurazione sono riassunte nel driagramma qui di fianco riportato. (Tabella 3)

Tra i casi studio presenti nel libro, il caso esemplare di Christiania9 a Copenhagen, Danimarca,

è sicuramente quello più affine a questa categoria.

8. DiY: “Do it yourself” o il “Fai da te”, è un metodo di riparare, modificare o costruire oggetti e strutture senza l’aiuto diretto di un esperto tecnico.

9. Caso studio di Christiania Tabella 3. Occupazione come strategia abitativa alternativa

OCCUPANTI AUTO-ORGANIZZATI Persone in urgente ricerca di casa, appartenenti alla classe media: - Giovani/studenti; - Non sposati/senza figli. DIVERSITA’ IDEOLOGICA - Anarchia; - Anti-capitalismo;

- Contro i diritti di proprietà; - contro valori mainstream.

POSITIVI:

Collaborazione con il vicinato, possibile legalizzazione. NEGATIVI:

Sgombero, difficile controllo sociale - Edifici in stato

troppo cattivo o buono per essere affittati come abitazioni a basso costo; - Edifici di grandi dimensioni adatti allo stile di vita comune.

Problemi di legittimità RISCHI

ORGANIZZAZIONE ORIZZONTALE nessuna figura autoritaria,

ma decisioni comuni MAGAZZINI, SPAZI COMMERCIALI, MERCATI, FABBRICHE, ECC. COMUNITA’ Interesse nel vivere con un certo

gruppo di persone, dovuto agli stessi interessi, bisogni e

background culturali.

DiY

Voglia di adattare l’abitare tradizionale ad uno stile di vita

alternativo con risultati tangibili ed immediati.

CHI

COSA

COME

PERCHE’

RISULTATI

In cerca di possibilità e situazioni abitative senza

(21)
(22)

43 42

5. Storia dell’occupazione

Niente di nuovo

“L’occupazione è la modalità di possesso più antica del mondo, e noi discendiamo tutti dagli occupanti stessi.” 1

Sei secoli di occupazione è il sottotitolo del saggio redatto da Colin Ward, “The early squatters - i primi occupanti”, pubblicato per Squatting: The real story by Anning, Wates and Walman. L’autore riporta nello scritto una dettagliata narrazione sull’occupazione come pratica risalente sin dal Medioevo, con vari riferimenti all’occupazione, in particolare, di terre vacanti e libere. Le sue parole trovano, poi, conferma in Rober Neuwirth, quando quest’ultimo afferma: “Non c’è modo di ignorare questa conclusione: le città occupate del 21o secolo sono positivamente

medievali. E, allo stesso modo, non c’è modo di evitare un’altra deduzione: la storia delle città insegna che gli occupanti sono sempre esistiti, che l’occupazione è sempre stato il modo dei più

poveri di costruirsi abitazioni, che questa è una forma di sviluppo urbano. Tutte le città nascono dal fango.” 2

L’autore e giornalista americano descrive la sua esperienza di permanenza in una comunità di occupanti, nel suo libro Shadow Cities: A Billion Squatters, A New Urban World.3 La sua diretta esperienza sul campo, soprattutto di pratiche occupazionali da lui osservate a Nairobi, Rio de Janeiro, Istanbul e Mumbai, gli hanno permesso di essere uno dei massi esperti sull’argomento.

Anfiteatro romano del 2o secolo presso Aries, Francia, abilmente riconvertito ad uso residenziale durante il Medioevo. Gli ‘occupanti’ furono sgomberati nel 1830, le loro abitazioni rase al suolo e la restante struttura ricostituita come rovina.

Immagine presa dal libro The Prodigious Builders, di Bernard Rudofsky, Secker and Warburg, Londra, 1977.

1. Ward, C. (1980). The Early Squatters. In N. Wates and C. Wolmar (eds.) Squatting. The real story. Bay Leaf Books, London.

2. Neuwirth R. 2007. Squatters and the city of tomorrow, Journal city

(23)

Investigando i cicli storici

Nonostante molte ricerche si focalizzino principalmente su movimenti di occupanti in città o stati più specifici,3 esiste, però, anche una crescente tendenza all’investigazione e allo studio dei diversi cicli storici, che li confronta e paragona all’interno di un panorama europeo più ampio.4

Questi studi mostrano come nella storia gli occupanti abbiano effettivamente interagito con altri movimenti sociali e politici, e quanto significative siano state le circostanze politiche ed economiche di sottofondo; queste ultime rappresentano, in effetti, i fattori che limitavano e determinavano ‘i picchi e gli avvallamenti’ nelle più intense ondate di occupazioni.

I movimenti studenteschi e della classe operaia, la riunificazione della Germania, l’accrescimento di una giustizia globale e l’aumento delle proteste anti-austerity, il punto di svolta determinato dalle politiche di criminalizzazione delle occupazioni*: tutti questi elementi sono stati evidenziati come significanti condizioni di questo contesto, rilevanti per poter comprendere il susseguirsi di cicli storici dei movimenti di occupazione.

Inoltre, interpretazioni contraddittorie a proposito del declino e delle crisi sperimentati dai precedenti movimenti sono state ugualmente e ampiamente analizzate: silenziose pratiche di occupazioni, ma anche parzialmente tollerate, particolarmente critiche nelle politiche della Berlino Est5; cooperazioni tra gli occupanti e associazioni di inquilini in Polonia6; in spiegazione dell’irregolare sviluppo della scena anarchica degli occupanti a Praga7, e una critica esaminazione del AKC Metelkova Mesto, il più importante centro sociale in Slovenia8. Questi sono tutti esempi cruciali di ricerche ed attenzioni riposte da alcuni accademici e studiosi nelle regioni centrali ed orientali dell’Europa.

Per di più, i controversi rapporti degli occupanti con i proprietari degli immobili da loro occupati e con le Autorità, differiscono in base a contesti politici ben distinti, cicli e trend economici del momento, caratteristiche e background sociali degli attivisti, e legami con altri movimenti sociali e politici.

Resoconti storici, geografici ed etnografici popolano questo campo di ricerca, ma è anche evidente un crescente interesse nelle politiche economiche e nella finanzializzazione globale degli immobili, che influenzano e limitano questi movimenti9.

Nonostante, ci possano essere difficoltà nella generalizzazione e applicazione di queste scoperte e teorie al di fuori dei confini europei, varie ricerche indicano che continui flussi di comunicazioni, spostamenti, e mutuali influenze sono avvenuti per lo meno tra gli occupanti e attivisti del nostro continente, che possono essere riassunte e ridotte ad un unico movimento urbano trans-nazionale molto duraturo10.

L’occupazione urbana contemporanea in Europa può essere vista come un avanzamento delle occupazioni organizzate degli anni Sessanta, ma essa non dipende da un clima di scontri interculturali. Il fatto che fossero organizzate a larga scala subito dopo la Seconda Guerra Mondiale11 lo testimonia.

Nuove ondate di occupazioni si verificarono anche quando il neoliberalismo si rivelò negli anni Ottanta, nonostante varie problematiche ambientali, la povertà, la disoccupazione, e il revival della vita da comunità presero il sopravvento nell’agenda politica.

In questa e nelle successive decadi, i movimenti urbani diventano più frammentati e alcune delle loro diramazioni si rivelano per essere più cooperative con i Governi locali, nononstante Occupazioni post-guerra:

1947. Occupanti a Ealing, Londra: la Seconda Guerra Mondiale aveva lasciato un esagerato numero di senza-tetto in tutto il mondo. In Inghilterra, i veterani di guerra furono i principali attori delle azioni di occupazione.

Occupazioni per abitazioni: 1963. Baraccanti, Roma: all’incirca 62,000 persone vivevano in baraccopoli nei sobborghi della città. Questa situazione rappresentò un ritratto di una situazione a lunga-esistenza di occupazioni e movimenti nella maggior parte delle città italiane.

1a Generazione di occupazioni politiche:

1977. Huntley Street, Bloomsbury: appartamenti per forze dell’ordine vacanti (lasciate vuote per 4 anni), furono occupati con un’ iniziativa dello Squatters Action Council a Londra, e divenne la residenza di molti attivisti inglesi.

1978. Sgombero di massa più grande di Londra.

(24)

47 46

la cooptazione e neutralizzazione dell’attivismo che questi elementi implicano.

I movimenti di giustizia globale, dei tardi anni Novanta e durante i primi Duemila, spostarono le priorità nel creare un territorio europeo maggiormente interconnesso per i movimenti sociali. Gli occupanti erano ancora riconoscibili all’interno di questi network, per esempio, nei summit alternativi globali contro le grandi aziende energetiche, e nelle proteste contro la gntrificazione dei quartieri.

L’ultima offensiva dell’egemoninco neoliberalismo, nella prima decade del ventunesimo secolo, continuò a creare nuovi stimoli e motivazioni per i movimenti urbani, data la sempre più problematica carenza di abitazioni, l’aumento delle strutture vacanti ed abbandonate, dei debiti e la finanzializzazione che guidava lo sviluppo urbano. Occupazioni professionali precarie, l’accrescimento della polarizzazione socio-economica della popolazione, e la privatizzazione di servizi e infrastrutture urbane, salute ed educazione in particolar modo, hanno motivato la rinascita di movimenti di occupazione per abitazioni e centri sociali in coalizione con altre figure di attivismo urbano.

* Criminalizzazione dell’occupazione: Spagna nel 1995, Olanda nel 2010, Inghilterra e Galles nel 2012, Italia nel 2014 3. Aguilera, 2018; Finchett-Maddock, 2016; Holm & Kuhn, 2011; Mudu, 2004; Owens, 2009

4. Anders & Sedlmaier, 2017; Martínez, 2018a; Pixová & Novák, 2016; Polanska & Piotrowski, 2015; Van der Steen et al., 2014; Vasudevan, 2017

5. Grashoff, U. 2019. Cautious occupiers and restrained bureaucrats: Schwarzwohnen in the German Democratic Republic. Somewhat different from squatting. Urban Studies, 56(3): 548–560.

6. Polanska, D. & Piotrowski, G. (2015). The transformative power of cooperation between social movements: Squatting and tenants’ movements in Poland. City, 19(2–3): 274–296.

7. Pixová, M. & Novák, A. (2016). Prague post-1989: Boom, decline and renaissance. Baltic Worlds, IX (1–2): 34–45. 8.Babic, J. 2015. Metelkova, mon amour: Reflections on the (Non-) culture of squatting. In A. Moore & A. Smart (eds.) Making Room. Cultural Production in Occupied Spaces. Barcelona: Other Forms, & Journal of Aesthetics and Protest, 298–310.

9. Cattaneo & Martínez, 2014; Martínez, 2018a; Mayer, 2016

10. Owens, L., Katzeff, A., Lorenzi, E. & Colin, B. 2013. At home in the movement: Constructing an oppositional identity through activist travel across European squats. In C. Flesher & L. Cox (eds.) Understanding European Movements. Abingdon: Routledge, 172–186.

11. Friend, 1980; Johnstone, 2000 2a Generazione di occupazioni

politiche:

1985. KOKA, Madrid: dopo la morte di Franco, un gruppo di persone auto-organizzato occupò un edificio nel distretto di Lavapiés. Da quel momento, il numero di occupazioni aumentò drasticamente, non solo in quell’area della città, ma in tutta la nazione.

Movimenti studenteschi: 1989. Mainzer Strasse, Berlin: quando il governo comunista non era ormai più al potere, molti giovani occuparono un edificio. Molti degli occupanti della struttura ottennero un contratto nel 1997 e vivono ancora lì.

Movimenti post-globalizzazione:

2004. Ungdomshuset, Copenhagen: il verdetto della City Court annnunciò che Faderhuset, il proprietario dell’edificio, poteva far causa a quattro attivisti (piuttosto che l’Ungdomshuset stesso) poichè l’Ungdomshuset non aveva una organizzazione e un’autorità in carica, e di conseguenza non ritenuta un vera organizzazione o movimento. La corta, tuttavia, negò un compenso a Faderhuset.

(25)

Post-Seconda Guerra Mondiale: Occupazioni per abitazioni

- Londra - Roma

Anni Settanta (1970s):

1a Generazione di occupazioni politiche e movimenti autonomi - Amsterdam - Copenhagen - Francoforte - Londra - Milano - Vienna Anni Ottanta (1980s):

2a Generazione di occupazioni politiche e movimenti post-autonomi - Amsterdam - Berlino - Bologna - Madrid Anni Novanta (1990s): Movimenti studenteschi - Ljubljana - Berlino - Milano - Poznan

Primi anni Duemila (2000s):

Movimenti post-globalizzazione e nuove influenze di occupazioni per abitazioni

- Barcellona - Bilbao - Roma

A partire dal 2010:

Nuovi movimenti post-crisi globale - Atene - Milano - Roma - Madrid Milano Ljubljana Roma Madrid Vienna Praga Londra Barcellona Bilbao Poznan Berlino Francoforte Amsterdam Copenhagen Bologna

Mappa dei principali movimenti

(26)

51 50 1990’s 1970’s 1980’s 2000’s 2010’s Italia Europa Mondo 2020 1990 2000 1970 1980 1990 2010

Torre della Cigna, Livorno Spin Time Labs, Roma

Aldo Dice 26x1, Milano

Confini

Indirizzo: occupazioni per abitazioni Durata ≥ 2 anni

Casi Studio Inizio/fine

Inizio occup. Selezionati 28 marzo Il governo italiano criminalizza l’occupazione con il Decreto 47

Significanza ≥ 100 occupanti Fine (positiva) Fine (negativa)

Laurentino 38, Roma

Ernst-Kirchweger-Haus, Vienna

AKC Metelkova, Ljubljana

Rozbat, Poznan Poortgebouw, Rotterdam

AUC, Utrecht

Grote Broek, Nijmegen

Liebig 34, Berlino

Torre David, Caracas

Hotel Cambridge, San Paolo Corrala Utopia, Siviglia

City Plaza, Atene Christiania, Copenhagen

San Basilio, Roma

Seymour Buildings, Londra West End, Francoforte

Nieuinmarkt, Amsterdam

Kreuzberg District, Berlino

Manhattan Residence, New York

Ponte City, Johannesburg Grand Hotel Beira, Beira Roof-top Dwelling, Hong Kong

Spain

(27)
(28)

55 54

6. Mostre, ricerche e manuali d’uso

Architettura dell’appropriazione

Het Nieuwe Instituut

Rotterdam, Olanda 2017

L’occupazione emerse in Olanda come prominente forza sociale, nei centri-città dello stato mantenuti in scarse condizioni, negli anni Settanta e Ottanta, quando abitazioni vuote, proprietà commerciali e siti industriali furono occupati senza il permesso dei proprietari degli immobili. Nonostante il diveto di questa pratica arrivò nel 2010, essa ancora accade anche se in una scala più limitata.1

Il movimento degli occupanti ha giocato un importante ruolo nel design e nella progettazione dello spazio urbano e degli interni domestici. L’utilizzo di tattiche spaziali improvvisate e, praticamente, quasi del tutto intuitive, piuttosto che strategie di porgettazione tradizionali e masterplan, gli occupanti hanno proposto alternative a queste politiche dominanti e conservative, argomentando che il diritto delle persone di avere una abitazione supera e scavalca per importanza il diritto alla proprietà privata. Attraverso l’appropriazione e la manutenzione di edifici e strutture ormai abbandonate, queste comunità sono state capaci di auto-organizzare infrastrutture domestiche autonome, zone libere, o spazi per ospitare i nuovi arrivati, e in alcuni casi contribuiscono addirittura alla conservazione e al preservo di centri-città ed architetture storiche.2

L'esibizione organizzata dal Het Nieuwe Instituut di Rotterdam, Architecture of Appropriation, o Architettura dell'Appropriazione, riconosce il ruolo degli occupanti nella trasformazione e metamorfosi delle città e dei loro sistemi abitativi.

Nonostante l'occupazione sia solitamente vista come una pratica principalmente a livello sociale e politico, o come un fenomeno storico, questa mostra e ricerca, e successivamente pubblicazione editoriale la presenta invece attraverso il linguaggio architettonico e dell'attivismo spaziale. Questo approggio e atteggiamento del team di ricercatori incaricati, vuole dimostrare come progetti architettonici possano agire da mediatori tra l'abbandono di edifici, la proprietà privata e il diritto di un'abitazione.

Architettura dell'Appropriazione vuole dimostrare anche come occupazioni di successo, sia

nel 1979 che nel 2019, sempre risultino nell'immediato controllo e responsabilità su una certa proprietà. Se gli occupanti fossero in grado di poter restare nella loro struttura occupata, essi avrebbero la libertà di utilizzarla e riconvertirla in base ad un intervento programmato o spontanea, per adatarla al meglio alle proprie necessità e bisogni.

Dato che, nella maggior parte dei casi, gli stessi edifici da loro selezionati sono in realtà trascurati ed abbandonati in cattivo stato, oppure destinati a tutt'altre funzioni non di tipo residenziale, queste operazioni di riconversioni risultano molto impegnative e richiedono molto lavoro da parte degli occupanti.

Perciò, una tipica tipologia di architettura inizia ad emergere, risultato della combinazione di un immediato bisogno e desiderio di trasformare lo spazio, della collaborazione e dell'ideologia di vivere in comunità e del desiderio di condividere spazi comuni, la mancanza di fondi reali e concreti per poter attuare una effettiva trasformazione e rinnovo, la facilità

1.

2.

1. Pannelli metallici usati per le foto dei progetti di occupazioni, esposti nella mostra.

2. Scalinata metallica colorata progettata e montata in corrispondenza di una delle pareti cieche dell’Istituto, come accesso dei visitatori alla mostra.

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di adattarsi ad una nuova e diversa tipologia di struttura, e l'incertezza di essere sgomberati. L'istituto in cui la mostra si è tenuta si trova proprio nel centro città di rotterdam, nell'area dei musei. Gli organizzatori ef progettisti dell'esibizione arrivarono anche all'idea di aggiungere una scala di emergenza (Foto 2) ah uno dei muri ciechi dell'edificio. I visitatori sarebbero saliti attraverso questa scalinata celeste pastello, che li avrebbe guidati al terzo piano della struttura. Questo atto "ribelle" e alternativo sarebbe stata una garanzia di quello che il visitatore avrebbe poi ammirato all'interno della mostra.

Il curatore ha invitato per l'occasione ZUS3, la compagnia e studio di architettura olandese con

base a Rotterdam, per progettare ed allestire lo spazio dell'esibizione. Lo studio ha adottato il metodo di lavorod egli occupanti, ma applicato in modo leggermente differente al terzo piano del Nieuwe Instituut. I designer hanno riutilizzato e riciclato materiali di edilizia per muri e pavimentazioni e rivestito il grezzo spazio dell'Istituto con interventi a più livelli, con colori molto tenui, studiando e creando attentamente spazi spontanei. L'esibizione mostra cinque progetti rappresentati con dettagli e disegni tecnici, linee del tempo e fotografie, spillate a piccoli e stranamente posizionati pannelli metallici.

1. L’occupazione fu criminalizzata nei Paesi Bassi nel 2010.

2. La conservazione di edifici storici è lo scopo principale di una delle configurazioni menzionate dal sociologo Olandese Hans Pruijt, 2013. The Logic of Urban Squatting. International Journal of Urban and Regional Research. 3. ZUS, studio di architettura e paesaggistica urbana con base a Rotterdam, Olanda.

Alcuni spazi della mostra all'interno dell'Istituto di Rotterdam, con la ricreazione di spazi e organizzazioni spaziali ritrovate durante gli studi del team, a cura dello studio ZUS.

Figura

Figura 1. Persone a rischio di povertà o esclusione sociale per caratteristiche socio-economiche, EU-28,  2017 (% Percentuale della popolazione totale)
Figura 2. Persone a rischio di povertà o esclusione sociale per tipologia di rischio, EU-28, 2017
Figura 3. Distribuzione della popolazione per titolo di godimento delle famiglie, 2017 (% Percentuale della popolazione totale)
Tabella 2. Occupazione per deprivazione
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