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CAPITOLO IV

DAL RECLAMO AL PROCESSO

1. La costituzione in giudizio delle parti: profili generali; 2. La costituzione in giudizio “anticipata” del contribuente; 3. La costituzione in giudizio nelle liti istaurate contestualmente contro l’Agenzia delle Entrate e l’Agente della riscossione; 4. La prosecuzione del processo.

1. La costituzione in giudizio delle parti: profili generali

Al di fuori dei casi in cui si pervenga alla composizione stragiudiziale dell’intera lite – il che può verificarsi per effetto dell’accoglimento integrale del reclamo ovvero della definizione consensuale della complessiva materia del contendere attraverso l’istituto della mediazione – il contribuente, al termine della procedura disciplinata dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992, può avere interesse ad adire il giudice tributario, al fine di vedere accolte le sue domande che siano state in tutto o in parte disattese dall’Agenzia delle Entrate.

Per fare ciò non è necessario che predisponga un ulteriore ricorso, in quanto il reclamo stesso diviene atto introduttivo del giudizio in forza del comma 9 dell’art. 17-bis cit. 1

Al privato, quindi, non resta altro che costituirsi in giudizio depositando, nella segreteria della Commissione tributaria provinciale, l’originale del reclamo notificato ai sensi dell’art. 137 e seguenti c.p.c. o una copia conforme all’originale del reclamo notificato tramite spedizione postale o consegna all’Agenzia delle Entrate 2 3

.

1 Tale norma, nei primi due periodi, stabilisce che “Decorsi novanta giorni senza che sia stato

notificato l'accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso. I termini di cui agli articoli 22 e 23 decorrono dalla predetta data”.

2 Si ritiene, in assenza di una disposizione contraria, che operi l’art. 22, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992, perciò l’atto di reclamo/ricorso depositato in segreteria deve, a pena di inammissibilità, essere identico a quello notificato all’Agenzia delle Entrate. Così F. Pistolesi, Il reclamo e la mediazione nel

processo tributario, in Rass. trib. n. 1/2012, pag. 65. In realtà, l’ermeneutica contraria potrebbe fondarsi sulla

circostanza che l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992 rinvia al solo quarto comma dell’art. 22, e non al terzo, che disciplina tale motivo di inammissibilità.

3 A norma dell’art. 22, comma 4, del d.lgs. n. 546/1992, unitamente al reclamo/ricorso e ai documenti che dimostrano la relativa notificazione, il contribuente deve depositare la nota di iscrizione a ruolo ed il proprio fascicolo, contenente la copia dell’atto impugnato e gli altri documenti prodotti, in originale o fotocopia.

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In base alla formulazione originaria dell’art. 17-bis (ossia nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’articolo 1, comma 611, della l. n. 147 del 2013), il termine per la costituzione in giudizio, che è di trenta giorni per il ricorrente e di sessanta per il resistente, aveva una decorrenza “mobile”, ancorata, non già alla data di notifica del reclamo, ma alle vicende contemplate dall’art. 17-bis e dunque alla scadenza dei novanta giorni successivi alla presentazione del reclamo o alla data, antecedente, in cui l’Agenzia delle Entrate comunicava il rigetto totale o parziale dello stesso. Trattandosi di adempimento tipicamente processuale, il termine per la costituzione in giudizio delle parti era (ed è) sospeso durante il periodo feriale ai sensi della l. 7 ottobre 1969, n. 742.

È dunque fondamentale, ora come allora, individuare con esattezza il dies a quo del termine per la costituzione in giudizio del contribuente, il cui mancato rispetto, come prevede l’art. 22 del d.lgs. n. 546/1992, conduce all’inammissibilità del ricorso, a differenza di ciò che avviene per la parte resistente 4.

Pertanto, in applicazione dei principi generali in tema di notificazione, il termine de quo decorreva, per gli atti ricevuti dal contribuente prima del 2 marzo 2014:

 in caso di inerzia dell’Ufficio, dal novantesimo giorno successivo a quello in cui è pervenuto il reclamo;

 in caso di notifica del diniego o dell’accoglimento parziale prima dello spirare dei novanta giorni dalla proposizione del reclamo, dal giorno del ricevimento dell’atto da parte del contribuente.

L’articolo 1, comma 611, della l. n. 147 del 2013, ha eliminato il terzo e quarto periodo del comma 9 dell’art. 17-bis, in base ai quali “Se l’Agenzia delle entrate respinge il reclamo in

data antecedente, i predetti termini decorrono dal ricevimento del diniego. In caso di accoglimento parziale del reclamo, i predetti termini decorrono dalla notificazione dell’atto di accoglimento parziale”, ed ha aggiunto il seguente “Ai fini del computo del termine di novanta giorni, si applicano le disposizioni sui termini processuali”.

4 Come rileva A. Cissello, Reclamo e mediazione: il procedimento e la stesura dell’atto, in Il fisco n. 13 del 26 marzo 2012, pag. 1-1950, nota 39, si potrebbe sostenere che nel caso degli atti reclamabili la tardiva costituzione in giudizio non comporti l’inammissibilità del reclamo/ricorso, siccome l’art. 17-bis rinvia al solo comma 4 dell’art. 22, e non anche al comma 1, contemplante la richiamata sanzione. Nondimeno, stante la gravità delle conseguenze potenzialmente derivanti dalla tardiva costituzione in giudizio del contribuente, l’A. raccomanda di adottare un approccio cautelativo e ritenere che il relativo termine sia perentorio.

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Ne consegue che per le istanze di reclamo presentate avverso gli atti notificati (o i silenzi-rifiuti maturati) a decorrere dal 2 marzo 2014, qualora il procedimento di mediazione non si sia concluso con un accoglimento integrale del reclamo o con la formalizzazione di un accordo, i termini per la costituzione in giudizio delle parti di cui agli articoli 22 e 23 del d.lgs. n. 546 del 1992 decorrono, in ogni caso, dal compimento dei novanta giorni dal ricevimento dell’istanza da parte dell’Ufficio.

In altri termini, diversamente da quanto stabilito dalla previgente disciplina, la notifica del provvedimento dell’Ufficio che respinge o accoglie parzialmente il reclamo non rileva ai fini della decorrenza dei termini per la costituzione in giudizio delle parti.

Inoltre, per espressa previsione normativa, il termine di novanta giorni deve essere computato applicando le disposizioni sui termini processuali e quindi, diversamente da quanto previsto dalla previgente disciplina, tenendo conto anche della sospensione feriale dei termini processuali di cui alla l. n. 742 del 1969.

Trovano inoltre applicazione tutte le disposizioni relative alla sospensione o interruzione dei termini processuali.

2. La costituzione in giudizio “anticipata” del contribuente

Già si è avuto modo di sottolineare che, dal punto di vista degli effetti, la notificazione del reclamo equivale a quella del ricorso, talché deve considerarsi rispettato il termine perentorio sancito dall’art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992 per evitare l’irretrattabilità dell’atto impugnabile. Quindi, se il contribuente, una volta che il procedimento di reclamo e mediazione non sia andato a buon fine, si costituisce in giudizio secondo le modalità e nei termini sopra illustrati, il rapporto processuale deve considerarsi instaurato a partire dal giorno in cui è stato notificato il reclamo.

Per contro, qualora il contribuente si costituisca in giudizio prima del tempo, senza cioè attendere che l’Agenzia rigetti in modo espresso il reclamo o rimanga inerte per i novanta giorni successivi alla sua presentazione, è necessario valutare l’atteggiamento che la Commissione tributaria prematuramente adita dovrà assumere.

Del resto, il comma 9 dell’art. 17-bis prescrive che “il reclamo produce gli effetti del ricorso” o dopo che siano trascorsi novanta giorni dalla sua proposizione senza che sia stato accolto o sia stata conclusa la mediazione ovvero – ma solo nella versione originaria della

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norma, ossia nel testo in vigore prima delle modifiche apportate dalla legge di stabilità 2014 – antecedentemente, se è notificato il rigetto totale o parziale del reclamo medesimo.

Dunque, prima di tale termine, il reclamo non assume la veste del ricorso. Allora, se ciò nonostante esso venisse depositato presso la Commissione tributaria provinciale, si è ritenuto, in base all’opinione dominante, che il giudizio dovesse essere considerato improcedibile finché non fosse trascorso il periodo occorrente perché il reclamo acquisisse,

ex lege, l’efficacia del ricorso.

A questa soluzione induceva sia l’esperienza formatasi, a suo tempo, per il deposito del ricorso contro gli atti dei Centri di Servizio prima del termine di sei mesi entro i quali detti Centri dovevano esaminarne i motivi 5, sia l’interpretazione affermatasi con riguardo ai casi di proposizione del ricorso prima della formazione del silenzio-rifiuto di rimborso, ove la giurisprudenza ha optato per l’inammissibilità 6, o meglio, per l’improcedibilità, siccome,

quando spira il termine di novanta giorni ex art. 21 del d.lgs. n. 546/1992, il silenzio si sarà formato con conseguente possibilità della costituzione in giudizio 7.

Come evidenziato nell’apposito capitolo, è stato autorevolmente sostenuto in dottrina 8

che il contribuente potesse depositare in Commissione tributaria provinciale il reclamo/ricorso prima del termine di novanta giorni più volte evocato al solo fine di accedere alla tutela cautelare, altrimenti preclusa in pendenza del termine anzidetto.

5 Cfr., ad esempio, Cass., sez. trib., 5 luglio 2001, n. 9113 e Cass., sez. trib., 3 maggio 2002, n. 6343, entrambe in banca dati fisconline.

6 Cass., 12 marzo 2008, n. 6724 e Cass., 16 settembre 2010, n. 19639.

7 Laddove il giudizio sia promosso dal contribuente prima della scadenza del termine accordato all’Amministrazione per pronunciarsi sulla domanda di restituzione, il ricorso deve essere considerato solo temporaneamente improcedibile, e non improponibile (o inammissibile) come vorrebbe quell’orientamento che considera il silenzio quale determinazione tacita. L’improponibilità, secondo quest’ultima tesi, discende dal fatto che il ricorso avrebbe ad oggetto un atto inesistente, in quanto non ancora emanato dall’Amministrazione. La tesi dell’improcedibilità si ricollega invece alla concezione fattuale del silenzio quale spatium deliberandi che, una volta decorso nella sua interezza, consentirà al giudizio prematuramente avviato di procedere regolarmente. Cfr. Comm. trib. centr., sez. XVI, 6 novembre 2001, n. 7422, in Tributi, 2002, 3, 133. Per un’esauriente illustrazione della tesi dottrinaria che nega la natura provvedimentale del silenzio dell’A.F. e delle connesse implicazioni sul piano della tutela giurisdizionale, si rimanda a P. Russo, voce Processo tributario, in Enc. Dir., Milano, 1987, XXXVI, 64; F. Tesauro, Lineamenti del processo

tributario, Rimini, 1991, 107.

8 Sul tema si segnalano: F. Pistolesi, cit.; A. Cissello, cit.; A. Turchi, Reclamo e mediazione nel

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La questione relativa all’ammissibilità o meno del ricorso depositato presso la segreteria dell’Organo giurisdizionale prima del decorso del termine di novanta giorni previsto per lo svolgimento del procedimento di reclamo e mediazione, è stata oggetto di esame da parte dei giudici di merito 9.

Questi ultimi hanno rigettato l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Agenzia delle Entrate, osservando anzitutto che l’art. 17-bis, comma 2 – allorché sanciva l’inammissibilità del ricorso non preceduto dal reclamo – dovesse essere interpretato “in senso restrittivo e non estensivo”. Ciò onde evitarne una lettura potenzialmente lesiva del diritto di agire in giudizio, garantito dall’art. 24 Cost. Talché, siccome la norma in discussione riferiva la condizione di ammissibilità esclusivamente alla previa interposizione del reclamo, andava considerato ammissibile il ricorso prodotto dinanzi al giudice tributario prima del decorso del termine di novanta giorni riservato alla procedura di reclamo e mediazione.

La soluzione è apparsa condivisibile, ma occorre chiedersi se il deposito in giudizio del ricorso prima del decorso del menzionato termine di novanta giorni sia privo di conseguenze, come parrebbe desumersi dalla lettura della sentenza in esame. Ma procediamo con ordine.

Per prima cosa, è giusto sostenere che la sola ed unica condizione di ammissibilità, prevista dall’originario art. 17-bis, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, fosse la proposizione del reclamo 10.

In tal senso deponevano la formulazione letterale dell’art. 17-bis, comma 2, nonché il principio generale – varie volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità

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– che impone un apprezzamento prudente delle norme sull’inammissibilità degli atti

9 Cfr. Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, Sez. III, sent. 30 maggio 2013, n. 125, con commento di F. Pistolesi, Ammesso il deposito del reclamo/ricorso prima dei termini per sospendere

l’efficacia esecutiva dell’atto impositivo, in GT – Riv. giur. trib., n. 11 del 2013, pag. 885.

10 Egualmente, cfr. A. Giovannini, Giurisdizione tributaria condizionata e reclamo amministrativo, in Riv. trim. dir. trib., 2012, pag. 922. Di diverso avviso è, viceversa, A. Carinci, Il rispetto dei termini per

l’esaurimento della procedura di reclamo condiziona l’ammissibilità del ricorso, in Corr. trib. n. 31/2013,

pag. 2458, il quale – pur condividendo “solo nel fine, non anche nel merito” la soluzione offerta dalla sentenza in esame – sostiene che “ipotizzare che l’inammissibilità possa riferirsi solo alla presentazione del reclamo e non pure all’attesa dell’esito (negativo) della procedura appare una conclusione che contraddice la

ratio dell’istituto del reclamo”.

11 Di recente e per tutte, cfr. Cass., SS.UU., 24 luglio 2013, n. 17931, in banca dati BIG Suite, IPSOA, che ha escluso l’inammissibilità del ricorso per cassazione, con cui era stata erroneamente denunciata

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giudiziali, per far sì che il processo possa pervenire ad una pronuncia sul merito del rapporto formante oggetto del contendere.

Non solo, e come emergerà anche fra breve, ben si comprende perché l’art. 17-bis, comma 2, annoverasse solo “la presentazione del reclamo” all’Ente impositore quale “condizione di ammissibilità del ricorso”. Una volta proposto il reclamo, infatti, niente preclude il relativo accoglimento o il perfezionamento della mediazione. In particolare, non lo impedisce l’eventuale deposito del reclamo medesimo presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale. Insomma, quel che conta è che il reclamo venga presentato all’Agenzia delle Entrate poiché ciò consente l’esercizio dell’autotutela da parte di quest’ultima e permette di giungere alla composizione in via di mediazione della lite potenziale. Quindi, è ragionevole che solo la notificazione all’Amministrazione finanziaria del reclamo costituisca requisito di ammissibilità della domanda giudiziale.

Tuttavia, non può essere irrilevante il mancato rispetto del termine di novanta giorni entro cui si deve esperire il procedimento di reclamo e mediazione.

Altrimenti, verrebbe tradita la ratio di tale strumento deflativo del contenzioso tributario. Se fosse consentito, senza che si verificassero conseguenze di sorta, notificare il reclamo e contemporaneamente depositarlo presso la competente Commissione tributaria provinciale, il “filtro con finalità conciliative”, introdotto dall’art. 17-bis cit., verrebbe indebitamente eluso.

Alla luce di tale consapevolezza, non si è ravvisata altra alternativa che considerare temporaneamente non decidibile od improcedibile, che dir si voglia, il ricorso depositato prima dei ricordati novanta giorni dalla presentazione del reclamo. Ciò, fintanto che non sia trascorso il termine che consente al reclamo stesso di acquisire, ex lege, la portata del ricorso 12.

Proprio a questo proposito, il comma 9 dell’art. 17-bis, nella sua formulazione originaria, stabiliva che “il reclamo produce gli effetti del ricorso” o dopo che siano decorsi novanta

l’omessa pronuncia su una determinata questione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. anziché in base all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c., “purché nel motivo si faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione”. Questa sentenza si segnala per l’ampiezza e l’acutezza della relativa motivazione.

12 In tal senso, F. Pistolesi, Il reclamo e la mediazione, cit., pag. 78. Pure A. Giovannini, cit., si esprime negli stessi termini.

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giorni dalla sua proposizione senza che esso venga accolto o si concluda la mediazione, ovvero – ma soltanto per gli atti ricevuti dal contribuente prima del 2 marzo 2014 – antecedentemente, se l’Agenzia delle Entrate notificava il rigetto totale o parziale del reclamo stesso prima delle scadere del predetto termine.

Si è sostenuto, quindi, che “prima di quel momento non si può neppure ritenere che un ricorso sia stato presentato e, conseguentemente, che un ricorso possa essere depositato” 13

. Va considerato, però, che dalla notificazione del reclamo si determina la litispendenza 14 (qualora naturalmente il relativo procedimento non abbia buon esito e si rimetta al giudice la cognizione della causa) e che esso deve presentare tutti i requisiti di forma e contenuto del ricorso e che non è possibile integrarne i motivi.

Perciò, è parso corretto sostenere che il reclamo/ricorso depositato presso la Commissione tributaria provinciale anzitempo fosse appunto non decidibile od improcedibile, ossia che si trattasse sì di un ricorso, ma che non potesse essere (ancora) esaminato nel merito, poiché non era ancora spirato il noto termine di novanta giorni dalla sua presentazione al competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate. Difettava, insomma, un presupposto processuale perché il giudice potesse pronunciarsi nel merito sulle domande contenute nel reclamo destinato a produrre gli effetti del ricorso. E tale presupposto era rappresentato, appunto, dal compiuto svolgimento del procedimento disciplinato dall’art. 17-bis.

In conclusione, il reclamo/ricorso prodotto alla Commissione tributaria provinciale prima del decorso dei novanta giorni prescritti dalla norma testé menzionata (sempre che, ovviamente, non fosse stato rigettato in tutto o in parte il reclamo da parte dell’Amministrazione finanziaria) era ammissibile, ma non suscettibile di condurre all’adozione di una sentenza di merito, finché il termine predetto non fosse spirato.

13 Cfr. A. Carinci, cit. L’A. coerentemente con quanto evidenziato nel testo, giunge alla conclusione che “entrambi i momenti (presentazione del reclamo ed osservanza del termine) debbono essere concepiti come ugualmente imprescindibili al funzionamento dell’istituto e, di conseguenza, inscindibilmente assistiti dalla medesima sanzione dell’inammissibilità nel caso di violazione del precetto” e ciò lo induce, poi, a considerare aggravati “i dubbi di legittimità costituzionale di una simile sanzione”.

14 Contra cfr. M. Basilavecchia, Dal reclamo al processo, in Corr. trib. n. 12/2012, pag. 842, il quale

sostiene che “la notificazione del ricorso/reclamo non potrà essere considerata atto iniziale del processo”, ma poi aggiunge che “l’ipotesi contraria non può essere respinta a priori, proprio considerando che il legislatore ha voluto, in realtà, che reclamo e mediazione si sviluppassero a ricorso già presentato”, di modo che “il processo possa dirsi comunque avviato, ancorché il suo inizio coincida con un provvisorio stato di quiescenza”.

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Né, come accennato dianzi, tale deposito avrebbe impedito l’esperimento della procedura di reclamo e mediazione.

Non lo vietava alcuna disposizione normativa, ma soprattutto non v’era alcuna controindicazione d’ordine logico o sistematico che inducesse a nutrire un diverso convincimento.

Del resto, se il reclamo viene accolto, il giudice non può far altro che sancire l’estinzione del processo per cessazione della materia del contendere, ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. n. 546/1992. E lo stesso dovrebbe fare qualora si perfezioni la mediazione, che – lo ripetiamo – non può certo reputarsi impedita dall’avvenuta produzione del reclamo/ricorso alla segreteria della Commissione tributaria provinciale 15.

Si sarebbe potuto obiettare che le ipotesi di improcedibilità, nell’esperienza del processo civile, sono tassative 16 e che non sono estensibili in via analogica poiché – secondo parte della dottrina – farebbe difetto un elemento caratterizzante e discriminante le relative fattispecie 17. Si sarebbe potuto sostenere, parimenti, che l’improcedibilità non era contemplata nel d.lgs. n. 546/1992 e non si annoverava, quindi, fra le tipiche conseguenze che discendevano dalla violazione delle disposizioni sul processo tributario e dall’inattività delle parti di quest’ultimo.

Sennonché, se si escludeva – com’era giusto fare – l’inammissibilità del ricorso depositato prima del termine di novanta giorni e se si intendeva comunque preservare – com’era ugualmente corretto fare – la ratio dell’istituto governato dall’art. 17-bis, non restava che ravvisare l’inidoneità del ricorso ad essere deciso finché non fosse trascorso detto termine. D’altronde questa soluzione è stata seguita dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento ai ricorsi contro gli atti formati dai Centri di Servizio, ai sensi dell’art. 10 del

15 Diversa, ad esempio, è la disciplina in tema di accertamento con adesione, nel cui contesto l’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 218/1997 prevede che la proposizione del ricorso comporta la rinuncia all’istanza di adesione.

16 Cfr., in giurisprudenza, Cass., Sez. I civ., 2 luglio 2003, n. 10404; Cass., Sez. lav., 3 agosto 2004, n. 14869; Id., 28 gennaio 2009, n. 2171; Cass., Sez. III civ., 8 maggio 2012, n. 6912. In dottrina, cfr. F.P. Luiso,

Diritto processuale civile, II, Milano, 2011, pag. 354.

17 Cfr., di nuovo, F.P. Luiso, Diritto processuale civile, II, cit., pagg. 353-354. Per una recente e puntuale ricostruzione del tema dell’improcedibilità nelle impugnazioni civili, cfr. S. Caporusso, La

“consumazione” del potere d’impugnazione, Napoli, 2011, pag. 121 ss., ove si rinvengono altresì completi

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d.p.r. 28 novembre 1980, n. 787. In specie, proprio in presenza della contemporanea proposizione del ricorso al Centro di Servizio ed alla competente Commissione tributaria, la Corte di Cassazione ha considerato la causa “improcedibile” fino alla scadenza del termine che non era stato rispettato dal contribuente (l’art. 10, comma 1, prevedeva che il ricorso fosse prodotto presso la Commissione tributaria “decorsi almeno sei mesi e non oltre due anni” dalla data di presentazione al Centro di Servizio) 18

.

La motivazione addotta dalla Suprema Corte si attaglia pure al caso in esame: si tratta di una “anormalità minore” e difetta “una norma esplicita che vi riconnetta il grave effetto dell’inammissibilità”.

Il ricorso era, pertanto, ammissibile, ma inidoneo ad essere esaminato nel merito finché non fosse decorso il più volte ricordato termine di novanta giorni.

Né quanto precede contrastava con i principi del processo tributario e di quello civile. Infatti, occorre intendersi sul significato da attribuire al termine “improcedibilità”.

Si può usare questa espressione, come ha fatto anche la Corte di Cassazione nel caso appena ricordato, ma la si deve tener distinta dalle ipotesi di improcedibilità che riguardano la disciplina delle impugnazioni delle sentenze civili, nel cui contesto questo istituto è stato originariamente concepito e regolato.

Sussistono, invero, fattispecie – in dottrina definite “speciali” 19 – di improcedibilità riguardanti gli atti introduttivi del giudizio di primo grado (si pensi, ad esempio, all’art. 443, comma 1, c.p.c., in ordine alle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie, o agli abrogati artt. 412-bis c.p.c. e 43 della legge n. 392/1978 o, da ultimo, all’art. 5, comma 1, D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, concernente la mediazione civilistica 20

.

18 Cfr., in specie, Cass., Sez. trib., 3 maggio 2002, n. 6343 in banca dati BIG Suite, IPSOA.

19 Cfr., in particolare, S. La China, Procedibilità (condizioni di), in Enc. dir., XXXV, Milano, 1986, pag. 797.

20 L’art. 5, comma 1, cit., è stato dichiarato illegittimo, per contrasto con gli artt. 76 e 77 Cost., dalla Corte Costituzionale con la sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, in banca dati BIG Suite, IPSOA. In seguito, con l’art. 84, comma 1, lett. b), del D.L. n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013, nell’art. 5 cit. è stato inserito un nuovo comma 1-bis che reintroduce, con talune significative modificazioni, l’obbligatorietà della mediazione per determinate controversie civili. Ed è stata altresì ribadita la previsione (sempre recata dal comma 1-bis cit.) per cui “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”. Su tale tema, cfr., per tutti, C. Glendi, Procedimento di mediazione e processo civile, in Corr. trib. n. 10/2011, pag. 793 ss.

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In tali circostanze, come avvertita dottrina ha osservato, ci si trova al cospetto di un “presupposto processuale, il cui difetto è sanabile retroattivamente” 21

.

Siamo in presenza, cioè, di una vicenda che è del tutto diversa dalle inattività, successive alla proposizione delle impugnazioni, che danno luogo alle tassative fattispecie di improcedibilità contemplate dagli artt. 348, 369, 371-bis e 399 c.p.c. e che merita, dunque, una disciplina differente, qual è appunto quella che il legislatore ha previsto per le cosiddette improcedibilità “speciali” e che consente la sanatoria retroattiva del carente presupposto processuale.

Per l’esattezza, nel caso in esame, la presentazione del reclamo era presupposto di ammissibilità della domanda giudiziale e, in quanto tale, il relativo difetto era insanabile. Lo svolgimento del procedimento di reclamo e mediazione nel termine di novanta giorni, invece, integrava (ed integra tuttora) un requisito di procedibilità del ricorso, nel senso dianzi chiarito, suscettibile di sanatoria retroattiva, come accade per i casi di improcedibilità “speciali” sopra ricordati.

Tale sanatoria, in specie, ben poteva aversi nel caso che ci occupa. La Commissione tributaria provinciale, qualora anche d’ufficio avesse rilevato che il ricorso era stato depositato prima che fosse esaurita la procedura di reclamo e mediazione, avrebbe rinviato la trattazione ad una data successiva alla scadenza di siffatto termine 22, avendo cura di assicurare alla parte resistente l’esercizio delle proprie facoltà difensive.

Né quanto precede contrastava con la rammentata tassatività delle fattispecie di improcedibilità. Una volta distinte le improcedibilità nel campo delle impugnazioni delle sentenze da quelle “speciali”, che riguardano il giudizio di primo grado, nulla vietava di applicare nel processo tributario la sanatoria retroattiva concernente queste ultime. Non si trattava, difatti, di estendere a casi ulteriori una sanzione, qual era l’improcedibilità prevista nel contesto del regime delle impugnazioni, che impedisce la prosecuzione del processo, ma

21 Cfr. F.P. Luiso, Diritto processuale civile, V, cit., pag. 71. Del resto, pure S. La China, cit., pag. 799, evidenzia come “talvolta l’improcedibilità appare come una situazione irrimediabile, che una volta maturata non consente alcun repèchage del processo finito in secca … talaltra essa si presenta come cagione di arresto temporaneo dello svolgersi della procedura, la quale potrà rimettersi in moto una volta maturata la condizione di procedibilità”.

22 Analoga è la disciplina recata dal novellato art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010, reintrodotto dall’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, che espressamente qualifica improcedibile la causa civile avviata senza il preventivo esperimento della mediazione.

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di permettere la sanatoria di un vizio che non era tale da precludere al giudice l’adozione di una decisione sul rapporto controverso. Ciò che, d’altro canto, appariva conforme al principio costituzionale di tutela del diritto di azione giurisdizionale e all’indirizzo interpretativo teso a circoscrivere la portata dei precetti di inammissibilità e a far sì che il processo si concluda con una pronuncia sul merito della lite.

Il legislatore, con l’articolo 1, comma 611, lett. a), della l. 27 dicembre 2013, n. 147, ha apportato significative modifiche alla disciplina di cui all’articolo 17-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

In particolare, per effetto della novella, la presentazione del reclamo non è più condizione di ammissibilità del ricorso, ma rileva unicamente come condizione di procedibilità dello stesso.

Il 2° comma dell’art. 17-bis cit. aggiunge che “In caso di deposito del ricorso prima del

decorso del termine di novanta giorni di cui al comma 9, l’Agenzia delle entrate, in sede di rituale costituzione in giudizio può eccepire l’improcedibilità del ricorso e il presidente, se rileva l’improcedibilità, rinvia la trattazione per consentire la mediazione”.

Ciò significa che solo dopo il compimento di novanta giorni dal ricevimento dell’istanza da parte dell’Ufficio decorrono i termini previsti per il compimento degli atti processuali (deposito del ricorso, delle controdeduzioni, di documenti e memorie, ecc.) e per l’adozione dei provvedimenti giudiziali, posto che, come si afferma al comma 9 dell’articolo 17-bis, a partire da tale data “il reclamo produce gli effetti del ricorso”.

A seguito della presentazione del reclamo, si attiva dunque il relativo procedimento che deve essere concluso entro novanta giorni dalla ricezione dello stesso da parte dell’Ufficio. Qualora non venga adottato un provvedimento di accoglimento totale o formalizzato un accordo di mediazione, decorso il predetto termine, il reclamo produce gli effetti del ricorso e il contribuente, se intende costituirsi, deve farlo nei successivi trenta giorni.

Il ricorso depositato dal contribuente in Commissione tributaria prima del decorso del predetto termine di novanta giorni è quindi espressamente qualificato come improcedibile. L’improcedibilità può essere eccepita dall’Ufficio, in sede di rituale costituzione in giudizio, ossia mediante il deposito delle controdeduzioni di cui all’articolo 23, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, entro il termine di centocinquanta giorni dalla presentazione del reclamo ai sensi del combinato disposto degli articoli 17-bis e 23 del d.lgs. n. 546 del 1992 (novanta

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giorni per lo svolgimento del procedimento di mediazione, più sessanta giorni per la costituzione in giudizio del resistente).

Se il giudice fissa l’udienza per una data antecedente al termine di cui all’articolo 17-bis (novanta giorni per lo svolgimento del procedimento di mediazione, più sessanta giorni per la costituzione in giudizio dell’Ufficio, più ulteriori trenta giorni per l’invio dell’avviso di trattazione), l’Ufficio, prima dell’udienza, si costituisce in giudizio, eccepisce l’improcedibilità del ricorso e chiede il rinvio dell’udienza, in applicazione del combinato disposto degli articoli 17-bis, 30 e 31 del d.lgs. n. 546 del 1992, al fine di consentire il corretto e tempestivo esercizio del diritto di difesa.

Qualora il Giudice non accolga l’eccezione di improcedibilità e da ciò derivi un ostacolo alla difesa dell’Ufficio, la sentenza emessa all’esito del giudizio può essere impugnata anche per violazione dell’articolo 17-bis citato 23

.

Dunque, sebbene l’ipotesi della costituzione ante tempus del contribuente non esigesse una modifica normativa, potendosi ricavare in via interpretativa i relativi effetti in termini di improcedibilità e non già di inammissibilità della domanda giudiziale, la l. n. 147 del 2013 ha inteso fugare ogni dubbio e risolvere alla radice tutte le questioni testé esaminate 24. Peraltro, come si è avuto modo di constatare, la riscrittura integrale del secondo comma dell’art. 17-bis nei termini evidenziati risulta coerente con disposizioni già presenti nell’ordinamento, ancorché relative a branche del diritto diverse da quella tributaria.

3. La costituzione in giudizio nelle liti istaurate contestualmente contro l’Agenzia

delle Entrate e l’Agente della riscossione

Nel caso, peraltro assai frequente, che il contribuente voglia contestare tanto il ruolo, quanto la cartella di pagamento, si assiste ad un “doppio binario”: il contribuente deve promuovere, da un lato, l’azione giurisdizionale avverso la cartella e, dall’altro, proporre il reclamo contro il ruolo.

23 Circolare 12 febbraio 2014, n. 1/E, punto 2, in banca dati fisconline.

24 E’ di questa opinione A. Giovannini, Circ. n. 1/E del 12 febbraio 2014 – La disciplina “riveduta e

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Infatti, qualora il contribuente notifichi il ricorso solo all’Agente della riscossione, quest’ultimo, oltre a svolgere la propria difesa per quanto concerne i vizi propri della cartella di pagamento, ha l’onere di chiamare in causa l’Agenzia delle Entrate, considerato che, ai sensi dell’articolo 39 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, “Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”.

Intervenendo in giudizio, l’Ufficio impositore eccepisce, limitatamente alle contestazioni sollevate in relazione all’attività dell’Agenzia, l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’articolo 17-bis, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, a seconda della disciplina applicabile.

In questa ipotesi, se il ruolo diviene definitivo, il ricorso potrà essere accolto solo per i restanti vizi, relativi alla cartella, con la conseguenza che, nonostante l’annullamento, quest’ultima può essere rinotificata, emendata dal vizio invalidante, se sono ancora pendenti i termini di cui all’art. 25 del d.p.r. n. 602/1973.

Nel caso opposto in cui il contribuente avvii la fase di mediazione nei confronti dell’Agenzia, senza notificare il ricorso all’Agente della riscossione, viene meno la possibilità di eccepire vizi riconducibili all’attività di quest’ultimo nell’eventuale processo instauratosi dopo il fallimento del tentativo di mediazione.

Al contrario, qualora il contribuente notifichi il ricorso all’Agente della riscossione e contestualmente avvii la fase di mediazione con l’Agenzia delle entrate, si possono verificare le seguenti ipotesi 25:

a) se il reclamo è accolto o si perfeziona la mediazione, venendo meno il ruolo, il privato non ha interesse a coltivare la causa promossa contro la cartella, sicché può rinunciarvi, salvo corrispondere le spese di lite all’Agente della riscossione ai sensi dell’art. 44, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992. In mancanza di rinuncia al ricorso, il giudizio instaurato contro Equitalia deve essere dichiarato estinto per cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. n. 546/1992;

25 F. Pistolesi, ult. op. cit.

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b) se il reclamo non è accolto e la mediazione non è stata raggiunta, il contribuente può depositare il reclamo, tramutatosi ex lege in ricorso, chiedendone la riunione con il ricorso presentato contro la cartella;

c) ancora, se il reclamo non è accolto e non si è giunti alla mediazione, l’interessato può prestare acquiescenza alla pretesa iscritta a ruolo, confidando solo nell’accoglimento del ricorso avverso la cartella, sempre che non rinunci pure a tale azione.

Nelle ipotesi b) e c), ove la cartella venga annullata dal giudice per vizi imputabili all’Agente della riscossione, quest’ultimo – come accennato poc’anzi – può rinotificarla, debitamente emendata, entro i termini decadenziali previsti dall’art. 25 del d.p.r. n. 602/1973.

Dunque, è onere delle parti e, in special modo, del ricorrente, coordinare il reclamo relativo al ruolo e il ricorso contro la cartella, favorendone la trattazione congiunta qualora il primo diventi atto introduttivo del giudizio. A quel punto, spetta al giudice adoperarsi affinché ciò avvenga per impedire che giudizi naturalmente destinati ad essere trattati congiuntamente possano subire sorti differenziate.

Un’ulteriore soluzione 26, sarebbe rinvenibile nell’esigenza che il giudice investito del

ricorso contro la cartella di pagamento sospendesse il processo ex art. 295 c.p.c. in attesa della definizione del procedimento di reclamo contro il ruolo. In tal caso, se il reclamo avesse esito negativo, questo si convertirebbe in ricorso, quindi il giudice, sussistendo i presupposti di cui all’art. 29 del d.lgs. n. 546/1992, potrebbe disporre la riunione dei due procedimenti, a questo punto esaminando sia le censure sollevate contro l’Ufficio che contro Equitalia.

Si veda l’esempio seguente.

Un contribuente riceve una cartella di pagamento portante a riscossione somme derivanti da una liquidazione automatica Iva (assumiamo che la maggiore imposta richiesta sia pari a 12.000,00 euro). Egli intende censurare l’operato degli Uffici, in quanto ritiene indebito l’utilizzo dell’art. 54-bis del d.p.r. n. 633/1972 e, nel contempo, intende impugnare la cartella per difetto di notifica e mancato rispetto dei termini decadenziali di cui all’art. 25 del d.p.r. n. 602/1973.

26 Prospettata da A. Cissello, Reclamo e mediazione: tutela cautelare e litisconsorzio, in Il fisco n. 14 del 2 aprile 2012, pag. 1-2103.

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Per questo motivo, il contribuente notifica l’atto di reclamo alla Direzione provinciale competente dell’Agenzia delle Entrate contestando l’utilizzo dell’art 54-bis del d.p.r. n. 633/1972, e l’ordinario ricorso ad Equitalia censurando le questioni sulla notifica e sui termini, costituendosi in giudizio tempestivamente.

Il contribuente, nel ricorso contro Equitalia, chiede al giudice di sospendere il processo, in sede di esame preliminare del ricorso ai sensi dell’art. 27 del d.lgs. n. 546/1992, in attesa che il procedimento amministrativo di reclamo termini.

Nel frattempo, la fase di mediazione ha luogo, ma le parti non trovano un accordo, quindi il contribuente provvede a costituirsi in giudizio depositando l’atto di reclamo – divenuto nel frattempo ricorso – e chiedendone la riunione con il ricorso presentato contro la cartella di pagamento. Il processo, siccome è venuta meno la causa di sospensione (la fase di reclamo è terminata), deve essere riassunto ai sensi dell’art. 43 del d.lgs. n. 546/1992.

Se la Commissione tributaria accogliesse tale impostazione, i due processi (contro il ruolo e la cartella di pagamento) sarebbero riuniti, e non vi sarebbero problemi di raccordo tra reclamo e ricorso.

Molto diversa si profila la tesi dell’Agenzia delle Entrate, sostenuta nella circolare 9 marzo 2012, n. 9 (par. 1.2 e 10.1.11) 27. Nel documento di prassi si afferma che, anche nel caso di ruolo e cartella impugnati congiuntamente, rimane ferma la necessità del reclamo. Poi, però, si evidenzia che, in questo specifico caso, il contribuente, sia con riferimento al ruolo che alla cartella di pagamento, deve costituirsi in giudizio non entro il termine di cui all’art. 22 del d.lgs. n. 546/1992 (trenta giorni dalla data di notifica del ricorso), ma entro il termine di cui all’art. 17-bis (centoventi giorni dalla data di proposizione del reclamo: novanta, per l’espletamento della procedura di mediazione, più i consueti trenta) 28

.

In tal modo, il ricorso contro la cartella di pagamento risulta inammissibile per costituzione in giudizio tardiva, siccome ruolo e cartella sono (e rimangono, anche nel procedimento del reclamo) atti distinti. Vero è che, come detto nella circolare al par. 10.1.11, ragionando

27 In banca dati fisconline.

28 Si rammenta che, in base alla disciplina anteriore alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 611, l. n. 147/2013, ove il reclamo atteneva ad un atto notificato o ad un rigetto implicito di rimborso formato in data antecedente al 2 marzo 2014, e l’Agenzia delle Entrate respingeva in tutto o in parte il reclamo medesimo prima del decorso dei novanta giorni previsti dalla procedura, il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio del contribuente decorreva dal ricevimento da parte di questi del provvedimento di diniego.

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diversamente “si verificherebbe l’inammissibile conseguenza di una costituzione in giudizio circoscritta alla parte di ricorso riguardante l’Agente della riscossione, effettuata entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza, vale a dire quando il termine di novanta giorni per l’esame dell’istanza stessa, limitatamente all’attività dell’Agenzia, è pendente”, ma non è revocabile in dubbio che solo ed esclusivamente il legislatore può modificare i termini per la costituzione in giudizio, che rimangono legati all’atto impugnato, ancorché con un unico ricorso si impugnino due atti.

Si mette in risalto che la rischiosità della strategia processuale delineata dalla circolare porta ad adottare una soluzione alternativa, che comunque tenga conto del termine di deposito del ricorso di trenta giorni dalla notifica dello stesso.

Per una migliore comprensione dell’argomento, si ritiene necessario riportare un altro esempio.

Un contribuente riceve una cartella di pagamento da liquidazione automatica relativa al periodo d’imposta 2009, nel mese di marzo 2014.

La liquidazione automatica appare illegittima in quanto è stato disconosciuto un credito d’imposta in realtà esistente.

Del pari, la cartella di pagamento deve essere annullata in quanto tardiva (l’art. 25 del d.p.r. n. 602/1973 impone che la cartella di pagamento, in tal caso, avrebbe dovuto essere notificata entro il 31 dicembre 2013).

Il contribuente, siccome il valore della causa non supera i 20.000,00 euro, notifica il ricorso/reclamo sia alla Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate che ad Equitalia. Viene esperito il tentativo di mediazione, che ha esito negativo, e il contribuente deposita il ricorso. Equitalia, nelle proprie controdeduzioni, eccepisce l’inammissibilità del ricorso in quanto la costituzione in giudizio sarebbe dovuta avvenire entro trenta giorni dalla notifica dell’atto di reclamo, posto che la cartella di pagamento non è un atto reclamabile, di conseguenza si applica l’art. 22 del d.lgs. n. 546/1992.

Ove il giudice accogliesse tale impostazione, il ricorso contro la cartella di pagamento sarebbe dichiarato inammissibile, ed il vizio di tardività della stessa non potrebbe più essere fatto valere. Occorre quindi evidenziare che la tesi indicata dall’Agenzia delle Entrate comporta, potenzialmente, l’inammissibilità del ricorso contro la cartella. La soluzione alternativa proposta, invece, può tutt’al più comportare la temporanea improcedibilità del giudizio radicato avverso la cartella, ove il giudice ravvisasse la necessità di attendere la

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conclusione della fase di reclamo concernente il ruolo, onde tener conto del relativo esito. Essa ha però un costo: in caso di accoglimento del reclamo e di conseguente annullamento del ruolo, il contribuente dovrebbe comunque sostenere l’onere del contributo unificato senza poterne chiedere il rimborso in sede processuale. Il che è piuttosto illogico dal punto di vista dell’economia processuale: si finirebbe per aumentare il contenzioso laddove l’intento del legislatore con l’introduzione del reclamo e della mediazione è quello di decongestionare le Commissioni tributarie 29.

4. La prosecuzione del processo

Una volta che il contribuente abbia provveduto al deposito del reclamo presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, il processo segue il suo corso, secondo gli schemi ordinari.

Pertanto, il reclamo, tramutatosi in ricorso, viene iscritto a ruolo, il presidente lo esamina e, se non vi sono cause di inammissibilità manifesta, fissa l’udienza di discussione.

Qualora permangano i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, il contribuente, che non abbia inserito l’istanza di sospensione cautelare nel reclamo, può proporre la relativa domanda con atto separato, da notificare alle altre parti e depositare in Commissione tributaria nel rispetto delle previsioni contenute nell’art. 22 del d.lgs. n. 546/1992. Il presidente fissa la trattazione dell’istanza per la prima camera di consiglio utile e prende così avvio il procedimento disciplinato dall’art. 47 del medesimo decreto.

Poiché il legislatore, per motivi di ordine sistematico, ha deciso di inibire la conciliazione giudiziale nelle cause reclamabili, successivamente al deposito del ricorso, non è possibile produrre alcuna istanza di conciliazione giudiziale.

Del resto, le parti hanno avuto la possibilità di definire la vertenza tramite mediazione beneficiando della riduzione delle sanzioni nella stessa misura prevista per la conciliazione giudiziale.

Un altro aspetto di primario interesse concerne l’utilizzabilità, ai fini della decisione della causa, dei dati e delle dichiarazioni contra se resi dalle parti durante la fase di mediazione

29 F. Bianchi, Reclamo e mediazione: a piccoli passi verso la deprocessualizzazione. Possibile

irragionevolezza (e connessi dubbi di legittimità costituzionale) del reclamo e suoi problemi applicativi con riguardo alla possibilità di impugnazione delle cartelle esattoriali, in Dial. trib. n. 2 del 2012.

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30. Secondo un’interpretazione, detti elementi, desumibili dalla proposta di mediazione, se

portati a conoscenza del giudice, rappresentano per quest’ultimo un decisivo parametro di valutazione delle prove e degli altri argomenti dedotti dalle parti ai fini della soluzione della lite: per il privato, le dichiarazioni di fatti a sé sfavorevoli assumerebbero valore confessorio

31

, sì che se ne può postulare la rettificabilità nei limiti nei quali la si ammette per le confessioni stragiudiziali 32; quelle analogamente rese dall’Agenzia delle Entrate precludono ad essa di rinnegarle, a meno che non ne dimostri l’erroneità in fatto o in diritto 33

.

La tesi contrapposta, che induce a non prendere minimamente in considerazione, in sede processuale, i motivi che hanno spinto una delle parti a proporre la mediazione, fa leva sull’applicazione, in via analogica, dell’art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010, norma dettata per la mediazione civile.

Ai sensi di tale disposizione, “le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni” 34

.

30 E, a fortiori, di quei dati e di quelle dichiarazioni sulla cui base è stato raggiunto l’eventuale accordo di mediazione, non perfezionato a causa del mancato versamento di quanto dovuto nei termini di legge. 31 Le dichiarazioni di fatti a sé sfavorevoli rese dal contribuente nel processo o in atti extraprocessuali sono riconosciute come confessioni stragiudiziali dalla dottrina (cfr., per tutti, S. Menchini, Commento

all’art. 7 del d.l.vo n. 546/1992, in AA.VV., Il nuovo processo tributario. Commentario, Milano, 2004, pag.

103; P. Russo, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007, pagg. 269-270; F. Tesauro,

Manuale del processo tributario, Torino, 2009, pag. 163) e dalla giurisprudenza (v., per esempio, Cass., sez.

trib., 11 gennaio 2006, n. 309 e Cass., sez. trib., 26 maggio 2008, n. 13482, entrambe in banca dati

fisconline).

32 In proposito, cfr. P. Russo, ult. op. cit., pag. 270, secondo il quale le confessioni stragiudiziali del contribuente “sono soggette soltanto alla revoca nei limiti di cui all’art. 2732 cod. civ., e cioè soltanto se la divergenza fra il fatto, così come ammesso, e la realtà effettiva sia inconsapevole in quanto dovuta ad errore di fatto o violenza.

33 Cfr. M. Miccinesi, Accertamento con adesione e conciliazione giudiziale, in AA.VV., Commento

agli interventi di riforma tributaria. I decreti legislativi di attuazione delle deleghe contenute nell’art. 3 della legge 26.12.1996, n. 662, a cura di M. Miccinesi, Padova, 1999, pag. 16.

34 In tal senso, G. Cantillo, Il reclamo e la mediazione tributaria: prime riflessioni sul nuovo art. 17-bis

del d.lgs. n. 546/1992, in Il fisco n. 31/2011, fascicolo n. 1, pag. 4997. Diversamente, si veda G. Sepio, La proposta di mediazione da parte del contribuente e i limiti del reclamo, in Corr. trib. n. 11/2012, pag. 771.

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Nulla di tutto ciò stabilisce l’art. 17-bis cit. e, anzi, è dato ritenere – sulla scorta dell’esperienza concernente il procedimento di accertamento con adesione – che tanto le dichiarazioni ed informazioni provenienti dall’Amministrazione finanziaria, quanto quelle fornite del contribuente, si prestino ad essere rimesse – nel processo che dovesse poi celebrarsi – all’apprezzamento delle Commissioni tributarie, che ne colgono la rilevanza probatoria e talora preclusiva rispetto alle difese svolte in sede giurisdizionale 35.

Da un lato, infatti, è da escludere il valore di prova legale delle dichiarazioni de quibus nel nostro processo, siccome quest’ultimo verte su diritti indisponibili (mentre, come è noto, la confessione presuppone la disponibilità del diritto a cui i fatti oggetto di dichiarazione si riferiscono: art. 2733 c.c.), dall’altro è pure innegabile che siffatti elementi possano essere liberamente valutati dal giudice tributario, contribuendo a formarne il convincimento 36.

35 Cosi, F. Pistolesi, ult. op. cit.

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BIBLIOGRAFIA

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Possibile irragionevolezza (e connessi dubbi di legittimità costituzionale) del reclamo e suoi problemi applicativi con riguardo alla possibilità di impugnazione delle cartelle esattoriali,

in Dial. trib. n. 2 del 2012; G. CANTILLO, Il reclamo e la mediazione tributaria: prime

riflessioni sul nuovo art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992, in Il fisco n. 31 del 2011, fascicolo n.

1, pag. 4997; S. CAPORUSSO, La “consumazione” del potere d’impugnazione, Napoli, 2011, pag. 121 ss.; A. CARINCI, Il rispetto dei termini per l’esaurimento della procedura

di reclamo condiziona l’ammissibilità del ricorso, in Corr. trib. n. 31 del 2013, pag. 2458;

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litisconsorzio, in Il fisco n. 14 del 2 aprile 2012, pag. 1-2103; A. GIOVANNINI, Giurisdizione tributaria condizionata e reclamo amministrativo, in Riv. trim. dir. trib.,

2012, pag. 922; ID., Circ. n. 1/E del 12 febbraio 2014 – La disciplina “riveduta e corretta”

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processuale civile, V, cit., pag. 71; S. MENCHINI, Commento all’art. 7 del d.l.vo n. 546/1992, in AA.VV., Il nuovo processo tributario. Commentario, Milano, 2004, pag. 103;

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n. 11 del 2013, pag. 885; P. RUSSO, voce Processo tributario, in Enc. Dir., Milano, 1987, XXXVI, 64; ID., Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007, pagg. 269-270; G. SEPIO, La proposta di mediazione da parte del contribuente e i limiti del reclamo,

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in Corr. trib. n. 11 del 2012, pag. 771; F. TESAURO, Lineamenti del processo tributario, Rimini, 1991, 107; ID., Manuale del processo tributario, Torino, 2009, pag. 163; A. TURCHI, Reclamo e mediazione nel processo tributario, in Rass. trib. n. 4 del 2012, pag. 898.

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