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Academic year: 2021

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CAPITOLO 3

3

I

L

S

ITO ARCHEOLOGICO DI

B

ENABBIO

sito archeologico di Benabbio (Bagni di Lucca, LU), indagato dalla Divisione di Pa‐ leopatologia dell’Università di Pisa, sotto la direzione di Antonio Fornaciari e con la supervisione scientifica di Gino Fornaciari, si è prestato ad assumere il ruolo di “cantiere‐ laboratorio” per l’applicazione dei protocolli informatici trattati nel Capitolo 2. Lo scavo, in‐ fatti, possedeva le peculiarità adatte per porsi come banco di prova multidisciplinare: era anzitutto inedito da un punto di vista bibliografico, storico ed archeologico77, possedeva po‐ tenzialità informative notevoli, legate non solo alla sua storia, ma anche alla posizione geo‐ grafica, si inseriva infine in un progetto di studio più ampio, il c.d. “Progetto Valdilima” (vd. Infra), in grado di offrire l’opportunità di ampliare le dimensioni della ricerca ad un contesto sub‐regionale.

77 Prima dell’inizio della campagna di scavi del 2007 non si registrano indagini archeologiche strati‐ grafiche nel territorio esaminato; anche le ricognizioni attestate negli anni non trovano alcuna e‐ splicazione in pubblicazioni. Quanto alle ricerche storiche, tutte basate su indagini di archivio e tra‐ dizioni orali o folkloriche, esse si convogliano nel volume “Da Menabbio a Benabbio” (LAGANÀ, N., 2007). Le poche fonti storiche reperite da chi scrive e da Antonio Fornaciari sono infine riportate nei prossimi paragrafi.

Il

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3.1 I

L PROGETTO

“V

ALDILIMA

Le complesse indagini archeo‐antropologiche che hanno investito – e continueranno ad investire per molti anni – la collina del Castello di Benabbio si inseriscono all’interno dell’ambizioso programma scientifico di ricerca portato avanti dalla Divisione di Paleopa‐ tologia e battezzato “Progetto Val di Lima”. Tale progetto ha lo scopo di riunire e confron‐ tare i dati acquisiti dalle ricerche (archeologiche, storiche ed antropologiche) effettuate su alcuni insediamenti medievali e basso‐medievali strategici all’interno del territorio della Garfagnana Meridionale, al fine di costituire un modello epistemologico trasversale a più ambiti di studio e in grado di portare alla creazione di una base di conoscenze storico‐ archeologiche territoriali unica ed inedita. Il “Progetto Val di Lima” è stato inaugurato nel 2002 con le quattro campagne di scavi del cimitero prospiciente alla chiesa di San Giovanni Battista nel borgo di Pieve dei Monti di Villa, insediamento che si inserisce nel territorio del comune di Bagni di Lucca, in un pae‐ saggio montano ai piedi dell’Appennino tosco‐emiliano, ove confluiscono il fiume Serchio e il suo principale tributario, il torrente Lima (Figura 22). Le indagini, promosse dall’Insegnamento di Paleopatologia dell’Università di Pisa in ac‐ cordo con la Soprintendenza Archeologica della Toscana (dott. Giulio Ciampoltrini), erano finalizzate all’esplorazione dei livelli cimiteriali medievali e postmedievali connessi alle funzioni plebali della chiesa di S. Giovanni Battista e sono state circoscritte allo spazio compreso lungo il fianco meridionale (area 1000) ed all’area adiacente alla parte absidale dell’edificio sacro (area 2000). Lo scavo dell’area 1000 ha permesso di evidenziare una se‐ quenza che da un impianto cimiteriale precedente alla fase “romanica” di XII secolo arriva al XIX secolo. Sono state acquisite informazioni sullo sviluppo dell’edificio plebale che rag‐ giunge le massime dimensioni nel XII secolo, subisce una prima generale ristrutturazione nella seconda metà del XVI secolo e quindi un restringimento nella seconda metà del XVIII secolo con l’edificazione della fabbrica attuale, che ha mantenuto solo ed esclusivamente nella parte tergale l’originaria veste romanica costituita da filari di conci pseudoisodomi78. Agli inizi del XIX secolo l’area 1000 viene destinata all’inumazione di individui di sesso femminile. Nell’area 2000 sono state evidenziate almeno due grosse fasi cimiteriali medie‐ vali: una prima fase (XII‐XIII secolo), caratterizzata da tombe a cassa litica disposte a con‐ tatto con le fondazioni medievali della pieve e radialmente intorno all’abside, mostra una precisa pianificazione nell’utilizzo dello spazio privilegiato circostante la tribuna

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dell’edificio sacro; a questa segue una seconda fase (XIII‐XIV secolo) contrassegnata sia da tombe strutturate che in piena terra, in cui la disposizione delle sepolture si fa più caotica. Una rasatura generale dell’area, ascrivibile agli inizi del XIX secolo, ha provocato l’asportazione dei depositi dell’età moderna, e trasformato lo spazio a contatto con la tri‐ buna della chiesa in orto di pertinenza dell’abitazione del pievano79.

Gli scavi della Pieve dei Monti di Villa hanno restituito un’importante serie scheletrica costituita da individui che coprono una diacronia di oltre mille anni (dall’VIII al XIX sec.). Le informazioni ricavate da questo sito potranno essere confrontate con quelle ottenute dagli studi compiuti a Benabbio (cfr. oltre) ed andare a costituire un base di dati importan‐ te e multidisciplinare. Figura 22 ‐ La Media Valdilima Lucchese 79 Cfr. FORNACIARI, A. (2004)

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3.2 I

NQUADRAMENTO TOPOGRAFICO DEL SITO DI

B

ENABBIO

Il territorio oggetto della ricerca corrisponde alla regione della Val di Lima lucchese, cioè all’area del comune di Bagni di Lucca che si estende per 164,65 Kmq liminalmente ai margini occidentali della Garfagnana. Si tratta di un territorio alto‐collinoso e montano, delimitato a nord dalle cime dell’Appennino Tosco‐Emiliano, che sfiorano i 2000 metri, e a sud dall’altopiano delle Pizzorne, che raggiunge i 1000 metri. Se dovessimo suddividere il territorio della regione in fasce dalle caratteristiche fisiche differenti, scandite dalla differenza delle quote, e tendenzialmente speculari sul versante nord e sud, potremmo all’incirca delimitare tre zone: 1. La fascia ristretta del fondovalle, caratterizzata dal corso instabile del torrente Li‐ ma, e soggetta alle sue piene improvvise, fattore questo che ha notevolmente osta‐ colato l’insediamento in epoca pre‐moderna.

2. La fascia collinare e montana caratterizzata dagli ampi castagneti, dai terrazza‐ menti e dalle colture, che raggiunge gli 800 metri su entrambi i versanti. È questa la zona di più antico popolamento dove si sono sviluppati gli insediamenti d’età medievale e dove è situata la maggior parte delle frazioni del comune.

3. La fascia dell’alta montagna, scarsamente abitata, dove ai boschi di faggi succedono i pascoli e, almeno a nord, le praterie di mirtilli e le cime appenniniche del monte Rondinaio (1964 m) e dell’Alpe delle Tre Potenze (1940 m).

L’attuale paese di Benabbio si colloca sul fianco destro della profonda vallata del rio Benabbiana, un affluente di sinistra del torrente Lima, alle pendici sud orientali di uno sprone che, staccandosi dall’altopiano delle Pizzorne, raggiunge la quota di 620 m s.l.m., ed è caratterizzato da una sommità piana e allungata intervallata da alcune brevi selle. Dalla cima del colle si ha una visuale che copre gran parte della Val di Lima e una porzione di quella del Serchio; l’abitato si estende in più nuclei sul versante occidentale del Colle della Bastia, o di Castello, tra le quote di 400 e 520 m s.l.m. (Figura 23). Tracce di edifici bassomedievali si riscontrano anche nel borgo di Benabbio: la chiesa parrocchiale di Santa Maria, attestata per la prima volta nel 1260, e l’oratorio dei Santi Fi‐ lippo e Giacomo conservano porzioni evidenti di murature tardo romaniche, mentre nel nucleo dell’abitato prossimo alla sommità incastellata si trovano alcuni edifici ad uso abi‐ tativo piuttosto ben conservati, ascrivibili al XIV secolo.

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60 Figura 23 ‐ L’attuale abitato di Benabbio. In rosso le evidenze architettoniche medievali.

3.2.1 L

A

V

AL DI

L

IMA TRA

VIII

E

XII

SECOLO

La valle costituiva in età longobarda e carolingia uno dei tre distretti amministrativi in cui era suddivisa la montagna lucchese ed era denominato “Fines Contronenses”. Le circo‐ scrizioni territoriali, chiamate “fines” nelle pergamene altomedievali dell’Archivio Arcive‐ scovile di Lucca, prendevano solitamente nome dal castello, spesso associato ad una pieve, che costituiva il vero e proprio centro amministrativo del distretto80, nel nostro caso con riferimento alla sub regione dell’attuale Controneria, situata a nord della Lima, dove il ca‐ strum di Controne è forse identificabile nel fortilizio di cui restano tracce sul Colle di Ca‐ stello che sovrasta Pieve di Controne. Sempre sulla base dei documenti dell’AAL il territo‐ rio risulta diviso in almeno quattro plebati: S. Giulia in Controne (anno 772), S.Stefano de Bargi (anno 913), S.Quirici de Casanicclo o de Casabasciana (anno 918), S.Paolo de Vico Pannucculorum (anno 873). Dalle quattro pievi della valle dipendevano numerose ville di cui è agevole rintracciare la precisa localizzazione o per la continuità insediativa che caratterizza molte località o per 80 Così Fines Carfanienses per l’alta valle del fiume Serchio, e Fines Castrinovi per la Garfagnana cen‐ trale, con centro distrettuale da identificarsi rispettivamente nei pressi di Piazza al Serchio e presso Castelnuovo Garfagnana.

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il permanere dei toponimi. Nel corso del IX e soprattutto del X secolo si assiste, come acca‐ de del resto in molti altri distretti della lucchesia, all’allivellamento da parte del vescovo di molte proprietà ecclesiastiche, di cui sono fatti beneficiari alcuni esponenti dell’aristocrazia lucchese, che verranno costruendo i loro domini signorili svincolandosi progressivamente dal controllo vescovile. Le famiglie che hanno interessi patrimoniali nella valle sono quella dei Cunimundinghi, di cui i Suffredinghi costituiscono il ramo principale, che troviamo citati per la prima volta nell’828 e che hanno la maggiore concentrazione di beni nella porzione occidentale della Val di Lima con Fornoli, Chifenti e Lugliano; la famiglia dei Corvaresi che alla fine del X se‐ colo riceve a livello, nella figura del suo principale esponente Fraolmo vicecomes, numerosi beni in tutta la valle, tra cui beni in Menablo; infine la famiglia dei Porcaresi, la cui presen‐ za, più duratura rispetto a quella degli altri gruppi familiari, è attestata dall’XI secolo sino alla seconda metà del XIII, e che dal centro signorile di Corsena estendeva la propria influ‐ enza su buona parte della vallata. Nel corso del XIII secolo la regione è progressivamente assoggettata al comune di Lucca e nello statuto comunale del 1308 è ormai nominata “Vi‐ caria Terrarum Civium et Vallis Lime”, anche se in epoca castrucciana l’instabilità della si‐

tuazione politica sembra portare all’affermazione di alcuni poteri territoriali autonomi, come quello dei Castracane nella porzione occidentale, e quello dei Lupari nella porzione meridionale e orientale, che si dimostrano però di breve durata. Un nuovo periodo di sta‐ bilità si inaugura con la riacquistata indipendenza di Lucca nel 1369, quando la valle è ri‐ dotta definitivamente a Vicaria Lucchese. Figura 24 ‐ La Val di Lima nel XIII secolo

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3.2.2 I

L CASTELLO

Il nucleo incastellato dell’insediamento occupava, almeno nel XIII e XIV secolo, per quanto è dato di constatare dai resti degli edifici che vi si conservano, la sommità del colle che è chiamato “Castello” nella mappa 1:25.000 dell’IGM e “alla Bastia” nella C.T.R. 1:10.000. Questo si sviluppa come uno stretto pianoro irregolare in forma di semiluna, lar‐ go mediamente una trentina di metri e lungo oltre 200, intervallato nella porzione centrale da una piccola foce dove sorge la chiesa di San Michele, unico edificio superstite tra quelli che componevano l’insediamento del castello. Dalle indagini archeologiche effettuate negli ultimi quattro anni è stato possibile porta‐ re alla luce circa i due terzi della cortina muraria in bozzette di arenaria macigno che cir‐ condava anularmente l’intera collina e la cui estensione totale doveva raggiungere almeno i 400 metri. Si stima che lo spazio cinto di mura raggiungesse una superficie pari a circa 4000 metri quadrati81, anche se è molto probabile che l’insediamento si estendesse pure

all’esterno della cortina dalla parte di mezzogiorno, dove il colle degrada dolcemente in falsopiano per un centinaio di metri, fino ad incontrare i ruderi di una torre cisterna a pianta rettangolare rinforzata da un piccolo procinto fortificato, che difendeva da questo lato l’accesso al fortilizio (Figura 25).

L’area chiusa dalle mura è divisibile in almeno due grosse porzioni distinte: quella me‐ ridionale, leggermente più elevata, intorno alla quale si conservano i maggiori residui delle fortificazioni e dove sono ancora identificabili alcuni ambienti addossati alla cinta, e quella settentrionale che costituisce una vera e propria spianata a ovest della chiesa. La data in minuscole gotiche “A.D. MCCXVIII” scolpita sulla facciata dell’edificio sacro, che mostra pa‐ ramenti costituiti da grossi conci squadrati, può essere presa come terminus ad quem per l’edificazione della chiesa, o per lo meno per un ampliamento della facciata romanica in senso longitudinale82. Quest’area dell’insediamento costituiva la parte più munita del castello ed era proba‐ bilmente di stretta pertinenza signorile. Nella porzione meridionale del castello, peraltro, si trova il pozzo per l’approvvigionamento dell’acqua necessaria al sostentamento del nu‐ cleo gentilizio. All’estremità meridionale del rilievo i resti di una torre‐cisterna circondata 81Il calcolo è basato sul rilievo effettuato in situ durante la campagna di scavo 2011, attraverso la misurazione del perimetro murario superstite nel pianoro meridionale. Per l’evoluzione spaziale del procinto nord, ove le strutture non sono leggibili che in parte, ci si è basati su considerazioni i‐ potetiche ricavate dall’osservazione dell’andamento orografico del colle. 82 In tal senso sono state condotte, durante l’estate del 2009, prospezioni col georadar, che hanno testimoniato l’esistenza di preesistenze sepolte che potrebbero costituire la prima fase di occupa‐ zione del sito, cfr. BINI, M. et al. (2010) .

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da un procinto fortificato indicano che probabilmente l’insediamento si estendeva ben ol‐ tre la cortina muraria oggi visibile, occupando il pianoro sottostante.

L’analisi della parte rimanente delle mura (Figura 26 ‐ evidenziata in blu), crollate ed espoliate nei secoli, fa ipotizzare continuità dell’alzato anche nella porzione nord‐ovest della collina (Figura 26 ‐ settore evidenziato in giallo). L’intera cinta si estenderebbe così per oltre 500 metri in lunghezza, coronando l’intera sommità del rilievo e racchiudendo un’area di quasi un ettaro di terreno. Grazie allo scavo si è potuto accertare che il rilievo situato a sud‐est della chiesa era completamente circondato di mura, una sorta di “fortezza nella fortezza”. Tabella 1 ‐ Dimensioni dell'area incastellata e della chiesa di San Michele

Dimensioni

Perimetro cinta completo (con ipotetica cinta nord): 410m Superficie completa interna alla cortina: 4120 m2 Perimetro cinta sud: 203m Superficie interna alla cortina sud: 2180 m2 Perimetro chiesa attuale: 68,50 m (9,78x24 m) Area chiesa attuale: 240,80 m2 Perimetro chiesa medievale: 59,72 m (9,78x20,15 m) Area chiesa medievale: 197 m2 Figura 25 ‐ Rilievo tridimensionale del castello e della cisterna

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Le notizie sul sito incastellato in epoca bassomedievale nelle fonti scritte edite sono e‐ stremamente limitate. Mentre infatti il toponimo nella forma Menabla è ricordato per la prima volta in un documento del 98383, ed è menzionato tra X e XI secolo in varie altre car‐

te dell’Archivio Arcivescovile di Lucca84 come Menablacha o Menablo, un riferimento e‐

splicito al castello si ha solo nel 1334, quando viene decretata la sua distruzione dai Rossi, signori di Parma e reggitori come vicari regi della città di Lucca85.

Che il castello fosse esistente ben prima degli inizi del XIV secolo lo testimoniano le strutture superstiti e la chiesa stessa di San Michele, la quale, come detto, porta in facciata la data 1218, ma ciononostante non conosciamo il ruolo giocato dal fortilizio nelle vicende belliche e politiche che pure toccarono, tra XIII e XIV secolo, la regione della montagna luc‐ chese, prima nei lunghi contrasti tra il comune di Lucca e le famiglie dei locali signori terri‐ toriali, poi nel periodo di instabilità inaugurato dalla morte di Castruccio. Nel 1201 abbia‐ mo indirettamente la notizia di un’incursione lucchese nell’area; in quell’anno infatti un personaggio della città del Volto Santo, tale Lamberto Artilii, venne risarcito dal Comune per i danni subiti dal suo cavallo “macagnatus in cavalcata de Menabbio”86. Figura 26 ‐ Ipotesi ricostruttiva preliminare dell’area incastellata 83 AAL, Diplomatico, A 56, 983, cfr. BARSOCCHINI, D. (1844), vol. 3, doc. 1572. Nei documenti del X‐ XI secolo troviamo le forme toponomastiche: Menabla, Menablacha e Menablo, quindi dal XIII seco‐ lo abbiamo Menabbio a cui si affianca nel XVII secolo Benabbio, che finirà per prevalere solo nel XIX secolo. LAGANÀ, N. (2007, p.15.), PIERI S. (1936, pp.210‐11). 84 AAL, Diplomatico, +M66, 991, BARSOCCHINI, D. (1844) 1844, vol. 3, doc. 1675; AAL, Diplomatico, A 49, GUIDI, P. e PELLEGRINETTI, E. (1921, pp.6‐7); AAL, Diplomatico, ++G 48, 1047, GHILARDUC‐ CI, P. (1995, pp.66, doc. 25); AAL, Diplomatico, ++0 42, 1047, GHILARDUCCI, P. (1995, p.74, doc. 27); AAL, Diplomatico, +G 41, 1053, GHILARDUCCI, P. (1995, p. 206, doc. 84.). 85 ASL, Anziani avanti la libertà, n. 5, p. 170 e p. 187. GIAMBASTIANI, C. (1996, pp.293‐94). ASL, Ca‐ marlingo Generale n. 10, c. 82 v. CONCIONI, FERRI, GHILARDUCCI 1994, p. 124. 86 SARDI, C. (1914, p. 89.) SAVIGNI (1996, p. 92). ASL, Diplomatico dei Servitii, 3 aprile 1201.

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Non sappiamo quale gruppo familiare, tra XI e XIII secolo, si facesse promotore dell’incastellamento del sito. Le principali famiglie che avevano interessi nell’area, quelle dei Suffredinghi e dei Porcaresi non sono mai menzionate in relazione a Benabbio, mentre alcuni discendenti di Fraolmo, capostipite dei Corvaresi e di altri gruppi signorili, già nel X secolo sono livellari del vescovo di beni in loco, che tuttavia non si consolidano in posse‐ dimenti duraturi, venendo riassorbiti dal vescovato e allivellati nuovamente, intorno alla metà dell’XI secolo, non ad esponenti dell’aristocrazia ma a personaggi di più basso profilo, tra cui figurano alcuni chierici87. Certo si trattò di un investimento signorile notevole e per le dimensioni del castello e per quelle della chiesa. Proprio la chiesa di San Michele, benché esistente già dal 1218, non è menzionata nel Libellus Extimi Lucane Dyocesis del 1260, mentre invece lo è la chiesa di Santa Maria, attuale parrocchiale del paese, situata in basso, a duecento metri di disli‐ vello dal castello, che ha una rendita di CXL libbre88. Lucca venne comunque affermando il

proprio dominio nella valle nel corso del XIII secolo e, nel 1308, il comune di Benabbio, ormai compreso nella Vicaria Terrarum Civium et Vallis Limae, deve presentare a Lucca per la luminara di Santa Croce un cero di venti libbre89. Nel secondo e terzo decennio del Trecento Benabbio dovette essere al centro dei terri‐ tori amministrati e dominati da uno dei più stretti collaboratori di Castruccio, quel Luporo da Menabbio che ebbe un ruolo importante, al seguito di Uguccione della Faggiuola, nella presa e nel sacco della città di Lucca del 131490. Una figura di grande rilevanza che ricoprì

incarichi importantissimi per conto del Castracane91, ma che trasfigurata in parte dalla

tradizione storiografica ed erudita, soffre della mancanza di una coeva affidabile documen‐ 87 (GIAMBASTIANI, C., 1996, pp. 78‐79.) 88 (GUIDI, P., 1932, p.259) 89 (DEL PRETE, L. and Bongi, S., 1867, p.40) 90 Albertino Mussato 1727, p. 604. Ranieri de’ Granci 1915, p. 27. Cronica di Pisa 1729, p. 991. Aldo Manunzio il giovane 1590, p. 24. Giambastiani 1996, pp. 270‐272. Sulla figura di Luporo si veda i‐ noltre Giunta 2002, incentrato sull’esame filologico critico del sonetto a lui attribuito. 91 Un’attestazione inedita mostra Luporo responsabile delle fortificazioni di Pisa nel secondo de‐ cennio del XIV secolo, quando egli riceve un rimborso per una cifra da lui anticipata ed impiegata nel riattare gli apparati difensivi della città: “ser Luporo de Menabbio officiali custodie Pisane civita‐ tis florinos milleducentos sedecim de auro vel eorum valentiam computato quolibet florenos libris tri‐ bus et solidis duobus pisanorum sine cabella quos ipse ser Luporus expendi fecit in fortellitiis et repa‐ rationibus civitatis Pisane et eius custodie de mandato domini Lucani” ASP, Comune A, registro 94, carta 7, verso, cc. 1‐81. Questo documento è di grande rilevanza perché, oltre ad aprire uno squarcio di luce sull’attività svolta dal signore di Benabbio, dimostrerebbe che l’esilio di Luporo a Bologna, ricordato dagli storici, in particolare da Niccolò Tegrimi (TEGRIMI, N., 1742, p.7) e da Aldo Manun‐ zio il Giovane (Aldo Manunzio il giovane 1590, p. 78), è successivo alla morte di Castruccio, e non è stato causato da una rivolta di Luporo contro il grande condottiero lucchese; infatti il documento pisano è datato all’8 Luglio 1328, neanche due mesi prima della morte del Castracani avvenuta il 3 settembre 1328 (TOMMASI, G., 1847, p.192). Luporo come collaboratore di Castruccio è ricordato anche dal Petrarca nei Rerum Memorandarum Libri, cfr. edizione a cura di G. Billanovich 1943, pp. 123‐124.

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66 tazione92. Quel che sembra certo è che, dopo la morte di Castruccio, venne meno anche il dominio di Luporo93 e di lì a pochi anni il castello venne reso inservibile dal punto di vista militare. Nel gennaio 1334 infatti, nel giro di una settimana, Pertichetto da Pontremoli, in‐ caricato dai Rossi, con dieci maestri lapicidi portò a compimento la distruzione dei castelli di Benabbio e di Controne94. Non si trattò con ogni probabilità, data la velocità delle opera‐

zioni, di una distruzione totale, ma piuttosto della defunzionalizzazione ragionata e pro‐ grammata delle difese del castello, verosimilmente con l’apertura di brecce nelle mura e forse con l’abbattimento della torre principale, secondo tecniche attestate dalle evidenze archeologiche in altri siti della lucchesia e della Toscana. Se il castello perse il proprio ruo‐ lo militare, l’abitato non dovette andare incontro ad un immediato abbandono, anche se è probabile che allora abbia avuto inizio una progressiva perdita d’importanza demografica a vantaggio dell’insediamento aperto disteso alle pendici del colle ed intorno alla chiesa parrocchiale. Nel XVI secolo, quando Michel de Montaigne visita il colle del Castello, lo descrive ricco di coltivazioni95, ma non fa cenno di un fortilizio funzionale, sintomo di un completo ab‐ bandono della sommità incastellata. Contestualmente l’inurbamento della popolazione ru‐ rale nel paese di versante, la cui posizione strategica, tra lucchesia e pistoiese, funge da ri‐ chiamo, comporta la graduale spoliazione della cortina muraria in funzione della costru‐ zione delle nuove abitazioni civili. La collina resta diruta e abbandonata per almeno tre secoli: unico edificio partecipato dagli abitanti del borgo è la chiesa di San Michele, che, alla fine del XV secolo subisce una ristrutturazione ed un allungamento di circa cinque metri in direzione meridionale, con il recupero dell’area destinata all’altare, sul quale, nel XVII sec., trova posto la statua lignea di San Michele in procinto di uccidere il drago. Un momento di ‐ drammatica ‐ reviviscenza dell’area si ha a metà del XIX secolo, quan‐ do, con l’arrivo dell’epidemia colerica dall’Asia (cfr. infra), si decide di destinare il terreno prospiciente all’edificio sacro a luogo di sepoltura per le vittime del morbo.

L’ultimo secolo non ha assistito a particolari frequentazioni dell’area, tuttavia l’intensivo uso agricolo cui vengono destinate le due sommità della collina, ha comportato notevoli trasformazioni e modificazioni nel deposito e nella conformazione del suolo d’uso. 92 SFORZA, G. (1861), GIAMBASTIANI, C. (1996, p. 271.) 93 I figli di Luporo sono ricordati nei registri della Curia dei ribelli del 1334 ed in quell’anno il padre risultava già deceduto. A.S.L., Curia dei ribelli, n. 6, cc. 9v. e 11 r. e v. GIAMBASTIANI, C. 1996, p. 289. 94 A.S.L., Anziani avanti la libertà, n. 5, p. 170 e p. 187. GIAMBASTIANI, C. 1996, pp. 294‐295. 95 MONTAIGNE, M. (1992, p.191)

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67 Tabella 2 ‐ Elenco delle testimonianze storiche relative al Castello di Benabbio Anno Evento 983 “abitantibus in villis…Menabla” 96. 991 “abitantibus in villis …Menablacha” 97. Fine X sec. Facevano parte del beneficium Fraolmi “IIII manentes in Menablo nescimus quid reddit” 98. 1047 “loco Menablo” 99 1047 “villa illa que dicitur Menablo” 100. 1053 “loco et finibus Menablo”101.

1201 “in palatio sancti Michaelis”, il podestà Ingherramo e “Paganus Ronthini et Ubertus q.Uberti Fralmi consules militum” decidono, “ex auctoritate civitatis”, di riconoscerea Lamberto Artilii il danno di quindici lire subito dal suo cavallo “macagnatus incavalcata de Menabbio” (danno già riconosciuto dal podestà Paganello “dePorcaria”, come da atto del notaio Mercato), e quindi il diritto al risarcimento per tale somma, che dovrà venirgli corrisposta dal Comune lucchese, come da carta del notaio Burcio102. 1218 Data scolpita sulla facciata della chiesa di San Michele del castello di Benabbio. 1260 Ecclesia S. Maria de Menabbio (rendita di lib. CXL)103. 1284 A questa data Benabbio era retto a Comune. 1308 Comune de Menabbio, compreso nella Vicaria Terrarum Civium et Vallis Limae, deve pre‐ sentare a Lucca per la luminara di Santa Croce un cero di venti libbre. 1310 Il 30 giugno i fuoriusciti lucchesi di parte bianca si riunirono nella chiesa di S. Sisto a Pisa per eleggere propri procuratori i quali rappresentassero la “Universitas Lucanorum exiti‐ tiorum de Luca” davanti ai legati di Enrico VII, re dei romani e per prestare obbedienza all’impero. Tra i presenti c’è un certo Ciompo di Guglielmo che agisce anche come procura‐ tore di suo fratello Datuccio e dei fratelli Luporo e Turello e di Nuto e Lemmo da Benab‐ bio104. 1314 Luporo Lupori, signore di Benabbio, prende parte alla battaglia di Pontetetto e al sacco di Lucca come alleato di Castruccio al seguito di Uguccione della Faggiola105. 1323‐

25 Luporo, signore di Benabbio, Limano, Casoli e Vico Pancellorum, si ribella a Castruc‐cio avvicinandosi ad Ermanno de’ Tedici di Pistoia. Castruccio, portatosi in Val di Lima, lo caccia dalle sue terre ed egli si rifugia con i figli a Bologna106.

1334 Marsilio de’ Rossi di Parma, vicario regio di Lucca, ordina la distruzione dei castelli di

Benabbio e di Controne. Portichetto da Pontremoli si reca con dieci maestri lapicidi nelle 96 A.A.L., Diplomatico, A 56, 983, D. Barsocchini, Memorie e documenti, V.3. doc. 1572. 97 A.A.L., Diplomatico, +M 66, 991, D. Barsocchini, Memorie e documenti, V.3. doc. 1675. 98 A.A.L., Diplomatico, A 49, P. Guidi – E. Pellegrinetti, Inventari del vescovato, pp. 6‐7. 99 A.A.L., Diplomatico,++G 48, 1047, Le carte del secolo XI dell’Archivio arcivescovile di Lucca, dal 1044 al 1055, a cura di G. Ghilarducci, IV, Lucca 1995, doc. 25 p. 66. 100 A.A.L., Diplomatico,++O 42, 1047, Le carte del secolo XI dell’Archivio arcivescovile di Lucca, dal 1044 al 1055, a cura di G. Ghilarducci, IV, Lucca 1995, doc. 27 p. 74. 101 A.A.L., Diplomatico,+G 41, 1053, Le carte del secolo XI dell’Archivio arcivescovile di Lucca, dal 1044 al 1055, a cura di G. Ghilarducci, IV, Lucca 1995, doc. 84 p. 206. 102 A.S.L., Diplomatico, Serviti, 1201 aprile 3. 103 B.S.L. Manoscritti, Libellus extimi Lucane Dyocesis, Ms. 135, f. 12 r., P.Guidi, Tuscia, La decima degli anni 1274‐1280, Rationes decimarum Italiane, BAV, Studi e Testi, n. 58, Città del Vaticano 1932, p. 259. 104 A.S.L., Archivio dei Notari, Reg. 29, ser Orlando Ciapparoni, p. 122‐125. 105 Alberini Mussati, De gestis Italicorum post mortem Henrici VII Cesaris historia, III, rub. X, L. A. Mu‐ ratori, Rerum Italicarum Scriptores, Tomo X, Mediolani 1727, p. 604. 106 N. Tegrimi, Vita Castruccii Antelminellis lucensis ducis, L.A. Muratori, R.I.S., T. XI, p. 1321.

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68 terre di Benabbio e di Controne e vi si trattiene una settimana per compiere l’opera107. 1338 Vengono effettuati radicali lavori alla chiesa di Santa Maria108. 1348 Un incendio distrugge due terzi delle case di Benabbio109. 1384 Era già esistente l’ospedale di San Tommaso di Benabbio. 1385 La chiesa di Santa Maria di Benabbio ottiene il fonte battesimale 110. 1387 E’ ricordata per la prima volta in un documento scritto la Ecclesia S. Michaelis de Castro Menabii111. 1405 Una giovane schiava, di nome Caterina, di proprietà del banchiere fiorentino Arrigo Da‐ vanzati, sedotta da un soldato è stata abbandonata a Benabbio112.

3.2.3 I

L COLERA DEL

1855

Un aspetto importante di questi primi anni di ricerche ha riguardato l’indagine strati‐ grafica di una fase cimiteriale circoscritta e particolarissima che è andata a sovrapporsi al‐ lo spazio funerario medievale: il cimitero dell’epidemia di colera del 1855. Nel corso del XIX secolo l’epidemia, proveniente dal sud‐est asiatico (e dunque battez‐ zata “Morbo Asiatico”), fece la propria comparsa in Europa più volte. Arrivata al sud della Francia113 la terza di queste ondate non poteva non interessare l'Italia, dove i primi casi si verificarono nel luglio del 1854. Il peso degli interessi commerciali, i ritardi nel denunciare i primi casi, la diffidenza di alcuni governi e corpi sanitari nei confronti delle misure re‐ strittive consigliate dai contagionisti, furono alcuni dei fattori che contribuirono a favorir‐ ne la diffusione114. Il ritardo nel comunicare la presenza della malattia agli stati confinanti, da parte delle autorità sanitarie genovesi, spinse il contagio verso il territorio apuano ai confini delle coste liguri e quindi sino alla costa tirrenica. Così nell'estate del 1854, un pic‐ colo veliero toscano proveniente da Genova, sul quale viaggiavano due ammalati, intro‐ dusse il "morbo" nello scalo di Avenza, mentre un altro veliero napoletano con a bordo un morto di colera giungeva nel porto di Livorno. In Toscana quindi l'epidemia si propagò da questi due centri, arrivò all'Elba da Livorno, poi a Pisa e Lucca115; e ancora a Pescia, Pistoia, 107 A.S.L., Anziani avanti la libertà, n. 5, p. 170 108 Epigrafe situata sul fianco meridionale della chiesa. 109 A.S.L., Anziani avanti la libertà, Lettere n. 55, c. 111. v., Rrgesti II, Parte I, n. 359, p. 62. 110 A.A.L., Cancelleria, Libri Antichi, n. 36, f. 99 r 111 A.S.L., Curia delle vie e de’ pubblici, n.1, S. Bongi, Inventario, IV, p. 126. 112 A.S.L., Governo di Paolo Guinigi, Lettere, n. 9, 119 113 Tognotti, E. (2000, p.44) 114 Ibid., p.152

115 Che non essendo più autonoma, ma da pochi anni entrata a far parte del Granducato, non

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69 Prato, Empoli e Firenze. Nell'inverno del 1854 il colera sembrava essersi estinto, ma all'i‐ nizio dell'anno successivo una combinazione di recrudescenza e importazione fece sì che ricomparisse e la Toscana fu la prima, fra le regioni italiane, ad esserne colpita. Questa volta l'espansione avvenne da Firenze verso gli altri centri della regione. Contri‐ buì alla diffusione, sia nella città che nelle campagne limitrofe, un'alluvione che aveva sommerso molti terreni sulla riva destra dell'Arno provocando riflussi dal sistema fogna‐ rio. Inoltre il miglioramento delle comunicazioni, con la recente entrata in funzione della linea ferroviaria Leopolda, il rinnovamento della rete stradale voluta dal granduca, lo stes‐ so Arno (allora utilizzato per la navigazione fluviale), favorirono il viaggio del vibrione co‐ lerigeno, ovvero degli uomini infetti. Nella primavera di quell'anno, quindi, il colera arrivò a Pisa, Pontedera e Livorno. Da Livorno si propagò all'Elba, all'isola del Giglio, a Forte dei Marmi, in Versilia e a Lucca. Qui l'esplosione dell'epidemia avvenne durante i cinque giorni dell'esposizione del "volto santo", che radunò nelle chiese folle in preghiera; la città venne quindi colpita duramente arrivando a contare oltre 3000 decessi. Nel corso del 1855 la morbosità raggiunse valori molto alti soprattutto nel grande compartimento fiorentino (39 su mille abitanti) e in quello lucchese (27‰). Data la mancanza di mezzi terapeutici adeguati116, anche la mortalità, nella regione, si mantenne molto elevata (53%); nel com‐ plesso (alla fine della terza epidemia) si contarono 26.327 morti (Grafico 1). Durante l'estate del 1855 si verificarono i primi casi di colera anche a Benabbio, che fu uno dei paesi più colpiti del "Compartimento di Lucca"; fra l'agosto e l'ottobre di quell'an‐ no morirono 47 persone su una popolazione di circa 900 abitanti117. Come nel resto della Toscana, vennero presi provvedimenti di carattere igienico e sanitario, con la nomina di «grascieri e spazzini», che tutelassero la salute pubblica con il controllo delle «esalazioni perniciose»118, e venne prevista la sospensione di tutte le attività che comportassero forti raggruppamenti di persone (fiere, mercati, feste religiose), per evitare il diffondersi di fo‐ colai. 116 Le cure erano piuttosto empiriche. Ogni medico seguiva una sua linea terapeutica, influenzata, o dalla teoria del medico inglese Brown ‐"brownisti"‐ per il quale quasi tutte le malattie avevano na‐ tura astenica, o dalle posizioni di Giovanni Rasori, sostenitore della teoria del controstimolo (che trattava le febbri, dette asteniche dal Brown, col metodo debilitante). Lo stesso Betti, ad esempio, prescriveva eccitanti nel primo momento della malattia e antiflogistici successivamente, cfr. TO‐ GNOTTI, E. (2000, p.102) 117 Il numero delle vittime del colera si ricava dall’Archivio Parrocchiale di Benabbio (APB, Morti D5, c. 36v‐39r.), anche se il numero preciso, per alcune contraddizioni tra le annotazioni dei libri parrocchiali, potrebbe variare da 45 a 47. 118 ASL, Prefettura del Compartimento di Lucca n. 1159 (1854‐56), Protocollo Sanitario, prot. nn. 1, 4, 5, 38, (cit. in LAGANÀ, N. 2007, pag. 211, nota 756).

(15)

70 Grafico 1 ‐ Torta sinottica dei decessi per colera avvenuti in Toscana nel 1855

Anche la sepoltura dei morti risultava favorevole al diffondersi della malattia, vista la consuetudine di seppellire i cadaveri in chiesa o nei conventi, o l’abitudine di inumare a poca profondità, aumentando il rischio di infiltrazioni dannose delle acque. A seguito dell'epidemia quindi (17 aprile 1856) fu ordinata la costruzione di un "cimitero a ster‐ ro"119 presso la chiesa di San Michele al Castello, affinché vi venissero sepolti i 44 corpi dei

morti di colera, lontano dal centro abitato, ma nel sagrato di un importante edificio religio‐ so che conservava un rilevante significato simbolico per la comunità. Dai documenti di ar‐ chivio si conoscono alcune delle dinamiche di trasporto e modalità di seppellimento. I ca‐ daveri venivano portati al castello con bare ordinarie provviste di stanghe, dette "barelle", esistenti in ogni parrocchia, costruite con materiale leggero per poter essere facilmente trasportate anche su strade impervie. I corpi venivano ricoperti con "uno strato di panno o coltre acciò destinato" che non sempre riusciva a trattenere i "miasmi dei cadaveri"120. Anche le fosse dovevano essere scavate ad una certa profondità e le salme venivano co‐ sparse di calce, tutti metodi considerati utili per evitare il contagio. Un'altra tecnica consi‐ derata necessaria affinché la malattia non si trasmettesse, in maniera indiretta, consisteva nella disinfezione di luoghi e oggetti. Gli addetti alla disinfezione dei luoghi si chiamavano "profumatori" , in quanto li "profumavano" per mezzo di fumigazioni con paglia bruciata e zolfo, olio di vetriolo, acido solforico ecc..». Gli oggetti e gli indumenti venivano sottoposti a «fumigazioni di nitro e zolfo in parti eguali e quattro parti di crusca », ma nei casi in cui 119 ASL, Prefettura del Compartimento di Lucca n.447 (1856), prot. n. 588, (cit. in LAGANÀ, N. 2007, pag. 211, nota 757). 120 Delegazione di Capannori del 1855 (ASLu, Prefettura Compartimentale di Lucca). 10% 55% 4% 2% 12% 11% 4% 2% Arezzo (2819) Firenze (14735) Grosseto (954) Livorno (658) Lucca (3180) Pisa (2833) Pistoia (987) Siena (633)

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71

questi appartenessero ad ammalati o morti di colera l'unica soluzione sicura era l'«abbruciatura»121.

Grazie alla documentazione amministrativa parrocchiale conservata nell'archivio della Diocesi di Lucca122 si possiede l'elenco con i nomi e le età di morte di tutte le vittime

(Tabella 3, Grafico 2). Questa preziosa testimonianza ci ha permesso di compiere un tenta‐ tivo di identificazione dei resti scheletrici in studio. L’evento del colera, che di per sé potrebbe risultare estraneo ad un’indagine archeolo‐ gica ha invece offerto preziosi spunti per lo sviluppo di una metodologia di indagine do‐ cumentativa inedita; questo vuoi per l’eccentricità della cronologia rispetto agli orizzonti archeo‐antropologici consueti, vuoi per la grande quantità di informazioni che ci si trovava a gestire. Tabella 3 ‐ Elenco delle vittime del Colera del 1855 a Benabbio Nome (età alla morte) Nome (età alla morte) Maria Angela Franceschi ved. Benedetti († anni 66) Francesca Cianelli ved. Magnani († anni 49) Bartolomeo Emidio Tofani († anni 3) Luigi Franceschi († anni 74) Antonio Contrucci († anni 46) Antonia Fiorini ved. Cianelli († anni 85) Francesco Marchi († anni 45) Domenica Contrucci in Giusti († anni 49) Lucia Contrucci in Giuliani († anni 24) Giuseppe Rocchi († anni 64) Maria Assunta Rocchi († anni 11) Pietro Franceschi († anni 60) Antonio Allegroni († anni 70) Quirico Giuliani († anni 60) Chiara Michelini in Giusti († anni 62) Marco Antonio Pierotti († anni 78) Angelo Pienotti († anni 32) Maria Anna Pierotti ved. Betti († anni 68) Giovanni Marchi († anni 51) Sebastiano Marchi († anni 60) Lucia Cianelli ved. Bertolini († anni 57) Colomba Cianelli ved. Cianelli († anni 71) Nicolao Pienotti († anni 57) Andrea Marchi († anni 9) Ugo Magnani († anni 7) Francesco Pierotti († anni 61) Giovanni Marchi († anni 87) Giuliano Marchi († anni 39) Assunta Fiorini in Marchi († anni 61) Rocco Cianelli († anni 72) Maria Benedetti Rocchi († anni 3) Martino Franceschi († anni 77) Nicolao Tofani († anni 56) Luca Magnani († anni 29) Giuseppe Magnani († anni 68) Antonio Cianelli († anni 44) Maria Anna Giuliani in Contrucci († anni 56) Rosa Pierotti († anni 19) Francesca Tofani ved. Bertolini († anni 66) Francesco Antonio Cianelli* Stella Pierotti ved. Lucchesi († anni 64) Luigi Marchi († anni 57) Anna Contrucci in Rocchi († anni 37) Momerto Contrucci* Giovanni Marchi († anni 32) Maddalena Contrucci († anni 57) Giovanni Franceschi († anni 49) * Non sepolti nel cimitero del Castello 121 In: "Istruzione popolare sui principali mezzi da impiegarsi per guarentirsi dal cholera‐morbus..", 1854, p. 22‐23. 122 APB, Morti D5, cc. 36v‐39r.

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72 Grafico 2 ‐ Classi di età alla morte (Benabbio, colera del 1855) 4 2 2 4 5 10 9 6 2 0 2 4 6 8 10 12 0‐10

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73

3.3 L

O SCAVO DEL SITO

La collina del castello di Benabbio è stata sottoposta, ad oggi, a cinque campagne di sca‐ vo stratigrafico e di rilievo. L’intera zona d’interesse è stata suddivisa in 8 aree di indagine a strategia intensiva (Figura 27), per una superficie totale di oltre 800 m2 (Tabella 4). Le ricerche hanno consentito di far luce su due aspetti di estremo interesse storico: gli orizzonti legati all’insediamento medievale e quelli pertinenti al cimitero del colera. Se il primo punto ha potuto ampliare l’archivio di conoscenze storiche e storiografiche del ter‐ ritorio montano lucchese, incrementando il pacchetto delle fonti edite con dati materiali di prima mano derivati dalla ricerca diretta, per quanto riguarda il secondo ambito, gli oriz‐ zonti conoscitivi si sono dimostrati sostanzialmente inediti: lo scavo stratigrafico di un ci‐ mitero epidemico moderno è risultato infatti un unicum in Italia (ed anche in Europa gli esempi si contano sul le dita di una mano). Gli scavi, che, come detto, sono condotti da Antonio Fornaciari, con la collaborazione di chi scrive e la direzione scientifica del prof. Gino Fornaciari, hanno visto impegnati negli anni oltre cento tra archeologi, antropologi e studenti universitari, e proseguiranno per molte altre campagne, al fine di costituire un campo‐scuola e, contestualmente, un parco archeologico dall’elevato potenziale informativo.

Figura 27 ‐ le aree di scavo aperte

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74 Tabella 4 ‐ Estensione del sito d'indagine e delle aree di scavo Dimensioni Superficie totale scavo: 815,40 m2 Superficie Area 1000: 324,40 m2 Superficie Aree 2‐3000: 102,44 m2 Superficie Area 4000: 59, 45 m2 Superficie Area 5‐6000: 117,25 m2 Superficie Area 7000: 126,2 m2 Superficie Area 8000: 85,66 m2

3.3.1 A

REA

1000

Il saggio principale, denominato Area 1000 (Figura 28), è stato aperto, sin dal 2007, a ri‐ dosso della chiesa castellare di San Michele; gli intenti principali delle indagini erano so‐ stanzialmente due:

‐ comprendere e studiare le fasi di insediamento medievali del castello, nella zona di maggior rilevanza antropica (la chiesa e la sella tra le due colline) ‐ esplorare le stratificazioni cimiteriali che si susseguirono senza soluzione di continuità dalle prime fasi di insediamento sino al XIV secolo, per poi interrompersi e riprendere episodicamente nel XIX secolo a seguito dell’epidemia colerica (cfr. par. 3.2.3). A tale scopo l’area è stata strutturata in quattro settori (Figura 30), delimitati dal presun‐ to (e confermato) perimetro del cimitero moderno a Sud‐Ovest (sett. A e C), da una por‐ zione del sepolcreto medievale a Sud (sett. B) e dal sagrato prospiciente alla facciata, in parte anch’essa destinata alle vittime del colera, in parte ad ospitare un edificio coevo o immediatamente posteriore alla chiesa, a Nord (settore D).

Figura 28 ‐ Fotocomposizione zenitale dell'Area di Scavo 1000

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75 Figura 29 ‐ Suddivisione dell'Area 1000 in 4 settori

3.3.1.1 Il cimitero del colera

La fase cimiteriale riferibile all'epidemia colerica ottocentesca si inserisce in un contesto archeologico complesso e stratificato. L'area occupata dalle tombe è infatti quella prospi‐ ciente la chiesa di San Michele al Castello, edificio religioso tutt'ora officiato, che, a metà del XIX secolo, aveva perso la destinazione ad uso sepolcrale, conferita dal XV secolo esclusi‐ vamente alla chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, posta nell'abitato. In seguito alla grande epidemia del 1855, la paura del contagio, la quantità di vittime e l'urgenza di dare loro degna sepoltura, spinse la popolazione del paese a scegliere l'antica locazione come luogo deputato alla sepoltura dei colerosi. Infatti non solo questo si situava in alto, lontano dalle case, ma continuava ad offrire suolo consacrato ad una comunità fortemente legata a radicate tradizioni religiose. Fu così che per oltre due mesi, dal 26 agosto al 21 ottobre 1885, l'area del castello di Benabbio tornò ad essere al centro delle dinamiche sociali del paese. L’estensivo intervento archeologico compiuto dal 2007 al 2011 sugli orizzonti cimiteriali attorno alla chiesa ha restituito 44 fosse semplici risalenti all’ultima fase sepolcrale (6 del‐ le quali vuote) e contenenti i resti di 44 individui123, e 24 sepolture (semplici, con alveolo 123 Come già ricordato le vittime totali del colera secondo le fonti furono 46 o 47, tutte sepolte al ca‐ stello; si sa però che due corpi furono traslati nell’attuale cimitero del paese pochi anni dopo. Alla

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76

cefalico litico e multiple) contenenti 26 inumati afferenti ad orizzonti bassomedievali

(Figura 30). Figura 30 ‐ Pianta composita delle sepolture ottocentesche (in blu) e medievali (in rosso) poste attorno alla chiesa di S. Michele La prima campagna di scavo (agosto 2007) ha inizio nel settore A, dove vengono indivi‐ duati i tagli di 7 fosse terragne. Le fosse, con allineamento nord‐est/sud‐ovest, disposte su due file parallele lungo il fianco della chiesa, erano molto strette e profonde in media 60‐ 80 cm. Le sette sepolture, tutte semplici, contenevano i resti di 10 individui; due di queste infatti conservavano le spoglie di due individui sepolti l'uno sull'altro a breve distanza di tempo. Inoltre pochi resti di un bambino di circa 3 anni sono stati rinvenuti sotto l'indivi‐ duo 1052. Sei inumati avevano orientamento est/ovest, tre individui erano orientati o‐ vest/est. Gli individui portati alla luce durante questa campagna sono sette maschi, due femmine ed un bambino (cfr. i dati in Tabella 5).

Durante la seconda campagna (agosto‐settembre 2008) le operazioni di scavo si sono concentrate ancora nel settore A dell'area 1000, che è stato ampliato in direzione nord‐ ovest sino a raggiungere un'estensione di circa 200 m2. Sono state così portate alla luce altre 14 fosse sepolcrali , parallele e con lo stesso orientamento delle altre (nord‐est/sud‐

luce di ciò il campione scheletrico portato alla luce dovrebbe essere completo o mancante di un’unica unità.

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77 ovest) tranne una, che insieme alle 7 già indagate nel 2007, hanno restituito in tutto i resti scheletrici di 29 individui. Nel settore A sono stati rinvenuti 11 individui maschi, 6 femmi‐ ne e 2 bambini. Sempre durante questa campagna di scavo è stato aperto un piccolo setto‐ re di 7 metri quadrati (settore C), nel quale sono stati rinvenuti altri tre individui (due ma‐ schi adulti e una bambina), disposti parallelamente ad una struttura muraria d’età basso medievale, all’interno di uno strato di macerie derivato dalla regolarizzazione dei crolli delle strutture medievali.

Durante la terza campagna di scavo (2009) l'indagine si è spostata nel settore prospi‐ ciente la facciata, dove è stato aperto un nuovo saggio di scavo ( settore D) esteso per circa 65 m2. In questo settore sono state individuate 12 fosse, la cui disposizione cercava di sfruttare al meglio lo spazio disponibile tra la facciata dell'edificio sacro ed il muro di ter‐ razzamento che delimita il sagrato verso nord. Da una prima analisi risultavano suddivisi‐ bili, per le loro caratteristiche tafonomiche e spaziali, in tre gruppi. Un gruppo composto da quattro fosse ellittiche (UUSS ‐1322, ‐1320, ‐1318, ‐1316), parallele tra loro e perpendi‐ colari alla facciata, prive di inumati, che si interrompevano dopo appena 30‐40 cm di pro‐ fondità, a causa della presenza sottostante di altre inumazioni più antiche risalenti ai con‐ testi medievali del cimitero. Un altro gruppo di inumazioni comprendeva altre quattro fos‐ se terragne disposte parallelamente alla facciata della chiesa nella porzione nord occiden‐ tale del settore; simili nella pianta ellittica alle precedenti, raggiungevano rispetto a queste una profondità maggiore, pari a 80‐90 cm e contenevano i resti di altrettanti inumati (tre femmine e un maschio), due dei quali parzialmente coperti da uno strato di calce, gettato sopra il sudario funebre con evidente finalità di profilassi antisettica. La calce aveva con‐ servato, come in una sorta di matrice, il volume di alcune porzioni del cadavere così come l'impronta del tessuto del sudario. Un ultimo gruppo era infine composto da altre quattro fosse (una delle quali, la ‐1387, lasciata priva dell'inumato) orientate nord‐ovest/sud‐est, contenenti i resti di tre inumati (due maschi e una femmina) anch'essi caratterizzati dalla presenza di una parziale copertura di calce. Queste ultime sepolture insistevano su una struttura muraria medievale avente orientamento nord‐est/sud‐ovest, della quale inter‐ rompevano trasversalmente lo sviluppo rimuovendone i conci in profondità. È stato inte‐ ressante cogliere la volontà degli scavatori ottocenteschi di realizzare delle fosse sepolcra‐ li in brevissimo tempo, anche a costo di divellere gli eventuali ostacoli sepolti: sintomo di un'urgenza dettata dalla crescente preoccupazione per l'estendersi dell'epidemia colerica. Con la quarta campagna (2010) il settore D è stato ulteriormente suddiviso in due saggi: quello immediatamente prospiciente la facciata la chiesa, in continuità con l'area che ave‐ va restituito i tagli sopra descritti, è stato approfondito e ha permesso di completare la messa in luce delle ultime sepolture ottocentesche. Una volta rimosso lo strato di humus

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78 superficiale ed alcuni livelli formatisi tra XIX e XX secolo, è emersa una situazione strati‐ grafica non dissimile da quella già osservata lungo tutta la fascia attorno alla chiesa: il pia‐ no di calpestio ottocentesco, una paleosuperficie caratterizzata da lastre di scisto e pietri‐ sco, risulta esser stato investito da una serie di tagli ellittici per la realizzazione delle se‐ polture dei colerosi. Sono stati quindi portati alla luce i resti di 5 individui, divisibili, si‐ milmente a quanto avvenuto l'anno precedente, in due gruppi omogenei. Il primo è rap‐ presentato da tre fosse terragne ben realizzate, orientate nord‐ovest/sud‐est, e disposte a nord‐est rispetto alla soglia della chiesa. Tutte contenevano una inumazione monosoma (due maschi e una femmina). Il secondo gruppo di sepolture si disponeva lungo l'asse co‐ stituito dalle UUSS ‐1139 e ‐1341 disposte parallelamente alla facciata della chiesa (UUSS 1470 e 1494). Oltre alle sepolture della tarda età moderna, tutta l'area 1000 è interessata, a quote di‐ verse, da una serie di fasi cimiteriali bassomedievali, parzialmente esplorate sia lungo il lato maggiore della chiesa, che in facciata. Si noterà soltanto che spesso i tagli per le inu‐ mazioni dei colerosi, soprattutto di fronte alla facciata della chiesa, hanno investito le se‐ polture medievali, per cui i piani da cui partivano i tagli delle fosse medievali dovevano collocarsi assai più in alto del piano di calpestio di metà XIX secolo.

3.3.1.2 Primi risultati tafonomici ed antropologici

Grazie all’utilizzo delle tecniche di rilievo e dei database di scavo oggetto di questo ela‐ borato, è stato possibile completare, in corso d’opera, una censimento tafonomico ed an‐ tropologico basato sulla diretta estrapolazione dei dati di scavo e di rilievo GIS. Le analisi sono state fatte a partire da una serie di osservazioni empiriche sul campo, per poi sfruttare il potenziale offerto dagli strumenti di analisi topologica e statistica del GIS e del database relazionale (cfr. infra)124. Ad un'analisi planimetrica si riscontra che 23 delle 24 fosse realizzate lungo lo sviluppo della navata sud‐occidentale si dispongono parallele tra loro e in duplice fila, ortogonali all'asse lungo dell'edificio e dunque con orientamento nord/est‐sud/ovest; solo una (US ‐ 1236) segue un orientamento nord/ovest‐sud/est. Le 16 fosse poste in facciata (di cui tre vuote), invece, presentano un duplice andamento: 9 sono disposte in doppia fila, con o‐ rientamento nordovest‐sudest, mentre sette si dispongono ortogonalmente a queste, e dunque perpendicolarmente all'asse lungo della chiesa.

124 Il lavoro è stato portato avanti da chi scrive assieme alla dott.ssa Barbara Baldino per la sua tesi

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79

Tabella 5 ‐ Elenco delle sepolture del colera

Fossa Usc Sesso Età Riemp. Or. Corredo Calce Chi‐

odi Legno ‐1739 1740 ND 3 1741 N/S / 1400 ‐1418 1419 F 60+ 1417 N/S / 1420 2 SI ‐1409 1413 M 40‐45 1408; 1412 N/S / 4 ‐1407 1414 M 45‐55 1406; 1411 S/N / 24 ‐1491 1494 F 30‐40 1492 N/S / 1496 2 SI ‐1487 1470 F 24 1488 N/S Forcine, perline vitree (cervica‐ li), oggetto metallico di forma circolare 1 SI ‐1372 1377 F c.60 1373 N/S Perline vitree (torace) 1379‐1378 ‐1360 1376 M 30‐35 1361 N/S Orecchini d'oro (mastoidi) cuscino ‐1358 1371 M 45‐55 1359 S/N Spillone metallico (avambrac‐ cio e emitorace dx) ‐1341 1362 M 45‐55 1342 O/E / 1364 ‐1339 1355 F 50‐59 1340 E/O Anello bronzeo (mano dx) col‐ lana a grani con pendente (presso temporale dx) 1363 ‐1312 1324 F c.60 1313 O/E / ‐1314 1325 F 50‐59 1315 O/E / 1326 ‐1157 1160 F c.50 1158 S/N medaglietta in bronzo 1159 F 60+ N/S 2 orecchini d'oro e vaghi di collana in corallo ‐1155 1200 M 45‐50 1116 E/O Medaglietta in bronzo e grani (rosario) ‐1152 1154 F 60+ 1153 O/E Medaglietta rotonda ‐1147 1150 M 60+ 1148; 1149 E/O / ‐1137 1142 F 60+ 1138; 1139 O/E Grani di rosario (rossi‐nerastri) e medaglietta (tra omero, ulna e radio dx e sotto la mandibola) ‐1130 1126 M +60 1131 E/O / ‐1115 1120 M 24‐30 1116 O/E / ‐1127 1132 M c.60 1128 E/O 3 bottoni bronzei rivestiti di cuoio e tessuto ‐1135 1141 F 60+ 1136 E/O / ‐1124 1134 M 9 1125 O/E crocifisso bronzeo, medaglietta, spillone, 4 ganci bronzei 1129 F 60+ E/O vaghi (collana/ rosario) presso cranio ‐1117 1121 M 30‐40 1118; 1119 Catenina in bronzo con grani ‐1023 1054 F 18‐20 1022 E/O / ‐1025 1046 M 45‐50 1024 E/O / 1051 M 45‐55 1044 E/O / ‐1027 1047 M 55‐60 1041; 1026 O/E / ‐1029 1052 F 45‐49 1028 E/O Fibbia bronzea, crocifisso ‐1031 1053 M c.60 1030 O/E Fr. di ardiglione di fibbia bron‐ zea ‐1033 1048 M c.60 1032; 1043 O/E / 1056 ND 3 O/E Elemento metallico a gancetto ‐1035 1049 M 40‐45 1034 O/E / 1055 M c.60 O/E Grani in bronzo (probab. rosa‐ rio) ‐1161 1163 M +60 1162 E/O 2 bottoni piccoli e medaglietta votiva (dentro un tessuto) ‐1216 1222 M 30‐35 1217 E/O /

‐1218 1223 M senile 1219 E/O Medaglietta devozionale bron‐ zea ‐1236 1238 F 50+ 1237; 1307 N/S / 1 ‐1812 1808 F 11 1811 N/O‐ S/E Lamina metallica, moneta, bor‐ chietta ferro ‐1813 1809 M 60+ 1810 N/O‐ S/E / ‐1822 1821 M c.60 1817 S/E‐ N/O 3 bottoni d'osso e 6 di metallo di cui uno rivestito in fibra di tessuto

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Lo scavo ha permesso di individuare a Benabbio una tipologia sepolcrale principale125, ri‐

levabile in tutta l'area cimiteriale: quella della fossa semplice scavata in piena terra

(Figura 31). Nella maggior parte dei casi il cadavere veniva avvolto nel sudario e deposto singolarmente nella fossa, senza strutture lignee a protezione del corpo. I tagli, effettuati a piccone nel terreno, erano spesso stretti e irregolari, con il fondo non definito né pareggia‐ to, mentre la loro profondità (deducibile con precisione previo riconoscimento del piano di taglio originario) si manteneva sostanzialmente costante a circa un metro dalla superfi‐ cie126. In almeno sette sepolture è stata riscontrata la presen‐ za di uno strato di calce versato sulla salma a diretto contatto col sudario (come profilassi antisettica), che mi‐ scelato con le acque di percolazione è diventato malta mantenendo impressa su di sé la matrice del tessuto contenente il defunto.

Nel riempimento di 6 fosse sono stati rinvenuti dei chiodi, ma dal momento che i corpi si sono decomposti in spazio pieno è da escludere la presenza di casse ligne‐ e. Un'ipotesi potrebbe essere quella che le barelle127 con i quali venivano trasportati i corpi (o parti di esse), per qualche motivo non meglio precisato (forse a causa della fretta dettata dall'urgenza della situazione) venissero la‐ sciate all'interno di alcune fosse.

In un solo caso su tre la presenza del legno all'interno della sepoltura sembra avere carattere funzionale. La fossa (US ‐1418), ben realizzata, conteneva un corpo scheletrizzato ricoperto da uno spesso stato di calce ed intorno a questo l'impronta lasciata da un'originaria 125 Lo studio tafonomico si è basato sulla distinzione statutaria di due principali gruppi di elementi (oltre allo scheletro del defunto che costituisce la ragion d'essere della sepoltura): – quelli statici (o fissi), ovvero la fossa (semplice o complessa) destinata a ricevere il defunto; – quelli mobili che comprendono tutto il materiale necessario al trasporto del corpo e alla sua se‐ poltura (portantine e casse lignee; sudario, vestiti) (DURAND, M., 1988, pp.146‐147). A questi si aggiungono gli elementi di corredo, fra i quali è corretto fare una distinzione in personale e fun‐ zionale (questi ultimi sono rappresentati dagli oggetti utilizzati, ad esempio, per bloccare l'ele‐ mento mobile – come gli spilloni ferma sudario – o facenti parte di esso). 126 Secondo quanto prescritto dalle norme sanitarie dell'epoca (ASLu, Prefettura Compartimentale di Lucca. Delegazione di Governo di Bagno a Corsena, 1855). 127 La notizia del sistema di trasporto si ritrova in Delegazione di Capannori del 1855 (ASLu, Prefet‐ tura Compartimentale di Lucca). Figura 31 ‐ Us 1371 in fossa terra‐ gna (campagna di scavi 2009)

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81 struttura lignea non riferibile ad una cassa per l'assenza di chiodi e la decomposizione av‐ venuta in spazio pieno. L'interpretazione più accettabile è la collocazione di assi in legno a delimitare e proteggere il corpo di quella che vedremo essere la prima vittima del colera. Tale tecnica non doveva essere compatibile con l'urgenza della sepoltura dettata dall'epi‐ demia e questa motivazione spiegherebbe il suo utilizzo in una sola deposizione (la pri‐ ma). Alla tipologia principale della fossa semplice se ne aggiunge un'altra, che si può definire occasionale, dal momento che è stata utilizzata una sola volta sfruttando uno spazio posto nella porzione sud‐orientale dell'area cimiteriale, quando il terreno prospiciente la chiesa era ormai completamente occupato. Immediatamente a ridosso di un muro bassomedieva‐ le, forse utilizzato originariamente come divisorio tra l'area ecclesiale e la cortina muraria del castello, si trovavano deposte le ultime tre vittime del colera: due adulti e un adole‐ scente (UUsc 1808, 1809 e 1821), sepolti in un potente strato di calce in disfacimento e sedimento friabile, ricoperti da pietre di media pezzatura. In questo caso, data la natura del suolo, non è stato possibile rilevare la possibile presenza del sudario.

La maggior parte dei corpi venivano deposti nelle fosse singolarmente, però cinque se‐ polture presentavano al loro interno due corpi sovrapposti, separati, in tre casi, da una quantità tale di sedimento da rendere difficile la comprensione di un eventuale sincroni‐ smo deposizionale. Tre fosse contenevano due individui adulti (UUSS ‐1025, ‐1035, ‐ 1157), mentre due contenevano un adulto e un bambino (UUSS ‐1033, ‐1124).

Se le ricerche di archivio hanno permesso di individuare nomi e data di morte dei 45 in‐ dividui sepolti nel cimitero, le indagini archeologiche e antropologiche si sono affiancate ai dati storici cercando di creare una rete di attribuzioni, che sta conducendo ad un progres‐ sivo riconoscimento delle identità degli scheletri riesumati e analizzati in laboratorio. Questo procedimento, lungo e ancora parziale, si avvale di tre operazioni fondamentali:

Figura 32 ‐ Usc 1419 con gettata di calce

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– una lettura interpretativa dell'esistente in grado di raccogliere ed elaborare gli elementi osservabili o deducibili in situ (lapidi commemorative, iscrizioni, me‐ morie storiche)128, connessa ad un'analisi della stratificazione da un punto di vi‐ sta sincronico, che tenga conto della successione delle azioni stratigrafiche e delle attività (come l'estensione dell'area cimiteriale, la contiguità o l'interruzione del‐ la continuità delle deposizioni...). – L'analisi tafonomica di ciascuna sepoltura e di ciascun inumato: della prima si ri‐ levano le caratteristiche morfologiche, tipologiche e spaziali; del secondo la posi‐ zione, l'orientamento e il corredo. – Le analisi antropologiche compiute in laboratorio, finalizzate in questo frangente alla verifica di dati importanti per l'identificazione del sesso e dell'età di morte degli inumati. Tutte queste scelte operative hanno condotto ad una prima analisi del tessuto cimiteria‐ le, che ha permesso di elaborare, da un lato, la crono‐successione delle sepolture, dall'al‐ tro, l'attribuzione di un'identità ad un cospicuo, sebbene incompleto, campione di schele‐ tri. Quanto al primo punto si è potuta ricostruire con buona approssimazione l'evolversi del cimitero nei due mesi di utilizzo: la lapide posta in facciata, riferibile a Maria Angela

Benedetti in Franceschi, alla sinistra della soglia d'ingresso principale, suggerisce che la

prima sepoltura, databile 26 agosto 1855, sia proprio Usc 1418 (Figura 32), posta in corri‐ spondenza della fossa US ‐1418; ciò è confermato dalle analisi antropologiche sull'inuma‐ to, una donna matura129 del tutto corrispondente alle indicazioni epigrafiche.

A questa prima sepoltura seguono con grande probabilità le UUSS ‐1409 e ‐1407, poste immediatamente a sud, prima della soglia d'ingresso della chiesa, e mantenenti non sol‐ tanto l'orientamento nord‐ovest/sud‐est, ma anche la cura nella realizzazione e la cospi‐ cua presenza di calce: esse contenevano i resti di due individui adulti di sesso maschile, ri‐ conosciuti nelle persone di Antonio Contrucci e Nicolao Tofani.

Proseguendo l'allineamento lungo la facciata, nel settore subito a meridione della soglia, sono stati rinvenuti, in ordine di successione, quattro tagli: UUSS ‐1322, ‐1320, ‐1318 e ‐ 1348. Queste fosse, appena abbozzate, vennero lasciate vuote probabilmente a causa dell'affiorare di altre emergenze scheletriche, appartenenti a contesti cimiteriali bassome‐ dievali; azione che abbiamo interpretato come atto di rispetto nei confronti dei defunti se‐ polti precedentemente. A questo punto vengono scavate altre due fosse (‐1487 e ‐1491), 128 Nel nostro caso la posizione certa di due individui era segnalata da altrettanti segnacoli marmo‐ rei incassati nel muro esterno della chiesa: si tratta dell'epigrafe di M. Angela Benedetti (prima vit‐ tima del colera, morta il 26 agosto) posta in facciata al di sopra della fossa US ‐1418 e di quella di Giovanni Marchi (51 anni), posta a sud dell'ingresso laterale della chiesa. 129 Dall’analisi antropologica risultava avere più di 50 anni.

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83 cambiando orientamento (nord‐est/sud‐ovest) probabilmente per cercare di rimediare al problema della presenza delle inumazioni più antiche. – La prima fossa conteneva i resti di una giovane donna (Usc 1470) alla quale si è po‐ tuta attribuire con precisione, sulla base dell'analisi antropologica, l'età di 24 anni. Nell'elenco a nostra disposizione l'unica donna di quell'età era identificabile in Lucia Contrucci in Giuliani, deceduta il 16 settembre; per questi motivi il riconoscimento in questione è assolutamente certo. – L'altra fossa conteneva anch'essa un individuo femminile (Usc 1494) di età compre‐ sa fra i 30 e i 40 anni. Sempre dall'elenco risulta che l'unica donna che poteva rien‐ trare in quella fascia d'età era Anna Contrucci in Rocchi, deceduta intorno al 29 set‐ tembre, perciò ad una certa distanza cronologica dall'altra. Se l'identificazione fosse corretta, resterebbe da chiarire il motivo di questo salto tempo‐ rale nelle deposizioni fra due fosse adiacenti. Un'ipotesi potrebbe essere quella che alcune fosse venissero lasciate temporaneamente vuote, proseguendo quindi le inumazioni nelle altre disponibili, per riservare un posto vicino ad un congiunto che nel frattempo aveva contratto la malattia, e che quindi si pensava morisse di lì a poco. In seguito si proseguì nella pianificazione cimiteriale sempre mantenendo questo orien‐ tamento (nord‐est/sud‐ovest) e si realizzarono, tra il 17 e il 20 settembre, quattro nuove fosse (UUSS ‐1312, ‐1314, ‐1339 e ‐1341) che contenevano i resti di altrettanti inumati. Il tentativo di riconoscimento ci ha portati a supporre che tra questi, tre individui possano essere identificabili in: – Lucia Cianelli vedova Bertolini deceduta all'età di 57 anni († 17 sett.) e deposta nella fossa ‐1339 a cui corrisponde l'US 1355;

– Assunta Fiorini in Marchi morta all'età di 61 anni († 19 sett.), deposta nella fossa immediatamente di fronte all'altra (‐1312) e corrispondente all'US 1324, alla quale si è attribuita un'età alla morte di circa 60 anni;

– M. Anna Giuliani in Contrucci deceduta a 56 anni († 20 sett.) e sepolta nella fossa ‐ 1314 (US 1325 alla quale si è assegnato lo stesso range d'età della prima elencata). Nei giorni successivi (o contemporaneamente) vennero probabilmente create le altre quattro fosse (UUSS ‐1358, ‐1360, ‐1372 e ‐1387) poste in linea col primo gruppo ed ana‐ logamente orientate (nord‐ovest/sud‐est). Il particolare di queste sepolture è la loro mes‐ sa in opera: risultano infatti realizzate svellendo i conci di arenaria che formavano il muro perimetrale di un preesistente, e sepolto, edificio medievale costruito di fronte alla facciata della chiesa.

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All'interno delle fosse erano deposti tre individui (una fossa la ‐1387 era vuota) per i quali non è stato possibile stabilire un'attribuzione certa. Si è potuto dedurre solo che l'in‐ dividuo sepolto nella fossa – 1360 (Usc 1376), corrispondente ad un maschio al quale è stato attribuito un range d'età di 30‐35 anni, potrebbe essere verosimilmente identificato con Angelo Pierotti, deceduto a 32 anni in data 17 settembre. Dallo studio antropologico risulta che solo due individui rientravano in quel range d'età, ma uno, corrispondente all'Usc 1222, si trovava inumato in una fossa collocata lungo il fianco maggiore della chiesa (nel settore A) e quindi se non scavata almeno utilizzata intorno al 20 settembre, quando muore appunto Giovanni Marchi130 alla stessa età di Pierotti. L'accrescersi della potenza dell'epidemia e del contestuale numero di vittime, dopo il 20 settembre, spinse gli addetti al seppellimento dei corpi, probabilmente incalzati dalle au‐ torità sanitarie e dal prefetto, a pianificare l'intervento di scavo e dunque a realizzare, in previsione dei futuri e plausibili decessi, un duplice filare di tombe lungo tutto il fianco maggiore della

chiesa: furono dunque realizzati 24 tagli paralleli, tutti orientati nord‐est/sud‐ovest, po‐ co rifiniti nel perimetro e nelle misure, profondi circa un metro e intervallati ciascuno da un risparmio di una trentina di centimetri. Si tratta di realizzazioni senz'altro più grosso‐ lane e affrettate rispetto a quelle della facciata, ma che denotano un trattamento pro‐ grammatico degli spazi. Una volta completate le fosse, i cadaveri vennero presumibilmente deposti senza seguire un ordine preciso; l'attribuzione dell'identità a questo gruppo di i‐ numati risulta dunque di difficile effettuazione ed è sostanzialmente legata allo studio an‐ tropologico dei resti scheletrici in laboratorio. In effetti è stato ipotizzato un procedere nelle deposizioni in senso orario partendo dalla fila più prossima alla facciata. Questo per‐ ché è stato possibile riconoscere con assoluta certezza alcuni individui, tre di questi risul‐ tavano morti nel giro di ventiquattro ore tra il 25 e il 26 settembre ed erano deposti in tre fosse contigue della prima fila poste a nord della soglia laterale della chiesa:

– Luca Magnani deceduto all'età di 29 anni († 25 sett., ore 9 p.m.) ed identi icato nell'US 1120 e ai cui resti è stato antropologicamente attribuito un range d'età di 24‐ 30 anni; – Rosa Pierotti deceduta a 19 anni († 26 sett., ore 3 a.m.), unica giovane donna riporta‐ ta sull'elenco morta a quest'età, viene identificata nell'US 1054 alla quale è stato at‐ tribuito un range di 18‐20 anni; 130 A questa unità scheletrica è stato attribuito, in base allo studio antropologico, un range d’età di 50‐59 anni.

Figura

Figura	27	‐	le	aree	di	scavo	aperte
Figura	28	‐	Fotocomposizione	zenitale	dell'Area	di	Scavo	1000
Tabella	5	‐	Elenco	delle	sepolture	del	colera
Figura	32	‐	Usc	1419	con	gettata	di	calce

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