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L A P RIMA E TÀ DEL B RONZO : S ALUT PRIMA DI S ALUT

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(1)

C APITOLO 3.

L A P RIMA E TÀ DEL B RONZO : S ALUT PRIMA DI S ALUT

3.1. L

A SCOPERTA DI DUE TOMBE SULLA COLLINA DI

S

ALUT

.

Come accennato nell’introduzione, tombe isolate, in gruppi, o disposte a comporre allineamenti, sono probabilmente l’elemento paesaggistico di origine antropica più caratteristico e diffuso in tutto l’Oman settentrionale.

Queste costruzioni, comunemente datate al III millennio a.C., punteggiano i crinali della maggior parte delle alture della regione e le colline attorno a Salut, sia quelle più prossime sia quelle visibili in lontananza, non fanno eccezione.

Numerose tombe si possono ad esempio individuare già osservando dalla piana il jebel che fronteggia il sito da est (Jebel Salut), ed una rapida ricognizione permette di localizzarne un numero ancora maggiore. Alcune di queste sono state oggetto di indagine da parte dell’IMTO, come riportato nel capitolo 5.

Benché fosse chiaro fin dall’inizio dei lavori a Salut che il periodo più importante nella storia del sito era certamente quello di Età del Ferro, già dalle prime campagne di scavo iniziarono ad emergere oggetti che su base tipologica si potevano far risalire all’Età del Bronzo. Si trattava principalmente di alcuni frammenti di stone vessels

1

, la cui interpretazione si indirizzava immediatamente verso l’esito della spoliazione di tombe del tipo di quelle menzionate. Oltre a questi vasi in pietra, il ritrovamento di alcuni blocchi di pietra bianca, squadrata e polita indicavano invece la presenza, molto meno chiaramente localizzabile, di monumenti funerari risalenti al periodo Umm an-Nar, tra le cui caratteristiche vi è proprio quella di essere rivestiti da questi tipici conci, colloquialmente detti “sugar lumps”.

Il proseguire dei lavori di scavo ha successivamente rivelato come in realtà la collina stessa sulla quale sorse il sito nell’Età del Ferro fosse parte integrante di questo paesaggio funerario più antico: proprio sul suo punto più elevato sono infatti venuti alla luce i resti, fortemente rimaneggiati dall’occupazione successiva, di due tombe la cui struttura già di per sé indicava una collocazione cronologica agli inizi del III millennio.

3.2. L

O SCAVO DELLE TOMBE E LA LORO STRUTTURA

La parte sommitale del sito di Salut si caratterizza per la presenza di un ampio terrazzamento che la occupa quasi interamente, realizzato all’inizio dell’occupazione di Età del Ferro e rimasto in uso anche nelle fasi successive dello stesso periodo. In un momento più avanzato, su questo terrazzamento si andranno ad impostare delle strutture pertinenti a fasi edilizie successive, le ultime da collocarsi già oltre lo spartiacque del VI secolo, in piena Tarda Età del Ferro (o Iron Age III).

Va innanzitutto premesso che la collina sulla quale sorge il sito appare oggi notevolmente differente da quella che era la sua morfologia naturale. La realizzazione di massicce opere di terrazzamento, l’edificazione di diverse strutture in mattoni crudi e

1

Degli Esposti & Phillips 2012: fig. 5.

(2)

pietre, lo svolgersi di attività legate alla vita quotidiana sul sito, ed i successivi crolli, hanno reso il suo aspetto quello di una piccola altura dalla sommità piatta (lievemente concava) ed i fianchi scoscesi, senza particolari asperità, con solamente il pendio sudovest più ripido rispetto agli altri. Era questo l’aspetto che presentava al momento delle prime ricognizioni dell’IMTO, ed è così che la videro anche i membri della Harvard Archaeological Expedition negli anni ‘70 del 1900 (fig. x).

Fig. 1 – Salut fotografata dagli archeologi della Harvard Archaeological Expedition nel 1975 (da Whitcomb 1975: Pl. IB).

Del suo aspetto naturale si può in realtà ricavare un’idea più esatta osservando i modesti rilievi immediatamente a sud del sito, più ancora che quello direttamente unito ad essa verso nord. Tutti questi affioramenti rocciosi sono infatti parte di un'unica faglia, inclinatasi durante i processi orogenetici, la cui cresta dall’andamento sinuoso emerge in grado diverso da un punto all’altro, sepolta sotto depositi più recenti, gli ultimi dei quali costituiscono il suolo attuale della piana. La collina di Salut rappresenta il punto di maggiore elevazione lungo questa cresta.

Originariamente essa era pertanto assolutamente inadatta ad ospitare un insediamento di

ampie dimensioni, presentandosi come una serie di banchi rocciosi fortemente inclinati,

l’uno addossato all’altro, con anche notevoli dislivelli tra la punta dell’uno ed il dorso

del successivo. L’aspetto generale si può rendere attraverso la similitudine con una serie

di tessere del domino cadute l’una a coprire parzialmente l’altra. La giacitura inclinata e

la natura della roccia inoltre rendevano molto probabile il distacco delle porzioni

terminali di questi banchi rocciosi, ed alcuni grandi blocchi sono stati infatti ritrovati

inglobati nelle fondazioni dei muri perimetrali del sito proprio sul lato sudovest, cioè in

corrispondenza delle estremità di questi corrugamenti rocciosi più esposte a frattura.

(3)

Fig. 2 – la posizione delle due tombe alla sommità della collina di Salut (in basso: vista da nordest).

(4)

Da ciò risulta evidente come l’edificazione del sito di Età del Ferro richiedesse la realizzazione preventiva di imponenti opere di terrazzamento, in modo da ricavare delle aree pianeggianti su cui impostare gli edifici veri e propri. Possenti muri di contenimento sono in effetti stati portati in luce, posti ad intervalli più o meno regolari, lungo il pendio sudest e nella parte bassa di quello nordest della collina: quello nordovest si presentava già meno aspro naturalmente, mentre quello sudovest, troppo scosceso, rimase a costituire una difesa naturale.

La grande terrazza sommitale faceva parte di questo complesso sistema, sebbene si collocasse in un momento successivo di organizzazione interna della prima fase architettonica del sito piuttosto che tra le opere propedeutiche alla sua edificazione.

Contenuta da una serie di muretti realizzati in pietre sbozzate e legati con una malta di fango, essa doveva coprire un dislivello piuttosto consistente tra il piede del suo muro più a valle e la sua sommità, corrispondente all’affiorare della roccia della collina nel suo punto più elevato. Il volume così definito venne riempito realizzando una serie di casseforme in mattoni crudi, a loro volta riempite da altri mattoni, da terriccio sciolto, da scaglie del substrato roccioso. Il tutto era presumibilmente sigillato da un piano in mattoni crudi e verosimilmente intonacato con malta di fango.

Le operazioni di scavo condotte a varie riprese sull’area occupata da questo terrazzamento hanno permesso di individuare due strutture circolari più antiche, pressoché completamente smantellate e poi ricoperte dai mattoni crudi che formavano il piano di calpestio nell’Età del Ferro. In queste strutture, denominate come Struttura 33 e Struttura 39, si possono riconoscere sulla base della tecnica costruttiva i resti di due sepolture della Prima Età del Bronzo

2

.

Di entrambe non rimangono che le pietre facenti parti del corso inferiore dei muri, ed anche la planimetria è leggibile solo in parte. Della tomba più a sud (Struttura 33) è stato possibile portare alla luce tutta la parte sopravvissuta, che rappresenta però all’incirca solo un terzo della circonferenza originale. La struttura comprendeva quattro muri concentrici, con il diametro del più esterno ricostruibile attorno ai 12 metri, oltre ad un muretto rettilineo che potrebbe corrispondere al lato della camera di sepoltura vera e propria, se non ad un muretto divisorio della stessa.

La tomba adiacente (Struttura 39), benché apparentemente meglio conservata, giace al di sotto di strutture più recenti che non si è ritenuto opportuno rimuovere, e se ne può pertanto vedere solo una porzione che ammonta a circa un quarto. Anch’essa risulta composta da muri concentrici, almeno tre, ed aveva un diametro esterno valutabile attorno ai tredici metri.

2

Degli Esposti & Phillips 2012: 89-91.

(5)

Fig. 3 – Dettaglio delle strutture delle due tombe, con indicata la collocazione dei resti ossi (Burial A e

Burial B) e la più probabile ricostruzione della camera sepolcrale, che riprende la terza ipotesi descritta

nel testo.

(6)

Fig. 4 – Veduta d’’insieme dei resti della Struttura 33, da nord

Accettando l’identificazione delle strutture 33 e 39 come tombe, va sottolineato come le loro dimensioni risultino piuttosto ampie rispetto a quelle solitamente riscontrate per questo tipo di costruzioni. Questa maestosità ne faceva quindi sicuramente un punto focale del paesaggio funerario dell’area, andando a compensare il fatto di non trovarsi sulla altura più elevata delle vicinanze, peraltro occupata da altre tombe.

D’altro canto, come appare evidente ancora oggi, la collocazione della collina di Salut in mezzo ad una piana, discosta dagli altri rilievi, la pone in realtà in un rilievo ancora maggiore, con lo sguardo che, naturalmente indirizzato a seguire l’andamento della pianura, viene catturato da questo elemento

Fig. 5 – Particolare delle pietre facenti parte di

Struttura 39 coperte da uno strato di detriti

(evidenziato) che fa da fondazione per un edificio

di Tarda Età del Ferro

(7)

di discontinuità.

L’esiguità dello spazio pianeggiante disponibile in cima alla collina aveva dunque portato alla costruzione di due tombe talmente ravvicinate da risultare tangenti. D’altro canto, non è infrequente trovare raggruppamenti anche più densi, tali da dare l’idea di un alveare, anche in zone in cui lo spazio disponibile sarebbe maggiore. Un utile esempio di due tombe tangenti ancora parzialmente preservate è inoltre visibile su una bassa collina non lontana da Salut.

Fig. 6 – Un agglomerato di tombe costruite su un rilievo a nord del Jebel Salut: le tombe sono state costruite in vari momenti lungo un arco cronologico esteso fino all’Età del ferro, andando a formare una sorta di alveare – le frecce evidenziano le due probabilmente più recenti .

Per i muri delle due tombe vennero utilizzate delle pietre di dimensioni medio-grandi (maggiori di 30 cm per il lato lungo), disponendo poi delle pietre grezze più piccole a riempire gli spazi vuoti tra un muro e l’altro.

Nel caso della Struttura 39 non è stato possibile indagare stratigrafia in posto e connessa

al suo uso, dato che la parte di terrazza rimossa insisteva direttamente sui resti murari

messi in luce.

(8)

Fig. 7 – Un esempio di due ampie tombe presumibilmente tangenti l’una all’altra, visibili su una piccola collina lungo la strada da Salut a Jibreen, subito prima del bivio per raggiungere Salut.

Diversa la situazione per la Struttura 33. Al suo interno è stato infatti individuato un lacerto di piano pavimentale realizzato posando direttamente sulla roccia e compattando uno strato di terreno, US 305, sul quale si sono rinvenuti alcuni resti ossei ed un gruppo di oggetti, tra i quali una serie di vaghi di collana in materiali differenti (complessivamente catalogati come reperto S188), dei quali si parlerà nell’ultima sezione di questo capitolo. A breve distanza, ma fisicamente separato da US 305 dalla presenza del lacerto murario rettilineo portato in luce al centro della struttura, un secondo lacerto di piano pavimentale (US 338) ospitava un frammento osseo isolato ed altri tre vaghi analoghi (reperto S195).

3.3. I

RESTI OSSEI

Ad avvalorare, se ce ne fosse stato bisogno, il riconoscimento di queste due strutture come tombe, sta il rinvenimento, nell’inverno del 2009, di alcuni resti ossei nell’area occupata dalla Struttura 33. A quella data, i lavori non si erano ancora estesi a nord e pertanto non si sapeva della presenza della Struttura 39.

Quasi la totalità dei resti ossei si trovava adagiata sul piano in terriccio battuto US 305, in una zona della tomba dove non si leggeva più alcuna traccia dei muri. Benché si conservasse solo una parte piuttosto esigua dell’inumazione, la connessione anatomica delle ossa lunghe (le unica preservatesi) consentiva di riconoscere come il defunto fosse stato deposto in posizione rannicchiata, come d’uso nelle sepolture del periodo. A questi resti è stata attribuita la denominazione di “Burial A”.

A costituire la seconda possibile sepoltura, “Burial B”, stavano invece solamente due

frammenti ossei isolati, rinvenuti circa 3 metri più a nord del Burial A, al di là

dell’ipotetico muretto divisorio della camera sepolcrale ma compresi invece nell’area di

una possibile camera centrale. Anche questo frammento poggiava come si è visto su una

preparazione in terra battuta, US 338, che sembrerebbe far parte, unitamente ad US 305,

del piano d’uso originale della tomba. Le pessime condizioni di questa seconda

sepoltura inducono alla prudenza nel momento di considerarla con certezza

(9)

indipendente dal Burial A: si potrebbe infatti trattare semplicemente di un frammento proveniente dalla stessa sepoltura, dislocato a causa dei sostanziosi lavori condotti durante l’Età del Ferro, se non di un saccheggio precedente.

D’altro lato, la connessione delle ossa pertinenti al Burial A presumibilmente indica che esse si trovavano ancora nel luogo di deposizione primaria e che il resto dello scheletro è stato rimosso a causa di eventi non determinabili. Tale collocazione merita però alcune considerazioni, che si riallacciano alle possibili ricostruzioni della struttura originale della tomba, descritte ed approfondite nella sezione seguente. Prendendo per originario il posizionamento dell’inumato infatti, è chiaro come esso sarebbe incompatibile con una struttura della sepoltura che prevedesse una piccola cista litica incastonata all’interno dei muri concentrici od anche una camera centrale. Tali muri infatti cadrebbero sopra all’inumazione del Burial A. Al contrario, il Burial B potrebbe trovarsi incluso in una ipotetica camera centrale.

Da ciò risulta chiaro come l’unica spiegazione possibile sia quella di considerare eventualmente correlato alla struttura originaria della tomba solo il Burial B, mentre per il Burial A si deve necessariamente pensare ad un suo riutilizzo con parziale smantellamento.

Fig. 8 – I resti ossei del Burial A, dai quali si riconosce la posizione flessa degli arti inferiori (foto C.

Odierna).

(10)

Fig. 9 – Del possibile Burial B si conservavano solamente due frammenti ossei in cattivo stato. Si noti l’arco murario che probabilmente faceva parte del perimetro interno della camera di sepoltura (foto C.

Odierna).

3.4. L

E TOMBE NELL

AMBITO DEL PAESAGGIO FUNERARIO DI INIZIO

III

MILLENNIO

:

ALCUNE CONSIDERAZIONI

La tecnica di edificare tombe con più muri concentrici è ben attestata nelle sepolture della Prima Età del Bronzo su una vasta area del territorio omanita. Già le tombe scavate da K. Frifelt sul Jebel Hafit

3

presentavano ad esempio una doppia cortina muraria, così come confermato in quelle scavate successivamente dalla missione francese nella stessa località

4

. Proprio da queste tombe, come ricordato nell’introduzione, è stato peraltro mutuato il termine “Hafit” o “Hafit cairn”, diventato indice di una tipologia di sepolture, spesso assegnato alle strutture visibili sulle alture anche senza un’ispezione ravvicinata.

Nella maggior parte dei casi però tali strutture presentano solamente due muri concentrici, analogamente ad un’altra tipologia, quelle delle “beehive tombs”, che viene ritenuta un’evoluzione a partire dal modello Hafit ed a sua volta tramite per il successivo sviluppo delle tombe di topo Umm an-Nar. Va detto che gli assemblaggi ceramici non consentono una così netta messa in sequenza tra tombe di tipo Hafit e beehive, che difatti vengono spesso citate in maniera equivalente. La principale caratteristica delle prime è infatti quella di avere restituito, in alcuni casi, ceramica di derivazione mesopotamica, pertinente all’orizzonte Jemdet Nasr, dunque collocabile alla fine del IV millennio

5

. Si tratta però verosimilmente di importazioni, anche se non manca chi sostiene che tale presenza indichi un’effettiva presenza di elementi alloctoni,

3

Frifelt 1975.

4

Da ultimo, Cleuziou et al. 2011: 13-30.

5

E’ stato questo il caso proprio di alcune delle primissime tombe scavate sullo Jebel Hafit da K. Frifelt

(1970).

(11)

provenienti dalla Mesopotamia

6

. Accanto a questi oggetti di importazione non si è potuto distinguere però, almeno finora, alcuna tipologia ceramica locale nettamente differente da quella rinvenuta nella tombe di tipo beehive (o da quella di tipo Umm an- Nar).

Sembrerebbe pertanto di trovarsi di fronte ad una evoluzione tipologica che si sviluppa nell’ambito di un contesto culturale che non vede un analogo mutamento nella produzione ceramica, l’unica differenza essendo il cessare della presenza di materiali Jemdet Nasr.

Accanto a ciò va inoltre considerato il fatto che sarebbe probabilmente necessario un censimento più accurato della tipologia di queste tombe, ponendo attenzione particolare alla disponibilità di materia prima in loco. Tra tombe beehive a Hafit, che già al loro interno contano numerose piccole variazioni, le differenze a livello di planimetria ed alzato non sono infatti così nette come il loro aspetto esteriore lascerebbe pensare. La maggiore regolarità di quelle dette beehive dipende essenzialmente dall’utilizzo, in vece di pietre grezze o sbozzate, di blocchi molto più precisamente squadrati, la cui origine dipende però dal tipo di frattura naturale della roccia.

Fig. 10 – Planimetria e sezione della tomba “Cairn 1” di Tawi Silaim (da de Cardi, Doe & Roskams 1977: 20, fig. 2).

Tra i casi pubblicati non mancano comunque esempi di strutture più complesse; una delle più somiglianti alle tombe di Salut è certamente ancora la “Cairn 1” scavata nel

6

Sulla base di discutibili considerazioni sulla distribuzione spaziale delle tombe, si è anche avanzata

l’ipotesi che le tombe Hafit fossero in realtà posteriori a quelle di tipo beehive, alzando così notevolmente

la cronologia di queste ultime (Orchard & Stanger 1994; 1999).

(12)

1975 a Tawi Silaim da una missione britannica guidata da B. de Cardi

7

(fig. 10). Questa tomba comprende tre muri concentrici, circondati da un basso zoccolo in pietre e che racchiudono una camera centrale di forma ovale con un diametro di circa due metri. Le dimensioni complessive di Cairn 1 inoltre sono molto prossime a quelle delle tombe di Salut, in particola modo se si considera, plausibilmente, il muro più esterno di queste ultime come uno zoccolo perimetrale.

Nella zona circostante Salut, come si è detto, sono numerosissime le tombe di III millennio ancora visibili anche da lunga distanza; alcune migliaia formano la vastissima necropoli distinta sulle alture del Jebel Bu’Rzuz, lungo il corso del wadi Bahla. Una di queste tombe, indicata come “Tomb 4”, situata al di sopra di una piccola collina alle estremità settentrionali è stata recentemente indagata dai membri dell’Al-Hajar Project

8

. La tomba viene descritta dagli scavatori come comprendente due muri concentrici, circondati anche in questo caso da uno zoccolo e contenenti una superficie pavimentata in pietre sbozzate, nella quale è alloggiata la vera e propria cassa litica atta ad ospitare il defunto

9

. Per questa tomba non sono riportate misure, né è fornita una planimetria dalla quale ricavarle; l’autore ha comunque verificato nel corso di un sopralluogo che in questo caso esse sono decisamente inferiori a quelle delle tombe di Salut (nell’ordine dei 7 metri di diametro).

Il dettaglio della pavimentazione centrale ad incastonare la cista litica e realizzato con pietre sbozzate del tutto simili a quelle utilizzate per i muri è interessante in quanto potrebbe avere riscontro nei resti visibili di Struttura 39, dove il terzo muro concentrico, il più interno, sembra delimitare un elemento simile che poi continua oltre il limite di scavo, al di sotto delle strutture di Età del Ferro. La tecnica costruttiva ed il materiale utilizzato per queste pavimentazioni inoltre risultano piuttosto dissimili dai piani pavimentali conosciuti da diverse tombe Hafit / beehive, nelle quali sono solitamente costituiti da lastre litiche di misura maggiore. Va però anche considerata la possibilità che quanto sopravvissuto nel caso della Struttura 39 rappresenti semplicemente la sottofondazione per un pavimento di quel tipo.

Differente è la situazione per la Struttura 33. Benché esposta per una porzione maggiore del totale rispetto a Struttura 39 infatti, lo stato di conservazione appare peggiore ed un riuso della tomba, con correlata ristrutturazione o comunque forte impatto sulle componenti architettoniche è molto probabile. Ciononostante, si può tentare una ricostruzione della planimetria originale della struttura, riguardo alla quale la presenza del citato tratto murario rinvenuto pressappoco al centro della tomba, così come la posizione del Burial A (e del Burial B, presumendola primaria), sollevano alcune questioni. Tre sono le ricostruzioni che si possono proporre.

7

de Cardi et al. 1977: 20, fig. 2.

8

Orchard & Orchard 2007: 148.

9

ibid., e plate 16.

(13)

Fig. 11 – Vista d’insieme e dettaglio della cista litica centrale della Tomb 4, nel del Jebel Bu’Rzuz (da Orchard & Orchard 2007: pl. 16).

La prima vedrebbe questo piccolo muretto come parte di una cista litica rettangolare

ricavata al centro della tomba, in accordo con l’esempio di Tomb 4 e con quella che

pare una verosimile ricostruzione per la Struttura 39. Se questa fosse la situazione

effettiva però, la posizione delle due inumazioni identificate non sarebbe ad essa

confacente: entrambe cadrebbero fuori dalla cista, e andrebbero collegate ad un uso

secondario della tomba con relativo parziale smantellamento. La cista stessa, inoltre,

cadrebbe in posizione dislocata rispetto al centro della tomba.

(14)

La seconda ipotesi, ovvero che tale muretto costituisse invece un elemento divisorio interno alla camera sepolcrale, porterebbe l’orizzonte cronologico di queste sepolture a venire leggermente abbassato rispetto alla generica data verso l’inizio del III millennio fin qui proposta, e richiede una discussione.

La presenza di partizioni interne è infatti una caratteristica delle tombe del periodo Umm an-Nar, derivante anche dall’introduzione di un rito funerario che prevedeva non più le inumazioni singole o di un numero ridotto di individui tipiche del periodo precedente, bensì un uso collettivo decisamente più esteso della tomba. Da ciò è conseguito che il rinvenimento di muretti divisori all’interno di strutture non ancora inquadrabili pienamente nell’orizzonte Umm an-Nar, anzi morfologicamente riconducibili alla tipologia precedente – Hafit o beehive –, fosse interpretato come la prova di un momento di transizione tra le tipologie.

Va qui ricordato come la teoria di una evoluzione continua dalla tipologia Hafit a qeulla Umm an-Nar sia stata per la prima volta proposta da K. Frifelt

10

proprio sulla base di osservazioni riguardo alla distribuzione spaziale delle tombe nella necropoli di Bat, unitamente alla scoperta di alcuni muretti divisori in tombe di tipo Hafit.

Altri esempi interpretati nella stessa maniera sono stati scavati più di recente sul Jebel al-Emalah

11

e sul vicino Jebel al-Buhais

12

.

La tomba K2 a Kalba ugualmente mostra caratteri generali nella tradizione Umm an- Nar (forma circolare con muro perimetrale molto regolare, partizioni interne) uniti a persistenze correlabili a precedenti Hafit (l’uso di pietre sbozzate o grezze e la copertura realizzata posando i corsi dei muri in aggetto progressivo verso l’interno), lasciando suggerire una data precedente al periodo Umm an-Nar pieno

13

.

Su queste basi, sembrerebbe potersi dare un qualche sostegno all’ipotesi che la tomba non fosse in realtà perfettamente simile a quelle sopra citate come confronto, bensì si collocasse in un momento di transizione tra la tipologia Hafit/beehive più antica, e le successive tombe Umm an-Nar, dunque con una cronologia più prossima alla metà del III millennio. In quest’ottica potrebbero trovare una spiegazione anche le dimensioni relativamente ampie. Infine, va sottolineato come, benché nella lettura non facile data la cattiva conservazione, l’andamento dei muri pare indicare una seriorità della Struttura 33 rispetto alla 39: potrebbe essere questo il motivo per il quale quest’ultima presenta una morfologia – in particolar modo il possibile residuo di una “pavimentazione” in pietra attorno alla zona centrale – più simile agli esempi citati.

Quanto implicato da questa seconda ipotesi sarebbe anche maggiormente coerente con quanto si sa relativamente alla realtà insediativa nella piana di Salut durante il III millennio; nello specifico, permetterebbe di ridurre lo iato tra la sua realizzazione ed il primo periodo di occupazione della vicina torre della Prima Età del Bronzo attualmente in corso di scavo ad ST1, come si vedrà nella prossima sezione. La presenza di tombe di tipo Umm an-Nar non distanti dal sito, e probabilmente di altre non ancora localizzate –

10

1975: 67-69.

11

Benton & Potts 1994: 30 and fig. 36.

12

Jasim 2012: 287-289 and fig. 343.

13

David & Phillips 2008: 118; vedi anche Eddisford & Phillips 2009: 112-114.

(15)

come paiono indicare i blocchi rinvenuti a Salut – dà ulteriormente l’idea della fluidità nel passaggio da una tipologia funeraria all’altra.

Nonostante le interessanti implicazioni di questa seconda ipotesi, la più probabile sulla base dei resti architettonici è però la terza, cioè quella che vede il muretto in questione come una serie di pietre appartenenti al riempimento del muro più interno alla tomba (in una tecnica quasi a sacco), per puro caso conservatesi allineate. Questo muro delimiterebbe quindi una camera ovale, analogamente a quanto visto per la Cairn 1 a Tawi Silaim (si veda la possibile piante della camera di Struttura 33 in fig. 3). In questo caso, i poverissimi resti del Burial B risulterebbero cadere all’interno della camera, dunque possibilmente non distanti dalla loro giacitura primaria, contrariamente alla prima impressione; all’opposto, il Burial A sarebbe anche in questo caso esterno e dovrebbe considerarsi una deposizione secondaria, successivamente sconvolta parzialmente.

3.5. I

MATERIALI

:

DESCRIZIONE

Quasi tutti i reperti recuperati erano associati al Burial A, fatto non sorprendente vista la migliore conservazione della stratigrafia rispetto al Burial B. Nonostante i forti rimaneggiamenti subiti dall’area, la loro giacitura indica che si possono ritenere parte del corredo funebre originario.

Gli oggetti rinvenuti comprendono 52 vaghi di collana a sezione circolare, realizzati in vari materiali, uno spillone in bronzo ed una testa di mazza litica. Tre ulteriori vaghi in cornalina sono stati invece rinvenuti in prossimità del Burial B, ma verranno considerati unitariamente agli altri.

Su base morfologica, questi 55 vaghi si possono raggruppare in quattro tipi (cfr. fig.

xx). Come criterio principale di questa suddivisione si è scelto di utilizzare l’andamento del profilo esterno congiuntamente al tipo di perforazione, piuttosto che seguire la nomenclatura proposta da Beck

14

e seguita ad esempio da Donaldson

15

, per citare un esempio da un’area vicina a quella in esame. Raggruppandoli infatti primariamente sulla base della sezione trasversale, tutti i vaghi sarebbero ricaduti nella categoria delle

“circular beads”.

Il materiale utilizzato non è stato in questa sede ritenuto determinante da un punto di vista tipologico, per due motivi. Il primo è che senza specifiche analisi è risultato impossibile, per alcuni vaghi, identificarlo con certezza. Il secondo è che la forma finale è necessariamente correlata al materiale, che chiaramente già di per sé condiziona l’applicabilità di una determinata tecnica di lavorazione e conseguentemente riduce lo spettro delle possibili forme ottenibili.

14

1927.

15

1984.

(16)

Fig. 12 – Un’immagine complessiva dei vaghi di collana rinvenuti nell’area di Struttura 33 (S188 + S195).

Date queste basi, i quattro tipi definiti sono i seguenti:

• Tipo I: include vaghi la cui forma varia da discoidale a cilindrica, sempre comunque appiattita. Il foro non presenta discontinuità ed appare realizzato in un unico passaggio. Questo tipo di perforazione corrisponde al tipo IV definito da Beck (1927:…) ed usato da Donaldson nella sua descrizione dei vaghi rinvenuti nella lunga tomba a camera di Shimal (site 1) ed in quella di Ghalīlah (site 2). Pur con qualche variazione, il rapporto diametro/altezza

16

rimane ben al di sopra di 1.0.

• Tipo III: raggruppa i vaghi il cui profilo esterno è curvo, con una forma della perforazione a clessidra (tipo II in Beck 1927), derivante dal fatto che il foro veniva ottenuto partendo dalle due estremità opposte. Il rapporto diametro/altezza è superiore ad 1.0, l’altezza media 0,4 cm.

• Tipo II: rappresenta una sorta di intermedio tra i due tipi precedenti: il profilo esterno è rettilineo ma il foro interno è a clessidra. La forma generale è discoidale, con un rapporto diametro/altezza superiore a 2.0.

• Tipo IV: include alcuni vaghi dalla forma a botte (diametro/altezza <1.0), che mostrano un profilo esterno arrotondato ed una perforazione irregolare, anch’essa intermedia tra una cilindrica ed una a clessidra. Nonostante si noti una convessità a circa metà del foro, essa non costituisce una discontinuità netta come nei tipi II e III.

La perforazione è comunque ottenuta a partire dalle due estremità.

16

Che è l’inverso di quello lunghezza/diametro utilizzato da Donaldson (1984)

(17)

Tutti questi tipi hanno poi dei sottotipi in base al variare del rapporto diametro/altezza o, nel caso del tipo I.c, a in virtù di un leggero arrotondamento del profilo esterno.

Passando a considerare i materiali costitutivi (tab. 1), si nota subito come tutti i vaghi in corniola si possano ascrivere ai tipi II e III; tale relazione è inoltre biunivoca, dato che questi due tipi appaiono esclusivi per questo materiale. Alcuni dei vaghi più sottili potrebbero sembrare vicini al tipo I, ma una leggera concavità alle estremità del foro indica che la tecnica di fabbricazione è quella del tipo II. I tre vaghi associati al Burial B sono tutti in corniola e appartengono al tipo II.b.

I pochi vaghi rimanenti realizzati in materiali differenti mostrano una variabilità notevolmente maggiore: uno è realizzato in pietra nera (tipo I.b); uno in pietre verdognola traslucida (tipo I.a); tre in osso o conchiglia di colore biancastro (uno di tipo I.a, uno di tipo I.c ed uno di tipo IV.b); uno in pietra bianca traslucida (tipo IV.a); uno in pietra bianca (tipo I.b); due in osso (tipo I.b). Il vago il pietra bianca traslucida di tipo IV.a in realtà presenta una debole traccia di sfaccettatura irregolare, ma la sezione trasversale si può comunque catalogare come circolare.

Tabella 1 – La distribuzione dei vaghi in materiali differenti secondo i tipi definiti

Questa statistica appare chiaramente legata, come accennato sopra, alla natura del materiale costitutivo dei vaghi.

La corniola, un tipo di calcedonio, è caratterizzata da una durezza rilevante (7 sulla scala Mohs) se comparate ad altre pietre solitamente utilizzate per la produzione di vaghi, quali il lapislazzuli (5,5), l’alabastro (3-4), la calcite (2), la steatite(1) (la calcite potrebbe tra l’altro essere il materiale di alcuni dei vaghi da Salut). Ottenere un foro passante attraverso il vago risulta quindi ovviamente più difficile per una pietra dura, comportando la necessità di una tecnica più specifica rispetto a quella che potrebbe essere adatta ad ottenere un cago in pietra tenera, osso o conchiglia. Forare il “bianco”

del vago da entrambe le estremità è un modo basilare per ridurre lo stress da fatica sul materiale, ed è la procedura che si può riconoscere utilizzata per ricavare i vaghi in corniola da Salut, ma anche i più alti tra quelli in materiale differente (tipo IV), dove la lunghezza del foro andava a compensare negativamente la tenerezza del materiale (specialmente dovendo ottenere un prodotto con pareti così sottili).

La tecnica per la perforazione di vaghi in cornalina, in particolare, è stata studiata da Chevalier et al.

17

, che hanno mostrato come vaghi provenienti da Larsa, datati al II millennio, fossero ottenuti combinando l’uso del trapano vero e proprio con una tecnica

17

1982.

(18)

di percussione che sfruttava la naturale frattura concoide della corniola. La forma finale di questi vaghi è perfettamente analoga a quella dei tipi II e III da Salut

18

.

Ulteriore conferma della correlazione materiale-tecnica è il fatto che, tra i vaghi in corniola da Salut, solo i più corti mostrano una perforazione quasi cilindrica, mentre al contempo fori più lunghi, cilindrici, associati a pareti più sottili, erano ottenuti per i vaghi in osso e conchiglia, ovvero i materiali più teneri tra quelli presenti.

Lo spillone rinvenuto nella stessa area del Burial A (MB164), fabbricato in rame od in una lega a base di rame, presenta una lunghezza conservata di 9,3 cm, ma è lacunoso ad entrambe le estremità. La lunghezza originale non è pertanto ricostruibile, anche se il fatto che da una delle estremità manchino solo pochi millimetri e la disponibilità di alcuni confronti citati nella prossima sezione, suggeriscono che non fosse molto maggiore. Sebbene corroso e coperto da incrostazioni terrose, la forma della spillone è comunque riconoscibile. Ricavato da una verghetta a sezione circolare di 0,6 cm di diametro, presenta una punta da lavoro di una forma triangolare ottenuta tramite martellatura, lasciando l’estremità appuntita ed a sezione nuovamente circolare.

La testa di mazza (S189) è realizzata in una pietra calcarea bianca, ora tenacemente incrostata sulla maggior parte della superficie. La forma è ovoidale, con le due estremità appiattite, ed è attraversata da un foro passante pressoché cilindrico.

Fig. 13 – Lo spillone MB164 come rinvenuto sullo scavo

Fig. 14– La testa di mazza S189

18

Una breve discussione delle tecniche per la realizzazione dei vaghi in generale si può trovare in Barker

2001, che riassume anche bibliografia precedente

(19)

3.5. I

MATERIALI

:

CONFRONTI E CRONOLOGIA

Vaghi di collana in pietra o altri materiali sono largamente conosciuti da tutto il sudest arabico, ed i contesti di ritrovamenti coprono un arco cronologico talmente ampio che essi da soli possono essere di ben poco aiuto per provare a raffinare la datazione delle tombe sulla sommità di Salut.

Attestazioni di III millennio si conoscono, tra le altre, dalle tombe sul Jebel Hafit

19

, dai siti Amlah 1 e 5

20

, dalle tombe A ad Hili Nord ed N ad Hili, da cui provengono numerosi vaghi in corniola molti dei quali simili a quelli da Salut

21

.

La continuità della loro produzione copre però anche tutto il secondo millennio ed arriva almeno fino alla seconda metà del primo. E’ del resto vero che la maggior parte dei siti dai quali sono riportati vaghi similari copre sia il periodo Wadi Suq che l’Età del Ferro e, per quanto riguarda le sepolture, il ben noto e frequentissimo fenomeno del riuso di strutture più antiche contribuisce a gettare incertezza sulla datazione dei reperti, quando non supportata da più sicure cronologie su base tipologica

22

. Nel I millennio, rinvenimenti analoghi sono conosciuti anche da contesti appartenenti alla Tarda Età del Ferro

23

.

La tradizione della produzione di vaghi di collana si protrae poi fino al periodo islamico, come è anche testimoniato sullo stesso sito di Salut, dove diversi tipi di vaghi, per la maggior parte in corniola, sono stati rinvenuti in contesti pertinenti all’occupazione medievale del sito (XII-XIII secolo).

Nonostante questa attestazione così ampia, i vaghi qui in esame possono trovare una perfetta contestualizzazione nella datazione al III millennio proposta per le tomba sulla base della tipologia e della tecnica costruttiva. Inoltre, i corredi funerari rappresentano di gran lunga i contesti di rinvenimento più comuni per questo tipo di reperti, con un esempio eclatante fornito dal sito di Shimal, dove a fronte di soli quattro vaghi provenienti dall’insediamento (benché meno estensivamente indagato

24

), stanno gli oltre mille rinvenuti nelle tombe

25

.

Alla luce di quanto discusso in precedenza, riguardo alla possibile attribuzione della Struttura 33 ad una tipologia di transizione tra le sepolture di tipo Hafit/beehive e quelle

19

Frifelt 1975: 63.

20

de Cardi et al. 1976: 140.

21

Cleuziou et al. 2011: fig. 253; figs. 61-62.

22

Siti datati dagli scavatori al periodo Wadi Suq sono, tra gli altri, Shimal 1 (Donaldson 1984: 219), and un serie di sepolture sul Jebel al-Buhais (Uerpmann et al.2006: 22-44). Ad un momento di passaggio tra Wadi Suq ed Età del Ferro risalgono Bithnah tomb 4 (Courboud et. al. 1996: 90, sebbene dubitativemente per quel che riguarda la fase più antica), Shimal (Vogt and Franke-Vogt 1987), e Sharm (Barker 2001).

All’Età del ferro sono invece datati Ghalīlah site 2 (Donaldson 1984: 275), Fashgha 1 (Phillips 1987: 16), Rumeilah periodo I (Boucharlat & Lombard 1985: 62) ed altre tombe dal Jebel al-Buhais (Uerpmann et

al.2006: 45-58)

23

Rafaq 2 (C. Phillips, com. pers.) e Rumeilah periodo II (Boucharlat & Lombard 1985: 62). Anche per la tomba 4 di Bithnah fu proposta dagli scavatori una occupazione fino alla metà del V secolo (Courboud et

al. 1996:90), in un momento in cui la cronologia dell’Età del Ferro locale non era ancora stata codificata.

24

Vogt and Franke-Vogt 1987:81, 90.

25

ibid.: 31, 41, 47, 54; ai quali andrebbero peraltro aggiunti quelli riportati da Donaldson (1984: 210-212

e 259-266).

(20)

Umm an-Nar, è forse utile citare in conclusione una notazione fatta da K. Frifelt

26

riguardo al fatto che simili ritrovamenti sarebbero più comuni nelle sepolture del periodo Umm an-Nar rispetto a quelle precedenti. Questa constatazione andrebbe però ovviamente rivalutata alla luce di una esaustiva ricognizione dei dati di scavo relativi a questo aspetto, che va decisamente al di là dell’intento del presente lavoro.

Più circoscritta e coerente con la datazione proposta per le strutture 33 e 39 è la distribuzione di spilloni simili ad MB164. Vari sono noti da tombe ed insediamenti datati al III millennio in Oman. Tra questi ultimi basti citare l’insediamento delle prima Età del Bronzo di Ras al-Jinz RJ-2, dove sono stai rinvenuti diversi spilloni in lega a base di rame

27

.

Più ampiamente diffusi sono reperti simili in contesti funerari. Dalla tomba a tumulo

“Hafit cairn 6” ad esempio provengono due spilloni piegati ad una estremità e con sezione irregolare che passa da squadrata a circolare

28

. Altri esemplari simili, ma diritti, provengono dalla Tomba A ad Hili Nord

29

. Ad ogni modo, il parallelo probabilmente più prossimo è un punteruolo o bastoncino cosmetico (per gli occhi) rinvenuto nella tomba 1305 sul Jebel Hafit

30

, che ha la medesima sezione composita di MB164 ed è datato alla Prima Età del Bronzo.

Decisamente più rari sono i paralleli conosciuti nella regione per quella che è stata interpretata come una testa litica di mazza – S189.

Al momento, si conoscono solo due oggetti comparabili. Il primo proviene dalla tomba SH 99 a Shimal

31

: frammentario, conservatosi solo per metà, è di fattura nettamente più corsiva rispetto a quello da Salut. Per questo oggetto gli scavatori hanno suggerito anche un’interpretazione alternativa come peso da telaio, sulla base della possibile presenza di un deterioramento da uso alle due estremità del foro passante

32

. L’assenza di simili tracce su S189, assieme all’accurata finitura superficiale, fanno comunque propendere per l’interpretazione data .

La tomba SH 99 è stata datata alla fase iniziale del II millennio a.C

33

.

Una maggiore somiglianza con il pezzo da Salut si può riscontrare in una testa di mazza piriforme scoperta all’interno della tomba BHS 76 at Jebel al-Buhais

34

. Descritta come fatta in marmo, senza specificare se l’identificazione sia stata semplicemente macroscopica o coadiuvata da osservazioni più approfondite, ne sono stati indicati paralleli nell’ambito dell’armamento di III millennio in Mesopotamia ed Egitto, leggendone la presenza come un’indicazione dell’alto rango del defunto

35

. Va però

26

1975.

27

Cleuziou & Tosi 2000: fig. 12,5-6 e fig. 14, 3-4.

28

Cleuziou et al 2011: fig. 31.

29

ibid.: fig. 246.

30

Frifelt 1975: fig.5,B.

31

Vogt & Franke-Vogt 1987: fig. 35,5.

32

ibid.: 54

33

ibid.

34

Jasim 2012: 213, 215 & figs. 256, 257.3.

35

ibid.: 215.

(21)

sottolineato come la stessa tomba abbia restituito alcuni frammenti di ceramica di importazione dalla Mesopotamia, al pari di altre dalla stessa località e come si è visto essere la caratteristica distintiva per il periodo Hafit. Tali evidenze mancano a Salut: ci si trova quindi nel caso del Jebel al-Buhais in un contesto in cui le testimonianze di contatti tra le due regioni renderebbero plausibile una percezione corretta del significato di un simile oggetto all’interno della sepoltura.

La tomba BHS 76, un tumulo del tipo Hafit, venne inizialmente erette durante il periodo Hafit / Umm an-Nar, per essere poi riutilizzata durante l’Età del Ferro

36

.

La presenza di questa mazza tra i materiali provenienti da Struttura 33 è probabilmente, assieme allo spillone, il migliore indicatore per una datazione verso la metà del III millennio.

E’ interessante notare che una ulteriore indicazione in tal senso giunge da Mohenjo Daro, dunque dal cuore di quella civiltà Harappana che diventerà uno dei principali terminali dei traffici a lunga distanza dell’Arabia sudorientale nella seconda metà del III millennio. Dai livelli più profondi ed antichi del sito viene infatti una testa di mazza in calcare giallastro sorprendentemente simile a quella di Salut

37

.

Questi livelli vennero datati dallo scavatore alla prima metà del III millennio, alla luce della presenza di un frammento di vaso in pietra di colore verdastro, decorato con un motivo a stuoie intrecciate

38

. Mentre al tempo della pubblicazione dello scavo questa datazione oscillava tra il 2900 ed il 2600 a.C. sulla base dei paralleli disponibili da contesti di Susa II

39

, l’inizio della produzione di questo tipo di vasi, inquadrati nel cosiddetto “figurative style”

40

, è oggi collocato “some time prior to the mid 3

rd

millennium B.C.”

41

.

Complessivamente dunque, è chiaro come gli oggetti di corredo provenienti da Salut, considerati a parte, non sarebbero determinanti per fornire una datazione certa alle due sepolture; ciò nonostante, quando li si legge in associazione alle caratteristiche strutturali delle tombe, che suggeriscono una collocazione nella prima metà del III millennio, la datazione ne esce rafforzata e non emergono contraddizioni. Una leggera posteriorità di Struttura 33 rispetto a Struttura 39 sembra potersi affermare sulla base dei rapporti stratigrafici tra i loro muri, a prescindere da eventuali caratteri tipologici di Struttura 33 più vicini ad una cronologia di metà III millennio, in realtà molto probabilmente da scartare. A questa data si può forse invece riferire almeno il momento di riutilizzo della stessa Struttura connesso alla deposizione del Burial A, affidandosi alla possibile datazione della testa di mazza S 189 trovata in associazione con tali resti ossei.

Se poi le tombe siano state o meno riutilizzate in periodi successivi, non è determinabile. Questo fenomeno è praticamente ubiquitario, ed in particolare è stato

36

ibd.: 213.

37

Mackay 1938: 399 e Pl. CX, 22.

38

ibid.: Pl. CXLII,45.

39

ibid.: 7.

40

cfr. David 1996.

41

David & Phillips 2008: 119.

(22)

riscontrato anche per una serie di tombe localizzate sulla cresta del Jebel Salut, di fronte

al sito, come si vedrà più avanti.

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