• Non ci sono risultati.

ELEMENTI DI PSICOLOGIA DEL TRAFFICO APPENDICE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "ELEMENTI DI PSICOLOGIA DEL TRAFFICO APPENDICE"

Copied!
11
0
0

Testo completo

(1)

APPENDICE

ELEMENTI DI PSICOLOGIA DEL TRAFFICO

A.1 SENSATION SEEKING SCALE FORM V

La prima teoria di Zuckerman sulla sensation seeking è stata la teoria sul livello ottimale di stimolazione del 1969 in cui si ipotizzava che le differenze nell’equilibrio tra processi eccitatori e inibitori del sistema nervoso centrale influenzassero i livelli di attivazione portano alla ricerca di sensazioni. Una seconda definizione (1974) ha posto l’accento sulle ragioni evolutive che spingono l’uomo e altre specie verso il nuovo e lo sconosciuto.

A partire dal 1979 Zuckerman ha iniziato a considerare la sensation seeking dal punto di vista dei tratti o degli stati di personalità formulando un modello biologico in cui ha ipotizzato che il tratto fosse regolato in parte dai livelli di noradrenalina e dopamina e in parte dai livelli dei neuroregolatori che ne controllano la disponibilità.

Nel 1994 Zuckerman ha modificato la definizione del tratto giungendo alla formulazione definitiva, peraltro già riportata nel precedente paragrafo: “la sensation seeking è un tratto

di personalità caratterizzato dalla ricerca di sensazioni ed esperienze nuove, diverse, complesse, ed intense, e dalla volontarietà di correre dei rischi fisici, sociali, legali e finanziari per il piacere di fare tali esperienze” [1] [2].

Nella revisione del modello biologico Zuckerman ha inoltre affermato che la maggior parte delle variabili biologiche considerate erano affidabili solo in parte e potevano essere influenzate dallo stress e dall’attività svolta dall’individuo.

Dagli anni Sessanta in poi, per misurare questo aspetto psicologico, sono state costruite una serie di scale che hanno anch’esse subito una evoluzione in base ai mutamenti dei presupposti teorici. Secondo Zuckerman (1979) la sensation seeking è un tratto di personalità riscontrabile in varia misura in ogni individuo, non necessariamente legato a

(2)

patologie in cui si manifestano comportamenti estremi o rischiosi, per cui le scale di Sensation Seeking che si sono sviluppate nel tempo non rappresentano questionari con funzione clinica ma non sono altro che inventari autodescrittvi di personalità (self-report

inventories).

La forma I della scala si basava sulla teoria del livello ottimale di stimolazione e doveva fornirne una misura operazionale. Nel tentativo di evitare il fenomeno dell’acquiescienza, ad ogni item prescelto ne è stato affiancato un altro, mutualmente escludente, in modo da costituire delle coppie di affermazioni a scelta forzata. La lista degli items è stata sottoposta a 545 studenti universitari: da un’analisi fattoriale dei punteggi (metodo delle componenti principali) è emerso un fattore generale che spiegava circa il 30% della varianza. Poiché l’obiettivo era la costruzione di una scala generale composta di un unico fattore, dall’analisi sono stati esclusi i fattori principali successivi al primo emersi dalla procedura di estrazione. In seguito, la forma I è stata modificata togliendo gli item con correlazioni inferiori a 0.30 sul primo fattore e sottoposta nuovamente ad analisi fattoriale ottenendo così 22 item risultanti che hanno costituito una scala generale denominata

Sensation Seeking Scale Form II (1964). Analisi fattoriali successive hanno suggerito

l’identificazione di più fattori; inoltre, dato che questa forma si era rivelata insoddisfacente nel predire le reazioni ad una o più tipologie di stimoli sensoriali, Zuckerman ha deciso di recuperare alcuni items (in numero pari a 50) della Form I e di estrarre anche fattori successivi al primo. Dall’analisi, condotta separatamente per i sessi, sono emersi quattro fattori principali per il sesso maschile (thrill sensation seeking, social sensation seeking, visual sensation seeking, antisocial sensation seeking) mentre per quello femminile si sono evidenziati solamente i primi due.

Nel 1971 Zuckerman ha sviluppato una nuova scala composta da 113 items, in parte ripresi dalla forma I, che rappresentasse così le quattro dimensioni emerse in precedenza individuando così la Sensation Seeking Scale Form III. Questa versione è stata somministrata a 424 studenti di due università statunitensi e i dati raccolti, analizzati col metodo delle componenti principali, hanno portato alla individuazione di 72 items che sono andati a costituire la Sensation Seeking Scale Form IV. Gli items si distribuivano su 4 fattori:

1) Thrill and Adventure Seeking (TAS) : esprime il desiderio di intraprendere sport ed attività legate alla velocità ed al pericolo;

(3)

2) Experience Seeking (ES) : rappresenta la ricerca di nuove esperienze attraverso i sensi, i viaggi, ed uno stile di vita nono convenzionale;

3) Disinhibition (Dis) : si riferisce al desiderio di disinibizione sociale e sessuale, espresso da comportamenti quali bere, andare alle feste, cambiare frequentemente partner; 4) Boredom Susceptibility (BS) : rappresenta l’avversione alla ripetizione, alla routine,

alle persone noiose e l’irrequietezza verso le cose che non cambiano.

Gli indici di coerenza interna dei fattori TAS, ES, Dis risultavano elevati mentre quello relativo al BS era piuttosto basso; in virtù di questo è stata proposta la forma ultima della

Sensation Seeking Scale FormV (1978).

Per garantire una distribuzione equa degli item nelle quattro dimensioni, ogni fattore è stato individuato da 10 item e come modalità di risposta è stata adottata la scelta forzata: la scala intera comprende 40 coppie di item, mutuamente escludentesi, e solamente ad una affermazione è associato un punto; il punteggio relativo ad ogni sottoscala (TAS, ES, Dis, BS) può quindi assumere valori da 0 a 10 e il punteggio totale, ottenuto dalla somma dei punteggi delle quattro sottoscale, da 0 a 40.

Per garantire l’attendibilità gli item sono stati selezionati attraverso una analisi fattoriale della Form IV, somministrandola ad un campione americano e inglese e scegliendo quegli item che presentavano correlazioni significative sullo stesso fattore in entrambi i campioni e per entrambi i generi. La struttura fattoriale della Sensation Seeking Scale è stata ampiamente studiata ma le ricerche che si sono occupate di tale aspetto hanno fornito risultati spesso contrastanti per cui allo stato attuale non si può affermare di aver individuato una struttura fattoriale univoca di questa scala.

L’adattamento e la traduzione di questa scala ad altre realtà ha dato origine ad una serie di studi per verificarne la struttura e l’estendibilità. I risultati emersi mostrano come la struttura a quattro fattori appaia sostanzialmente confermata dalla maggior parte delle ricerche mentre alcune di queste segnalano la presenza di item che saturano su fattori diversi da quello atteso.

Per quanto concerne la realtà italiana, per l'applicazione della suddetta scala, si è fatto riferimento alla ricerca condotta dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Firenze che ha previsto la somministrazione della Sensation Seeking Scale Form V ad un campione di 461 studenti (400 donne e 61 uomini) con età media di 21,5 anni ed una deviazione standard di 4,38. La scala è stata tradotta in italiano da due traduttori indipendenti; ognuna

(4)

delle due traduzioni italiane è stata nuovamente tradotta, separatamente, in inglese da una madrelingua inglese ed una americana residenti in Italia. Successivamente è stato eseguito un controllo con il calcolo delle percentuali di accordo tra la versione originale e le due retrotraduzioni e sono state selezionate le affermazioni che presentavano una percentuale di accordo superiore al 75%. Per verificare poi la comprensibilità e coerenza del testo, il questionario è stato poi sottoposto ad un gruppo di studenti universitari e delle scuole superiori. I risultati hanno portato alla eliminazione di 11 item dai 40 originari e di ulteriori 13 item dopo una successiva analisi fattoriale sui 29 item rimanenti: i 16 parametri rimanenti sono risultati tutti significativi a dimostrazione che la scala originaria di riferimento, costruita su un campione anglosassone, potrebbe presentarsi controversa per un campione italiano.

Considerando che il campione è composto prevalentemente da donne si è evidenziata una struttura a due fattori, a conferma degli studi condotti da Zuckerman.

A.2 DRIVER BEHAVIOUR QUESTIONNAIRE

Il D.B.Q. (Driver Behaviour Questionnaire) è un questionario realizzato da un gruppo dell’Università di Manchester, ed in particolare da Parker e Reason [3] [4]. E’ uno strumento autocompilativo che richiede alle persone di descrivere quanto è frequente per loro un determinato comportamento.

Nel loro primo studio sul DBQ, Reason et al. (1990) hanno dimostrato che gli errori del guidatore e le violazioni sono due distinte classi di comportamento. Gli errori sono definiti come

”il fallimento delle azioni previste per raggiungere il loro scopo” mentre le violazioni

come “deviazioni intenzionali da quelle regole credute necessarie per garantire, ad un

sistema potenzialmente pericoloso, condizioni di esercizio sicure”.

A differenza degli errori, le violazioni sono viste come comportamenti intenzionali, sebbene entrambi sono potenzialmente pericolosi e possono portare ad un evento incidentale crash.

Le analisi condotte da Reason et al. durante l’applicazione del DBQ hanno permesso di individuare anche un terzo fattore principale DBQ, definito “Lapses”. Questo fattore comprende i casi di scarsa attenzione e perdita di memoria, che possono causare situazioni critiche ma che raramente sfociano in incidenti veri e propri. L’analisi dei risultati di diversi processi psicologici mostra che errori e violazioni dovrebbero essere trattati

(5)

diversamente: infatti, Lawton et al. [5] hanno integrato gli studi eseguiti sul DBQ, estendendo la scala delle violazioni con l'aggiunta di nuovi elementi.

In particolare, l’analisi fattoriale di questa scala ha mostrato che le violazioni possono essere suddivise in due categorie, a seconda del motivo che spinge i driver a commetterle. Si parla allora di “violazioni aggressive”, legate ad una componente interpersonale aggressiva, e “violazioni ordinarie”, ovvero deviazioni intenzionali dalle normali condizioni di guida, senza uno scopo specifico aggressivo.

In seguito a questi studi e alla somministrazione del test si è giunti alla struttura definitiva del questionario; dalle risposte risultano, quindi, quattro fattori principali rappresentati da:

-- Violazioni: si intende una deviazione consapevole e deliberata da pratiche necessarie per mantenere la sicurezza in un sistema potenzialmente pericoloso, come il sistema strada (bere prima di mettersi alla guida, non rispettare i limiti di velocità, ecc.).

- Errori: sono fallimenti di azioni pianificate nel raggiungimento di conseguenze volute: nell’attuare un determinato comportamento, si commette uno sbaglio, ad esempio cambiare corsia senza guardare gli specchietto oppure sottostimare la velocità di un veicolo che procede in direzione opposta alla propria È’ un aspetto che riguarda maggiormente la sfera cognitiva rispetto alle violazioni.

- Distrazioni e Lapsus: sono un’inconsapevole deviazione da un’azione voluta. Quindi l’azione che realizziamo non è quella che volevamo, per la presenza eccessiva, ad esempio, di altri stimoli che causano distrazione nell’automobilista. Ad esempio azionare un meccanismo nell’auto invece di un altro, tentare di partire al semaforo in terza marcia, ecc.

- Aggressività: è quel comportamento che purtroppo è sempre più presente sulle nostre strade, caratterizzato dall’arrabbiarsi, sfidare ed esprimere ostilità verso gli altri automobilisti.

A.3 RISK HOMEOSTATIS THEORY – MODELLI DI ADEGUAMENTO COMPORTAMENTALE

La teoria RHT [6], applicata ai conducenti di autoveicoli e alla incidentalità stradale, stabilisce che il tasso di incidenti per unità di tempo si mantiene costante nonostante miglioramenti oggettivi: i guidatori, in pratica, correggono i loro comportamenti in maniera tale che il loro livello di rischio percepito rimane più o meno costante (Figura 1). Ciò significa che qualsiasi miglioramento in termini di sicurezza, sia esso sulla strada o sui

(6)

veicoli, a lungo andare, non darà luogo ad una riduzione dell’incidentalità quando questo sia riferito al tempo di viaggio.

Figura 1: Modello omeostatico in relazione al tasso di incidenti/abitante in una giurisdizione in funzione del livello di rischio degli utenti della strada

L’esperimento più noto, tra quelli realizzati per dimostrare gli assunti della teoria di Wilde, è sicuramente quello condotto sull’utilizzo delle cinture di sicurezza che induceva gli utenti ad aumentare la velocità durante la guida, ovvero ad assumere atteggiamenti compensativi della sicurezza passiva determinata, appunto, dall’utilizzo delle cinture.

In altre parole, i guidatori “annullano” i benefici indotti dalla sicurezza passiva modificando il proprio comportamento verso altri tipi di azzardo, ristabilendo così il livello di rischio originario (Figura 2).

Figura 2: Influenza della soglia di rischio nei processi percettivi

A questo punto viene spontaneo chiedersi se questo meccanismo si manifesta come volontario o inconsapevole e, soprattutto, in che misura; diventa quindi necessario valutare

(7)

se questo atteggiamento di compensazione, che determina l’invarianza del rischio in presenza di misure di sicurezza, sia da attribuire alla razionalità e agli schemi mentali del conducente oppure se esso sia determinato da un processo percettivo sbagliato che determina una “falsa sicurezza”.

Per spiegare la RHT può essere utile far riferimento al concetto di feedback, inteso come reazione ad uno specifico stimolo; è un dato di fatto che le persone di solito si comportano con maggiore cautela quando si considerano a rischio: ad esempio, i conducenti dei veicoli guidano più lentamente sotto la pioggia piuttosto che su strada con pavimentazione asciutta e in condizioni meteorologiche ottimali.

Nel linguaggio della sicurezza questo fenomeno è noto come rischio di compensazione ma bisogna partire dal presupposto che i conducenti non sono, di solito, consapevolmente impegnati a mantenere al minimo il proprio tasso di incidentalità.

Tralasciando coloro che ricercano il pericolo per ottenere una dose di adrenalina naturale, sono molte le prove tra quanti avvertono i dispositivi di sicurezza passiva come permissivi di una guida meno attenta: questa sensazione costituisce l’avvio del meccanismo omeostatico.

Sam Peltzman ha ampiamente dimostrato questo effetto dimostrando la validità e l’esistenza dell’omeostasi e confermando la conclusione a cui è giunto Wilde: il guidatore attua una “compensazione del rischio” ogniqualvolta si mette al volante facendo un involontario bilancio tra le possibilità di un incidente e i vantaggi di una guida rischiosa. Appare quindi evidente, a questo punto, che qualsiasi elemento che renda meno probabile farsi male (cinture di sicurezza, air bag, ABS, etc.) allontana la prospettiva dell’incidente aumentando il margine personale di rischiosità.

L’adeguamento del comportamento e le forme in cui esso può manifestarsi possono essere spiegate da molteplici fattori che ne influenzano l'insorgenza, e che vengono riassunti in un modello sviluppato da Weller & Schlag (Figura 3).

Il modello di Schlag parte dalla ipotesi che esiste la possibilità di attenuare, o addirittura di annullare, il processo di omeostasi riducendo così l’insorgere di comportamenti rischiosi da parte del conducente e permettendo ai conducenti stessi di percepire il proprio meccanismo omeostatico.

Poiché tale percezione dipende soprattutto dalla comunicazione dell’informazione che si desidera trasmettere, nel caso stradale si può ricorrere a meccanismi coercitivi della

(8)

visuale più che a segnalazioni di pericolo, oppure a variazioni artificiali dell’ambiente circostante o del tracciato che impediscono l’adattamento e permettono di “percepire” il cambiamento come svantaggioso: in pratica, si tratta di un sistema che, pur mantenendo le caratteristiche di sicurezza dell’infrastruttura, è diretto al cambiamento delle variabili psicologiche capaci di inibire in tutto o in parte il fenomeno dell’invarianza.

Figura 3: Modello di elaborazione dell’adattamento comportamentale

In una situazione del genere sarà necessario verificare se l’infrastruttura percepita come sicura produca sul conducente il medesimo effetto del mezzo “sicuro” : in questo caso, infatti, si innesca quel meccanismo omeostatico che porterà il conducente a delegare all’infrastruttura i propri compiti specifici favorendo il ripristino dell’originario livello di accettabilità del rischio che l’infrastruttura stessa dovrebbe, al contrario, diminuire.

A.4 MODELLI DI CARICO DI LAVORO

L’elaborazione dell’informazione consiste di differenti fasi che hanno inizio dal primo fondamentale stadio rappresentato dalla percezione delle informazioni esterne o interne: la percezione si realizza attraverso due processi di riferimento:

- la catena attenzione – esperienza – motivazione – aspettativa; - gli stimoli provenienti dall’ambiente esterno.

Con riferimento al primo processo si osserva che durante le esperienze di guida, il guidatore sperimenta diverse situazioni e tende quindi a crearsi delle aspettative man mano

(9)

che nel tempo incontra situazioni simili ad altre già affrontate, rivolgendo così l’attenzione verso le informazioni più rilevanti.

Il secondo processo prevede invece che anche gli stimoli ambientali (i cosiddetti filtri percettivi) influenzino il comportamento di guida, per cui l’attenzione periferica di un conducente sarà più o meno stimolata a seconda delle caratteristiche fisiche, della luminosità e, soprattutto, dalla visibilità dell’oggetto. Se l’oggetto non fosse visibile si parlerebbe di un filtro fisico che impedisce la corretta comprensione della situazione e indurrebbe il conducente a manovre errate.

Entrambi i processi interagiscono tra di loro e sono responsabili delle scelte del guidatore (processi cognitivi) e di tutti gli accorgimenti ed adattamenti che avvengono durante la guida (processi percettivi).

Agli schemi vengono in genere associati i concetti di abitudine e routine: l’abitudine viene definita come una automatica risposta di comportamento, mentre la routine è associata alle decisioni prese facendo riferimento ad una soluzione dominante e non necessariamente alla ripetizione: si può affermare, in pratica, che la routine è una diretta conseguenza delle abitudini.

Poiché l'ambiente contiene innumerevoli stimoli, altro aspetto da non sottovalutare è l’attenzione: questa può essere richiamata in maniera volontaria o involontaria a seconda delle caratteristiche fisiche dello stimolo stesso. Molto importante è anche la consapevolezza della situazione, intesa come “la percezione degli elementi nell'ambiente

in un certo luogo e in un determinato istante temporale, la comprensione del loro significato, e la proiezione del loro status nel prossimo futuro”.

In particolare, è credenza diffusa che gli incidenti si verifichino a causa di una sottostima generale del rischio, causato da difetti di percezione, e di una sovrastima delle proprie abilità. Va fatto notare, dunque, che il tutto non è legato alla probabilità attesa di una certa situazione pericolosa ma ad un cambiamento nell’analisi costi – benefici relativo al comportamento tenuto dal conducente; in base a questa considerazione, ogniqualvolta il rischio soggettivo eccede un livello accettato il comportamento viene cambiato in un modo da ridurre il rischio soggettivo e portarlo sotto il livello accettato. In sintesi, dunque, il rischio ha effetto sul comportamento solamente quando i margini di sicurezza si portano al di sotto di un livello accettato.

(10)

Altro modello a cui si può far riferimento è quello incentrato sul concetto di carico di lavoro, definito in termini generici come “il risultato di reazione ad una domanda”.

In ambito stradale è necessario fare una distinzione tra:

- carico di lavoro mentale;

- carico di lavoro visuale;

- carico di lavoro fisico.

Tra questi il più importante e influente sul comportamento di guida è sicuramente il carico di lavoro visuale, mentre, per quel che riguarda il carico di lavoro mentale bisogna fare una distinzione tra [7]:

- strain mentale: fa riferimento alla risposta immediata della persona alla sollecitazione

indotta i cui effetti dipendono anche dalle sue caratteristiche individuali e, quindi, dalla sua interpretazione degli eventi;

- stress mentale: l’insieme di tutte le influenze esterne esercitate su una persona e che lo influenzano mentalmente.

Lo sforzo richiesto ad un individuo è legato alle limitate risorse (fisiche, energetiche, mentali ecc) di cui dispone: il limite superiore è definito capacità, ed è evidente che varia a seconda delle caratteristiche del compito e del soggetto.

Tra gli studi internazionali presenti in letteratura si può far riferimento a quello proposto da Summala [8] che propone un modello di carico di lavoro di tipo gerarchico, su 3 livelli di comportamento (navigazione – manovra – controllo), e legato fondamentalmente alla variabile tempo. In particolare, al livello di manovra, il modello considera l’aumento o la diminuzione del carico di lavoro generato dalla variazione dei margini di tempo necessari ad eseguire un certo tipo di manovra e conseguenti, a loro volta, ad un cambio nella velocità di marcia. Poiché gli incidenti non sono mai menzionati in maniera diretta ed esplicita nel modello si può supporre che questi si verificano ogniqualvolta un individuo è sovra o sottocaricato.

Il presente modello, combinato con la RHT di Wilde, permette ad esempio di affermare che situazioni di rischio si generano per effetto dell’omeostasi della difficoltà del compito che i conducenti cercano: tale omeostasi è principalmente realizzata tramite l'adattamento della velocità.

(11)

BIBLIOGRAFIA

1. M. Zuckerman, Dimension of sensation seeking, Journal of Consulting and Clinical Psychology, Vol 36(1), 45-52., February 1971.

2. M. Zuckerman, M. Behavioral expressions and biosocial bases of sensation

seeking. New York: Cambridge University Press, 1994.

3. J.T. Reason, Human Error. Cambridge: Camebridge University Press, 1990.

4. T.Lajunen, D. Parker, H. Summala, The Manchester Driver Behaviour

Questionnaire: a cross-cultural study, Accident Analysis and Prevention, Volume

36, Issue 2, Pages 231-238, March 2004. 5. G.J.S. Wilde, Target risk. Toronto, PDE, 1994.

6. R. Lawton, D. Parker, A.S.R. Manstead, S.G. Stradling, The Role of Affect in

Predicting Social Behaviors: The Case of Road Traffic Violations, Journal of

Applied Social Psychology Volume 27, July 1997.

7. ISO 10075. Ergonomic principles related to mental work-load - General terms and definitions. Geneve: International Organization for Standardization, 1991.

8. Näätänen, R., Summala, H. (1976). Road-user behavior and traffic accidents. Amsterdam, Oxford: North-Holland Publishing Company.

Figura

Figura 1: Modello omeostatico in relazione al tasso di incidenti/abitante in una giurisdizione in  funzione del livello di rischio degli utenti della strada
Figura 3: Modello di elaborazione dell’adattamento comportamentale

Riferimenti

Documenti correlati

The mobility demand has increased very much through the increase in the use of private vehicle for mobility of passengers and goods. Instead the users of collective vehicle

Tačiau atlikus regresinę analizę nustatyta, kad iš visų nepriklausomų kintamųjų tik karšto maisto ir karštų gėrimų vartojimas daro reikšmingą įtaką

Schlotawa L, Steinfeld R, von Figura K, Dierks T, Gartner J: Molecular analysis of SUMF1 mutations: stability and residual activity of mutant formylglycine-generating enzyme

To establish whether this mechanism may have a causal role in HBR-induced cardiogenesis, we performed a comparative analysis of the effect of HBR on the yield of ES

In the analysis of strategic interactions, we generalize two results already established in the literature for quasilinear, homothetic, and additive preferences (see,

Uno studio realizzato nel 2006 ha evidenziato un effetto significativo dei rimboschi- menti, che influiscono negativamente sulla copertu- ra totale, sulla densità di adulti e giovani

We analyzed the influence of probabilistic constraints among state-variables in POMCP planning according to two dimen- sions of analysis, namely, i) the relationship between the

In section 2 we present weakly-coupled dimensionless models where z is the field that dynamically generates the weak scale, while running down from the Planck scale. In section 3