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Introduzione a G. W. F. Hegel

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Academic year: 2021

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Introduzione a G. W. F. Hegel

Mia gentilissima signorina, quanto la mia filosofia contiene di mio, è sbagliato.

Hegel, aneddoto.

Chi riesce a cogliere il tutto nel suo articolarsi è dialettico, chi no, no.

Platone, Repubblica

L’essere dell’essente è il più appariscente;

eppure di primo acchito non lo vediamo affatto:

in seguito, se lo vediamo, lo vediamo solo con fatica.

M. Heidegger, Was heist denken (Che cosa significa pensare)

“[…] una gioventù che cessa di vedere e di sentire per lo stupore è una gioventù che impara il pensiero astratto…non sente e non vede, ma impara a pensare.

Questa è la logica e questo è anche il senso dell’educazione liceale”.

E. Bloch, Leipziger Vorlesungen (Lezioni lipsiane) 1. Biografia e bibliografia minima

• Hegel nasce a Stoccarda (1770).

• Studia allo Stift di Tubinga, studente molto diligente e ragazzo modello: è avviato a diventare precettore e poi maestro di scuola. Fa amicizia con Hölderlin e Schelling.

• Si trasferisce a Berna (Svizzera, 1793-96) e a Francoforte (1797-1800), dove lavora presso alcune famiglie piccolo-borghesi in qualità di precettore. Scrive qui le sue opere giovanili di carattere teologico.

• Si trasferisce a Jena (1801). Qui collabora con Schelling al “Giornale critico della filosofia” e inizia la Fenomenologia dello Spirito.

• Si sposta a Bamberga (1806), dove diventa giornalista e per un anno lavora come redattore alla “Gazzetta di Bamberga”. Pubblica la Fenomenologia dello Spirito.

• Passa a Norimberga (1807), dove si sposa con Maria von Tucker e diventa preside di Liceo: impartiva propedeutica filosofica nelle classi del triennio. Aspira a una cattedra universitaria e pubblica la Scienza della Logica (esposizione delle categorie del pensiero: spiega le regole per mezzo delle quali il soggetto pensa e comprende i contenuti della realtà).

• Nel 1816 giunge la chiamata ad Heidelberg. Qui rimase dal 1816 al 1818 e compilò l’Enciclopedia delle scienze filosofiche (sorta di compendio a uso degli ascoltatori delle sue lezioni, con il quale riusciva a complicarle ulteriormente).

• Giunge finalmente la chiamata da Berlino (1818), presso la cui università, la Friedrich Wilhelm Universität, insegnò fino alla morte, nell’aula del Professor Hegel. A Berlino pubblicò poco o niente (si dava ai viaggi, frequentava amici e studenti, giocava a carte, andava a teatro, faceva gite in diligenza e in barca sulla Spree, andava a Weimar a

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fare visita a Goethe, che credeva suo amico, in generale si dedicava ai divertimenti e alla vita sociale berlinese).

• A Berlino Hegel conobbe il massimo fulgore della sua esistenza, divenne il filosofo di stato monarchico-prussiano, e le sue lezioni, sempre affollatissime, erano seguite da importanti ministri e funzionari di stato.

• Pubblica i Lineamenti fondamentali della filosofia del diritto, il cui prologo contiene la celebre frase: “Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale”. Si tratta del suo scritto più reazionario: Marx ritenne – non a torto – di vedervi un’apologia totale dell’esistente (anche delle sue miserie) e in particolar modo dello Stato prussiano.

• Hegel morì nel 1831 a causa del colera; un colera già quasi del tutto debellato: uno degli ultimi che il bacillo colpì si chiamava Hegel. Aveva 61 anni.

2. Linee essenziali e rapporto con il Romanticismo

“Hegel è, tra i pensatori dell’età moderna, il filosofo dello spirito. Ma l’essere dello spirito è interiorità, pienezza, ampiezza di respiro. Chi vuole intendere la filosofia di Hegel deve intenderla dal suo aspetto più intimo, dalla sua pienezza, dalla sua ampiezza di respiro, dalla sua capacità di apprezzare tutto. Diversamente non giungerà mai ad intenderla. Nulla è più estraneo e contrario al postero di questa esigenza, nulla gli sfugge più facilmente del nucleo, della totalità, dello sguardo d’assieme. L’uomo attuale non è precisamente fatto per valutare il patrimonio hegeliano […]. Non abbiamo ancora appreso a leggere Hegel. Non è facile leggerlo. Non parliamo poi di padroneggiarlo e di esporlo”.

Così si esprime a proposito di Hegel Nicolai Hartmann nella sua Filosofia dell’idealismo tedesco, un’opera di grande importanza per la comprensione dei sistemi di pensiero nati in Germania alla fine del Settecento.

L’opera di Hartmann fu pubblicata nel 1960, ma quanto l’autore afferma in relazione alla difficoltà che l’uomo moderno avrebbe nel cogliere il senso complessivo della filosofia hegeliana valeva allora e vale tanto più ora, per l’uomo dell’epoca in cui viviamo.

Per leggere Hegel, e comprenderlo, occorre un lungo respiro, un passo lento e ostinato, silenzio profondo e capacità di isolarsi: tutte caratteristiche che non si addicono all’uomo del nostro tempo, il quale infatti le ha abolite.

La riflessione filosofica di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, il gran maestro della filosofia classica tedesca, si sviluppa a ridosso delle vicende e dei conflitti dell’epoca della Rivoluzione francese, del periodo napoleonico e della Restaurazione, e si alimenta di un serrato confronto con la cultura illuministica.

Questa ha agli occhi di Hegel la responsabilità di aver separato e contrapposto aspetti e momenti della realtà – sentimento e ragione, finito e infinito, io e mondo, pensiero e realtà, umano e divino – di cui invece è indispensabile cogliere la profonda unità e il legame vivente, realizzando tra essi una definitiva riconciliazione.

Più giovane di Fichte, più anziano di Schelling, dei tre Hegel è quello che dà l’impostazione più radicale all’idealismo come filosofia che intende superare i dualismi della filosofia moderna e dell’illuminismo.

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Come per quasi tutti gli uomini eminenti della Germania di questo periodo, infatti, anche per lo sviluppo di Hegel il punto di partenza è rappresentato dall’illuminismo.

Centrale, nel pensiero hegeliano, e uno dei tratti caratteristici della sua filosofia, è l’esigenza di guardare agli aspetti del reale non come entità singole e isolate, ma come appartenenti a un tutto che è dato dalla unificazione del molteplice.

Per Hegel interpretare e spiegare la realtà – che è il compito della filosofia – significa ridurre ogni cosa all’ordine e alla perfezione del tutto.

Formatosi nel clima della cultura romantica, Hegel ne riprende gli interessi, i motivi, le suggestioni, il linguaggio denso di metafore e di immagini, in particolar modo egli riprende i temi romantici della

• spiritualità incosciente della natura;

• dell’infinito;

• e continua il tentativo di superare le scissioni della modernità, in particolare quella tra lo spirito e la natura.

La filosofia hegeliana non cade fuori della civiltà intellettuale romantica, bensì all’interno di essa, di cui rappresenta una delle voci maggiori e più tipiche. Pur condividendo i temi propri del romanticismo, tuttavia, Hegel indirizza una dura polemica contro i romantici. Entrambi, infatti, ritengono centrale la tematica dell’infinito, ma

• mentre i romantici privilegiano l’intuizione, il sapere immediato, la fede, l’arte, la religione quali vie di accesso all’assoluto, Hegel contrappone la via del pensiero come l’unica che può condurre a una vera comprensione della realtà nella sua unità e totalità. Se Hegel, come i romantici, riconosce all’arte l’intento e il compito di esprimere l’assoluto, a differenza dei romantici non considera affatto l’arte o l’intuizione di tipo estetico come organo privilegiato del sapere, né tanto meno come superamento della razionalità. La filosofia, secondo Hegel, è scienza dell’Assoluto, e dunque non può che essere una forma di sapere mediata e razionale. Facoltà dell’assoluto è infatti, per Hegel, la ragione.

• Hegel, per altro, intende la razionalità in modo diverso e più complesso rispetto a quello contro il quale erano dirette le polemiche romantiche. L’impegno del filosofo è comprendere razionalmente la realtà, sollevarla alla razionalità del concetto.

Il nucleo fondamentale dell’idealismo hegeliano, infatti, sta nell’affermazione che la realtà è pensiero, che non esiste una realtà esterna al pensiero, già data e definita “prima” che il pensiero le si accosti (come ritiene l’uomo comune, al di fuori della filosofia).

Appare inconcepibile per Hegel, insomma, pensare una realtà esterna al pensiero, fuori dal pensiero e presupposta a esso.

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Sintesi per punti

 La riflessione filosofica hegeliana avviene a ridosso della Rivoluzione francese, poi del periodo napoleonico, infine della Restaurazione.

 Hegel avvia un serrato confronto con l’illuminismo: ha separato momenti della realtà di cui è invece necessario cogliere la profonda unità.

 Idealismo hegeliano: massima espressione dell’idealismo come tentativo di superare i dualismi della modernità e dell’illuminismo.

 Compito della filosofia per Hegel: interpretare e spiegare la realtà, ciò significa porsi dal punto di vista del tutto, ossia ridurre ogni cosa all’ordine e alla perfezione del tutto

 Compito della filosofia è anche: cogliere l’essenza del reale, ciò che – al di là dei mutamenti dei fenomeni – rimane immutato. Si tratta del carattere razionale della realtà

 Dire che la realtà è razionale (“tutto ciò che è reale è razionale”) significa dire che la realtà è comprensibile, ha un senso.

 Questo, a sua volta, significa che ogni singola vicenda della realtà, ogni fenomeno, ogni accadimento storico hanno una logica, quella logica è comprensibile: vi è una logica interna che struttura e si manifesta nella realtà.

 Del romanticismo Hegel riprende:

 Il superamento delle scissioni

 La spiritualità della natura

 Il tema dell’infinito: l’infinito si rivela nel finito

 Ma Hegel polemizza con i romantici:

 Essi contrappongono alla ragione l’intuizione del sapere immediato, l’arte e la fede quali vie per l’Assoluto

 A questo atteggiamento Hegel contrappone la via del pensiero, la filosofia come scienza dell’Assoluto, ovvero la “fatica del concetto”.

 Il nucleo fondamentale dell’hegelismo è: la realtà è pensiero, non esiste realtà esterna al pensiero (“tutto ciò che è razionale è reale”).

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Alcune precisazioni

 Innanzitutto, alcune precisazioni: Hegel è un idealista. Da buon idealista, dunque, Hegel ritiene che la realtà sia innervata e costituita da una struttura logica o ideale, che percorre il reale come una spina dorsale corre lungo il corpo.

 I fenomeni, insomma, sarebbero manifestazioni di un’idea che si rende visibile e che si declina nel mondo.

 Dunque il processo di interpretazione del reale va in questa direzione: dalla sovranità (idea o concetto) alla singola monarchia (fenomeno sensibile); dalla frutta (idea o concetto) alla fragola (fenomeno sensibile); dall’umanità (idea o concetto) al singolo uomo (fenomeno sensibile).

 Questa struttura rappresenta dunque l’essenza più profonda della realtà, ciò che essa è nel suo fondo, la sua verità più vera: prende il nome di Assoluto.

 Ora, sappiamo che per Hegel l’essenza della realtà è la ragione, e infatti un sinonimo di Assoluto per Hegel è ragione. Altri sono idea, spirito, pensiero, concetto, dio.

 Quello di Hegel è un idealismo dialettico, perché la struttura razionale che innerva la realtà, ossia l’Assoluto, non è statico (forte polemica con Schelling), ma dinamico, dunque diviene. E diviene secondo un ritmo dettato dalla dialettica, che adesso mettiamo tra parentesi, per riprenderla tra poco.

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3. Gli scritti giovanili (1793-1800)

Hegel cambia più volte luogo di residenza e la sua filosofia prende solitamente il nome dal luogo in cui si trovava quando l'ha elaborata: vi sarà il periodo di Berna, di Francoforte, di Jena e di Berlino.

Al periodo di Berna e Francoforte risalgono gli Scritti teologici giovanili, mentre al periodo di Jena risale la Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e di Schelling.

Si tratta di scritti per molti versi ancora immaturi, elaborati da un Hegel ancora studente e sono stati scoperti e pubblicati solo dopo la morte del filosofo (1907). Sono però interessanti perché mettono in luce la maturazione del pensiero hegeliano, e fanno emergere alcuni aspetti della sua filosofia che resteranno permanenti: contengono insomma, in modo embrionale, elementi teorici che Hegel svilupperà nel seguito del suo percorso filosofico.

L'argomento trattato in tali scritti è la religione e non la teologia, nonostante il titolo: infatti in essi Hegel non parla di Dio (teologia), bensì del rapporto dell'uomo con Dio (religione).

E' importante questa precisazione, perché evidenzia come l'interesse di Hegel sia sempre riservato, fin dall'inizio, alla realtà umana: ciò che viene alla luce in questi scritti è innanzitutto l’esigenza – tipica della filosofia idealistica – di conciliazione delle opposizioni presenti nella realtà.

Abbiamo visto come sia un tema caro ai romantici quello di porsi dal punto di vista del tutto, ossia di pensare la realtà come un assoluto in cui le cose sono concepite le une in relazione alle altre, non separatamente le une dalle altre.

Questo significa cogliere l’assoluto, ossia la realtà nella sua essenza, nella sua unità e interezza: “il vero è l’intero”, afferma Hegel nella Fenomenologia dello spirito. Ossia, la verità più profonda la si trova nel superamento delle differenze.

Nel caso degli scritti teologici di Hegel, è la religione a essere capace di unire ciò che è diviso: ossia il mondo umano e quello divino. E ciò che garantisce questa unione è il sentimento dell’amore. L’amore nel cristianesimo realizza l’unità di umano e divino, di finito e infinito.

Sin dai primi scritti di Hegel appare evidente l’esigenza di un processo conciliativo o sintetico, nel quale le divisioni o le opposizioni della realtà venissero nello stesso tempo giustificate come tali e superate nell’unità di una sintesi.

La superiorità dell’amore e della religione viene appunto giustificata con la loro capacità di unificare ciò che è diviso, pur conservando in qualche modo la varietà e la ricchezza della divisione.

Quindi, in questa fase giovanile del pensiero hegeliano la religione, in virtù della sua capacità di conciliazione di ciò che appare separato, rappresenta la via privilegiata al sapere, l’espressione più alta dell’assoluto.

Questo riconoscimento della superiorità della religione conclude in modo caratteristico il periodo di formazione della filosofia hegeliana. Tuttavia, quando esce alla ribalta con il suo primo scritto pubblicato, Differenza dei sistemi di filosofia di Fichte e Schelling (1801), Hegel è

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convinto che non la religione, ma la filosofia debba essere e sia l’espressione più alta dell’assoluto. Negli scritti più maturi, infatti, il compito di giustificare la varietà e l’opposizione e di conciliarle è attribuito alla filosofia e al suo procedere dialettico.

Sarà insomma la visuale dialettica, che è il cuore della filosofia, a spiegare il continuo ritmo di opposizione/superamento della scissione con cui si esplica e si rivela l’assoluto (o che è lo stesso, con cui progredisce la realtà).

Alla fine del 1800, quando si accinge a dedicarsi interamente agli studi e a intraprendere la carriera universitaria, Hegel scrive a Schelling una celebre lettera dove afferma esser ormai maturata in lui la convinzione che, per realizzare l’ideale della sua giovinezza, sia necessario coltivare la filosofia come sistema.

Hegel, nel gennaio 1801, si trasferisce a Jena, divenuta nell’ultimo decennio del Settecento la roccaforte della filosofia critica e trascendentale (dell’idealismo) con l’insegnamento di Reinhold prima e Fichte poi (1794-1799), nonché centro del primo romanticismo con i fratelli Schlegel, Novalis e Tieck; a Jena dal 1798 insegnava anche l’antico compagno di studi e amico Schelling. A questo punto inizia il vero e proprio momento della maturità filosofica hegeliana.

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4. Le critiche a Fichte e Schelling

Il primo scritto filosofico pubblicato da Hegel fu la Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling (1801). In quest’opera, appartenente al periodo di Jena, dove fu chiamato da Schelling, Hegel prende posizione nei confronti delle più significative filosofie del momento, pronunciandosi in favore dell’idealismo di Schelling, il quale gli appare come il vero e assoluto idealismo.

Hegel critica Fichte sostanzialmente per due motivi, strettamente connessi:

• in primo luogo Fichte parte dall’Io e vuole dedurre da esso la realtà e il non-Io, non rendendosi conto che la realtà non deriva dall’Io, ma è l’Io, cioè lo Spirito stesso, nel suo realizzarsi.

 In altri termini: Fichte ritiene che la realtà sensibile sia una derivazione, o una emanazione dello Spirito, del pensiero.

 Per Hegel, invece, la realtà è essa stessa già pensiero, non è altra dal pensiero

 La realtà sensibile propriamente, per Hegel, non esiste come qualcosa di autonomo: essa è lo stesso pensiero, pensiero che si realizza, che si mostra, che si manifesta esteriormente.

• in secondo luogo Hegel rimprovera a Fichte il fatto di non aver posto come risultato definitivo della opposizione di Io e non-Io l’identità dei due opposti, prospettando solo la tensione continua verso l’unità che tuttavia non si realizza mai compiutamente: il non-Io rinasce sempre, infatti, di fronte all’Io.

 L’unità costituisce dunque un compito infinito, un ideale da perseguire indefinitamente. In tal modo l’infinito gioca il ruolo di meta ideale dell’io finito; il finito, per adeguarsi all’infinito e ricongiungersi con esso, è lanciato in un progresso all’infinito che non raggiunge mai il suo termine.

 Questo progresso all’infinito è, secondo Hegel, il falso, o “cattivo” infinito”, o

“infinito negativo”. Con Fichte siamo ancora, dunque, in un’illuministica

“filosofia del finito”, in cui è soltanto posta in modo astratto l’esigenza di superamento del finito, ma dove questo continua a essere contrapposto all’infinito.

Hegel, nella Fenomenologia dello Spirito, critica Schelling perché questi:

• concepisce l’Assoluto come un’unità indifferenziata e statica da cui derivano in modo inesplicabile la molteplicità e la differenziazione delle cose.

 Nel concetto schellingiano di Assoluto come originaria identità o indifferenza di soggetto e oggetto, finito e infinito, Hegel ravvisa un “abisso vuoto” nel quale si perdono tutte le determinazioni concrete della realtà, paragonandolo in modo sarcastico alla notte “nella quale tutte le vacche sono nere”.

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 In altri termini, l’Assoluto di Schelling, ossia l’identità di spirito e natura, è un’unità astratta, statica e indifferenziata che, mancando di dinamicità, risulta incapace spiegare l’oggettiva diversità e molteplicità delle cose.

 Nella confusa indistinzione dell’Assoluto schellinghiano, secondo Hegel, è spiegata solo l’identità dei fenomeni, ma se ne perde l’autonomia, si volatilizza ogni differenza all’interno del reale.

 E la differenza è vita, perché la vita è fatta di differenza e di diversità; anzi, la diversità è quanto di più ovvio si sperimenta ogni giorno.

 Le cose finite del mondo appaiono pur sempre in divenire, mutano e avanzano, e occorre allora spiegare a quale legge esse obbediscono (sarà la dialettica a farlo, con la nozione dell’unità come posizione e conciliazione delle differenze).

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