• Non ci sono risultati.

Tre monumenti pittorici del Piemonte antico

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Tre monumenti pittorici del Piemonte antico"

Copied!
110
0
0

Testo completo

(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
(7)
(8)
(9)

I

j

e annuali pubblicazioni artistiche promosse dall’ISTITUTO

BANCARIO SAN PAOLO DI TORINO risalgono ormai, com’è

noto, al 1952. Esse costituiscono dunque una piccola

biblio­

(10)

S’ebbero così finora le illustrazioni della Galleria Sabauda

(1952), della Galleria Civica d’Arte Moderna (1953), del Mu­

seo Civico d’Arte Antica unitamente alla sua storica

sede di Palazzo Madama (1954-), di Torino; di ventiquattro

capolavori della città di Vercelli (1955); della Galleria di

Palazzo Bianco a Genova (1956). Quest’anno, dopo la parentesi

genovese, s’è tornati in terra subalpina per la miglior cono­

scenza di tre insigni monumenti pittorici piemontesi, che per

la prima volta si riproducono a colori in così gran copia di

particolari: e precisamente gli affreschi di Giacomo Jaquerio

nella chiesa dell’abbazia di S. Antonio di Ranverso, all’inizio

della Val di Susa; quelli della sala baronale del castello della

Manta, presso Saluzzo, di anonimo maestro piemontese della

prima metà del Quattrocento; e infine quelli di Giovanni

Martino Spanzotti, databili intorno al 1500, nella chiesa dell’ex

convento di S. Bernardino ad Ivrea.

Giacomo Jaquerio è il massimo rappresentante in Piemonte

con il frescante della Manta

dello stile neogotico inter­

(11)

DI QUESTO LIBRO

SONO STATI STAMPATI

2000 ESEMPLARI

DEI QUALI 099

FUORI COMMERCIO

(12)
(13)

ISTITUTO BANCARIO SAN PAOLO DI TORINO

TRE

MONUMENTI PITTORICI

DEL PIEMONTE ANTICO

A CURA DI M A RZ I A N O BERNARDI

(14)
(15)

Particolare della predella del polittico di Defendente Ferrari, firmato e datato 1531, esistente nella chiesa

dell’Abbazia di S. Antonio di Ranverso.

(16)

1942) puntualizzò in poche righe riassuntive: «Crediamo che, in breve, il pano­

rama della pittura quattrocentesca in Piemonte possa disegnarsi sulla trama di

una civiltà gotico-fiorita che si svolge in prevalenza nel Piemonte Occidentale,

in Savoia, nel Cantone Ginevrino, per un quarantennio circa, poi si affievolisce

e declina fino alle soglie del 500; e di un’altra corrente, più legata alle scuole di

Lombardia, avente il suo centro più ad oriente, che si afferma nelPultimo quarto

del secolo ed esprime la figura di Gian Martino Spanzotti ».

Ecco infatti dalla presente pubblicazione esemplificate nella loro qualità, per

prestigio d’arte, più convincente, sia quella civiltà sia quelle tendenze: l’una, dalle

pitture pressoché coeve della chiesa dell’abbazia di S. Antonio di Ranverso, allo

sbocco della Val di Susa, e del castello della Manta, prossimo a Saluzzo; l’altra,

dagli affreschi della chiesuola dell’ex convento di S. Bernardino, nei dintorni

d’Ivrea. Le prime, di solito assegnate al secondo quarto del secolo XV; i secondi,

a circa il 1500. Se i dipinti della Manta sono considerati dalla maggior parte degli

studiosi opera di un eccellente maestro non ancora uscito dall’anonimato, quelli

di Ranverso e d’Ivrea hanno da tempo trovato paternità ormai indiscussa in due

dei più forti esponenti del suddetto panorama: Giacomo Jaquerio, attivo fra il

1401 e (presumibilmente) il 1453, anno della sua morte, e Giovanni Martino

Spanzotti, della cui vitalità si hanno notizie dal 1480 al 1526.

Il tema della cultura artistica piemontese nel periodo che corre fra queste

date — un tema di eccezionale interesse, suscettibile dei più sottili dibattiti — è stato

più volte trattato, con risultati che in passato si fissarono di solito in termini

negativi. Scriveva ad esempio sullo scorcio del Settecento nella sua Storia pittorica

l’abate Luigi Lanzi, pur riconoscendo al Piemonte il diritto di « aver luogo »

nella storia della pittura : « Il Piemonte per la sua situazione è paese guerriero; e

se ha il merito di avere al resto d’Italia protetto l’ozio necessario per le belle arti,

ha lo svantaggio di non aver mai potuto proteggerlo durevolmente a se stesso.

Quindi Torino, quantunque ferace d’ingegni abili a ogni bell’arte, per adornarsi

da città capitale, ha dovuto cercare altrove i pittori, o almen le pitture; e quanto

ivi è di meglio, sia nel palazzo e nelle ville reali, sia ne’ pubblici luoghi sacri,

profani, sia nelle quadrerie de’ privati, tutto è lavoro di esteri ».

(17)
(18)

basti pensare allo Spanzotti, a Defendente Ferrari poco più tardi) « gli artefici

del Monferrato » i quali « non son forse mai nominati fra gli allievi de’ milanesi »;

sì che rudimentalmente egli delineava un gusto locale — nell’« antico Piemonte »,

nella Savoia e « luoghi finitimi » — per i pochi artisti che le scarse esplorazioni

gli concedevano conoscere; non dimenticando quegli altri « esteri » che i conti

e duchi sabaudi avevan chiamato alla loro corte, il fiorentino Giorgio (Giorgio

dell’Aquila), il veneziano Gregorio Bono, «Nicolas Robert francese» (il Nicolao

Roberti che secondo documenti ai quali purtroppo non corrispondono le perdute

opere avrebbe diviso con Amedeo Albini la successione del prestigio già goduto

nella prima metà del secolo dal Jaquerio). Assai più tardi, nel 1876, il pittore

Francesco Gamba, allora direttore della Pinacoteca di Torino, nel suo saggio sulla

Abbadia di S. Antonio di Ranverso e Defendente De Ferrari da Chivasso, reagiva

contro la « falsa sentenza » emessa dal Lanzi « cui seguirono il Bartoli, il De Rossi,

il Paroletti, il Bertolotti, il Cibrario, Pietro Baricco » (poligrafi, storici, e non

critici d’arte) « che prima del secolo XVI le arti della pittura » non avessero

« ancora posto la loro sede in questa nostra contrada » ; e per merito di alcuni

studiosi s’iniziava un periodo di ricerche che nel giro d’un settantennio dovevano

fornire un ben diverso quadro della cultura artistica in Piemonte, anteriore al

Cinquecento.

(19)

chiamava nel 1341 dilectum familiarem et pictorem nostrum, attivo fra il 1314 e il

1348 per gli affreschi di Chambéry, di Bourget, di Pinerolo, di Pont d’Ain, di

Altacomba; di Barnaba da Modena probabilmente operoso in Piemonte fra il 1370

ed il ’77; di Jean de Grandson, pittore intorno al 1344 della camera domini del

castello di Chillon che Pietro II di Savoia s’era costruito sul Lemano (« J’ay fait

et edifié ung moult beau chastel apellé Chillions; et est sur le lac, et in bel et bon

air, et est fort et seur ».); di Claus Sluter e Giovanni de Prindhalle, scultori borgo­

gnoni a Chambéry sul principio del Quattrocento; del veneto Gregorio Bono,

frescante verso il 1430 il chiostro gotico dell’abbazia di Abondance nel Chiablese;

di Jean Bapteur e di Perineto Lamy, miniatori per ordine di Amedeo Vili dello

stupendo Apocalisse oggi all’Escoriale (Vittorio Viale, Arte alla corte sabauda e

in Piemonte nel XIV e XV secolo, conferenza tenuta al « Lyceum » di Firenze e

pubblicata in I Savoia a cura di Jolanda De Blasi, Firenze, 1940; id., Gotico e

Rinascimento in Piemonte, catalogo della seconda mostra a Palazzo Carignano,

Torino, 1939: da notare che questo catalogo costituisce un presupposto fonda-

mentale per lo studio dell’arte in Piemonte dal Duecento al Cinquecento); questa

tradizione avrebbe dovuto riaffermarsi nella maggioranza delle testimonianze arti­

stiche di qualche valore in Piemonte durante l’intero Quattrocento.

(20)

togliendo ogni autonomia ai maestri, maggiori o minori, piemontesi: quell’auto­

nomia che venticinque anni dopo il Valentiner, come si vedrà, avrebbe viceversa

esagerato facendo del Jaquerio un protagonista « europeo » del gusto neogotico,

spaziante dal Piemonte alla Savoia, dalla Sicilia alla Spagna.

La revisione critica d’una tesi forse troppo facilmente accettata s’imponeva

col progredir degli studi sull’arte subalpina quattrocentesca: ed era annunziata

da Pietro Toesca (Antichi affreschi piemontesi, « Atti della Società di Archeologia e

Belle Arti per la provincia di Torino », 1910) in termini che restituivano a questa

arte un suo grado di originalità: « Nella decorazione della sala baronale di Manta

le iscrizioni francesi e l’iconografia suggeriscono che spetti ad artista straniero, ma

i caratteri stilistici ci lasciano incerti di tale opinione: essi corrispondono alle ten­

denze che, sul principio del XV secolo, dominavano la pittura non soltanto d’oltre

Alpe ma di gran parte d’Italia, derivano dal verismo superficiale, non sciolto da

convenzionalismi gotici, che si ritrova in miniature franco-fiamminghe come in

affreschi della Lombardia, dell’Emilia, delle Marche, persistente ancora in qualche

luogo sino alla metà del secolo. Perciò, se, col progredire delle ricerche, non si

troveranno al di là delle Alpi — forse in Provenza — altre pitture che siano

intieramente affini a quelle del Castello di Manta, non avremo sufficienti ragioni

per negare che queste siano lavoro di artisti locali e si possano avere per squisita

varietà regionale di uno stile che si estendeva sopra vastissimo territorio ». Era,

si potrebbe dire, una «assoluzione per mancanza di prove»; ed il Toesca, ritor­

nando sull’argomento in La pittura e la miniatura nella Lombardia dai più antichi

monumenti alla metà del Quattrocento (Milano, 1912), non smentiva la sua cautela:

« Tali affreschi piemontesi offrono un saldo addentellato con l’Arte francese; ma

anche altre varietà della Pittura del principio del Quattrocento, nell’Italia supe­

riore, hanno molti rapporti con le forme oltramontane, e valgono a stringere

vieppiù in una unità stilistica il vastissimo terreno che abbiamo corso: come nelle

valli alpine del Piemonte, anche a Milano e a Verona la Pittura oltramontana e

la Pittura locale digradano l’una verso l’altra così che i loro confini non sono

precisi ed esse si saldano insieme con un trapasso quasi insensibile di stile ».

(21)

Particolare del polittico di Defendente Ferrari, firmato e datato 1531, esistente nella chiesa

dell'abbazia di S. Antonio di Ranverso. L’atto stipulato in data 1530 fra la comunità

di Moncalieri e « Defendente de Ferraris de Clavaxio » per l’esecuzione del polittico, è

l’unico documento scritto che sia stato rinvenuto (dal padre Bruzza nell’archivio

(22)

con l’indicazione «École française vers 1425 », scrive: «À Manta, le style des

peintures se ressent d’une profonde influence française tandis que dans les fresques

du château de Fénis (Piémont), de la fin du XIV siècle, ont doit même reconnaître

la main d’un peintre français»; mentre la moderna critica italiana ravvisa a

Fénis, come a S. Antonio di Ranverso ed alla Manta, l’opera di artisti autoctoni.

Comunque, come bene osservò Augusto Cavallari Murat (Considerazioni sulla

pittura piemontese verso la metà del secolo XV, « Bollettino Storico-Bibliografico

Subalpino», 1 orino, 1956), la «chiave risolutiva» per la nuova apertura critica

era trovata. E si noti la sua importanza: «varietà», e non soltanto — quale

prima s intendeva — dipendenza d’uno stile; cioè una voce propria d’arte che si

laceva udire dal Vaud sulle rive del Lemano a Nizza sulla sponda mediterranea,

dalla Bresse racchiusa fra il Rodano, la Saona e l’Ain, a Vercelli sui confini del

Ducato di Milano: «regione» sabauda al cui centro stava la «Savoie propre»

con la capitale Chambéry al di là delle Alpi, ed al di qua il « Piemonte » della

prima metà del Quattrocento, fra il Dclfinato e i marchesati di Saluzzo e Monferrato,

e la signoria milanese, governato per oltre un secolo — da Pinerolo e da Torino —

dai D’Acaia. Insomma, nel quadro del neogoticismo europeo veniva riconosciuta

una « vena lirica » del popolo piemontese, destro nel rude maneggio delle armi,

ma pur sempre credente fervido ed umile al cospetto della Divinità » (Cavallari

Murat, op. cit.); ed agli artisti sorti da questo popolo una possibilità di esprimersi

sulla medesima linea tenuta da Michelino da Besozzo e dagli Zavattari in Lom­

bardia, da Stefano da Zcvio e dal Pisanello a Verona, da Gentile da Fabriano nelle

Marche, da Masolino da Panicale in Toscana. Al colore di Michelino da Besozzo e

di Masolino da Panicale faceva appunto accenno il Toesca (La pittura e la minia­

tura nella Lombardia, op. cit.) a proposito d’alcune figure affrescate a Fénis; e

il Cavallari Murat (op. cit.) calorosamente affermava che « l’adesione dei pie­

montesi allo stile neogotico non rappresenta, in quei tempi lontani, una passiva

e ritardataria conseguenza di più o meno sentiti contatti con l’esterno, bensì un

fatto di viva, spontanea e palpitante attualità », onde « il più prezioso mazzo dei

quattrocenteschi fiori pittorici del forte e guerriero Piemonte non deve più temere

la grave responsabilità dell’appartenenza ad un’epoca che vantava già la diffusione

e le affermazioni degli insegnamenti masacceschi e mantegneschi ».

(23)
(24)

noto che non vai la pena insistervi. Il suo linguaggio più tipico echeggia con

inflessioni formali diverse, ma con un contenuto fondamentalmente unitario, tanto

nel S. Giorgio e la Principessa del Pisanello a S. Anastasia di Verona quanto nel

Trionfo della Morte di Palazzo Sclafani a Palermo, di non ancora accertato autore

(Liliane Guerry, Le thème du Triomphe de la Mort clans la peinture italienne,

Paris, 1950); tanto nel maestro catalano della Leggenda di S. Giorgio del Louvre

e dell’Art Institute di Chicago quanto nel « primitivo » svizzero Conrad Witz dello

Specchio miracoloso; tanto nella Comunione di S. Dionigi di Jean Malouel e di

Henri Bellechose al Louvre quanto negli affreschi di Masolino da Panicale a

Castiglione Olona. Forme e contenuti che il Toesca or non è molto perfettamente

definì proprio parlando di questi affreschi (Masolino a Castiglione Olona, Milano,

s.d.) e dello « stile gotico che tra la fine del Trecento e il principio del Quattrocento

ebbe una gradazione, fra idealismo e realismo, detta del “gotico internazionale”

— poco curante dell’intrinseca natura delle cose, o dell’animo, e d’interpretare il

sensibile in modo personale a ciascun artista, pur di ornare, tutto trasponendo

in modi armoniosi ma superficiali, brillanti ma di tenue sostanza, sia corporea sia

spirituale: uno stile che ha singolari qualità poetiche, e un potere di trasfigurazione

fantastica per l’attenuarvisi di molti dati dei sensi — spazio; volume e peso; strut­

tura e proporzioni dei corpi — che non è difetto, se libera l’immaginazione del

pittore a trovare ciò che più gli importa: lievità di ritmi; vaghe suggestioni; uno

svanire della “realtà” in un mondo incantato. Era uno stile che consentiva molte

varietà ai suoi fedeli: dalle miniature franco-fiamminghe più intese ad astratta

decorazione, a quelle splendenti del chiarore e del senso del paesaggio nelle “Très

riches Heures” del Duca di Berry; dalle opere di Lorenzo Monaco a quelle di

Gentile da Fabriano, dei Sanseverinati, del Pisanello».

(25)

crea-Facciata dell’ospedaletto

(26)

zione dì un ambiente tragico, di un mondo triste, severo e violentemente emotivo » ;

il prevalere del tema religioso, « più aderente alla psiche piemontese e savoiarda

d’allora», su quello profano, cortigiano e cavalleresco; e infine un tono volentieri

popolare anche negli esempi di maggior levatura artistica, una rusticità — come

ha osservato acutamente la Brizio (op. cit.) per gli affreschi di S. Antonio di

Ranverso — « che non è rozzezza, anzi non esclude la finezza e l’eleganza, ma è

una varietà meno “aulica” del gotico fiorito ».

Identificato il clima in cui si svolse questa civiltà pittorica con l’ambiente

storico sabaudo all’apogeo del suo splendore nell’età di Amedeo Vili — sessanta

anni di regno, 1391-1451, ora dichiarato ed ora dissimulato, compreso il pontificato

col nome di Felice V — e nel periodo immediatamente precedente; ribadito il

concetto che per almeno un trentennio « la pittura pedemontana fu perfettamente

aggiornata con le contemporanee scuole europee, ebbe un contenuto suo proprio

che la differenzia dalle altre, fu arte di primo piano perché realizzò un perfetto

equilibrio tra elementi illustrativi e decorativi»; potevano maturare più ampi e

rigorosi studi come quelli citati della Brizio, del Cavallari Murat, del Viale; come

quello recentissimo di Roberto Carità (La pittura nel Ducato di Amedeo Vili,

Revisione di Giacomo Jaquerio, « Bollettino d’arte », Roma, 1956), qua e là forse

discutibile per certe attribuzioni; mentre s’infittivano le ricerche parziali (per

esempio: Noemi Gabrielli, Un dipinto su tavola di Giacomo Jaquerio, « Bollettino

Storico-Bibliografico Subalpino», Torino, 1941), e addirittura alcuni giudizi,

prima eccessivamente restrittivi, si capovolgevano in esaltazioni, tipo quella, già

accennata, del Jaquerio ad opera di W. R. Valentiner (Le maître du Triomphe

de la Mort à Paierme, «Gazette des Beaux-Arts», Paris, 1937).

(27)

Le pareti affrescate con l’Andata al Calvario, l’Orazione nell’orto, l’Annun­

ciazione, la volta con I quattro Evangelisti nella sagrestia dell’abbazia di S. Antonio

di Ranverso o d’inverso, fondata con l'annesso ospedale «per i leprosi» e i malati

di « fuoco di S. Antonio » (erpete zoster) da Umberto III di Savoia sul finir del

secolo XII ed affidata ai monaci antoniani di Vienne, erano note — al pari d’altri

L’avanzo del chiostro, costruito nell’ultimo trentennio

del secolo XV, dell’abbazia di S. Antonio di Ranverso.

(28)

dazione», la dichiarava «degna di conservazione»; e notata la disparità, a paret

suo, esistente fra « alcuni personaggi nel cui volto è ammirabilmente dipinta

l’espressione del dolore e della compassione », ed altri « male espressi, male disegnati,

specialmente nelle estremità, ed indegni di stare a paro coi primi descritti », affer­

mava che la pittura a fresco da un « vandalo » era stata « in molte parti rifatta

con colore a tempera ».

L’anno dopo C. Edoardo Mella, trattando nuovamente Dell’abbazia e chiesa

di S. Antonio di Ranverso (« Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per

la provincia di Torino», 1877), segnalava «come interessanti le pitture della

sagrestia che arieggiano il fare della scuola tedesca ». Ancor nel 1911 Pietro Toesca

(Torino, Bergamo, 1911) accennando a questi affreschi doveva accontentarsi di

assegnarli ad uno di quegli anonimi artisti i quali « tutti dimostrano come nel

corso del Quattrocento fosse profonda e prevalente l’influenza della pittura ol­

tramontana nel Piemonte, anche in opere che si posson credere eseguite da artisti

piemontesi ». Fu infatti soltanto nel 1914 che Cesare Bertea, nella relazione sui

lavori di restauro compiuti a Ranverso dall’Ordine Mauriziano (Gli affreschi di

Giacomo Jaquerio nella chiesa dell’abbazia di Sant’Antonio di Ranverso, «Atti

della Società Piemontese d’Archeologia e Belle Arti per la provincia di Torino »,

1914), potè annunziare la scoperta della scritta: (pietà) fuit ista capella p(er)

manu(m) Iacobi Jaqueri de Taurino, sulla fascia bianca della cornice a chiaro­

scuro che corre orizzontalmente al di sopra della testa dei due profeti dipinti

sotto una Madonna in trono, resa visibile con gli altri affreschi del presbiterio

quando ne furono asportate le tinte moderne e tolti gli stalli settecenteschi

addossati alla parete.

(29)

GIACOMO JAQUERIO: Particolare del Sonno degli Apostoli della Orazione nel­

l’Orto (affresco nella sagrestia della chiesa dell’abbazia di S. Antonio di Ranverso).

(30)

figlio di Giovanni e nel 1404 abitante col fratello Matteo in case a S. Agnese e

a S. Simeone, passato al servizio di Lodovico d’Acaia, era pagato nel 1418 per

pitture eseguite nella camera del principe e nella contigua cappelletta del castello

di Pinerolo, e nuovamente rimunerato nel 1426 per lavori pittorici ordinati da

Amedeo Vili nella cappella del castello di Thonon. Lo stesso Giacomo Jaquerio

era poi dato presente a Torino nel 1426, nel 1429, nel 1440 col ragguardevole

incarico di clavarius comunale; ed a Torino moriva il 27 aprile 1453. I documenti

menzionavano ancora altri pittori Jaquerio attivi dal 1427 al 1485: Giovanni,

figlio di Matteo; Giorgio e Giacomo, figli del secondo Giovanni. Una famiglia

d’artisti torinesi, dunque, operosa per un secolo. Queste notizie vanno completate

con quelle fornite successivamente da Vittorio Viale, circa una pittura eseguita

nel 1401 da Giacomo Jaquerio nel convento dei Domenicani a Ginevra (Notizia

di una pittura di Jacobo Jaquerio a Ginevra, « Bollettino della Società Piemontese

d’Archeologia e Belle Arti », Torino, 1947), e da Roberto Carità (op. cit.) su

altri lavori che sarebbero stati condotti da Giacomo a Torino (il Carità sostiene

che il pittore del castello di Porta Fibellona fu Giacomo e non Giovanni), a

Ripaglia, a Thonon, a Pinerolo.

(31)
(32)

pareti, e sulla volta i Quattro Evangelisti; nell’ultima campata della navata destra,

S. Barbara e Due Santi negli sguanci della bifora e in una rientranza. Ultimamente

il Carità (op. cit.) tornava su una precedente attribuzione a Giacomo delle Storie

di S. Biagio in capo alla navata destra (attribuzione detta dalla Brizio « senza

fondamento »), e dava al Jaquerio anche queste pitture; non senza osservare che

l’Andata al Calvario con la sua violenza, il suo movimento, le sue durezze, i suoi

spunti espressionistici drammatico-grotteschi, rappresenta « un momento un poco

eccentrico nello svolgimento dell’attività dell’artista », il quale altrove si rivela

come un « temperamento sognante e malinconico, incline a stati contemplativi,

espressi — in senso pittorico — con figure stanche e dolenti, di una eleganza

raffinata di sapore romantico ». Una osservazione che — considerando anche le

pitture della chiesa di S. Pietro di Pianezza, le quali sono ormai concordemente, per

lo stile, date al Jaquerio (Eugenio Olivero, L’antica pieve di S. Pietro presso Pia­

nezza, Torino, 1928; Cavallari Murat, Brizio, Carità, op. cit.) — non appare priva

di valore, e potrebbe forse indicare, sia pure in modo molto dubitativo, un cam­

mino dell’interessante pittore torinese da Ranverso e da Pianezza fino al castello

della Manta, per i Nove Prodi e le Nove Eroine della sala baronale. E’ un’ipotesi

assai azzardata, la quale, ove trovasse credito, darebbe finalmente una paternità a

quei suggestivi affreschi, e che è sostenuta (per comunicazione orale) da Noemi

Gabrielli. Del resto, anche un osservatore acuto come il Toesca (Antichi affre­

schi piemontesi, op. cit.), benché asserendo che le decorazioni della Manta spettano

« ad altro pittore », non poteva fare a meno di notare che « nella tumultuosa

scena dell’Andata al Calvario si esplica ampiamente la predilezione di ritrarre at­

teggiamenti e figure grottesche che si scorge anche nella Fontana di Giovinezza

dipinta nel castello di Manta: tendenza più propria assai dell’arte oltramontana

che della nostra, ma rinnovantesi in altri periodi dell’arte nelle regioni alpine

dell’Italia settentrionale. Nei tipi delle figure, nella tecnica del colore anche più

appaiono strette somiglianze fra gli affreschi di Manta e quelli di Ranverso: tinte

piatte sul terreno e nello sfondo, vivacissime nelle vesti, ora scialbe ora ardenti e

rossastre nei visi ». Malgrado quell’« altro pittore », pare che il Toesca si trattenga

con rammarico dal dichiarare che i due affreschi sono addirittura della stessa mano.

E se mai, non potrebbe essersi rinnovato alla Manta il « momento eccentrico » del

Calvario di Ranverso?

(33)
(34)

GIACOMO JAQUERIO

A n d a t a a l Ca l v a r i o

Affresco nella sagrestia della chiesa dell’abbazia di S. Antonio di Ranverso.

varia e vivace, ora impetuosa, energica, rude, passionale, ora meditativa e raccolta

in una aristocratica difesa della propria intimità; una individualità degna, per

incisività di stile e spontaneità di sentimento, per padronanza di mezzi espressivi

e libertà di fantasia, di andare accanto alle maggiori della pittura coeva dell’Italia

del Nord e del Centro. Fare di Giacomo Jaquerio il multiforme maestro che ha

voluto in lui disegnare il Valentiner (op. cit.), l’autore del Trionfo della Morte

di Palazzo Sclafani a Palermo e della Leggenda di S. Giorgio divisa fra Parigi e

Chicago, il coltissimo artista che viaggia dalla Borgogna alla Catalogna eserci­

tandovi la sua influenza è senza dubbio eccessivo, anche perchè le analogie viste

dal Valentiner stentano a reggere una serrata analisi stilistica, come hanno

dimostrato sia Carlo Lodovico Ragghiami (« La Critica d’Arte », Firenze, aprile

1938, sia la Brizio, op. cit.). Ma del Valentiner è accettabile l’asserzione che il

Jaquerio è « un maitre de premier pian », di « singulière vigueur », il cui talento

è « tout autre que celui d’un simple imitateur », sì che meriterebbe gli fosse asse­

gnata nella storia della pittura del Quattrocento « une place plus éminente que

celle dont on l’a jugé digne jusqu’à present ». E’ un giudizio che coincide con

quello del Viale (op. cit.), quando parla di « una vigoria plastica, una larghezza di

pennellata, un senso del colore, una padronanza del chiaroscuro, una profondità

di espressione interiore, un equilibrato concorrere insomma di nuovi elementi sti­

listici e psicologici, da far pensare veramente che il Jaquerio sia non solo il più

dotato e squisito pittore del neo gotico locale, ma un maestro di forte e originale

personalità, vigoroso preannunziatore dell’arte nuova ».

(35)

alle terrestri debolezze della carne. Ma con franchezza, senza il minimo imbarazzo,

senza la minima ambiguità di pensieri, i Preus e le Preuses del poema cavalleresco

contemplano le smanie, i lazzi, le soddisfazioni amorose, dei vecchioni accorrenti

alla Fontana di Giovinezza e subito rinvigoriti dal bagno miracoloso.

Questo perfetto esempio di pittura neogotica profana, il più alto del Piemonte

insieme con alcuni affreschi di Fénis, fu voluto da Valerano di Saluzzo, figlio ille­

gittimo (e perciò detto il Bardo, bastardo nel dialetto locale) del marchese Tom­

maso III, autore dello Chevalier Errant, « romanzo cavalleresco ove le più strane

avventure si frammischiano a fatti contemporanei, e i ragionamenti scientifici e

morali a racconti di tornei, caccie, battaglie, incantesimi » (Paolo D’Ancona, op.

cit.). Tommaso III, di gusti francesizzanti, marito d’una francese, Margherita di

Roussy, compose a Parigi, presso la corte di Carlo VI, probabilmente fra il 1403

e il 1404, il suo poema, pervenuto ai posteri in due manoscritti membranacei mi­

niati : uno già appartenente ai Savoia, ricordato nel secolo XV come « ung gros livre

en parchemin, escript à la main en françois, et nommé le Chevalier errant, historié

et illuminé d’or et d’azur », passato alla Biblioteca Nazionale di Torino e pressoché

distrutto dall’incendio del 1904 (ma restaurato in una dozzina di miniature); l’al­

tro, più riccamente illustrato, conservato intatto alla Nazionale di Parigi.

Tommaso III morì nel 1416 lasciando a Valerano castrum et villam della Manta.

L’erede, uomo di spiriti larghi — il quale, anche durante la reggenza del mar­

chesato tenuto durante la minore età di Lodovico I, accrebbe di potenza e ricchezza

(36)

Delfila vincitrice di Tebe, Semiramide regina degli Assiri, Sinope amazzone guer­

riera, Ippolita avversaria di Ercole, Etiope conquistatrice dell’India, Lampeto,

Tamiramide, Teuca, Pentesilea regina delle amazzoni uccisa da Achille: personaggi

tutti che Tommaso III aveva trovato in precedenti romanzi cavallereschi francesi,

e che gli artisti non tardarono a raffigurare nei costumi contemporanei, ond’essi

— come alla Manta — si distinguono soltanto per le scritte che li accompagnano.

Neppure in Italia queste rappresentazioni di cicli onorifici costituivano, da Milano

a Verona, da Roma a Napoli, una novità; gli arazzi francesi le ripetevano almeno

dal 1360; ma non v’è dubbio che le diciotto figure della Manta sian state tolte

dal manoscritto miniato, adesso della Nazionale di Parigi, opera di amanuense e

miniatore francese; come risulta evidente dalla carta 125, recto e verso, del pre­

detto codice 12559 f. Fr., dove appunto si vedono riuniti in una pagina i Neuf

Prens e in un’altra le nove dame.

(37)
(38)

I NOVE PRODI e le NOVE EROINE

A ffresco d e lla sala b a ro n a le d el ca stello d e lla M an ta, presso Saluzzo.

Delle figure delle ultime due Eroine — Teuca e Pentesilea — restano soltanto

alcune parti dipinte: come la metà superiore di Teuca, riprodotta in copertina.

Riproduzione d’una delle scritte che stanno sotto i personaggi affrescati nella sala baronale

del castello della Manta. Questa si riferisce a Giuda Maccabeo.

Saluzzo, 1829-1833) vedeva — meglio che non si veda ora per il guasto della

pittura a sinistra — dirigersi verso la Fontana; e allegramente spregiudicato. Il

mito appare quasi trasformato in farsa; ed alla raffigurazione dei suoi attoii 1 ar­

tista, trascinato forse dal brio, non diede certo la cura rappresentativa, 1 impegno

stilistico dell’affresco di fronte, tanto più raffinato in ogni particolare. Sempie

che si tratti di un medesimo pittore: cosa finora non messa in dubbio malgrado

il diverso modo — molto più corrivo nella Fontana che non nei liodi e nelle

Eroine — di trattar le figure e le vesti, e soprattutto il colore. Si ripete qui, forse

con maggior accentuazione, il contrasto che si scorge anche a Ranverso fra alcune

pitture del presbiterio e l'Andata al Calvario. Influì il soggetto sull artista?

0 dall’intervento massiccio di uno o piti aiuti derivarono queste inconseguenze sti­

listiche? E’ un problema che probabilmente andrebbe riesaminato; mentre dal

D’Ancona in poi (op. cit.) fu senz’altro accettata l’identità di mano nelle due opere

benché come tema tanto differenti.

(39)

e a Pianezza, e quelle d’alcuni volti dei Prodi e delle Eroine: per esempio si

confronti il viso della Madonna del presbiterio di Ranverso col viso di Teuca

nella sala baronale della Manta.

(40)

Qual fosse ancora una settantina d’anni fa l’ignoranza non del nome ma

dell’arte dello Spanzotti malgrado la scoperta del padre Luigi Bruzza (Miscellanea

di storia italiana, Torino, 1862) relativa all’alunnato del Sodoma, a partire dal

1490, nella bottega a Vercelli del « magistro Martino de Spanzotis de Casale

pinctore », lo prova la domanda postasi nel 1880 dal Gamba (L’arte antica in

Piemonte, op. cit.): « Chi era questo Martino de Spanzotis? Quale il suo merito

artistico? Credo poter rispondere in modo sicuro essere egli stato uno dei tanti

ammiratori e seguaci del Leonardo alla cui scuola iniziò il suo discepolo». Noto

è poi il gran passo compiuto sulla via degli accertamenti spanzottiani da Alessandro

Baudi di Vesme con l’acquisto nel 1899 per la Pinacoteca torinese dell’unica

opera firmata (« Hopus Iohis Martini Casalen ») dal pittore, la tavola centrale

del Trittico della Galleria Sabauda, base di tutte le seguenti attribuzioni al maestro

casalese. E’ da questa Madonna in trono e dall’altra, tosto identificata da Adolfo

Venturi, ma da qualche posteriore studioso esclusa dalla produzione spanzottiana,

della Galleria dell’Accademia Albertina di Torino, che mosse Lisetta Ciaccio

(Gian Martino Spanzotti da Casale, op. cit.) per stabilire nel 1904 che il ciclo

d’affreschi del S. Bernardino d’Ivrea, allora « adibito ad uso di fienile e legnaia »

— affreschi « conosciuti e tenuti già in bastante considerazione, benché anonimi,

dagli amatori piemontesi » — doveva esser considerato « un’altra opera del maestro

di Sodoma ». Merito grandissimo che va riconosciuto a questa pioniera degli studi

artistici piemontesi, nonostante i suoi errori di visione critica, se anche un’auto­

revole indagatrice dell’arte spanzottiana quale è la Brizio (op. cit.), meravigliandosi

delle reticenze del Vesme ad attribuire gli affreschi d’Ivrea allo Spanzotti, li

dichiara di questo « l’opera maggiore e più significativa » : un’opera che potrà

esser completata dalle pitture che adesso vanno scoprendosi sotto lo scialbo sulle

altre pareti della chiesuola, che per l’ingrandirsi dello stabilimento Olivetti risulta

purtroppo ora rinchiusa fra edifici industriali.

(41)
(42)

naio 1954) che opponendosi particolarmente al Berenson, il quale (Pitture italiane

del Rinascimento, Milano, 1936) ha sempre considerato la parete d’Ivrea un’opera

tarda, non concede a questa — riscontrandovi troppe analogie col trittico della

Sabauda, da avvicinare al 1480 — di «oltrepassare il nono decennio» del

Quattrocento. Dal che si vede quanto ingenua fosse la « certezza » del Gamba

nel fare dello Spanzotti un « seguace » di Leonardo!

(43)

Spanzotti, uomo nuovo nella tradizione culturale piemontese del Quattrocento,

sostituisce il gusto della semplicità narrativa e un’inconsueta serietà morale. La

sua religiosità non è maggiore di quella del Jaquerio, ma ha un timbro più grave

e profondo che deriva dall’essenzialità delle sue solide forme, sulle quali si frange

l’ultimo flutto dell’arte « cortese ».

Perciò la grande parete istoriata del S. Bernardino d’Ivrea, mentre conclude,

riassumendola, la civiltà pittorica subalpina più intrisa di cultura internazionale,

preannunzia il tempo dell’affermazione dell’unico maestro piemontese — e rimasto

« piemontese » come non rimase il Sodoma — di respiro veramente rinascimentale-

italiano: Gaudenzio Ferrari.

MARZIANO BERNARDI

Giovanni Martino Spanzotti: Cristo nel sepolcro, piccolo

affresco su uno dei due pilastri che reggono la

(44)

NOTA BIBLIOGRAFICA

Francesco Gamba,

Abbadia di S. Antonio di Ranverso e Defendente De Ferrari da Chivasso,

« Atti della Società d’Archeologia e Belle Arti », Torino, 1876.

C.

Edoardo Mella,

Dell’abbazia e chiesa di S. Antonio di Ranverso,

«

Atti dèlia Società di

Archeologia e Belle Arti », Torino, 1877.

Francesco Gamba,

L’arte antica in Piemonte,

nel voi. «Torino», Torino, 1880; ristampato

a parte nel 1882.

Giuseppe Colombo,

Documenti e notizie intorno gli artisti vercellesi,

Vercelli, 1883.

Alessandro Baudi di Vesme,

Martino Spanzotti, maestro del Sodoma,

«

Archivio Storico del­

l’Arte», Roma, 1899.

Ferdinando Rondolino,

La pittura torinese nel medioevo,

«

Atti della Società di Archeologia

e Belle Arti », Torino, 1901.

Lisetta Ciaccio,

Gian Martino Spanzotti da Casale,

«L’Arte», Roma, 1904.

Paolo D ’Ancona,

Gli affreschi del castello di Manta nel Saluzzese,

« L ’A rte», Roma,

1905.

Pietro Toesca,

Antichi affreschi piemontesi,

«

Atti della Società Piemontese di Archeologia

e Belle Arti», Torino, 1910.

Pietro Toesca,

Torino,

Bergamo, 1911.

Pietro Toesca,

La pittura e la miniatura nella Lombardia,

Milano, 1912.

Lisetta Motta Ciaccio,

La pittura del Rinascimento nel Piemonte e i suoi rapporti con

l’arte straniera,

«Atti del X Congresso Internazionale di Storia dell’Arte», Roma, 1912.

Cesare Bertea,

Gli affreschi di Giacomo Jaquerio nella chiesa dell'abbazia di Sant’Antonio

di Ranverso,

«Atti della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti», Torino, 1914.

Adolfo Venturi,

Storia dell’arte italiana,

VII, 4, Milano, 1915.

Alessandro Baudi di Vesme,

Nuove informazioni intorno al pittore M. Spanzotti,

«

Atti della

Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti », Torino, 1918.

Eugenio Olivero,

L’antica pieve di San Pietro in Pianezza, Torino,

1928.

Anna Maria Brizio,

Gian Martino Spanzotti,

«

Miscellanea della Facoltà di Lettere e Filo-

solia della R. Università di Torino», Torino, 1936.

Augusto Cavallari Murat,

Considerazioni sulla pittura piemontese verso la metà del secolo

XV,

«Bollettino storico-bibliografico subalpino», Torino, 1936.

Bernard Berenson,

Pittori italiani del Rinascimento,

Milano, 1936.

W.

R.

Valentiner,

Le Maitre du Triomphe de la Mort à Paierme,

«Gazette des Beaux-

Arts», Paris, 1937.

Charles Sterling,

La peinture française : Les Primitifs,

Paris, 1938.

Vittorio Viale,

Catalogo della Mostra del Gotico e Rinascimento in Piemonte,

Torino, 1939.

Noemi Gabrielli,

La Mostra del Gotico e Rinascimento in Piemonte,

«

Rivista di Storia,

Arte, Archeologia, della R. Deputazione Subalpina di Storia Patria», Alessandria, 1939.

Vittorio Viale,

Arte alla corte sabauda e in Piemonte nel XIV e XV secolo,

Lettura tenuta

per il Lyceum di Firenze e pubblicata in « I Savoia » a cura di J. De Blasi, Firenze, 1940.

Anna Maria Brizio,

La pittura in Piemonte dall’età romanica al Cinquecento,

Torino, 1942.

Vittorio Viale,

Notizia di una pittura di Jacobo Jaquerio a Ginevra,

«

Bollettino della Società

Piemontese di Archeologia e Belle Arti », Torino, 1947.

Liliane Guerry,

Le thème du

«

Triomphe de la Mort

»

dans la peinture italienne,

Paris, 1950.

Luigi Mallé,

La pittura piemontese tra

’400 e

’500. Nuovi ritrovamenti e un vecchio proble­

ma : Martino Spanzotti e Defendente Ferrari,

«

Bollettino della Società Piemontese di

Archeologia e Belle Arti », Torino, 1952-53.

Mina Gregori,

Due Opere dello Spanzotti,

«

Paragone

»,

Firenze, 1954.

Roberto Carità,

La pittura nel Ducato di Amedeo Vili. Revisione di Giacomo Jaquerio,

(45)
(46)

L ’a b b a z i a d i S . An t o n i o d i R a n v e r s o

F o n d a ta su l fin ire d el seco lo X II da U m b e r to IH d i S av oia, l ’ab b azia d i S. A n to n io d i R a n verso, o d ’in v e rso , fu affid ata ai m o n a ci a n to n ia n i v e n u ti, pare, d i F ran cia, i q u a li a v ev a n o in cura i m a la ti d i leb b ra e d i « fu o c o d i S. A n to n io » , cio è l ’erp ete zoster: d i q u i 1’esisten za d el p icc o lo o sp ed a le presso la ch iesa, ch e a cco g liev a i p e lle g r in i in fe r m i su lla g ra n d e v ia d i tran sito d ella V al d i Susa, a d d u cen te ai c o lli d el M o n ce n isio e d e l M o n g in ev ro , ed al cu i sb occo, a p o c h i ch ilo m etri a m o n te d i R iv o li, è situ a ta l ’ab b azia. A lla fine d el seco lo X II la ch iesa, d i p icc o le d im e n sio n i, aveva u n a so la n av ata con ab sid e sem icircolare e u n b asso ca m p a n ile ch e serve d i base a ll’a ttu a le, d ella seco n d a m età d el T rec en to . N e l seco lo X III l ’ab sid e fu a m p lia ta in u n p resb i­ terio a p ia n ta q u a d ra ta e v o lta a crociera. N e l corso d e l T r e c e n to v en n ero co stru ite le ca p p elle d e l fian co sette n trio n a le , la ch iesa an cora s’a llu n g ò , fu d o ta ta d e lla sagrestia, creato il p o rtico d ’in g resso a tre arch i a cu ti, a g g iu n ta la n a v e m in o re a su d . N e ll’u ltim o tr e n te n n io d e l Q u a ttro cen to d a u n n u o v o a llu n g a m e n to risu ltò l ’a ttu a le ab sid e p o lig o n a le . S o n o d i q u e sto tem p o la ricca d eco ra zio n e a terreco tte sagom ate, co n d iseg n i d i fiori e fru tti su lla fron te a p o n e n te , la faccia ta d e ll’osp ed a le, il ch io strin o a su d d e lla ch iesa, d el q u a le n o n avan za ch e u n la to : la v o ri o r d in a ti d a G io v a n n i d i M o n tch en u , vesco vo d i V iviers, n o m in a to co m m e n d a ta rio e ce lla rio d i R a n v er so il 22 a p rile 1470, a lla m o rte d i G io v a n n i d i R o m a g n a n o . (B ertea, op. cit.)

L a ch iesa fu affrescata a p a rtire d al D u e c e n to (affreschi n e ll’u ltim a cam p ata d ella n a v e m a gg iore, n e l n a rtece e a sin istra d e ll’arcata d e lla seco n d a ca p p ella). T rec en tesch i so n o g li affreschi d ella terza ca p p ella a sin istra ; a ltri q u a ttro ­ cen tesch i, n u m ero si, d eco ra n o la ch iesa ed il p ic c o lo o ra to rio d i G io v a n n i d i M o n tch en u n e ll’a n tico co n v en to . P er la d escrizio n e p a rtico la reg g ia ta d i essi e d i a lc u n i a ltri cin q u ece n te sc h i, v. B rizio (op. cit.). I d ip in ti p iù im p o r ta n ti

so n o q u e lli d i G ia co m o J a q u erio : n e l p resb iterio , Madonna, Profeti, Santi, Storie di S. Antonio, Contadini con animali; n e lla sagrestia, Andata al Calvario, Annunciazione, Orazione nell’ Orto, I quattro Evangelisti; n e ll’u ltim a ca m p ata

d ella n a v e destra, S. Barbara, Due santi. (B rizio, op. cit.). P er a ltre a ttrib u ­

z io n i v. C arità, op. cit.). (P er i rife r im e n ti b ib lio g ra fici d i q u este cita zio n i,

(47)
(48)

T a v o l a

I

Ma d o n n a i n t r o n o c o l Ba m b i n o e d o n a t o r e

(Altresco della parete sinistra del presbiterio nella chiesa dell’abbazia di S. Antonio di Ranverso)

È so tto q u esta M a d o n n a , affrescata su u n p ila stro fra d u e fin estre e sovrastan te u n a fascia su cu i so n o d ip in te b ellissim e figu re d i P ro feti, ch e fu scop erta — n ella fascia b ian ca d ella co rn ice a ch ia roscu ro ch e corre sop ra la testa di d u e d i co d este figure — la scritta: «[Pietà] fuit ista capella p[er\ marni (>rì) lacchi Iaqueri de Taurino », d a lla q u a le si d ed u sse n e l 1914 la p a tern ità d eg li

affreschi d el p resb iterio, d ella sagrestia e d e ll’u ltim a ca m p ata d ella n avata d estra d e lla ch iesa d e ll’ab b a zia d i S. A n to n io d i R a n v erso . (B ertea, op. cit.)

C irca q u a r a n t’a n n i p rim a il G am b a (op. cit.) aveva su p p o sto l ’esisten za di

q u esti affreschi, rico p erti d a llo scialb o , d a lle r id ip in tu r e e d a g li sta lli d el coro; e p iù tard i R icca rd o B rayd a aveva rim esso in lu ce q u e lli d e lla ca p p ella d i fian co al ca m p a n ile. Q u esta fin e e g e n tile p ittu ra , i co lo ri d ella q u a le so n o sta ti u n p o co sp en ti d a l tem p o e p iù d a ll’in cu ria d eg li u o m in i,

è

p u r tr o p p o gu a sta n e lla figura d el d o n a to re — l ’a b a te co m m e n d a ta rio ch e o r d in ò la d eco ra zio n e d e l p resb iterio — d a ll’ap ertu ra d i u n b u co op era ta n el m u ro q u a n d o si d rizzaron o le im p a lca tu re p er im b ia n ca re (com e si usava in p assato d o p o le e p id em ie) le p a reti. R esta tu tta v ia la traccia d i u n a lto stile e d i u n d elic a to se n tim e n to relig io so . A n ch e la co m p o sizio n e a r ch itetto n ica ch e in q u a d ra il tro n o a ch ia roscu ro e ra p p resen ta l’in tern o d ’u n a ch iesa con arch i e p in n a c o li, p erfetta m en te riflette il g u sto n eo g o tico , d el q u a le il Jaq u erio è torse il m assim o e sp o n e n te in P iem o n te. M o lte so n o le a n a lo g ie ch e si p o treb b ero riscon trare fra q u e st’im m a g in e ed a ltre d e llo stile « in tern a zio ­ n a le » . P er esem p io il ta g lio d e lla b occa

è

id e n tic o a q u e llo ch e ap p a re in M a d o n n e di scu o la ca ta la n a e fran cese, e n e lle m in ia tu re p er il d u ca d i B erry d ei fra telli L im b o u rg . M a a ltretta n ta a ffin ità d i lin g u a g g io si trova in a lcu n e figure fe m m in ili d ella sala b a ro n a le d ella M a n ta , sp ecie n e lla p rim a e n ella p e n u ltim a d e lle n o v e E ro in e. P er q u a n to rig u ard a la d a ta d ’esecu zio n e, si ved a il co m m e n to d ella ta v o la seg u en te. (P er i rife r im e n ti b ib lio g ra fici d i q u este cita zio n i, v. in tro d u zio n e .)

GIACOMO JAQUERIO

(49)
(50)

Ta v o l a II

A n d a t a a l Ca l v a r i o

(Particolare dell'afiresco nella sagrestia della chiesa dell'abbazia di S. Antonio di Ranverso)

L e n o tizie in to r n o a G ia co m o J a q u erio , so n o sta te a n ticip a te d a l 1418 (R on - d o lin o , B rizio, op. cit.) a l 1401, a n n o in cu i eg li firm ò « J a cob u s J a q u eri de

C iv ita te T a u r in i P e d e m o n tio » u n a p ittu ra n e l c o n v en to d ei D o m e n ic a n i a G in ev ra (V ia le, op. cit.). C iò sign ifica c h ’e g li visse p iù d i se tta n t’an n i, forse

q u a si o tta n ta , e ch ’era n e l p ie n o d ella m a tu rità q u a n d o affrescò a S. A n to n io d i R a n v erso : se è v ero ch e q u i d ip in se d o p o il su o rito rn o d a T h o n o n a T o r in o n el 1426, d ata p ro p o sta d a l B ertea (op. cit.), m a ch e il C a rità h a

osserva to essere u n ’ip o tesi p erso n a le d e l B ertea stesso. In fa tti q u esti affreschi, ch e p r u d en tem en te la B rizio p o n e n e l seco n d o q u a rto d e l seco lo X V , p o tre b ­ b ero esser sta ti d ip in ti assai p iù tard i d e l 1426, d u ra n te la d im o ra d el J a q u erio a T o r in o , testim o n ia ta n el 1429 e n e l 1440; m a a n ch e p rim a , a ll’in circa n e l tem p o c h ’e g li lavo rava a P in ero lo . Il C arità, p o i, so stien e — co n tra ria ­ m en te a l p arere d ei p iù — ch e le p ittu re d e lla sagrestia p reced ettero d ’assai q u e lle d el p resb iterio , a lle q u a li, al d i sop ra d e lle teste d e i d u e P ro feti che sta n n o so tto la Madonna col Bambino e donatore, l’artista ap p o se la su a firm a.

Il p a rtico la re q u i rip r o d o tto , e l’altro d e lla ta v o la seg u e n te d o v e si v ed e il m a n ig o ld o ch e trascina g h ig n a n d o co n u n a cord a G esù , m ostra q u a n ta affinità a b b ia la co m p o sizio n e co n il celeb re Parement de Narbonne (L ou vre), d ip in to

ad in ch io stro su seta verso il 1373-1378, op era ca p ita le d i scu o la p a rig in a p er la sto ria d ella p ittu ra in F ran cia, e ch e riv ela la co n cez io n e n u o v a , in q u e ll’età d i tran sizio n e, n e lla ra p p resen ta zio n e d ei Sacri M isteri. P iù d i m ezzo seco lo d iv id e il Parement fran cese d a q u esta ita lia n a Andata al Calvario in

cu i « co m p a io n o a n ch e in flu ssi svizzero-ted esch i » (B rizio, op. cit.); m a l’affi­

n ità co m p o sitiv a d im ostra q u a n to lo sch em a fosse v iv o n e lla m em o ria d el J a q u erio , ch e lo p o tè co n o scere d a m in ia tu re fran cesi : sch em a, d el resto, p ie n o d i rem in iscen ze ita lia n e , m en tre i ceffi r ip u g n a n ti d e i carn efici h a n n o u n a ccen to tip ica m e n te n o rd ico . (P er i rifer im en ti b ib lio g ra fici d i q u este cita zio n i, v. in tro d u zio n e.)

GIACOMO JAQUERIO

(51)
(52)

T

avola

III

GIACOMO JAQUERIO

(Notizie dal 1401 alla morte, il 27 aprile 1453)

An d a t a a l Ca l v a r i o

(Particolare dell'attresco nella sagrestia della chiesa dell’abbazia di S. Antonio di Ranverso)

N o n esiste n e lla p ittu ra p iem o n te se d el Q u a ttro cen to u n b ra n o d i p o ten za — e si p o treb b e d ir v io len za — ra p p resen ta tiv a p ari a q u est 'Andata al Calvario;

e n o n m o lti, fu o ri d ella re g io n e su b a lp in a , sem p re su l p ia n o d i u n a tru cu len ta efficacia d escrittiva , n e reg g o n o , n el seco n d o q u a rto d e l seco lo X V , il co n fro n to . S i ca p isce ch e il V a len tin er , il q u a le v i scorge « la stessa co m p o sizio n e, l ’oriz­ zo n te m o lto a lto , le figu re p ig ia te neH ’a ffo lla m en to d e lla p a rte su p erio re... lo stesso m o v im e n to d ra m m a tico coi g ru p p i in p rim o p ia n o d e lle p erso n e a g ita te, le stesse figure in e q u ilib r io m alcerto, co n le g a m b e cu rve in fu o ri a lla m an iera go tica , i p ie d i a p in n a p o sa ti n el m ed e sim o m o d o su l su o lo » d ella Leggenda di S. Giorgio al L ou vre, n e sia rim asto così im p ressio n a to d a con sid erare il

J a q u erio u n m aestro di sta tu ra eccezio n a le. E g li afferm a (op. cit.) ch e l’artista

co n o b b e, o ltre le p ittu re ted esch e cu i fa p en sa re la b ru ta lità d i p a recch i d i q u esti ca rn efici, « d e lle co m p o siz io n i fran cesi co n le q u a li s’im p a r en ta n o le figure d a lla b arb a a d u e p u n te con i lo ro stra o rd in a ri co p rica p i ». A n ch e la B rizio (op. cit.) n o ta d el resto le in flu en ze svizzero-ted esch e n e lla tip o lo g ia e

n e ll’a ccen tu a zio n e, in u n certo senso, esp ressio n istica , d e lle p a ssio n i. Il p itto re è in fa tti riu scito a in fo n d e re n ei p erso n a g g i, sin g o la r m en te caratterizzati n ella tip icità fisica e n ella varietà p sico lo g ica , u n a forza tu m u ltu a n te e selvag gia ch e si p o treb b e d ire « co rale ». C osi aveva a g ito a n ch e l ’artista d el Parement de Narbonne (v. c o m m e n to d ella ta v o la p reced en te), m a q u i la q u asi astratta

ico n ogra fia d e l ra cco n to trecen tesco è d iv e n ta ta tu rgid a realtà fin o a ll’orrid o e al g rottesco . U n a fu riosa eccita zio n e sq u assa il tragico co rteo d eg li arm igeri, d ei carn efici, d ei m a n ig o ld i, ch e an cor p iù d el R e d en to r e si fa n n o p ro ta g o n isti d e lla scen a atroce, e su q u e ll’o n d a u m a n a d i cieca b estia lità o n d e g g ia il m a g n ifico o r n a m en to d e lle aste, d e lle la n ce, d e lle alab ard e, d eg li sten d ard i, p recorren te d i tre d ec en n i il P a o lo U c c e llo n e lla Battaglia di San Romano, e

g ià a ccen n a to d a G io tto n e lla Cattura di Cristo a ll’A ren a d i P ad ova. (P er i

(53)
(54)

T a v o l a

IV

GIACOMO JAQUERIO

(Notizie dal 1401 alla morte, il 27 aprile 1453)

A n d a t a a l Ca l v a r i o

(Particolare deH'affresco nella sagrestia della chiesa dell’abbazia di S. Antonio di Ranverso)

D a q u e sto p a rtico la re risu lta ev id e n te l ’im p e g n o veristico p o sto d al J a q u erio n e l su o fosco ra ccon to. T u tto vi è stu d ia to e d escritto co n im p la c a b ile p reci­ sio n e: la fo g g ia d e i c a p p elli, d e i ca p p u cci, d e i m o r io n i, d e lle vesti, d e lle arm i, co n u n a cu riosa m iscela d i ele m e n ti d i co stu m i co n te m p o ra n ei e d i fo g g e p iù a n tich e. M a la su a a tten zio n e s’è a p p u n ta ta so p ra ttu tto su i v o lti p er sta b ilire u n a v a rietà d ’esp ression e seco n d o la n a tu ra e la fu n zio n e d e i p erso n a g g i: da q u e lli d e i so ld a ti, ad esem p io , si co m p ren d e c h ’è il d ov ere a sp in g er li a lla triste b isogn a , m en tre n e i v isi d ei carn efici e d ei loro a cco m p a g n a to ri si sta m p a la m a lv a g ità , il co m p ia cim en to cru d ele d i q u a n to sta p er avven ire. A p a rte l ’in te n to p sico lo g ico , così sco p erto d a riu scire in g e n u o , il p itto re dà u n a m agn ifica p ro va d i p erizia n el ra g g ru p p a m en to d e lle teste, tu tte p la stica ­ m en te in d iv id u a te m a lg ra d o la co m p o sizio n e p ig ia ta , e n e lla ritm ica d isp o si­ zio n e d e lle m a n i, e l’osserva zion e d e l V a le n tin e r (op. cit.) ch e le figu re in

(55)
(56)

T a v o l a

V

GIACOMO JAQUERIO

(Notizie dal 1401 alla morte, il 27 aprile 1453)

An d a t a a l Ca l v a r i o

(Particolare dell’aftresco nella sagrestia della chiesa dell'abbazia di S. Antonio di Ranverso)

(57)
(58)

T a v o l a

VI

GIACOMO JAQUERIO

(Notizie dal 1401 alla morte, il 27 aprile 1453)

O r a z i o n e n e l l’o r t o

(Particolare dell’affresco sulla parete di ponente nella

sagrestia della chiesa dell’abbazia di S. Antonio di Ranverso)

O p p o rtu n a m en te h a so tto lin e a to il C arità (op. cit.) ch e q u esta Orazione « è

u n a d e lle m ig lio r i cose ch e l ’arte ja q u e ria n a , n o n so lo , m a l ’arte d el p rim o ’400 d i tu tta la re g io n e ci a b b ia la scia to ». « In tern a z io n a le », m a co n sfu m a tu ra p r o fo n d a m en te lo m b a rd a , è q u eU ’/to r iu i conclusus, co n to rn a to d a tra licci d i

ram i, m o tiv o così caro ai m in ia tu risti d el tem p o . L a sem p lice m essin scen a esclu d e fioritu re d i co lo rite co ro lle, ricam i d i ste li a rcu a ti: « Q u i è u n terren o in d eso la to a b b a n d o n o , cosp arso d i rocce stratificate e corrose, ch e fa p iù so la la d isp era zio n e d e l C risto d i fro n te a ll’a n g e lo ch e g li a d d ita il cielo . N o n v ’è u m a n o co n fo rto , ch é il so n n o d e g li a p o sto li è p esa n te q u a n to l ’im ­ m o b ilità d e lle rocce ». (In fa tti n e lla p a rte sin istra d e ll’affresco, in form a d i lu n e tta , si sco rg o n o i tre a p o sto li a d d o rm en ta ti, u n o d ei q u a li stra o rd in a ria ­ m en te ra sso m ig lia n te al so ld a to d e lla T a v o la V .) L a m ed e sim a sem p licità p itto rica , la stessa severità sp iritu a le trov erem o u n a se tta n tin a d ’a n n i d o p o n e ll’Orazione nell’Orto d ip in ta ad Ivrea (v. T a v o la X X II) d a llo S p an zotti, n e l

q u a le il p re d etto lo m b a rd ism o è d i gran lu n g a p iù ev id en te, m a ch e certa­ m en te a ll’op era d el J a q u erio n o n p o tè essere in sen sib ile. C erto è p erò che in en tra m b e le p ittu re si riscon tra la stessa v o lo n tà d i sem p lifica zio n e, di so b rietà m ora le, e ch e le figu re d el v e cch io d iscep o lo co n la b arba so n o di affinità so rp ren d en te. Il m o tiv o p o i d e ll’o rto conclusus co n la siep e d i v im in i

in trec cia ti lo si ritro va id e n tic o p ersin o n e l p a rtico la re d e i p a le tti fo rcu ti in u n o scom p arto d e lla p re d ella d ella Madonna della Misericordia (M u seo M as-

sen a a N izza) d el p itto re p ro v en za le J ea n M ira ilh et, co n te m p o ra n eo d el Ja q u erio . N e p p u r e q u esta v o lta si p re te n d e ch e fra il m a estro p iem o n te se ed il m aestro fran cese ci sian sta ti c o n ta tti d ire tti: b a sta n o q u e lli fa v o r iti d a u n o stesso clim a

(59)
(60)

T a v o l a

VII

GIACOMO JAQUERIO

(Notizie dal 1401 alla morte, il 27 aprile 1453)

S.

Gi o v a n n i E v a n g e l i s t a

(Uno dei quattro Evangelisti affrescati sulla volta nella

sagrestia della chiesa dell'abbazia di S. Antonio di Ranverso)

Q u esta fin issim a figura d i E v a n g elista ch e sta m e d ita n d o e scriv en d o sed u to su u n ’a d o rn a catted ra g o tica gra zio sa m en te p osata su l terren o fiorito, è u n ’altra p rova d elle a ltissim e p o ssib ilità p itto rich e d i G ia co m o J a q u erio . S u l v o lto d i G io v a n n i rito rn a la p en so sità d e l so ld a to (T a v o la V ) deW Andata al Calvario,

co n in p iù u n a n o ta d i eleg a n za , d i ricercatezza tip ica d ella p ittu ra « cortese » d e l tem p o : m a n i d i aristocratico, ca p elli in a n e lla ti d a p a g g io , u n a tteg g ia m en to ch e sta fra riflession e e m a lin c o n ia , si d a g iu stificare il « tem p era m en to so­ g n a n te », in c lin e a sta ti co n te m p la tiv i, ch e il C arità (op. cit.) h a a ttr ib u ito al

J a q u erio ; il tu tto a n im a to d a u n co lore lev ita n te , p a rsim o n io sa m en te m o d u la to . G li E v a n g e listi d e lla v o lta d i R a n verso, ch e p re su m ib ilm en te d o v ettero essere d ip in ti d o p o l'Andata al Calvario, a term in a re la d eco ra zio n e d e ll’a m b ien te,

seg n a n o u n a sald atu ra stilistica fra la g ra n d e scen a d ra m m a tica d ella sagrestia e g li affreschi d e l p reb isterio : sia ch e q u e sti — co m e vo rreb b e il C arità — a b b ia n o seg u ito q u e lla , o viceversa. Il C a v allari-M u rat d ied e so m m a ria m en te al J a q u erio « la d eco ra zio n e d e l p reb isterio d e lla ch iesa d i S an P ietro n e i pressi d i P ian ezza, con affreschi m o lto affini a q u e lli d i S a n t’A n to n io d i R a n v erso », in clu d en d o si p erciò an ch e i q u a ttro E v a n g e listi d ip in ti su lla v o lta (op. cit.).

L a B rizio lo seg u ì (op. cit.) osserva n d o ch e « s’a tteg g ia n o in p ose sim ili agli

(61)

Riferimenti

Documenti correlati

Nel prezzo si intendono compresi e compensati gli oneri per l'aspirazione del massetto, la posa con idonei adesivi su massetto perfettamente deumidificato, la

la predisposizione di uno studio di fattibilità della ristrutturazione della rete interna di distribuzione del calore, (S.C. 33 "Riordino della disciplina riguardante gli

La Regione Piemonte e le Aziende sanitarie Regionali, seppure con compiti istituzionali diversi ma complementari, nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale

A destra, nella prima cappella, havvi una tavola, rappre- sentante Sant'Orsola, qui portata dalla distrutta chiesa della Trinità, con predella, non di Defendente,

DGR 4-92 del 19 LUGLIO 2019: Assegnazione obiettivi economico gestionali, di salute e di funzionamento dei servizi ai Direttori Generali delle Aziende Sanitarie Regionali. Tempi

38 (Requisiti di ordine generale) del D.lgs. In tal caso, questa appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o

DGR n° 4-92 del 19 luglio 2019: Assegnazione obiettivi economico gestionali, di salute e di funzionamento dei servizi ai Direttori Generali delle Aziende Sanitarie

Secondo lo studioso greco Dimacopoulos, un pri- mo slittamento concettuale nell’uso del termine anastilosi va rintracciato proprio negli avvenimen- ti che anticiparono e seguirono