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INFORMAZIONE E SOCIAL I canali digitali cambiano le notizie (e il lettore): le tendenze

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Academic year: 2021

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Se le modalità di fruizione cambiano le notizie

di Carlo Sorrentino

Secondo gli ultimi dati del Digital News Report del Reuters Institute, gli italiani adoperano

Facebook per accedere alle notizie più di chiunque altro.

Vallo a spiegare a chi si lamenta per la crescente diminuzione delle edicole; dove ormai puoi

trovare di tutto, anche la carta d’identità: il Comune di Firenze ha da poco chiuso un accordo con

l’associazione degli edicolanti fiorentini per farli diventare punto anagrafe.

E’ la digitalizzazione bellezza! Direbbe un redivivo Humphrey Bogart.

Insomma, benché sia difficile pensarlo, soprattutto per chi ha superato gli anta, le notizie non ci

arrivano soltanto attraverso quegli specifici contenitori che chiamiamo testate. Anzi, a dire il vero è

sempre più difficile ricordarci come siamo venuti a conoscenza per la prima volta di una notizia: dal

TG, per radio, attraverso lo smartphone, perché l’ha segnalato un amico sulla bacheca di qualche

social?

Le strade dell’informazione stanno diventando davvero infinite. Non a caso anche nelle statistiche

e nelle ricerche si parla di notizie di origine algoritmica per indicare quelle che - attraverso i motori

di ricerca oppure gli aggregatori - ci piovono addosso grazie alle tante profilazioni che diamo con le

nostre navigazioni.

Noi siamo quel che leggiamo, oppure leggiamo quel che siamo? Un bell’enigma.

Sebbene questo cambiamento riguardi soprattutto i più giovani, coloro che abbiamo ribattezzato “nativi digitali”, va estendendosi di giorno in giorno a tutte le fasce d’età, con una lieve diminuzione per gli over 60. Ovviamente, tali cambiamenti iniziano a modificare anche le abitudini professionali e organizzative delle redazioni. Già da qualche anno il direttore del New York Times non partecipa più alla riunione di redazione del pomeriggio – un classico nelle redazioni giornalistiche per decidere su quali notizie puntare – perché impegnato a seguire l’andamento delle news appena lanciate attraverso i social network. Nelle redazioni i giornalisti sono costantemente alle prese con appositi software che segnalano secondo per secondo l’andamento delle notizie sui social: quali hanno maggiore successo, che poi vuol dire maggiore viralità, cioè condivisioni, rilanci e quant’altro. Anche quanti di noi fanno parte del pubblico partecipano direttamente a un elemento centrale nel lavoro giornalistico: la gerarchizzazione delle informazioni. In tempo reale possiamo decretare fortune e insuccessi, attraverso l’attenzione posta sulle singole notizie.

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ipende da questo processo se negli ultimi anni alcuni temi e alcuni attori sociali hanno scalato la hit parade della popolarità, issandosi fra le issue più frequentemente riprese. I redattori hanno notato che sono scaricate, lette e condivise più di altre. Si pensi a temi come i viaggi e salute; ma anche alcuni specifici soggetti che ci ritroviamo sempre più spesso nella qualità di influencer.

Dunque, siamo nel bel mezzo di una vera e propria rivoluzione. Per riprendere un motto sempre più diffuso nelle redazioni: fino a qualche tempo fa, quando si pubblicava una notizia il lavoro giornalistico finiva; ora inizia. Proprio perché si può immediatamente capire la “carriera” di una notizia, che successo ha, a chi interessa e quale circolazione produce. Quindi, si possono individuare le più opportune modalità di

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trattazione, quella che gli anglosassoni chiamano curation: collegarla ad altre notizie, effettuare approfondimenti tematici o anche soltanto grafici, ad esempio attraverso la costruzione di un’efficace infografica.

Per questo motivo, molti – fra gli addetti ai lavori – affermano che i consumatori d’informazione entrano nel ciclo produttivo. Ne determinano il successo attraverso la lettura, la circolazione, i commenti che pubblicano. Oppure la ridefiniscono, perché sottolineano alcuni aspetti peculiari della notizia che, casomai, inizialmente non erano stati particolarmente curati dalla redazione.

Queste differenti modalità di distribuzione delle notizie hanno conseguenze significative anche sul processo di notiziabilità, nella fase di produzione vera e propria. Il giornalismo ha nel bilanciamento fra le varie notizie uno dei suoi peculiari criteri di selezione. Se devo organizzare una conferenza-stampa su di un tema economico, non la terrò nel giorno in cui il Governatore della Banca d’Italia fa la sua relazione annuale. Se, invece, devo proporre il lancio dell’ultimo disco di un cantante non l’effettuerò durante il Festival di Sanremo. E così via.

Storicamente, il giornalismo non consiste soltanto nella produzione di contenuti, ma anche nella loro organizzazione, nel loro assemblaggio. Insomma il giornalismo non è soltanto contenuti, ma anche – e forse soprattutto - un contenitore, una messa in forma delle informazioni, per riprendere la definizione del più famoso fra gli studiosi di giornalismo, Michael Schudson. Ma se i singoli contenuti hanno percorsi di distribuzione indipendenti dalle testate che li propongono, perché sono diffusi da altri contenitori – per l’appunto i social network o gli aggregatori di cui si è detto - bisogna lavorare sul singolo contenuto, più che su come questo contenuto si associa a tutti gli altri.

Diventa molto più importante il rapporto con il pubblico, la capacità di stare in ascolto per trarre indicazioni e orientare la notiziabilità. Come si può ben capire, però, è una strada scivolosa, perché porta i giornalisti a trovare delle scorciatoie per ottenere il feedback immediato del lettore, grazie a notizie di più facile presa, di agevole comprensione. In questo modo, le notizie leggere (soft news) possono crescere a dispetto delle

hard news, cioè quelle ritenute più importanti e d’interesse pubblico.

Fruire di un singolo contenuto determina, a cascata, effetti rilevanti anche sulle modalità di ricezione. Frequentare contenitori giornalistici come quelli che siamo abituati a leggere, ascoltare o guardare - il TG delle 20, il radiogiornale delle 7,30 o la lettura mattutina del quotidiano – permette di porre attenzione, casomai in modo più sporadico e distratto, anche su eventi, argomenti e news che ci interessano poco o per nulla. Sapere, comunque, che la testata ne parla fornisce un criterio di valutazione. Pur se si pone minor attenzione, si ha contezza che quell’evento o quell’argomento sono ritenuti di interesse generale. Se poi si nota che nei giorni seguenti le testate vi insistono, progressivamente attiviamo anche la nostra curiosità. Se, invece, la nostra informazione si limita a quanto arriva sulla bacheca di Facebook, perché inviataci dai nostri amici oppure grazie agli algoritmi degli aggregatori di notizie, c’è il rischio che saremo raggiunti da notizie che riguardano sempre i soliti ambiti, quelli che abbiamo dimostrato in passato di apprezzare, che condividiamo con i nostri amici oppure con i nostri colleghi di lavoro. Si perde un elemento centrale del giornalismo: la condivisione con l’intera opinione pubblica di temi generali attraverso selezione fatte da professionisti, che negoziano con vari interlocutori e diverse fonti le informazioni da dare, la prospettiva e l’enfasi da porre, gli aggiornamenti, ecc. ecc..

Non a caso alcuni critici lamentano come questa distribuzione più segmentata degli articoli e dei servizi giornalistici possa creare opinioni pubbliche settorializzate, delle bolle informative, delle camere dell’eco, in

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cui ciascuno di noi si ripiega sempre sugli stessi temi, segue determinati giornalisti, predilige specifici generi informativi. Si riduce il dialogo con quanti sono diversi e distanti, da sempre una delle caratteristiche del giornalismo: connettere individui senza farli incontrare. Rinchiudersi in mondi chiusi radicalizza anche le proprie posizioni, sviluppando una tensione emotiva alla base della recente esplosione della post-verità, per l’appunto descritta come la progressiva perdita di rilevanza dei fatti oggettivi rispetto alle credenze personali.

Per contro, sostengono quanti apprezzano i cambiamenti descritti, la segmentazione può essere attenuata dalla maggiore facilità con cui ciascun consumatore attraverso la rete può raggiungere fonti informative di qualsiasi tipo, grazie alla convocazione di voci fra loro molto dissimili, quali: testate di vario tipo, orientamento politico e culturale, nazionalità; siti di organismi pubblici; di aziende private; di fondazioni filantropiche; di associazioni politiche e sindacali; di singoli blogger. Tale eterogeneità permette svariati approfondimenti trasversali, spesso guidati dalla rete stessa, attraverso il sistema dei link o della web reputation; altre volte conseguenti all’intraprendenza e capacità del singolo navigatore, che è opportuno sia sempre meglio addestrato per compiere una fruizione più ricca e consapevole, ma anche per poter entrare nel gioco informativo attraverso commenti, precisazioni, arricchimenti, nonché scambi virali dei contenuti fruiti con altri utenti.

Insomma, la rete chiama a una maggiore responsabilità ciascun fruitore, perché gli consente di scivolare rapidamente verso il ruolo di produttore, casomai di secondo livello, ma in grado di condividere e commentare con altri le informazioni ricevute, di replicare alle fonti e ai professionisti dell’informazione giornalistica, di far circolare fra i propri amici e follower servizi e video che ritiene interessanti. Diventare un prosumer, crasi fra producer e consumer. Ma in realtà, deve acquisire anche quelle competenze propriamente giornalistiche da gatekeeper, selezionatore delle informazioni, per distinguere e isolare - nel flusso enorme di news circolanti - quelle maggiormente affidabili.

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