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Tutti i diritti riservati. 2015, De Agostini Libri S.p.A., Novara. 1 edizione: ottobre edizione ebook: ottobre 2015 ISBN:

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Tutti i diritti riservati

© 2015, De Agostini Libri S.p.A., Novara 1° edizione: ottobre 2015

1° edizione eBook: ottobre 2015 ISBN: 978-88-511-3657-4

Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo, elettronico, meccanico o in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate

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nei limiti del 15% dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto all’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633.

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Michela Marzano PAPÀ, MAMMA

E GENDER

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Indice Premessa

I. #nogender 1. Tutto si equivale 2. E le famiglie?

3. Trans: si nasce o si sceglie?

4. Principesse e calciatori

II. Capire l’ideologia gender in meno di tre minuti 1. “Tutti voi siete uno in Cristo Gesù”

2. Quando il corpo c’è, e c’è, e c’è 3. Disuguaglianza e indifferenziazione 4. La confusione dei generi

III. Venite pure avanti, voi con il naso corto 1. Elogio della mancanza

2. Le cose della vita

IV. In principio era il gender 1. Un’ideologia perniciosa?

2. Il sesso “biologico” è “culturale”

3. L’eterno femminile

4. Essenzialismo e costruttivismo

5. “Il desiderio omosessuale terrorizza il genere”

V. La #buonascuola fa la differenza 1. Senza bussola e senza indicazioni 2. Che idea ha mai Caitlyn della donna?

Epilogo

Glossario

A mio fratello Arturo A mio marito Jacques

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La sessualità è un argomento molto complesso, sul quale esiste anche un

“conflitto di interpretazioni”. È un campo oscuro, profondo, magmatico,

difficilmente definibile. È una parte dell’esistenza dove entrano particolarmente in gioco il subconscio (e l’inconscio?), dove le spiegazioni razionali possono trovare, nei singoli ma anche nei gruppi sociali e nelle culture, una resistenza interiore che non si lascia convincere. Ciò è dovuto anche al fatto che ci sono certamente dentro di noi caverne oscure e labirinti impenetrabili.

Carlo Maria Martini, Credere e conoscere

Premessa

“Giù le mani dai nostri figli”, “Uomo e donna siamo nati”, “Stop gender nelle scuole”, “Il gender è lo sterco del demonio”. Otto anni dopo il primo Family day, che aveva visto scendere in Piazza San Giovanni oltre un milione di persone al suono di “il bene della famiglia è il bene del Paese”, il 20 giugno 2015 si è celebrato, sempre in Piazza San Giovanni, un secondo Family day. Di nuovo un milione di persone in piazza. Questa volta, però, non solo per difendere la famiglia nel momento in cui in Parlamento si era ricominciato a discutere delle unioni civili, ma anche per opporsi al “progetto folle” di introdurre nelle scuole il gender.

“Mi chiedo se la teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione che mira a cancellare la differenza perché non sa più

confrontarsi con essa”, aveva detto qualche mese prima Papa Francesco,1

legittimando così, anche se indirettamente, l’ostilità nei confronti del gender. Ma che cos’è veramente questa teoria? Esiste? È vero che si vuole insegnare ai più piccoli che il sesso lo si sceglie in base a quello che via via si percepisce, come dice un video realizzato dall’Associazione ProVita? È vero che, d’ora in poi, non si parlerà più di “padre” e di “madre” ma di “genitore 1” e di “genitore 2”? È vero che anche la pedofilia è un genere e che sarà presto legalizzata? È vero che si insegna la masturbazione precoce già negli asili, come pretendono altri video?2

“Ma hai visto che roba questo gender?” mi hanno chiesto preoccupati tanti genitori negli ultimi mesi, mentre questi video cominciavano a diffondersi in maniera sempre più massiccia. “E quei bimbi che svengono a scuola e che la notte non riescono a dormire perché fanno troppi incubi?”, “Cosa sono questi LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) che intervengono a scuola?”. E via di

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seguito. Mille domande e molta angoscia per tante persone che, in tutta buona fede, si preoccupano per i figli.

Ci ho messo del tempo a capire cosa stesse succedendo. Ho sottovaluto

l’ampiezza del fenomeno. Forse sono stata disattenta. Fatto sta che, per mesi, mi sono limitata a pensare che esagerassero un po’ tutti. Non solo chi stava

demonizzando il gender, ma anche chi, impegnato nella lotta contro le

discriminazioni e il bullismo, mi segnalava l’ostilità crescente nei confronti di ogni iniziativa e attività finalizzata a decostruire gli stereotipi sessisti e omofobi.

Per mesi, non ho realizzato che si stava pian piano creando una frattura profondissima nel nostro Paese. Da un lato, coloro che sono convinti che si stia portando avanti un progetto di indottrinamento dei più piccoli volto a scardinare i valori della famiglia e a banalizzare qualunque comportamento sessuale.

Dall’altro, coloro che sono altrettanto convinti che sia necessario promuovere nelle scuole non solo la cultura del rispetto e del dialogo, ma anche una reale educazione all’accettazione delle differenze e al rifiuto delle discriminazioni. Da una parte, quelli che vengono sempre più spesso designati come adepti del relativismo etico – nonostante si tratti spesso di padri, madri, sorelle e fratelli di persone omosessuali o transessuali, uomini e donne che si sono confrontati direttamente con il dramma di una persona emarginata solo perché gay, lesbica o trans. Dall’altra, gli essenzialisti e tutti coloro che credono che esista una

definizione unica e assoluta del Bene, ma anche l’Azione Cattolica e molti

intellettuali di sinistra, che forse non si sono ancora confrontati con il dramma che possono vivere un figlio o un amico gay, o una figlia e un’amica lesbica, nel

momento in cui si sentono rigettati ed emarginati. Non stiamo rischiando di impantanarci in un’inutile guerra ideologica in cui, già oggi, nessuno ascolta più nessuno?

Non si tratta, in realtà, di una problema solo italiano. In Francia ad esempio – dove nel 2012 è nato il movimento della Manif Pour Tous – circolano libri e pamphlet inutilmente polemici contro il gender. “La consacrazione

contemporanea del gender rappresenta una quadrupla rivoluzione: culturale, concettuale, politica e giuridica”, scrive un saggista.3 “Culturale perché rimette in discussione l’alterità sessuale; concettuale, mischiando le nozioni di maschile, femminile, sesso e violenza; politica, perché ormai il gender è un riferimento costante nella sfera pubblica; giuridica, infine, con l’introduzione di nuovi reati penali” (si legga: il femminicidio, visto che anche le lotte contro le violenze nei

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confronti delle donne sarebbero il frutto marcio di questa nuova ideologia). Prima di concludere: “Il gender ha come scopo la decostruzione della norma

eterosessuale per sostituirle la proliferazione di generi alternativi”. Subito osannato da “Le Figaro” per “l’argomentazione rigorosa e implacabile”, questo pamphlet, di fatto, mischia tutto: il sesso, l’identità di genere, l’orientamento sessuale, i ruoli di genere e le pratiche sessuali. E meno male che

l’argomentazione doveva essere rigorosa…

“Nominare in maniera corretta le cose”, diceva Albert Camus, “è un modo per tentare di far diminuire la sofferenza e il disordine che ci sono nel mondo”. Lo scopo del presente libro è proprio questo. Smontando le interpretazioni più fantasiose che circondano oggi la cosiddetta “ideologia gender”, attraverso la lettura e il commento di quei video e quegli scritti ormai virali. Video e documenti spesso pieni di errori grossolani (voluti? inconsapevoli? dettati dall’ignoranza?) e tanta confusione (voluta? inconsapevole? dettata dall’ignoranza?) in cui si

afferma ad esempio, come fosse un’evidenza, che il gender parlerebbe di un

“diritto naturale di cambiare le scelte entro i cinque sessi, quali quello gay, lesbico, bisessuale, transessuale ed eterosessuale”,4 mischiando così ancora una volta sesso, genere e orientamento sessuale. In che senso una lesbica, ossia una donna attirata affettivamente e sessualmente da un’altra donna, potrebbe

“cambiare scelta” e “scegliere” di diventare gay, ossia un uomo attirato

affettivamente e sessualmente da un altro uomo? In che senso un uomo o una donna omosessuale, ossia una persona attirata sessualmente e affettivamente da una persona del suo stesso sesso, sceglierebbe di diventare transessuale, ossia una persona che, precocemente, profondamente e permanentemente si

percepisce come uomo, anche se geneticamente e morfologicamente è femmina, oppure come donna anche se geneticamente e morfologicamente è maschio?

In verità gli studi sul gender hanno come scopo soprattutto quello di combattere contro le discriminazioni e le violenze subite da chi, donna, omosessuale o trans, viene considerato inferiore solo in ragione del proprio sesso, del proprio

orientamento sessuale o della propria identità di genere. È il motivo per cui, da tempo, mi occupo di gender e non capisco come mai ci sia oggi tanta ostilità e tanta paura nei suoi confronti, nonostante io stessa creda che certe posizioni siano talvolta radicali, talaltra persino eccessivamente provocatrici. Non bisogna però buttare via il bambino con l’acqua sporca.

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Il filo rosso che attraversa da anni il mio lavoro è il tema della crepa. Quella stessa crepa che rovina la perfezione della “coppa d’oro” del racconto di Henry James. Apparentemente perfetta, la coppa svela pian piano l’intreccio complesso di verità e menzogne che caratterizzano l’esistenza umana: non è d’oro, ma di cristallo; non è integra, ma ha una crepa. Proprio come la vita. Che è sempre più complessa e contraddittoria di quanto non si immagini. “Nient’altro che uno smarrirsi sulla strada di casa”, come dice Murphy, il protagonista dell’omonimo romanzo di Samuel Beckett. Ma allora dov’è che andiamo quando andiamo da qualche parte? E se poi ci smarriamo del tutto?

È sempre partendo da questa crepa e da questo smarrirsi per strada che, in questo libro, vorrei avvicinarmi al tema del gender. Per raccontare la genesi del concetto e le sue mille sfaccettature. Ma anche per mostrare come gli studi di genere c’entrino molto poco con le rappresentazioni che se ne danno e con i fantasmi che suscita oggi anche solo la parola “gender”.

Parigi, agosto 2015

1 Era il 15 aprile 2015, nel corso di un’udienza dedicata al tema della complementarietà tra uomo e donna.

2 Sono queste le idee diffuse non solo dai video realizzati da associazioni come ProVita e la Manif Pour Tous Italia – e messi a disposizione di tanti genitori sia dall’Associazione Italiana Genitori (AGE) sia dall’Associazione Genitori Scuole Cattolica (AGeSC) – ma anche da molti articoli e documenti più strutturati e che, da mesi, circolano attraverso mailing list, chat, Facebook e WhatsApp.

3 D. Godefridi, La Loi du genre, Les Belles Lettres, Paris 2015.

4 G. Tettamanti, La teoria del “gender” e la “rivoluzione antropologica”, in La teoria del “gender”: origini, falsità, equivoci, pericoli, Orientamenti pastorali, 1-2, 2015, p. 79 – tornerò in dettaglio su quest’articolo nel capitolo 4.

“Murphy, la vita è solo figura e sfondo”

“Nient’altro che uno smarrirsi sulla strada di casa” – aveva replicato Murphy.

Samuel Beckett, Murphy Quali sono in noi gli spazi per ascoltare l’altro, perché il dire dell’altro non dico ci sia chiaro ma almeno ascoltabile, non immediatamente negato?

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Simone Berti, Identità precarie

I.

#nogender

Nel gennaio del 2015, viene presentata in Senato una petizione promossa dalle associazioni ProVita, AGE, AGeSC, Giuristi per la Vita e Movimento per la Vita, e rivolta al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio e al ministro dell’Istruzione, in cui si chiede al Governo di sostenere una sana educazione che rispetti “il ruolo della famiglia nell’educazione all’affettività e alla sessualità”. Per i promotori, nessuno può più ignorare che nelle scuole, ormai, “si introduce la teoria del gender”. E che lo si fa “in modo subdolo” e “fin dall’asilo nido”: “Il concetto generico di non discriminazione nasconde molto spesso: la negazione della naturale differenza sessuale e la sua riduzione a un fenomeno culturale che si presume obsoleto; la libertà di identificarsi in qualsiasi genere

indipendentemente dal proprio sesso biologico; l’equiparazione di ogni forma di unione e di famiglia; la giustificazione e normalizzazione di quasi ogni

comportamento sessuale”.

Rilanciata sul quotidiano “Avvenire”, la petizione comincia a diventare “virale”

nel momento in cui, utilizzando l’hashtag #nogender, l’associazione ProVita5 – da mesi in prima linea contro il gender – realizza uno spot di 45 secondi in cui

vengono succintamente spiegati i contenuti di questa nuova ideologia. Che cosa dice esattamente questo spot?6

Il video si apre con un bimbo che, appena tornato a casa, fugge via senza nemmeno salutare il padre.

PADRE: Che succede?

MADRE: È sconvolto, poveretto. A scuola hanno fatto una lezione di educazione sessuale basata sulla teoria del gender.

PADRE: Cioè?

MADRE: Le scuole sono obbligate. Sono direttive del Governo. Gli hanno detto che dovrà scegliere in futuro se essere uomo o donna. Dipende da come si sente.

PADRE: Ma come?

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MADRE: Che è normale cambiare di sesso. Che puoi essere quello che vuoi: né uomo né donna. Che qualsiasi orientamento sessuale va bene. Che si può cominciare anche da piccoli a fare sesso.

VOCE FUORI CAMPO: Vuoi questo per i tuoi figli?

PADRE: No!

VOCE FUORI CAMPO: No alla teoria del gender nelle scuole!

Riassumiamo brevemente: scegliere se essere uomo o donna; cambiare sesso se e quando si vuole; fare sesso da piccoli. Come si fa a non allarmarsi di fronte a messaggi di questo tipo? Come si fa a non cedere allo sconforto? Molto

probabilmente anch’io mi allarmerei se avessi un bimbo o una bimba alla scuola materna o alle elementari cui qualcuno venisse a raccontare un decimo delle cose elencate alla rinfusa nello spot. Difficile tra l’altro anche solo ribattere che non è possibile, che ci deve essere un errore o che si tratta di un fraintendimento quando non se hanno gli strumenti. Come si fa però ad averne quando si viene catapultati in un mondo di concetti complessi come l’identità di genere o

l’orientamento sessuale su cui esistono centinaia di libri accademici ma di cui, fino a ora, non si è praticamente mai parlato in maniera pacata e seria nei dibattiti pubblici?

E allora non stupisce poi di leggere il messaggio di una mamma che, andata a uno dei numerosi incontri organizzati in questi ultimi mesi sul gender,7 racconta inquieta che stanno insegnando ai figli che “al di là del proprio sesso biologico possono decidere autonomamente di appartenere a un altro Genere:

omosessuale, bisessuale e chi più ne ha più ne metta, includendo in questo Genere anche il Genere pedofilo” – perché poi è così che accade: il rumore, per definizione, si amplifica, si deforma, degenera. Fino a mischiare veramente tutto:

identità di genere e orientamento sessuale, differenze di sesso e pratiche sessuali.

“A lungo termine, cosa peraltro già proposta nella democratica Germania, vi sarà la legalizzazione della pedofilia, che non sarà più un reato ma una condizione di Genere”, racconta sempre questa mamma angosciata. Prima di aggiungere:

“Tutte le scuole saranno uniformate in tutta Europa (vedi linee guida OMS8).

Iniziano sin dall’asilo insegnando la masturbazione precoce e via via fino al sesso completo (non importa con chi) e all’interruzione di gravidanza anche in fase avanzata.”

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Da dove iniziare allora? Come fare per spiegare che questo spot è un’accozzaglia di errori che, deformando la realtà, suscita solo ansia e paura?

Forse è bene procedere passo dopo passo. Cominciando dal dossier preparato sempre dall’Associazione ProVita – e messo a disposizione dei genitori attraverso le mailing list dell’AGE e dell’AGeSC – in cui si fa la lista di tutti quei documenti e quelle iniziative in cui “con il pretesto di educare all’uguaglianza e di combattere le discriminazioni, il bullismo, la violenza di genere o i cattivi stereotipi spesso si promuovono l’equiparazione di ogni orientamento sessuale e di ogni tipo di famiglia, la prevalenza dell’identità di genere sul sesso biologico, la decostruzione di ogni comportamento o ruolo tipicamente maschile o femminile insinuando che si tratterebbe sempre di arbitrarie imposizioni culturali”.9

È da qui infatti che si deve partire per capire il messaggio e le derive dello spot

#nogender. Anche perché, già in queste poche parole di presentazione, c’è molta confusione e approssimazione. Come si fa a educare all’uguaglianza e a lottare contro le discriminazioni – cosa su cui sembrano tutti d’accordo – se non si promuove anche l’equiparazione di ogni orientamento sessuale smettendola di dire e insegnare che l’omosessualità è una deviazione rispetto all’eterosessualità?

Come si possono combattere i cattivi stereotipi se non si fa lo sforzo di analizzare le modalità attraverso cui certi ruoli di genere stereotipati sono stati storicamente e culturalmente costruiti?

1. Tutto si equivale

Tra le “pièces à convictions” (elementi di prova) della “contestabile

equiparazione” di ogni orientamento sessuale si cita un incontro avvenuto a Perugia nel 2012 quando, durante un’assemblea studentesca avente per oggetto l’orientamento sessuale e il bullismo di genere, era intervenuto un esponente del Gruppo Giovani Arcigay.

E allora? Chi meglio di un omosessuale può parlare con i ragazzi di quindici o sedici anni dei pregiudizi con i quali ci si deve confrontare? Chi meglio di una persona che ha vissuto la difficoltà del coming out, l’ostilità di tanti, e la necessità di essere riconosciuto per quello che è può parlare con i ragazzi di bullismo?

Lottare contro le discriminazioni significa innanzitutto smetterla di pensare che esista un orientamento sessuale “buono” e un orientamento sessuale “cattivo”.

Significa quindi equiparare effettivamente l’eterosessualità e l’omosessualità

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senza più suggerire che ci sarebbe, da un lato, un’eterosessualità normale, positiva, sana e, dall’altro lato, un’omosessualità anormale, negativa, malata. Da un parte, una sessualità volta alla procreazione. Dall’altra, una sessualità sterile, contro natura, peccaminosa. Ma per ProVita – e si tratta qui di un’altra iniziativa ispirata alla teoria gender, e quindi contestata dall’associazione – anche

diffondere questionari tra i docenti in cui si chiede loro di esprimere il proprio accordo/disaccordo su frasi come “l’omosessualità è una malattia” sarebbe scorretto.

Ecco allora che, illustrando questi formulari distribuiti nel novembre 2013 in Friuli Venezia-Giulia all’interno di un progetto regionale di prevenzione e

contrasto al fenomeno del bullismo omofobico, ProVita parla di una “Gaystapo”

che “sottopone gli insegnanti e i lavoratori del settore scuola a un questionario- sondaggio intimidatorio e lesivo della libertà di pensiero”. Un’irruzione

inaccettabile nella vita dei docenti, quindi. Come se capire come si reagisce a scuola quando si sente dire a un ragazzo “frocio”, “finocchio” o “culattone” – come purtroppo è accaduto e accade ancora oggi – fosse un modo per censurare gli insegnanti e non, invece, una maniera per tutelare tutti gli alunni e tutte le alunne. Come si fa a proteggere ragazze e ragazzi affidati alle proprie cure se non si reagisce quando una o uno di loro viene insultato e offeso solo perché

omosessuale? Come si fa a decostruire gli stereotipi e a promuovere l’uguaglianza quando si pensa – e talvolta si dice – che l’omosessualità è una malattia da

curare?

Fine dell'estratto Kindle.

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