R i f d
quadeRni della Rivista inteRnazionale di filosofia del diRitto9
Convegno internazionale
Cov&R - Colloquium on violence and Religion
disordine e ordine
il fattore mimetico in politica e nella storia
salina, 14-18 giugno 2011
atti
a cura di francesco Mercadante, Maria stella Barberi,
Riccardo di Giuseppe e Giuseppe fornari
© Copyright Dott. A. Giuffrè Editore, S.p.A. Milano - 2012
La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm, i film, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i paesi.
Presentazione 1 di Francesco Mercadante
Fra Scilla e Cariddi. Gl’insidiosi gorghi del disordine mimetico.
Prolusione a Cov&R 2011 3 di Maria stella BarBeri
Il nichilismo archeologico di Giacomo Leopardi 11 di Francesco Mercadante
Sezione I
Il disordine politico cifra dell’Occidente
Un affondo mimetico: il Leviatano di Carl Schmitt 29 di Maria stella BarBeri
La civiltà ha bisogno della religione? Le riflessioni di Reinhold
Niebuhr 61 di Giuseppe Buttà
La scelta dell’ordine in Eric voegelin 75 di dario caroniti
War of the worlds: enemy brothers in the modern constitution 97 di stephen l. Gardner
Sulla ricerca dei fondamenti filosofici dell’ordine politico 125 di paolo pastori
* * *
Rifare ordine: l’illusione della retribuzione 185 di steFano Biancu
InDICE
VI indice
Radici nichilistiche della modernità: distruzione del mediatore e prolife-
razione del desiderio 199 di GaBriella cotta
Caillois e Girard interpreti di Clausewitz 213 di siMone di Blasi
Sovranità e giacobinismo. Ruolo della mediazione nella libertà autodeter- minante dei soggetti 231 di andrea Favaro
Riforma e controriforma: un paradigma rivalitario dell’identità europea 265 di pasquale M. MoraBito
L’«otre forato»: ordine e disordine storico e politico nel Gorgia di Platone 285 di valerio Mori
Mito morale e violenza in Georges Sorel 309 di Francesco saija
Sezione II Islam e Occidente
Mediterraneo come luogo di scontro? 325 di MaGdi cristiano allaM
* * *
Il sacrificio in terra d’Islam: costruzione del martirio e funzione soterio-
logica nel culto di Husayn a Kerbala 339 di alessandra Minniti
En lisant le Coran: de la dénégation de la crucifixion à la réhabilitation
de la violence archaïque divine 353 di radu stoenescu
Sezione III
Bellezza che salva / bellezza che perde
La misteriosa identità della Musa e le origini della poesia europea 371 di riccardo di Giuseppe
VII
indice
Mediazione trinitaria. oggetto salvifico e dimensione estetica in
Dante 387 di Giuseppe Fornari
La nativité du Caravage: une triple énigme 423 di Baldine saint Girons
* * *
L’uomo del sottosuolo. Dostoevskij letto da Pareyson 441 di daniele M. cananzi
Amleto, Faust e Zarathustra: il dramma dell’individualismo moderno 465 di MarGherita Geniale
Sezione IV
Desiderio, vendetta, ritualizzazione
Tra quid iuris e quid iustum 479
di doMenica Mazzù
«Chi ha cominciato?». Simmetria e asimmetria nelle teorie della
vendetta di Freud e di Girard 493 di GianFranco MorMino
* * *
Ernesto de Martino: crisi della presenza e crisi mimetica a confronto 511 di eMilia andri
Il cannibalismo delle relazioni in Franz von Baader 525 di elena cuoMo
Le Pére et le Sacrifice: vers un nouveau paradigme pour la science
politique? 549 di thierry paulMier
Movimenti di cura 577
di anGela prestiFilippi
L’ordine, la vendetta e il duello nella Chanson de Roland 609 di Ferdinando raFFaele
VIII indice
Sezione V Figurazioni del disordine
Alle origini dell’arte del racconto. Una nota sul letto di Ulisse 631 di Giovanni loMBardo
Desiderio secondo sé e secondo l’altro in Mensonge romantique et vérité
romanesque 651
di silvio MoriGi
* * *
«Dubito che vi si ascolti». René Girard e Denis de Rougemont: un rappor- to inesplorato 675 di daMiano Bondi
Il centro imploso dell’ordine culturale: Messina e la Lisabetta di Pasolini 689 di doMenico paluMBo
Todo modo: una lettura teologico-politica 703 di salvatore presti
Eros mimetico e thanatos sacrificale nel romanzo Il profumo 717 di Maria Grazia recupero
La liberazione dello schlemiel in Ombre e nebbia di Woody Allen 739 di Maria Felicia schepis
riccardo di Giuseppe
La misteriosa identità della Musa e le origini della poesia europea
Les miroirs feraient bien de réfléchir un peu plus avant de renvoyer les images
cocteau
Paschalis fratris
4.iii.McMlxi – 1.iii.MMxii
in memoriam
Il problema
Chi è la «Musa»? Vale a dire, quali sono le origini della poesia occidentale?1
Alle scaturigini della letteratura europea si staglia una figura femminile – come a dire, una forma speciale di assenza.
Ben nota ai romantici sotto le vesti della ‘musa ispiratrice’, e benché sottoposta ad una sorta di torsione sentimentale, la figura enigmatica della patrona della poesia evoca, dalle origini, un Leitmo- tiv femminile – altrimenti detto, il mistero della relazione del poeta con l’universo della femminilità.
Ma cosa c’è alle spalle di questo tema romantico? E come si può rimontare sufficientemente all’indietro onde discernere ed, eventual- mente, afferrare le ragioni di questa assenza? Bisognerà impegnarsi
(1) Cfr. W.F. otto, Die Musen und der göttliche Ursprung des Singens und Sagens, Düsseldorf, 1956.
372 riccardo di giuseppe
in una sorta di détour: una sorta di peripezia in cui, come d’uopo, alle origini si potrà pervenire soltanto attraverso un’indagine storica.
Detto in altri termini, con i piedi per terra.
Le premesse
Ben lungi, in effetti, dalla lettura sentimentale che si è affermata nella temperie romantica, alle origini della poesia europea – come in altre, ben attestate, civiltà e tradizioni – c’è un genere letterario che ben poco ha a che spartire con la lirica dell’anima e l’afflato soggettivo: intendiamo dire la poesia eroica, o epos2, sulle cui ori- gini orali – collettive, cioè anonime, formulari e tradizionali – la ricerca del secolo scorso ha ottenuto dei risultati decisivi, a partire dalla grande opera di scavo sulla poesia serba condotta dall’ameri- cano Milman Parry3. Per quanto concerne, dunque, la prospettiva degli epigoni, quando la nebulosa del canto degli aedi – della poesia eroica, orale e collettiva – si metamorfizza in letteratura, l’accesso a questa nuova tradizione sarà garantito dalle porte reali di Omero;
cosicché la circolazione, o respirazione poetica, della tradizione oc- cidentale passa per quel varco che è dischiuso dai portali dell’Iliade e dell’odissea4.
È proprio lì, in effetti, che noi riconosciamo – nel cominciamento stesso della letteratura europea, chiaro una volta per tutte in questi due segnacoli – l’identità femminile della dea, nel proemio dell’Ilia- de, ovvero della musa, nel proemio all’odissea. negli esordi paralleli dei poemi omerici, la nostra tradizione assiste all’evocazione, ed alla conseguente apparizione come canto (una sorta di «fonofania»), di una divinità femminile misteriosa, su cui poi si innesta, a distanza di millenni, il motivo romantico della musa ispiratrice.
(2) C.M. Bowra, Heroic Poetry, London, 1952.
(3) Cfr. The Making of the Homeric verse, The Collected Papers of Milman Parry, Ox- ford – new York, 1987. Per una ricognizione della questione, cfr. R. di donato, Problemi di tecnica formulare e poesia orale nell’epica greca arcaica, «Annali della Scuola normale Superiore di Pisa» 28 (1969), pp. 243-294.
(4) F. Ferrucci, L’assedio e il ritorno, Milano, 1974.
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la misteriosa identità della musa e le origini della poesia europea
Chi, dunque, è la Musa di Omero? E perché la patrona della po- esia eroica è una donna? Qual è, insomma, il fondamento che tiene assieme struggimento romantico ed epos aristocratico?
Cercheremo un principio di risposta a queste domande evocando un’ipotesi a partire dalla filosofia: a partire, in altri termini, da un punto di vista eminente e privilegiato, perché – allo stesso tempo – interno ed esterno alla tradizione che deve essere spiegata, dato che le radici della filosofia greca allignano sul terreno dell’epos ellenico5.
La chiave
non è, in effetti, sufficientemente noto che le origini della filosofia affondano nell’humus della poesia, o – più rigorosamente – dell’epos aristocratico. È il maestro stesso di Parmenide, il rapsodo vagabondo dalla Faccia-di-straniero, Senofane di Colofone, che ce lo garantisce:
già che tutti, dal principio, sono ben andati alla scuola di omero6. Una volta liberata dagli schemi aristotelici, che trovano le proprie origini in alcuni accenni di Platone, e passano alla tradizione con Le opinioni dei Fisici di Teofrasto7, e vista sotto l’angolo dell’on- tologia, come vogliono Platone ed Aristotele medesimi, la filosofia occidentale nasce, con Parmenide, in quel genere letterario cui fanno da guard-rail i cosiddetti esametri eroici. Fa fede della filiazione la genealogia Esiodo-Senofane-Parmenide-Empedocle, che trova il suo fondamento nel primo rapsodo che osò distaccarsi da una tradizione collettiva onde imporre ai propri versi il proprio nome. Che cos’è la filosofia dal punto di vista dell’epos? È quella forma di canto eroico
(5) R. di Giuseppe, Le voyage de Parménide («La main d’Athéna, Philosophie»), Paris, 2011, pp. 159-235; A. delatte, Études sur la littérature pythagoricienne («Bibliothèque de l’École des Hautes Études», 217), Paris, 1915; M. detienne, Homère, Hésiode et Pythagore («Collection Latomus», 57), Bruxelles, 1962; M.-C. leclerc, La parole chez Hésiode, A la recherche de l’harmonie perdue («Collection d’Études Anciennes», S. gr., 121), Paris, 1993.
(6) senoFane B10 Diels-Kranz.
(7) H.F. cherniss, Aristotle’s Criticism of Presocratic Philosophy, new York, 1964 (rist., 1983; 1a ed., Baltimore, 1935).
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in cui il cantore si identifica con l’eroe, e l’eroe cantato si trasforma – a rovescio – in quell’uomo del vedere e del sapere che è il rapsodo.
In cui, per conseguenza, le gesta da consegnare all’immortalità si identificano con un exploit della coscienza e della conoscenza; e in cui, per finire, la Musa ispiratrice si trasforma – in maniera inaudi- ta – in verità8. Come a dire, nell’origine assente del discorso della filosofia. La Musa sta all’epos come la Verità – Alethéie: la nuda, la Svelata, la ‘Scoperta’ – sta alla novità della filosofia (logos).
Siamo in grado di narrare numerose falsità ben uguali a fatti certi e sappiamo, se vogliamo, intonare cose vere9.
Alla scuola di Esiodo, fondatore negletto10, la filosofia si coniu- ga, nel suo cominciamento, come un epos che aspira a dire verità – alla luce dell’approfondimento eleatico, come un epos che aspira alla Verità in carne ed ossa. Come un Canto di Aletheie, per conseguenza, con valore di genitivo oggettivo e soggettivo. È su questa base – su questo approfondimento, e su questa trasformazione della riflessione poetica, condotta dagli aedi, in espressione della Verità, intesa come Musa della filosofia – che intendiamo fornire il nostro contributo alla origini sacrificali della poesia occidentale; un tema che, in seguito, si trasformò – assieme ad altri – in qualche cosa di più maneggiabile, ed edulcorato, grazie alla trasformazione romantica e sentimentale della donna assente in ‘musa’ ispiratrice.
Il poema di Parmenide getta, dunque, chiara luce sulla questione delle origini sacrificali della poesia e della civiltà occidentale – sul ruolo del sacrificio, femminile in fattispecie, in rapporto alle origini della letteratura. Detto in altre parole, il poema parmenideo permet- te di unificare i due assi fondamentali della riflessione di René Gi-
(8) Per i fondamenti scientifici di queste affermazioni mi permetto di rinviare a di Giu-
seppe, Le voyage de Parménide, cit.
(9) esiodo, Teogonia 16 s. (West).
(10) Cfr. O. GiGon, Der Ursprung der griechischen Philosophie, von Hesiod bis Par- menides, 2a ed., Basel – Stuttgart, 1968 (1945), pp. 13-40; H. diller, Hesiod und die An- fänge der griechischen Philosophie, «Antike und Abendland» 2 (1946), pp. 140-151; il capolavoro di H. Fränkel, Dichtung und Philosophie des frühen Griechentums, München, 1976 (1a ed., 1962; ed. or. inglese, new York, 1951); e leclerc, La parole chez Hésiode, cit.
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la misteriosa identità della musa e le origini della poesia europea
rard11: l’indagine sull’essenza della letteratura nella vexata quaestio del doppio, riformulata come ‘desiderio mimetico’ (è l’analisi ver- tiginosa di Mensonge romantique et vérité romanesque), coniugata con il tema della violenza collettiva – come a dire, delle origini del sacrificio – come è stato presentato, una decade più tardi, nella trat- tazione graffiante de La violenza e il sacro. L’unificazione di questi due assi si farà eliminando un pregiudizio che induce Girard, nella sua analisi della violenza, non solo ad ignorare de facto il sacrificio femminile, ma a negare de iure la sua ammissibilità.
On peut soutenir que, dans de nombreuses cultures, les femmes n’ap- partiennent pas vraiment à la société et pourtant jamais ou presque elles ne sont sacrifiées. A ce fait, il y a peut-être une raison très simple.
La femme mariée garde des attaches avec son groupe de parenté, alors même qu’elle devient, sous certains rapports, la propriété de son mari et de son groupe à lui. L’immoler serait toujours courir le risque de voir l’un des deux groupes interpréter le sacrifice comme un véritable meurtre et entreprendre de le venger12.
Tutt’al contrario, il sacrificio femminile – il sacrificio collettivo di una fanciulla e, più precisamente, di una vergine – appare come una delle chiavi di volta delle civiltà del Mediterraneo antico13. E la speculazione parmenidea sulle origini della poesia, nota all’Occi- dente come ontologia, fornisce, mi sembra, una forte corroborazione all’ipotesi che la Musa è la voce di una vittima, o di un fondamento
(11) Cfr. R. Girard, Mensonge romantique et vérité romanesque, Paris, 1961; Id., La violence et le sacré, Paris, 1972; Id., Des choses cachées depuis la fondation du monde, Re- cherches avec J.-M. oughourlian et G. Lefort, Paris, 1978. Un approfondimento essenziale della teoria mimetica sul terreno della filosofia greca è fornito da G. Fornari, Da Dioniso a Cristo, Conoscenza e sacrificio nel mondo greco e nella civiltà occidentale, Genova – Mi- lano, 2006 (1a ed., Bologna, 2001).
(12) Girard, La violence et le sacré, cit., p. 28.
(13) Cfr. E. ciaceri, Culti e miti nella storia della Sicilia antica, Catania, 1911; W.
Burkert, Homo Necans, Anthropology of Greek Sacrificial Ritual and Myth, trad. ingl. riv., Berkeley, 1983, pp. 58-72 (ed. or., Homo Necans, Interpretation altgriechischer opferriten und Mythen, Berlin, 1972); Id., Greek Religion, Archaic and Classical, Cambridge, Mass., 1985 (ed. or., Griechische Religion der archaischen und klassischen Epoche, Stuttgart, 1977); di Giuseppe, Le voyage de Parménide, cit., pp. 208-35; n. loraux, Façons tragiques de tuer une femme, Paris, 1985; G. hoFFMann, La jeune fille, le pouvoir et la mort dans l’Athènes classique («De l’archéologie à l’histoire»), Paris, 1992.
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assente, non solo nei Propilei omerici della letteratura occidentale, ma lungo tutto il filo dell’epos europeo, dai frammenti del ciclo epico acheo fino, almeno, all’orfeo di Jean Cocteau.
L’invariante
In effetti, nel poema di Parmenide, il primo testo della letteratura occidentale che menzioni la dea Verità, Alethéie – la S-coperta, la S-viscerata, la nuda ovvero, più precisamente, Colei-che-(infine)-è- stata-messa-a-nudo – è, di fatto, nascosta, coperta, velata e, in ul- tima analisi, perfettamente assente; ed è una seconda divinità – un suo doppio, ossia alter ego – chiamata tout court «dea» proprio co- me nell’Iliade, che si incarica di redigere il reportage di questa sua mancata apparizione, di là dalla Porta che schiude l’accesso all’A- de, centro del mondo e luogo medesimo della rivelazione suprema dell’essere, cioè della fondazione della filosofia greco-europea-occi- dentale-mondiale14.
Se la filosofia post-moderna, o French theory – come è vezzo, talvolta, di dire oltreoceano e come ripete, ironicamente, Girard – ci ha abituati a pensare il discorso filosofico come per sempre amputato, e zoppicante, di un supplemento di verità (Derrida), questo supple- mento di Derrida è – nelle origini – la verità stessa, la dea Alethéie o, come si usa dire, la verità in persona, la nuda dea Verità in carne ed ossa. La sua assenza, soltanto, giustifica e fonda quel «discorso attorno alla Verità»15 che non è la Verità ma, a partire da Parmenide, il discorso della filosofia.
È, dunque, un centro assente su cui ruota, dalle origini, il logos dei filosofi e l’epos eleatico; e questo centro altri non è che una Verità presentata come una divinità assente: la S-coperta, o Dis-coperta, che è coperta e – anzi – nascosta.
(14) G. cerri, L’Ade come centro del cosmo, luogo primordiale e fonte della verità nella cultura greca arcaica e tardoarcaica (omero – Esiodo – Parmenide), «Atti della Accademia Peloritana dei Pericolanti», Cl. di Lett., Fil. e Belle Arti 71 (1995), pp. 63-96.
(15) Logon… amphìs Alethéies: parMenide, fr. B1, 50 s. Diels-Kranz.
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la misteriosa identità della musa e le origini della poesia europea
Il poema è, dunque, rappresentato come un viaggio: dipartendosi dall’enigma della mancanza di un soggetto per il verbo essere, che è il principio e il fondamento dell’argomentazione e del linguaggio,
«È!»
il celeberrimo frammento 8 di Parmenide percorre una spirale centrifuga, marcata dall’imbricazione di trentuno predicati in que- sta nudità sovrana di uno stato senza soggetto, che risulta, all’anali- si, identico all’enstasi del più alto stato mistico di tutte le tradizioni religiose dell’umanità, fatte salve quella ebraica e cristiana: quello dell’identificazione, fusione, ovvero implosione del soggetto co- noscente e dell’oggetto conosciuto nella conoscenza che dovrebbe metterli in relazione («essere»), fino a concludersi in quel prodot- to finale, limitato e rinchiuso su se stesso, che è la cosiddetta sfera di Parmenide: la palla dell’Ente (ovvero Ciò-che-è, altrimenti detto:
l’è!), che si fa, vanamente, soggetto di se stesso ed è il cosiddetto ‘Es- sere’ di Heidegger e dei filosofi. Questa sfera solida e irrimediabil- mente opaca, muta come diceva Kojève16, che non pensa, né sente, né vive, come dichiara Platone nel Sofista17, ma è inerte e morta come la pietra filosofale, si presenta, dunque, come la tomba della verità, se- condo uno schema rituale ben noto alle religioni arcaiche, detto della rappresentazione aniconica del morto, che in altre tradizioni si può chiamare menhir, e che nella tradizione ellenica si chiama kolossós, quel kolossós sul quale ci hanno rischiarato due saggi magistrali di Benveniste e di Vernant18. Questa sfera-dal-cuore-di-pietra, come si espresse felicemente Hermann Diels19, è dunque costruita per affa- stellamento di quelli che Parmenide, per la prima volta, chiama se- gni; e non è chi non veda come questa parola significhi, in greco, prima ancora che un segno, la tomba (sema). Prima di ogni specu-
(16) A. kojève, Préface aux Œuvres de Georges Bataille, «L’Arc» 44 (1971), p. 36.
(17) platone, Sofista 248e-249a (Burnet).
(18) E. Benveniste, Le sens du mot kolossós et les noms grecs de la statue, «Revue de Philologie» 58 (1932), pp. 118-135, 181; J.-P. vernant, Figuration de l’invisible et catégo- rie psychologique du double: le colossos (Colloque de Royaumont, 1962), in Id., Mythe et pensée chez les Grecs, Paris, 1990 (2 voll., 1965), pp. 109-136.
(19) «Festenfelses Herz»: Parmenides, Lehrgedicht, gr. u. dt. v. H. Diels, Berlin, 1897, 2a ed., con Pref. di W. Burkert e bibliogr. di D. de cecco, Sankt Augustin, 2003, p. 31.
378 riccardo di giuseppe
lazione concettuale, è la lingua stessa a testimoniarlo: prima di ogni altra significazione, la parola che significa tutte le altre significazioni, nella lingua greca designa la tomba; la tomba è dunque, teste la lin- gua ellenica, il primo, e decisivo, segno della cultura umana20, che si tratti dell’antropologia dei primitivi o – teste Parmenide – dell’in- venzione greca della filosofia. Questa tomba, in filosofia, è la tom- ba della Verità e questa tomba non è altri che il logos che si svolge attorno all’assenza della Verità. È questa l’indicazione che il poema dell’Essere provvede agli epigoni; essa corrisponde perfettamente, si direbbe, alle suggestioni dei poemi omerici e, nella scia di questi, di alcuni passaggi dell’epopea europea.
In effetti, il ciclo dei ventiquattro canti dell’Iliade, proprio come le «sacre mura» di Troia, si centra, e si concentra, su di un punto vuoto che, laggiù, prende il nome di Elena: oggetto dell’ardore, ossia punto di fuga, al tempo stesso di Achei e di Dardanidi, di Alessandro e Menelao, di Ilio e assieme Sparta; e questo punto vuoto è altrettanto il centro delle mura di Troia che del canto che le rappresenta, dato che il megaron che racchiude Elena – l’Elena memorabile del terzo canto dell’Iliade21 – è il centro più intimo del palazzo di Priamo il quale è, a propria volta, il centro della cittadella, del wastu di Ilio, dunque il luogo proibito di quell’assedio memorabile – di quell’assedio fonda- tore della letteratura, che ha segnato a dito una volta per tutte Franco Ferrucci – che tiene in stallo, in stasi, in un memorabile impasse l’ar- mata achea come le origini della letteratura22.
Altrettanto vale per l’odissea: come a dire, della canzone del movimento erratico ed ininterrotto – esiodeo e caotico, insomma – del nostos, del ritorno, che richiude simmetricamente il ciclo delle origini e dove, per una seconda volta, è una donna assente – la cugina stessa di Elena, Penelope – il centro e il punto di fuga di due movi- menti simmetrici, simultanei e contraddittori: quello, sacrilego, dei pretendenti, i mnestères – alla lettera, gli smanianti di desiderio, con etimo affine al nome della Musa – e quello, costantemente in procinto di perfezionarsi e di compiersi, e costantemente in atto di vanificarsi e di procastinarsi, della riunione della coppia regale, con Odisseo.
(20) Cfr. Girard, Choses cachées, cit., pp. 186 s.
(21) Iliade 3, 121-242.
(22) Ferrucci, L’assedio e il ritorno, cit.
379
la misteriosa identità della musa e le origini della poesia europea
E come la tela di Penelope – per una sorta di alto simbolismo, ossia magia simpatica (Frazer) – si tesse e si disfa, per ricominciare daccapo, nell’analogo alternarsi dei giorni e delle notti di quest’altra Regina assediata in un Palazzo e rinchiusa nel suo megaron, ripeten- do mimeticamente l’attraversamento ed il passaggio dei meandri di quel labirinto equoreo23, in cui è condannato il conquistatore di Troia dalla mente ricurva, così, già nell’Iliade, nel megaron riposto, Elena
«la cagna»24, cugina di Penelope viene colta in atto di tessere una tela, che altro non è che l’Iliade stessa: testo, o tessuto (textum) del Can- tore dagli occhi spenti, dal momento che su questo altro tessuto tesse Elena, al suo arcaico telaio, la storia degli eventi degli eroi dell’Ilia- de25, costantemente in atto di impossessarsi di Elena e costantemente in atto di farsi sfuggire la cagna, divinità spartana26, con atto simme- trico e complementare rispetto a ciò che accade fuori di questo cen- tro, con un’evidente allusione all’opus dell’aedo, che canta le gesta eroiche con atto sincronico a queste gesta stesse, giuste le Muse alla corte di Zeus, egioco padre degli uomini e degli dèi.
orsù! dalle Muse iniziamo, che a Zeus padre
col canto inneggiando la mente rallegrano grande in olimpo enarrando le cose che sono, che saranno e che furono27.
Sul telaio come sulla lira, da un punto vuoto come da orbite cie- che: da un altro Assente fondamentale che ha per nome Omero, come a dire il Fondatore inesistente.
Perché, allora, diciamo da un punto vuoto se ben parliamo di Elena la cagna?
non solo, e non tanto, per una concessione – contraddittoria rispetto a quanto detto sopra – alla logica intimistica del desiderio moderno, quanto perché Elena l’inafferrabile muore, alla fine della conquista di Troia, come è testimoniato da un’antica tradizione lace-
(23) G. chiarini, odisseo, Il labirinto marino, Roma, 1991.
(24) Iliade 3, 180.
(25) Iliade 3, 125-128.
(26) H. von Geisau, s.v. «Helene», Der kleine Pauly, Lexikon der Antike, Bd. 2, Mün- chen, 1979 (1975), coll. 988-991.
(27) esiodo, Teogonia 36-38.
380 riccardo di giuseppe
demone, secondo la quale, in quella notte di orrori, in quella notte di squarci frenetici, di vociare assordante, e di lampi, Menelao raggiun- se, alfine, la sua adultera nel centro del dispositivo e la passò, a fil di spada28. Prima di dire i contorcimenti dell’eros, quel buco vuoto che è il centro della poesia indica, agli uomini, la deità della morte. Così, morta dovrà essere Didone, alla fine del quarto libro dell’Eneide, se Enea deve fondare Roma, cioè la nuova Troia, prendendo lo slancio da quella medesima notte nella quale gli Achei consumarono con me- todo il sacco e lo stupro profanatore di Ilio; morta, altrettanto, sarà dunque Beatrice, come a dire Colei-che-rende-(gli-uomini)-Beati, in quella condensazione catactonia del ciclo epico nella sua tappa oltre- mondana, o nekyia, che conviene altrettanto a Parmenide che a Dan- te; e morta, altresì, sarà quella Laura, che Petrarca canta con tutto il petrarchismo, una morta che si identifica – nomina sunt omina – con l’alloro della gloria del canto e del cantore; e così morta al desiderio generale – dei Paladini come dei Saraceni – sarà quella Angelica di Ariosto, in una modernizzazione che, via via, si avvicina alla nostra modulazione del Leitmotiv romantico e che, ciononostante, ne resta ben separata, se ancora Goethe, in piena modernità, riassume nel Faust la vicenda del suo eroe tra il sacrificio femminile di Gretchen – Margherita, l’innocente perla – che inaugura il suo viaggio, e la sua finale e oltremondana intercessione (Ewigweibliches: eterno-femmi- nino, genere neutro), che sola conferisce, in conclusione d’opera, al protagonista la salvezza e, alla coscienza europea, la sua conclusione faustiana.
Al centro c’è, dunque, costantemente una morta, o una donna vo- tata alla morte; così come una vittima votata alla morte dalla collet- tività degli uomini in arme sta altrettanto all’inizio che alla fine della guerra di Troia. È, in effetti, il sacrificio della figlia del capo acheo a dare inizio all’assalto – Ifigenia, come a dire colei Che-è-nata-onde- subire-violenza –; così come è un’altra vergine ad essere sacrificata
(28) Faccio riferimento alla stele di Magula, databile agli inizi del vi sec. a.C. e ri- prodotta in di Giuseppe, op. cit., p. 2. Cfr. ibid., p. 226, n. 3; L.B. kahil, Les enlèvements et le retour d’Hélène dans les textes et les documents figurés, Texte et Planches, Paris, 1955, pl. 71, catal. n° 24; Id., s.v. «Hélène», Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, iv 1, Zürich-München, 1988, pp. 498-563, in part. p. 539a, con la bibliografia relativa; ibid.,
iv 2, pp. 291-358.
381
la misteriosa identità della musa e le origini della poesia europea
a conclusione dell’impresa di sfondamento di Ilio, Polissena, Colei-, come dice il nome, che-riceve-(nel-suo-grembo)-molti-uomini, la- sciando pensare il più grande storico della religione greca del secolo scorso, ad un rituale di stupro collettivo sfociante nel sacrificio uma- no che suggella la vittoria29.
Tutta questa sostanza è ben riassunta – e portata a perfezione – nel cosiddetto poema di Parmenide, che porta le tracce storiche di eventi paralleli30. Ma soffermiamoci, innanzitutto, sul fatto che la struttura che incarna, in Omero, la personificazione di questo centro – centro vuoto o da vuotare, cosiddetto ‘centro assente’ di poesia e modernità – è una cittadella, ovvero una città, wastu miceneo o polis storica che si voglia. Dice, infatti, Eliade sul conto di Troia:
Troia era sentita come una dea: l’inviolabilità delle città antiche era equiparata alla verginità della divinità protettrice31.
Ciò non si limitava, beninteso, a Troia, semplice prototipo pub- blicato nell’epopea, giacché è noto il fatto che ben altre città nel ba- cino del Mediterraneo portavano il nome di una vergine, o dea, dato che una vergine, poi diventata dea, era stata sacrificata e posta al centro della città – come Remo nel luogo del mundus, o lapis niger, della latina Roma32 – ovvero al di sotto delle sua mura, onde ani- mare con il proprio sacrificio la perennità della nuova fondazione;
ed è noto che da questa identificazione tra una città e una vergine discendono altrettanto Partenope – poi detta neapolis, napoli, Città- Nuova – nome che significa Il-cui-volto-è-una-vergine; che Atene, il cui nome greco è Athénai, un femminile plurale che significa «Le Atene», come a dire l’identificazione tra i suoi cittadini in arme e la vittima, la divinità sacrificata, che dà il nome alla lega virile; tale è il caso, in Magna Grecia, per Siracusa, Cuma, Terina, Camarina, Elea stessa, detta Hyele, come la ninfa dal cui sacrificio sgorgano le
(29) Burkert, Homo necans, cit. p. 67 e n. 42, con il riferimento a Pindaro, fr. 122, 1 Snell-Maehler.
(30) Cfr. di Giuseppe, Le voyage de Parménide, cit., pp. 216-221.
(31) M. eliade, Le sacré et le profane, Paris, 1987 (1957), p. 214.
(32) Cfr. W.F. jackson kniGht, Cumaean Gates, A reference of the Sixth Aeneid to the Initiation Pattern, Oxford, 1936; J. rykwert, The Idea of a Town, Cambridge, Mass., 1988.
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acque cui attinge la polis parmenidea; o ancora, in madrepatria come altrove nel Mediterraneo, Corinto, Antiochia, ovvero Laodicea. Ur- banistica arcaica ed epos eroico sono legati nell’immagine sacrificale di un centro femminile soppresso e fatto segno identificatore per la comunità dei soldati, prima assassini e poi cittadini; e questo giuoco di riflessi tra l’epos, il Palazzo reale e la città non è il frutto di coin- cidenze fantastiche, ma trova la sua giustificazione più profonda non solo, e non tanto, nell’identificazione micenea tra il wastu e il palazzo di Cnosso o di Micene – cui Troia ancora, ed Argo appartenevano –, ma trova la sua giustificazione, ed allusione più fondamentale, in un’ulteriore struttura concentrica, spiraliforme, rituale e sotterranea che porta nel centro una divinità femminile uccisa ed occultata: il Labirinto33, non a caso chiamato Troiae Ludus, «Il giuoco di Troia», nell’area geografica dell’Europa settentrionale. Così Ifigenia, Ele- na, Polissena, Penelope, Aretusa, Partenope, e le ninfe-dee di Teri- na, Camarina, Atene e Hyele, con Didone, Beatrice, Laura, Angelica, Gretchen e – per finire – la nobile sposa di Orfeo, Euridice, sembrano reiterare la vicenda di Arianna, nome antichissimo che significa la Santissima – da Arianna al greco Ariadne, e da questo ad *ari-hagne – e che viene già alluso nel xiv secolo a.C. in una tavoletta d’argilla vergata in Lineare B proveniente dal Palazzo di Pilo, e che indica con assoluta sicurezza che non è tanto il Minotauro della tardiva leggen- da ateniese, ma un’augusta deità femminile a ritrovarsi al centro del dispositivo del labirinto: la Signora, o Matrona, per l’appunto, del Labirinto34. È costei Arianna, che ancora in Omero muore35 – come
(33) Cfr. H. diels, Das Labyrinth, in Festgabe von Fachgenossen und Freunden A. von Harnack, Tübingen, 1921, pp. 61-72; H. Güntert, «Labyrinth. Eine sprachwissenschaftliche Untersuchung», Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, Philos.- hist. Kl., Jhrg. 1932/33, 1. Abhandlung, Heidelberg, 1932; S.H. hooke (Ed.), The Labyrinth, Further Studies in the Relation between Myth and Ritual in the Ancient World, London, 1935; W.F. jackson kniGht, Cumaean Gates, A reference of the Sixth Aeneid to the Initiation Pattern, cit.; M. eliade, L’épreuve du labyrinthe, Paris, 1978 (rist., 1985); H. kern, Laby- rinthe, Erscheinungsformen und Deutung. 5000 Jahre Gegenwart eines Urbilds, München, 1982 (rist., 1995); K. kérényi, Nel labirinto, a c. di C. Bologna, Torino, 1983; G. Fornari, From the Labyrinth to the Tragic Mask, «cov&r, The Bulletin of the Colloquium on Violence and Religion» 11 (1996), pp. 6-8.
(34) H. von Geisau, s.v. «Ariadne», Der kleine Pauly, cit., 1, coll. 543-545.
(35) odissea 11, 321-325; cfr. Iliade 18, 391 ss. Cfr. G. colli, La nascita della filosofia, Milano, 1975, pp. 25 ss.; Id., La sapienza greca, I, Milano, 1976, pp. 16 s.
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la misteriosa identità della musa e le origini della poesia europea
Elle per il successo del fratello, Frisso – onde portarsi garante per la gloriosa riuscita dell’eroe protagonista.
Tale è la sostanza dell’epos occidentale: ed il rifiuto di questa tradizione, che da Orfeo è operato e che poi si chiamerà orfismo, pi- tagorismo e, per finire, filosofia, non fa che confermarlo a piena voce, dalle tracce eschilee del mito di Orfeo ed Euridice alla sua geniale trattazione in Jean Cocteau.
Ci dice, infatti, lo pseudo-Eratostene, ben interpretato e tradotto da Giorgio Colli36, che Orfeo era una seguace di Dioniso, come a dire del dio della più selvaggia violenza collettiva, culminante nel diaspa- ragmos, squartamento a mani nude di una vittima, indi nell’omofagia della sua carne ancora palpitante, poi animale, prima umana, come testimoniano Le Baccanti di Euripide; e che è in relazione alla sua propria sposa che Orfeo ‘scese nell’Ade’, e vide come stavano le co- se di laggiù; e che fu in conseguenza di questa presa di coscienza, av- venuta nel luogo della morte della moglie, che Orfeo rigettò Dioniso, diede un altro simbolo all’origine della poesia e si fece fare a brani, a sua volta, dalle Bassaridi. A questa versione arcaica di un mito edul- corato è profondamente fedele la lettura che di orfeo ha dato Jean Cocteau37 – una lettura degna, per la sua profondità, di essere messa al fianco dei mitografi antichi per aver imposto una torsione abissale, e profondamente originale, al mitologema del cantore tracio – e che consiste nell’aver intuito che è orfeo medesimo il colpevole della morte di Euridice, come Mastro Manole della propria moglie al fine di completare la fabbricazione dell’opera, di cui non riesce a venire a capo38, una leggenda ripetuta all’infinito nel folklore dell’Europa medievale, come nelle leggende dei fabbri estremo-orientali; e che è dunque dal pentimento e dalla conversione di Orfeo – da una presa di distanza rispetto al sacrificio femminile – che nascono l’orfismo e la filosofia greca, consacrata alle Muse nell’Accademia come al Pe- ripato, nella Stoa Poikile come nel giardino di Epicuro, che da quella
(36) Cfr. colli, La sapienza greca, cit., pp. 198 s.; 405.
(37) J. cocteau, orphée, Tragédie en un acte et un intervalle (1925), in Id., Romans/
Poésies, Poésies critique, Théâtre/Cinéma, Paris, 1995, pp. 1037-1087.
(38) M. eliade, Commentaires sur la légende de Maître Manole, trad. fr., Paris, 1994 (ed. orig., in rumeno, 1943).
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conversione strettamente dipendono39. Sempre un viaggio nel mondo dei morti, sempre una struttura labirintica esiziale che nasconde, o racchiude, una vergine, sempre una donna morta che ispira un eroe ed un esploratore della conoscenza: tale si rivela l’avventura dell’in- telligenza nel poema di Parmenide come nella tradizione della poesia europea.
Conclusione
Tutte queste eroine fondatrici di città, tutte queste donne ispira- trici di poesia sono le degne sorelle della Musa omerica ed esiodea, giacché anche la Musa dell’epopea è morta, e non è che una voce. La Musa è capace di ispirare il canto del passato – di cantare ella stessa il passato – perché la Musa è morta, perché la Musa è morte, e dal luogo della morte, che per il poeta è assenza, canta il passato che è in atto di vedere40. Tale è la relazione tra l’ispirazione e l’ispirato: Can- tami, o diva, il cruccio del Pelide; Canta tu stessa, o Musa, l’uomo dal vario ingegno; E la dea mi accolse...: / ‘orsù, io dirò! e tu dàtti cura di quanto avrai udito’.
Il primo testo è, dunque, il gomitolo di Arianna: quel canto-viag- gio che Parmenide ripete e che si identifica con l’essenza della poesia:
essenziale, in questo tempo che è il ritorno della parola – il cammino dell’uscita dalla minaccia del labirinto – è l’identificazione dell’atto- re-poeta con la conoscenza che solo la trascendenza della vittima può permettergli sul dispositivo: un’identificazione che si spinge sì lonta- no da ripetersi nel mistero degli Omeridi e di Omero. non sapremmo, in effetti, concludere questo sondaggio verso le origini della poesia – dell’ispirazione poetica, o dell’intuizione filosofica – senza men- zionare il fatto che Arianna, Polissena, Euridice o Laodicea non sono
(39) P. Boyancé, Le culte des Muses chez les philosophes grecs («Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et Rome», 141), rist. della 2ª ed., Paris, 1992 (1972, 1ª ed., 1936).
(40) Decisivo J.-P. vernant, Aspects mythiques de la mémoire, «Journal de psycholo- gie» 1959, pp. 1-24; ora in Id., Mythe et pensée chez les Grecs, cit., pp. 109-136. Cfr. G. puG-
liese carratelli, Mnemosyne e l’immortalità, «Archivio di Filosofia» 51 (1983), Neopla- tonismo e Religione, pp. 71-79; ora in Id., Tra Cadmo e orfeo, Bologna, 1990, pp. 379-89.
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la misteriosa identità della musa e le origini della poesia europea
che le sorelle di un cantore assente che è Omero stesso il Cieco, e nel nome del quale altre comunità maschili, le corporazioni rapsodiche, prendono identità come da un fondatore muto: alla luce della teoria mimetica sembra, dunque, ben fondata l’intuizione che si deve a Gian Battista Vico, con cui veridicamente ricomincia la questione omerica nell’età moderna. Intendiamo alludere a quella famosa indicazione che ritroviamo nell’ottocentosettantacinquesima Degnità della Scien- za Nuova, e che varrà, qui, la pena, di riconsiderare alla luce di quel doppio meccanismo di espulsione-identificazione con la vittima, che la teoria mimetica di Girard ci ha illustrato:
Essi popoli greci furono quest’omero41.
Preceduto dalla tradizione anonima dei Pitagorici42, il poema di Parmenide si rivela il primo saggio di critica letteraria del pensiero occidentale. Varrà la pena di rivisitarlo alla luce di quella Verità as- sente che si rivela, insomma, una degna figura Christi.
(41) G.B. vico, La Scienza Nuova seconda, giusta l’edizione del 1744, Ed. a c. di F.
nicolini, Bari, 1967, p. 406.
(42) delatte, Etudes sur la littérature pythagoricienne; Detienne, Homère, Hésiode et Pythagore, cit.