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LA TIPOLOGIA DEI REATI RILEVANTI PER LA NORMATIVA ANTICORRUZIONE

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LA TIPOLOGIA DEI REATI RILEVANTI PER LA NORMATIVA ANTICORRUZIONE

La normativa anticorruzione punta ad anticipare il presidio preventivo a difesa della legalità dell’azione amministrativa, intercettando quei casi in cui venga in evidenza un malfunzionamento dell’ente a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite. Impone inoltre di tener conto, nella redazione dei Piani di prevenzione della corruzione, del fatto che le situazioni di rischio sono più ampie della fattispecie penalistica, che è disciplinata negli artt. 318, 319 e 319-ter, c.p., e sono tali da comprendere non solo l’intera gamma dei delitti contro la Pubblica Amministrazione disciplinati nel Titolo II, Capo I, del Codice penale, ma anche le situazioni in cui – a prescindere dalla rilevanza penale – venga in evidenza un malfunzionamento dell’Amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite, ovvero l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo, sia che tale azione abbia successo sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo.

Art. 640-bis c.p.: Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche

L’art 640-bis c.p. così recita: “la pena è della reclusione da 1 a 6 anni e si procede d’ufficio se il fatto di cui all’art. 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri Enti pubblici o delle Comunità europee”.

La condotta è descritta per relationem, attraverso il rinvio all’art. 640 c.p., il quale punisce la condotta di chi pone “in essere artifici o raggiri per indurre in errore l’Ente erogatore, causando ad esso un danno e procurando a sé un ingiusto profitto”. L’elemento specializzante è l’oggetto materiale della frode, che consiste in ogni attribuzione economica agevolata, erogata da Enti pubblici, comunque denominata (contributi, finanziamenti, ecc.).

L’elemento psicologico nel delitto in questione è rappresentato dal dolo generico, cioè dalla coscienza e volontà di falsare il processo volitivo del soggetto passivo (Ente erogatore) e di determinarlo all’erogazione del finanziamento pubblico.

Tale disposizione normativa è quindi finalizzata alla repressione specifica delle frodi commesse dai privati nella fase propedeutica alla concessione delle sovvenzioni pubbliche.

Art. 316-ter c.p.: Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato

L’art. 316-ter c.p. dispone che “salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640-bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri Enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a 3.999,96 Euro si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da 5.164 Euro a 25.822 Euro. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito”.

Il bene giuridico tutelato è il buon funzionamento della Pubblica Amministrazione e, in generale, dell’intera attività di programmazione economica attuata dagli Enti pubblici, nazionali e sopranazionali; la norma è, infatti, volta a reprimere tutte le possibili frodi relative alle sovvenzioni pubbliche o comunitarie nella prospettiva dell’indebito conseguimento di fondi. L’art 316-ter c.p. rappresenta quindi uno specifico strumento per colpire le frodi commesse nella fase propedeutica alla concessione delle erogazioni pubbliche.

Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui l’ente effettivamente consegue l’indebita percezione. La condotta tipica può presentarsi sia in forma attiva che omissiva. La condotta attiva consiste nella utilizzazione e/o presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o incompleti cui consegue la percezione di fondi provenienti dai soggetti passivi indicati dalla norma (Stato, Enti pubblici, Comunità europee).

Nel concetto di “utilizzazione” dovrebbe rientrare la documentazione, non espressamente richiesta dall’Autorità, che l’ente ha facoltà di presentare per corroborare la sua richiesta di finanziamento, mentre il concetto di “presentazione” si dovrebbe riferire alle dichiarazioni di volontà o scienza fatte in forza di moduli o documenti espressamente richiesta dall’Ente erogatore.

La condotta omissiva, secondo giurisprudenza prevalente, può consistere anche nel semplice silenzio, artificiosamente serbato su alcune circostanze, da chi abbia il dovere di portarle a conoscenza della PA.

La fattispecie in questione è punita a titolo di dolo generico: è necessario che sussistano nell’agente la rappresentazione della falsità delle dichiarazioni o dei documenti (o in caso di condotta omissiva, la mancanza o incompletezza dei dati forniti) e la volontà di conseguire in tal modo un indebito aiuto economico.

Tale illecito, in virtù dell’espressa clausola di sussidiarietà contenuta nell’inciso iniziale, è applicabile solo se la fattispecie concreta non integri gli estremi del più grave reato previsto dall’art. 640-bis c.p., sopra analizzato.

Art. 316-bis c.p.: Malversazione a danno dello Stato

L’art. 316 c.p. stabilisce che “chiunque, estraneo alla Pubblica Amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro

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realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità, è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni”.

Nella malversazione si sanziona la condotta distrattiva che si verifichi successivamente all’ottenimento dell’erogazione;

assume dunque rilievo penale la mancata destinazione del finanziamento ricevuto per le finalità di interesse pubblico che ne hanno giustificato l’erogazione.

Il disposto penale è infatti volto a tutelare proprio l’interesse dello Stato e degli altri Enti pubblici affinché gli interventi economici di carattere pubblicistico, in sostegno di attività di pubblico interesse, non siano vanificati dal comportamento fraudolento.

L’art. 316-bis c.p. si presenta perciò come una prescrizione parallela all’art. 640-bis c.p., operando nella fase esecutiva.

L’elemento soggettivo del reato di malversazione a danno dello Stato è costituito dal dolo generico, ossia dalla volontà e coscienza di sottrarre i finanziamenti pubblici ottenuti dallo scopo prefissato.

Art. 640, comma 2, n. 1, c.p.: Truffa aggravata in danno dello Stato o di altro Ente pubblico

“Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da 51 euro a 1.032 Euro. La pena è della reclusione da 1 a 5 anni e della multa da 309 Euro a 1.549 Euro:

1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro Ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;

2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità;

2 bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’art. 61, n. 5.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante”.

I beni giuridici tutelati dalla norma sono l’integrità del patrimonio e la libertà del consenso nei negozi patrimoniali.

Gli elementi della fattispecie criminosa sono i seguenti:

- utilizzo di artifici e raggiri, induzione in errore, atto di disposizione patrimoniale, danno e ingiusto profitto.

Per “artificio” si intende la simulazione/dissimulazione della realtà per indurre in errore la PA per effetto della percezione di una falsa apparenza; la condotta si traduce, cioè, nell’immutazione del vero in ordine a situazioni la cui esistenza, nei termini falsamente rappresentati, è essenziale per l’atto di disposizione patrimoniale da parte della PA.

Per “raggiro” si intende ogni “macchinazione subdola” atta a cagionare un errore mediante una falsa apparenza, realizzata attuando un programma ingegnoso di parole destinate a fuorviare la psiche e le decisioni altrui.

La “induzione in errore” della vittima (la PA) deve essere una conseguenza delle suddette condotte fraudolente, di un vero e proprio inganno perpetrato dall’ente.

Per “atto di disposizione” si intende un trasferimento patrimoniale non provocato da un’usurpazione unilaterale dell’agente (Ente), ma bensì effettuato da parte della vittima, a seguito dell’induzione in errore. È pacifico che l’atto di disposizione possa consistere anche in un “non facere”: la vittima tralascia un comportamento che, se compiuto, avrebbe o aumentato il patrimonio o ne avrebbe impedito il depauperamento.

Ultimo elemento oggettivo, ai fini della configurazione del reato di truffa, è il danno patrimoniale subito dalla vittima, da cui discende un ingiusto profitto per l’Agente (“profitto ingiusto”, che può anche non essere di natura patrimoniale, ma consistere nel soddisfacimento di un interesse di natura psicologica o morale).

- l’elemento psicologico del delitto di truffa è rappresentato dal dolo generico sicché tutti gli elementi costitutivi del reato, appena descritti, devono essere oggetto di rappresentazione e volontà per l’agente.

Art. 640-ter c.p.: Frode informatica in danno dello Stato o di un Ente pubblico

“Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da 51 Euro a 1.032 Euro. La pena è della reclusione da 1 a 5 anni e della multa da 309 Euro a 1.549 Euro se ricorre una delle circostanze previste dal n. 1) del comma 2 dell’art. 640, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al comma 2 o un’altra circostanza aggravante”.

Tale fattispecie di reato assume rilevanza solo se realizzata in danno della PA. Pertanto, di conseguenza, ai fini del presente Piano di Prevenzione della Corruzione, è ricompreso, nel reato di “frode informatica in danno dello Stato”:

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- ogni alterazione del funzionamento di un sistema informatico, che procuri in tal modo un ingiusto profitto per l’ente e un danno per la Pubblica Amministrazione;

- ogni intervento, abusivo ed illegittimo, su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o ad esso pertinenti, che procuri all’ente un ingiusto profitto ed un nocumento alla PA.

La condotta illecita può consistere nell’alterazione di registri informatici della PA per far risultare esistenti requisiti essenziali per la partecipazione a gare (iscrizioni in albi, ecc.), ovvero per modificare dati fiscali/previdenziali di interesse dell’ente, già trasmessi all’Amministrazione.

Sarebbe auspicabile, ai fini di un controllo preventivo, l’adozione di un sistema organizzativo che preveda, per un corretto accesso ai Sistemi informativi della PA, le seguenti caratteristiche:

- adeguato riscontro delle password per l’accesso ai sistemi informativi della PA possedute, per ragioni di servizio, da determinati dipendenti appartenenti a specifiche strutture dell’ente;

- rispetto della normativa sulla privacy a tutela del dipendente;

- puntuale verifica dell’osservanza, da parte dei dipendenti medesimi, di ulteriori misure di sicurezza adottate dall’ente.

Art. 317 c.p.: Concussione

“Il Pubblico Ufficiale o l’Incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente a lui o ad un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da 6 a 12 anni”.

Si tratta infatti di un “reato proprio”, che può essere commesso solo dai soggetti qualificati individuati dalla norma (“Pubblico Ufficiale” e “Incaricato di pubblico servizio”).

Gli elementi costitutivi del reato di concussione sono:

- l’abuso di qualità o di potere da parte del Pubblico Ufficiale o Incaricato di pubblico servizio;

nel primo caso, il soggetto fa valere la sua qualità per conseguire un fine illecito, mentre nel secondo, l’agente esercita i suoi poteri fuori dai casi stabiliti dalla legge, dai regolamenti o comunque senza rispettare le forme prescritte;

- la costrizione o l’induzione nei confronti della vittima: la “costrizione” si sostanzia nella minaccia di un male ingiusto o di una violenza fisica, mentre la “induzione” comprende ogni attività di persuasione o suggestione per motivare la vittima ad effettuare una dazione o una promessa indebita di denaro o altra utilità a favore del pubblico funzionario o di un terzo;

- la promessa o dazione di denaro o altra utilità al “soggetto attivo” o ad un terzo. Nel concetto di “utilità” è ricompreso qualsiasi vantaggio, patrimoniale o non patrimoniale, oggettivamente apprezzabile per la persona (per dottrina maggioritaria vi rientrano anche favori di tipo sessuale).

Il dolo nel reato di concussione è generico e consiste nella coscienza e volontà del Pubblico Ufficiale o dell’Incaricato di pubblico servizio di abusare della propria qualità o dei propri poteri, per costringere o indurre la vittima a compiere un atto indebito.

Art. 318 c.p.: Corruzione per l’esercizio della funzione

“Il Pubblico Ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni”.

Il bene giuridico tutelato dall’art. 318 c.p. è l’imparzialità e il buon andamento della Pubblica Amministrazione. Trattasi di un reato a concorso necessario bilaterale, che richiede la contemporanea presenza di due soggetti specularmente operanti: uno che dà o promette (“extraneus”) e l’altro che riceve (“intraneus”).

Elemento caratterizzante il reato di corruzione, è quindi l’accordo criminoso tra il pubblico funzionario e il privato.

Gli elementi costitutivi del reato di corruzione di cui all’art. 318 c.p. sono:

a) l’esercizio delle funzioni o dei poteri da parte del Pubblico Ufficiale e Incaricato di pubblico servizio: l’esercizio delle funzioni ricorre quando gli atti compiuti dal pubblico funzionario rientrano nella sua sfera di competenza, comprendendo ogni comportamento attinente al suo ufficio; l’esercizio dei poteri si realizza ogni volta in cui l’intraneus esercita gli stessi nei casi stabiliti dalla legge, dai regolamenti o dalle istruzioni di servizio;

b) la promessa o dazione di denaro o altra utilità dal privato al soggetto attivo o ad un terzo.

Il dolo è specifico e consiste nella coscienza e volontà del Pubblico Ufficiale o Incaricato di pubblico servizio, di ricevere, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o la relativa promessa, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.

Art. 319 c.p.: Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio

“Il Pubblico Ufficiale o l’Incaricato di pubblico servizio che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri d’ufficio, riceve per sé o per un

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Si tratta della c.d. “corruzione propria” ed integra un tipico reato a concorso necessario, in cui la condotta del corruttore deve necessariamente incontrare quella del corrotto.

Per “atto d’ufficio” non si intende solo l’atto amministrativo in senso stretto, bensì ogni concreto esercizio dei poteri inerenti all’ufficio, come pareri, atti di diritto privato, comportamenti materiali.

Invece, per “atto contrario ai doveri d’ufficio” si considera qualsivoglia comportamento del Pubblico Ufficiale e Incaricato di pubblico servizio che sia in contrasto con norme giuridiche, con istruzioni di servizio e che comunque violi gli specifici doveri di imparzialità, fedeltà ed onestà che devono essere osservati da chiunque eserciti una pubblica funzione.

Art. 319-ter c.p.: Corruzione in atti giudiziari

“Se i fatti indicati negli artt. 318 e 319 c.p. sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da 4 a 10 anni. Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a 5 anni, la pena è della reclusione da 5 a 12 anni, se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a 5 anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da 6 a 20 anni”.

La norma tutela i principi di correttezza, autonomia ed imparzialità posti alla base dell’attività giudiziaria.

Per “parte” di un processo civile/amministrativo, si intende la persona fisica o giuridica che abbia proposto o contro cui sia stata proposta una domanda giudiziale, ed invece per “parte” di un processo penale si considera l’imputato, l’indagato, il Pubblico ministero, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, il responsabile civile, la parte civile, la persona offesa e l’Ente nel cui interesse o a vantaggio del quale il delitto è stato commesso.

L’elemento soggettivo del reato in questione è il dolo specifico: la condotta corruttiva deve essere finalizzata a favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo.

Art. 319-quater c.p.: Induzione indebita a dare o promettere utilità

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Pubblico Ufficiale o l’Incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da 3 a 8 anni. Nei casi previsti dal comma 1, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a 3 anni”.

Tale fattispecie, introdotta dalla “Legge Anticorruzione” (Legge n. 190/12) si pone in una posizione intermedia tra i reati di concussione e corruzione. Mentre la fattispecie corruttiva si basa su un accordo, di norma prodotto dall’iniziativa del privato, nel reato in questione i soggetti coinvolti si determinano autonomamente, e in tempi almeno idealmente successivi: il soggetto pubblico si avvale della sua qualifica e dei suoi poteri ed il privato subisce – invece – la posizione del predetto.

Il dolo è generico e consiste nella coscienza e volontà del Pubblico Ufficiale o dell’Incaricato di pubblico servizio di abusare della qualità o dei poteri connessi con la pubblica funzione, inducendo altri a dare o promettere indebitamente denaro o altra utilità.

Il dolo esige anche la conoscenza del carattere indebito della dazione/promessa.

Art. 320 c.p.: Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio

“Le disposizioni degli articoli 318 e 319 si applicano anche all’incaricato di un pubblico servizio. In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore a un terzo”.

Art. 322 c.p.: Istigazione alla corruzione

“Chiunque offre o promette denaro o altra utilità non dovuti, ad un Pubblico Ufficiale o ad un Incaricato di pubblico servizio, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel comma 1 dell’art. 318 c.p., ridotta di un terzo. Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un Pubblico Ufficiale o un Incaricato di pubblico servizio ad omettere o ritardare un atto del suo ufficio ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita dall’art.

319 c.p., ridotta di un terzo. La pena di cui al comma 1 si applica al Pubblico Ufficiale o all’Incaricato di pubblico servizio che sollecita una promessa o una dazione di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri. La pena di cui al comma 2 si applica al Pubblico Ufficiale o all’Incaricato di pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’art. 319”.

Per l’integrazione del reato di istigazione alla corruzione è sufficiente la semplice offerta o promessa, purché sia idonea a turbare psicologicamente il Pubblico Ufficiale o l’Incaricato di pubblico servizio, così da far sorgere il pericolo che lo stesso accetti l’offerta o la promessa.

Soggetti attivi di questo reato possono essere, sia i privati (commi 1 e 2) che i pubblici funzionari (commi 3 e 4). Trattasi di un reato di mera condotta, per la cui consumazione basta l’offerta o promessa dell’utilità ovvero la sollecitazione della promessa o della dazione (è irrilevante il verificarsi o meno del fine a cui è preordinata l’istigazione).

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Il dolo è specifico e consiste nella coscienza e volontà, sia di corrompere il pubblico Funzionario nell’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri ovvero di indurlo ad omettere o ritardare un atto del suo ufficio, sia, da parte del funzionario pubblico di sollecitare la dazione o promessa di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri o per omettere o ritardare un atto del suo ufficio o fare un atto contrario ai suoi doveri.

Art. 322-bis c.p.: Peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri.

“Le disposizioni degli articoli 314, 316, da 317 a 320 e 322, terzo e quarto comma, si applicano anche:

1) ai membri della Commissione delle Comunità europee, del Parlamento europeo, della Corte di Giustizia e della Corte dei Conti delle Comunità europee;

2) ai funzionari e agli agenti assunti per contratto a norma dello statuto dei funzionari delle Comunità europee o del regime applicabile agli agenti delle Comunità europee;

3) alle persone comandate dagli Stati membri o da qualsiasi ente pubblico o privato presso le Comunità europee, che esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti delle Comunità europee;

4) ai membri e agli addetti a enti costituiti sulla base dei Trattati che istituiscono le Comunità europee;

5) a coloro che, nell’ambito di altri Stati membri dell’Unione europea, svolgono funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio;

5-bis) ai giudici, al procuratore, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della Corte penale internazionale, alle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale le quali esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, ai membri ed agli addetti a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale.

Le disposizioni degli articoli 319-quater, secondo comma, 321 e 322, primo e secondo comma, si applicano anche se il denaro o altra utilità è dato, offerto o promesso:

1) alle persone indicate nel primo comma del presente articolo;

2) a persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell’ambito di altri Stati esteri o organizzazioni pubbliche internazionali, qualora il fatto sia commesso per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio in operazioni economiche internazionali ovvero al fine di ottenere o di mantenere un’attività economica finanziaria.

Le persone indicate nel primo comma sono assimilate ai pubblici ufficiali, qualora esercitino funzioni corrispondenti, e agli incaricati di un pubblico servizio negli altri casi.

Art. 2635 c.c.: Corruzione tra privati

L’art. 2635 c.c. prevede che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli Amministratori, i Direttori generali, i Dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i Sindaci e i Liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio e degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla Società, sono puniti con la reclusione da 1 a 3 anni.

Si applica la pena della reclusione fino ad 1 anno e 6 mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. Chi dà o promette denaro e altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste.

Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di Società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”.

Art. 346-bis c.p.: Traffico di influenze illecite

L’art. 346-bis c.p. stabilisce che “chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli artt. 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un Pubblico Ufficiale o con un Incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il Pubblico Ufficiale o l’Incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da 1 a 3 anni.

La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale.

La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di Pubblico Ufficiale o di Incaricato di un pubblico servizio. Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie. Se i fatti sono di particolare tenuità, la

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Tale articolo non inserito nell’elenco reati previsti dal D.lgs 231/01 è stato inserito dalla Legge “Anticorruzione” e pertanto deve necessariamente esser preso in considerazione ai fini della disamina del Piano.

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Scopo della norma è quello di contrastare le attività di mediazione illecite poste in essere da soggetti in cambio della dazione o promessa indebita di denaro o altro vantaggio patrimoniale. Si tratta di una forma di tutela anticipata, poiché contempla condotte preliminari rispetto a quelle previste dagli artt. 318, 319 e 319-ter c.p.

Il reato richiede lo sfruttamento di relazioni esistenti con un pubblico funzionario, da parte di un soggetto che indebitamente si faccia dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della propria mediazione illecita o per remunerare il pubblico funzionario medesimo.

Art. 314 c.p.: Peculato

L’art. 314 c.p. prevede che “il Pubblico Ufficiale o l’Incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio, il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni”.

Art. 316 c.p.: Peculato mediante profitto dell’errore altrui

L’art. 316 c.p. prevede che “il Pubblico Ufficiale o l’Incaricato di un pubblico servizio, il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell’errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.

Art. 323 c.p.: Abuso d’ufficio

L’art. 323 c.p. prevede che “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il Pubblico Ufficiale o l’Incaricato di pubblico sevizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni”.

Art. 325 c.p. Utilizzazione d’invenzioni o scoperte conosciute per ragioni di ufficio

L’art. 325 c.p. prevede che “il Pubblico Ufficiale o l’Incaricato di un pubblico servizio, che impiega, a proprio o altrui profitto, invenzioni o scoperte scientifiche, o nuove applicazioni industriali, che egli conosca per ragione dell’ufficio o servizio, e che debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a euro 516”.

Art. 353 c.p. Turbativa della gara nei pubblci incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni.

L’art. 353 c.p. prevede che “chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti, è punito con la multa e la reclusione.

Se il colpevole è persona preposta dalla legge o dalla Autorità o agli incanti o alle licitazioni suddette, la pena è più grave.

Le pene stabilite in questo articolo si applicano anche nel caso di licitazioni private per conto di privati, dirette da un pubblico ufficiale o da persona legalmente autorizzata; ma sono ridotte alla metà.

Art. 353 bis: Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente”

L’art. 353 bis c.p. prevede che “Chiunque, salo il fatto costituisca più grave reato, con le stesse modalià preiste dall’art.

353 c.p., turba il procedimento amministrativo, diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione”.

L’introduzione di questa norma è stata dettata dalla esigenza di regolare esplicitamente anche la fase precedente rispetto alla vera e propria gara, allo scopo di tutelare dal condizionamento precedente l’indizione stessa; lo scopo consiste nello scongiurare che la predispozione dei c.d. bandi “fotografia”, ossia contenti prescrizioni talemtne speicfiche da consizionare ex ante la scelta del contraente, selezionando implicitamente solo i possessori di tali stringenti requsiti.

La norma inende punire la formazione di atti di discplina, anche tecnica digara, eventualmente frutto di accordi con le imprese interessate.

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