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Il Formico e la Cicala

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Academic year: 2022

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Il Formico e la Cicala

!

Storia di musica e fantasia In parte ispirata a una storia vera

Stefano Martini


(2)

Uno

C’era una volta una cicala, triste e sconsolata, perché non solo non era il massimo della

bellezza, ma era pure stonata.

Un giorno, mentre svolazzava in modo torto, vago, e un po’ a casaccio, la vide una formica che, appena la cicala le fu a tiro, le gridò:

- bella vita eh!

La cicala non rispose, un po’ perché era sorda, un po’ perché c’era poco da rispondere. La

formica allora, quando la cicala si fermò, le andò più vicino, proprio davanti agli occhi:

- Oh! Dico a te! Che sei pure sorda? Ho detto BELLA VITA!

La cicala alzò leggermente un sopracciglio, tirò un sospiro e gli dette la giusta attenzione:

- Si si, ho capito, il solito luogo comune… noi cicale non facciamo niente tutto il giorno, stiamo al sole, cantiamo, ci abbronziamo, mentre voi formiche faticate da mattina a

sera portando semi, briciole di pane o chicchi di grano più grossi e pesanti di una formica stessa.

Dopo una breve pausa, la cicala proseguì:

- Almeno voi avete un futuro, un obiettivo!

Avete tutto un inverno da affrontare e con le

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provviste che vi procurate, ne avete di roba da sbafare al calduccio nel vostro formicaio, chissà quante feste, durante il vostro inverno.

- Ehi ehi! Non cambiamo le carte in tavola, replicò la formica, noi, d’inverno, di feste ne vediamo poche, primo, perché di luce ce n’è poca…

- Avete le antenne! Asserì la cicala

interrompendo la formica con insufficienza, le avete sempre avute, a volte funzionano

meglio anche degli occhi, e in certi casi…

anche meglio!

- Sì, ma non abbiamo la musica

- Cosa cosa cosa? Ma guarda un po’ la

formichina! Ora gli piace la musica, ah ah ah questa sì che è buona! Una formica… ha ha ha… la musica… hu hu hu

La risata della cicala si esaurì scemando di volume progressivamente fino a quando si trovarono faccia a faccia, con la cicala che aveva le lacrime agli occhi dal ridere e la formica che stava controllando un’esplosiva reazione e che, con una calma mal controllata le rispose:

- Mettiamo i puntini sulle i, intanto sono un formico! Maschio! Si si lo so che il nome generico è: formiche, ma anche tra di noi esistono maschi e femmine! Come credi che

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ci riproduciamo noi, con i raggi ultravioletti? O ciucciando le patate?

Il formico si rilassò un attimo con un gran

respiro e con voce più bassa ma non del tutto calma continuò:

- E anche a un formico piace la musica!

Perché, è un reato? Con tono più calmo e autoritario continuò, io la trovo una forma d’educazione dello spirito… e anche di svago! Perché no!

- Senti… formico, dico bene formico?

- Sì dici bene, anzi chiamami pure Ugo

- Ugo? Caaaarino Ugo, un po’ corto ma carino, io C-l-a-r-i-s-s-a, piacere Ugo

- Piacere signora C-l-a-r-i-s-s-a

- E così, mio caro Ugo, ti piace la musica

- Beh devo dire, che un po’ di jazz sfarfallato, quando siamo al lavoro, in fondo in fondo non è male, ti fa passare il tempo, ti dà energia, ti evoca storie di formiche sudamericane

costrette nelle piantagioni a trasportare

chicchi di caffè che pesavano più di due volte il loro peso. Come si chiama quella musica il… il…

- Blues, Blues, si chiama blues, si pronuncia bluus e si scrive blu-e-s

- Ecco quello! Si si proprio quello, sii che mi dà una carica! Potrei portare anche un pop corn

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intero, a tempo di blues. E cominciando a ballare a tempo di samba cominciò ad

emettere strani suoni che con il blues poco c’avevano a che fare:

- tu tun, tun tun, tu tu tun tutun, ci ci ta bum cicabum cicabum, ci ta bum bum cicabum cicabum, e guardandola mentre ballava, dai!

dai accompagnami! Su! ci ci ta bum cicabum cicabum… allora?

Clarissa restò in silenzio, ammutolita, quasi si vergognava, e con la coda degl’occhi oalzò lentamente lo sguardo verso Ugo, rimasto a mezzo di un passo di samba, un po’ arretrato, e con le braccia in alto, come se dovesse

ancora sostenere il grosso pop corn:

- Scusa Clarissa, lo so, faccio un po’ di

confusione tra jazz, samba, blues… per me è tutta roba tosta… è che non mene intendo…

non mi ricordo i nomi… però è forte!

A Clarissa scese una lacrima, si era

commossa, ma soprattutto si ricordò del suo problema. Avrebbe voluto accontentare Ugo cantando qualche motivetto ma se avesse aperto bocca, sarebbe stata una tragedia!

Ugo si accorse della lacrima e le chiese

perché, intimorito e un po’ smarrito. Clarissa, dopo aver tirato un lungo sospiro, gridò:

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- La mia è una vita di merdaaaaaaa! Sono stonata! Sorda! E ci ho una faccia che sembro il nonno del grillo parlante!

Pausa

- cazzoooooooo!

Ugo, ammutolito e, date le dimensioni della cicala, quasi impaurito, cominciò a defilarsi meschinamente, quasi si aspettasse un evolversi in peggio della crisi uterina della cicala inviperita.

- Dove cazzo vai! Stronzo!

- Ma io… veramente

- Ma io che! Ma io cosa! Prima mi dici bella vita, poi mi parli della tua passione per la

musica e poi si defila! …Ugo! Ma cosa c’hai il cervello corto come il nome?! Cosa ne sai tu della passione! Eh?

- E non urlare che mi sfondi i timpani! Io non so cosa è la passione e tu cosa è il volume!

Clarissa, mestamente:

- Scusa, è che sono un po’ sorda - Pure!

Clarissa ricominciò a piagnucolare:

- Vattene, vattene, sono una stupida… una stupida… una stupida!

Mentre Clarissa si auto compiangeva

borbottando tra se e se, Ugo prese le sue

carabattole e fece per andarsene, ma quando

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già stava incamminandosi, udendo il lamento di Clarissa, allargò le braccia, lasciò cadere i bagagli e le mani gli caddero sui fianchi. Con le spalle a gruccia, si girò lentamente:

- ok ok ok, io non so cosa è la passione, ma so cosa è la fatica! E non sai quanta, ne durerei ancora pur di sapere la differenza tra samba jazz e blues, saper cantare, anche solo

suonare, magari anche solo… le percussioni…

Facendosi riprendere dalla foga ballerina Ugo cominciò a mimare un suonatore di bongo accennando i versi del ta e del bum con una ritmica prima veloce e poi sempre più lenta, fino quasi al rallenty. A un certo punto si fermò e con lo sguardo fisso nel vuoto tirò un gran sospiro, alla fine del quale, fissando la cicala negli occhi le gridò:

- Anche la mia è una vita di merda! Caricare!

Trasportare! Scaricare! Tornare, in coda, uno dietro l’altro, e guai se cerchi di sorpassare cazzo! Se sorpassi vanno tutti in paranoia! … formiche di merda!

- Guarda, gli replicò Clarissa con ritrovata calma, che anche tu sei formica

- Formico!

- Sì Ugo

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- Formiche di merda, Ugo è una formica, la vita di Ugo è una vita di merda! Direi che il

ragionamento non fa una grinza!

Non sapendo cosa dire Ugo riprese le sue carabattole e, nel momento in cui di nuovo stava per andarsene, lo raggiunse la voce bassa e quasi rassegnata di clarissa che soprappensiero esclamò:

- Una grinza, è musica…

Ugo, di nuovo, lasciò cadere i bagagli, ovviamente anche le braccia, si avvicinò

indispettito fino al naso della cicala e con voce bassa, intensa, quasi come quando stai per esplodere:

- In – che – sen – so?

Clarissa, con voce tranquilla e come se niente fosse, iniziò a spiegare:

- Vedi queste grinze qua, queste qua alla base delle ali,

Ugo, incuriosito e un po’ imbarazzato, le guardò il fondo schiena:

- Sì le vedo

- Queste sono indispensabili per creare

qualsiasi suono; quando faccio sfregare tra loro le due parti, le grinze si urtano tra di loro creando una vibrazione, un suono, e a

seconda della velocità con la quale le

facciamo muovere, emettono tonalità diverse.

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Ugo restò imbambolato, immobile, ancora incuriosito e imbarazzato

- Vuoi provare? Disse Clarissa - Cosa?

- A muoverle tu - Posso?

- Prova prova!

Il formico, con un po’ d’imbarazzo afferrò delicatamente le due parti e cominciò a

muoverle, da prima lentamente e dopo, con un po’ più d’energia ma senza ottenere risultati.

- non in quel senso, nell’altro, e con un po’ più di pressione, ecco, così, bravo…

Ugo cominciò a far emettere suoni diversi, prima ripetitivi, poi con il variare della

pressione e della velocità si sbizzarrì nelle più svariate intonazioni.

Clarissa, da prima ascoltò soddisfatta ma poi, con l’aumentare della varietà d’intensità dei suoni, cominciò ad agitarsi, anzi, a eccitarsi e ad un certo punto cominciò ad urlare dal

piacere. Quasi un orgasmo.

Sul suo grido finale, il formico si bloccò e rimase a fissare Clarissa fino a che, dopo l’ultimo, lungo, lamento di piacere, riaprì gli

occhi e riprese conoscenza. Con l’intenzione di sdrammatizzare l’imbarazzante situazione,

Ugo se uscì con un’infelice battuta:

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- E’ stata la prima volta, bambola?

- Sì, rispose Clarissa con voce languida e trasognata, è stato bellissimo…

E restò immobile con lo sguardo nel vuoto.

- Pronto? Clarissa? …c’è nessunooo?

Ripeteva Ugo cercando di risvegliarla con dei buffetti sulle guance.

- Ugo sei stato fantastico, mi hai fatto provare una sensazione che non avevo mai

provato…

- Guarda che ho usato soltanto le mani, e basta!

- Lo so Ugo, è delle ali che parlo, non del culo!

Che cosa avevi capito!

- E allora cosa c’è di strano? È il tuo suono quotidiano, lo fai tutto il giorno…

In quel momento un tuono squarciò il cielo e il terrore invase l’espressione dei due che

all’unisono urlarono:

- Al riparooooo!

Il tempo di ripararsi sotto una tegola

abbandonata sul terreno, che grossi chicchi di grandine cominciarono a cadere.

Ugo e Clarissa restarono immobili guardando i grandi chicchi di ghiaccio che rimbalzavano pesanti davanti a loro. Erano abituati ai

temporali estivi e non era la prima volta che dovevano ripararsi da una grandinata ma

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questa volta era diverso, avevano condiviso questa particolare situazione tra due esseri molto diversi tra loro che però avevano lo stesso primordiale istinto, sopravvivere.

Ognuno dei due si rese conto di questo e, mentre i chicchi continuavano a rotolare e

rimbalzare davanti a loro occhi, fissi nel vuoto, cercavano le stesse risposte:

- Ma che ci faccio qui io, una formica, anzi un formico, gran lavoratore stacanovista, a

parlare con una cicala… ma te lo immagini se mi scoprissero?

-

Nel frattempo la cicala, che cercava di non far vedere il suo imbarazzo, facendo finta di

controllare che le sue ali non avessero subito danni dai frammenti di ghiaccio che

schizzavano sotto la tegola, si faceva più o meno la stessa domanda:

- Ma che ci faccio qui, a parlare di musica con una formica, anzi, peggio! Un formico! Ma te lo immagini se mi vedessero qui con lui?

Il silenzio fu rotto da un verme che se ne stava rannicchiato tra la tegola e il terriccio e che, appena si accorse dei due, intervenne risoluto balzando in mezzo ai due e scatenando una reazione isterica

- aaaaaaaah un vermeee!

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- Che cosa gridi cretina! Non hai mai visto un verme?

- Che schifo!

- Questa è bella! Ma senti la volatrice

canterina! Senti bambola, guarda bene tra gli antenati, perché non tutti i volatili nascono dalle uova! A volte i bozzoli danno alla luce dei volatili molto più belli di voi cavallette strazia orecchie!

- Mi scusi! Non sono abituata a incontri così improvvisi con un verme!

- Se è per questo le faccio notare, mia cara signora e anche a lei, inopportuna formica…

- Formico! Sono un formico!

- …che questa, indicando la zona sotto la tegola, è casa mia! E visto che non ho il

piacere di conoscervi, a cosa debbo la vostra visita, signori… signori?

- Clarissa, cicala Clarissa - Ugo, formico Ugo, piacere

- Ha ha ha, rise lentamente lo scuro

vermiciattolo, e questa cosa sarebbe, una vertenza sindacale tra operai in sciopero e musicisti disoccupati? Sarei curioso di sapere cosa avrà mai spinto una formica

- Formico!

- Sì un formico, e una cicala, giusto?

- Giusto!

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- Non solo sotto lo stesso tetto, ma di farlo addirittura sotto il mio pergolato!

Il vermiciattolo, incazzato e nervoso si portò alla luce, una pallida luce di sole dopo la tempesta, proprio davanti alla sua veranda, quasi a far vedere meglio ai due malcapitati qual era il confine della sua proprietà e con fare perentorio continuò:

- E poi, è u-na in-de-cen-za! Cosa ci fa una cicala e un formico sotto lo stesso tetto?

- Ma noi veramente, provò a replicare Ugo…

- Non si può andare contro la natura!

Interruppe il verme senza neanche ascoltare le ragioni che Ugo stava per esporre, che le cicale facciano le cicale! Che cantino! E che le formiche o i formichi che siano, facciano il loro mestiere! Che vadano in fila indiana

trasportando cibo! I ruoli vanno rispettati!

Questo è quello per cui siamo stati creati!

Dobbiamo rispettare le regole, perché se non rispettiamo le regole, è la fine! La fine! La fi- ne!

In quel momento un fruscio di ali fu seguito da un preciso colpo di becco di una rondine che inghiottì il verme il quale non fece neanche a tempo ad accorgersene di essere divenuto cibo e di avere così assolto al suo ruolo nella catena alimentare. Peccato, che non avesse

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potuto assistere da spettatore alla scena, ne sarebbe stato sicuramente orgoglioso.

I due restarono immobili, da prima impauriti dalla presenza del volatile in cerca di cibo ma poi, quando udirono il fruscio delle ali

allontanarsi, si osservarono e, dopo un attimo di indecisione scoppiarono in una dirompente risata.

La risata fu, non solo la naturale reazione

all’antipatica arringa del verme, ma fu un modo efficace per scaricare le tensioni accumulate dai due fin dal loro incontro.

Alla fine della risata, scaricata l’ultima aria dei polmoni con un lungo sospiro, i due avevano ormai saldato un’amicizia, strano ma vero, un formico e una cicala che diventano amici. In effetti, l’essersi scontrati l’uno contro l’altro con ripetute schermaglie e alla fine aver affrontato la grandine e le offese del verme, li aveva fatti diventare non più uno contro l’altro ma uniti verso obiettivi comuni: la sopravvivenza prima e l’orgoglio dopo.

- Certo, vermaccio schifoso! Commentò Ugo, le regole, le regole! Hai visto che fine fanno quelli che esagerano con le regole? Ah ah ah vorrei che fosse qui per dirgliene ancora due sul muso!.

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Due

Ugo restò in silenzio, pensieroso, aveva smesso di ridere, e le parole di Clarissa improvvisamente lo facevano pensare.

Clarissa, vedendo il cambio di umore di Ugo s’incuriosì:

- beh cosa c’è? Ti dispiace per il verme?

- No, scusa Clarissa, è che pensavo alle regole

- Eh già, voi formiche di regole ne avete da rispettare!

- Si lo so! È proprio questo che mi fa

innervosire, riprese Ugo con rabbia, è che le regole non le sopporto! Ma è anche vero, continuò con più calma, che senza non potremmo vivere, sarebbe la fine… come diceva il verme…

- Si però che antipatico il verme, scusa,

sembrava che il mondo fosse tutto suo, e che c’era di male se ci siamo riparati sotto la sua tegola marcita! E poi chiamala veranda

questa! Guarda che sporcizia, che disordine!

E uno, secondo lui, come potrebbe

immaginarsi di essere in una proprietà altrui se tutto è così in disordine!

Clarissa, senza neanche rendersene conto, cominciò da prima a dare calci ai ciottoli e alle

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cianfrusaglie che rendevano il luogo ameno e poco ospitale e poi a sistemare sassetti e

piccoli ramoscelli per dare un senso all’aspetto estetico del luogo. Ugo, ancora trasognato e pensoso sulla questione delle regole, cominciò a osservare incuriosito la cicala che rassettava la veranda, senza obiettare e quasi come se glielo avesse chiesto per favore, cominciò ad aiutarla:

- Lascia lascia, questo te lo sposto io, dove lo metto?

- Qui, ecco qui potrebbe stare bene, e quello invece là, da lì sì può stare seduti a guardare il tramonto, ecco così… perfetto!

- Ma cosa stiamo facendo, disse Ugo

riprendendo conoscenza dal torpore ipnotico in cui la situazione lo aveva fatto cadere

- Un posto carino dove venire ogni tanto!

- A fare cosa, replicò Ugo

- Non saprei, a fare due chiacchiere, a guardare il tramonto… un club!

- Un club? E che cosa è un club?

- Un club è un posto carino, dove s’incontrano gli amici o comunque coloro che hanno

interessi comuni.

- Capito! Sì, anche noi ne abbiamo uno allora!

Tutti i giorni, nell’ora in cui tutte le formiche fanno quello che vogliono, ci troviamo tra

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quelli che hanno sviluppato un udito particolare e che sono sempre i primi a

sentire il volo di un uccello, gli Auscultatori…

quindi sarebbe il club degli Auscultatori?

- Se vi divertite, sì - In che senso

- Nel senso che se in un club ci si rompe le palle a contare quanti siamo non ci si diverte, e se non ci si diverte non viene più nessuno, e se non viene più nessuno è un club di

sfigati! E il club degli sfigati, ti assicuro, che è l’ultimo dei posti dove le formiche femmina potrebbero cercare un formico!

- Già, affermò soprappensiero Ugo, e… quindi che si potrebbe fare in un club, perché la

gente si diverta?

- Prova a pensare Ugo, pensa a cosa è che ti rende il lavoro meno faticoso, me ne hai

parlato proprio mezz’ora fa.

- Ascoltare musica!

- Bravo!

- Sì sì sì è vero! Ascoltare la musica mi diverte, ma… come si fa ad ascoltare la musica

quando non si lavora, nel senso, se non si lavora, che si fa quando si ascolta la musica e basta?

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- Che palle Ugo! Ma ti devo proprio insegnare tutto? Spero di non doverti insegnare anche come si fanno i bambini!

- Quello lo so! Affermò Ugo quasi ferito

nell’orgoglio e guardandosi le unghie con fare da intenditore, della serie: te lo faccio vedere chi sono io, bambola!

- Vedi Ugo, la musica non deve essere una medicina, si può parlare, ascoltando la

musica, si può assaporare una bevanda, si può socializzare e si può anche non fare assolutamente niente di fronte ad un bel tramonto rosso, come quello che stai guardando ora.

Clarissa continuò mentre Ugo restava incantato davanti al tramonto:

- Vedi Ugo, la musica è creatività, e quindi aiuta anche a pensare. C’è chi pensa al lavoro o alla propria amata, chi riflette su di un problema oppure chi sta semplicemente godendosi il pezzo in compagnia di un

amico… o di un’amica.

Ugo restò in silenzio, pensando alle parole di Clarissa, e a un certo punto gli tornarono in mente gli attimi prima del tuono che

annunciava la grandine:

- Scusa Clarissa, perché prima della grandine hai detto che era stata la prima volta?

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- E’ una lunga storia…

- Beh? sono tutt’orecchi, in fondo siamo in un club no?

- Sì ma la storia è lunga e ora si è fatto tardi, troviamoci domani qui, nel tardo pomeriggio - Hai ragione, anche per me si è fatto tardi, ma

domani non mancare, ci vediamo qui, al

club… club? “Club della musica alla veranda al tramonto”

- Ugo questo non è un nome è il primo canto della divina tragedia, che diamine! Facciamo il club della veranda, anzi “La Veranda –

Music Club”

- Ok ok, domani, alla Veranda, ciao devo scappare.

- Ciao Ugo.

Clarissa salutò frettolosamente, in effetti non aveva grandi impegni, aveva avuto il terrore di dover spiegare ad Ugo cose che la toccavano nel più profondo dell’anima e quindi aveva solo rimandato al giorno dopo.

Clarissa, infatti, era figlia di una grande cantante Jazz che aveva incantato, a suo

tempo, tutta la vallata. Clarissa quindi sapeva tutto sulla musica, una questione di DNA, ma la paura di non essere all’altezza della madre, bella e famosa, gli aveva sempre impedito di provarci e più passava il tempo e più era

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difficile anche solo pensare di provarci. Quel pomeriggio, in effetti, qualcosa l’aveva turbata e quando Ugo, incuriosito dalla musica, si era messo alla sua mercè, in attesa che lei le

insegnasse qualcosa, si era sentita per la prima volta diversa. Ormai però era talmente tanto tempo che non usava le ali per produrre suoni che i muscoli erano atrofizzati e il fatto che non aveva mai cantato le aveva atrofizzato anche i muscoli delle guance, rendendo il suo viso assolutamente improponibile. Il tutto,

come in uno scherzo della natura, si

concludeva con un sordità psicosomatica

dovuta allo stress che viveva a causa della sua situazione.

Ugo se ne stava tornando al suo formicaio con una miriade d’idee nuove che gli ronzavano nella testa, la musica, Clarissa, il verme, le regole, già… le regole, ma ciò che più lo

assillava era il perché Clarissa non aveva mai cantato.

Il giorno seguente Ugo si svegliò di buon umore, sapeva che nel tardo pomeriggio avrebbe incontrato Clarissa e viveva questa attesa con una carica positiva addosso che gli faceva portare grandi pesi in totale scioltezza:

- Ehi Ugo, gli dicevano i suoi colleghi, cosa c’hai stamani, il turbo?

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- Ugo non rispondeva, canticchiava, anzi, accennava percussioni ritmiche

accompagnate da accenni con le anche.

- Sì sì, balla Ugo che ti passa! Schernivano gli amici che tra di loro a bassa voce

continuavano, sembra che ieri sera sia stato visto infrattarsi sotto una tegola con una

cicala!

- Minchia! Un maschio come lui! Con una

cicala? Miii è pazzesco! Ripetevano gli amici, E’ una vergogna! Bisogna fare qualcosa.

Chissà perché, quando in un gruppo qualcuno fa qualcosa di diverso, gli altri tendono sempre a impedire che succeda, non si capisce se è perché questo genera insicurezza, invidia od una micidiale combinazione di entrambi i

sentimenti.

Ugo non sentiva e se anche avesse sentito non gliene sarebbe importato un gran ché.

Finito il lavoro Ugo si affrettò per recarsi al club della Veranda e notò con stupore che Clarissa stava lavorando come una pazza per

sistemare il club e renderlo più accogliente.

Ugo un po’ in imbarazzo, nel vedere una cicala che faceva lavori di fatica, tirò fuori la solita

battuta fuori luogo:

- Cosa fai, bambola, hai ospiti stasera?

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- Non fare il cretino, Ugo, chi vuoi che aspetti, i soldi per la campagna pubblicitaria per il

Music Club La Veranda io non ce li ho, sono cicala io, non formica! Come stai.

- Bene, benone, anzi meglio! Ma… che stai facendo?

- Pulisco, e rendo il posto più accogliente, si vede che qui prima ci viveva un verme,

guarda qua, guarda! Lo sai cosa è questa?

- Che roba è, toccando uno strano involucro gommoso a forma di tubo, è vivo?

- Ma che vivo, tocca tocca! Mica ti morde, anzi - Che schifo! È tutto appiccicoso, ma che roba

è?

- Una vermiciattola gonfiabile! Hai capito il moralista? Lui e le sue regole… era ma un segaiolo!

- Lascia stare questa roba, la butto io, non è roba per donne.

Ugo continuò a dare una mano a Clarissa fino a che il posto non divenne una vera chicca, quasi dimenticandosi del motivo per cui era venuto all’appuntamento. Clarissa invece non se lo era dimenticato affatto, aveva

semplicemente rimandato il problema che comunque, prima o poi, le si sarebbe

ripresentato.

- E’ stupendo, disse Ugo

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- Non sembra neanche più la ex dimora di un verme

- E poi, continuò Ugo, è anche sicuro, dalla grandine e da uccelli male intenzionati - E poi c’è una vista…

Clarissa si mise di nuovo sul lato ovest della veranda, il sole non era ancora al tramonto ma la luce, già abbastanza obliqua, riusciva a

illuminare l’interno del club:

- Ugo, tu ci credi ai sogni?

- Perché anche le cicale sognano?

- Tutti coloro che hanno dei desideri sognano, Ugo

- Io ne ho molti di desideri, cioè alcuni, sì…

voglio dire alcuni sono più importanti, altri meno, ma quando sogno, sogno altre cose.

- E cosa sogneresti, sentiamo un po’?

- Molto spesso sono cose che non hanno

niente a che vedere con i desideri, anzi, non vedo l’ora di svegliarmi.

- Quelli sono incubi, Ugo, io parlo dei sogni, nel senso… quelle cose che vorresti tanto che succedessero e che ci pensi anche di giorno e che qualunque cosa tu faccia non ti abbandona mai la voglia di realizzarli, e che per raggiungerli saresti disposto a tutto.

- Tutto cosa?

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- Tutto Ugo, quando dico tutto, intendo tutto, anche la vita!

Ugo restò pensoso, stizzito, avrebbe voluto

mandarla al diavolo, prima perché non credeva fosse possibile, poi proprio perché qualcosa gli diceva che invece era possibile:

- A dire il vero una cosa per la quale farei di tutto ci sarebbe.

- Quale?

- Vorrei conoscere la musica, anzi,

riconoscerla, anzi, suonarla… mi piacerebbe saper suonare tamburi piatti campanelli,

insomma, tutto quello che dà ritmo, tutto

quello che dà energia, potrei sacrificare le ore di libertà e quelle del sonno, pur di riuscirci.

- E perché non lo fai?

- E da dove comincio? Non credo che esistano manuali del tipo “il formico batterista in sei lezioni”

- In effetti sei lezioni non bastano neanche per riconoscere il pentagramma, se sei

veramente disposto… Ugo, ci potrei pensare io.

- Sarebbe fantastico Clarissa! Tu veramente faresti questo per me?

- Perché no? In fondo il posto lo abbiamo già, per gli strumenti bastano dei piccoli

frammenti di legno e qualche seme svuotato

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di dimensioni diverse, per i piatti… potremmo ricavarli smontando qualche palliette da

qualche indumento umano alla discarica, a volte sono anche di metallo.

- È fantastico Clarissa! Sei un mito, una vera amica!

e cominciando a balzellare sotto la veranda

riprese a ballare accennando con la bocca ritmi non meglio riconoscibili:

- ci ca bum ci ca bum cica bum bum bum…

Clarissa era riuscita di nuovo a dribblare il problema e poi, tutto sommato, l’idea di

insegnare a qualcuno i rudimenti della musica, la rendeva sorprendentemente felice:

- Diamoci da fare Ugo, tu dovrai reperirmi molto materiale tecnico, ecco una lista - Sarà fatto Clarissa, puoi contarci, e dopo

aver dato una veloce lettura, una parte le recupererò questa sera, prima che faccia buio, l’altra la troverò domani, dopo il lavoro, ci vediamo qui domani sera al tramonto.

Ascoltando a malapena l’ok di Clarissa

continuò a leggere la lista dirigendosi verso

l’uscita, ma una volta sull’esterno della veranda si bloccò. Clarissa lo stava seguendo con lo sguardo e quando si accorse che Ugo stava dirigendo lo sguardo verso di lei, cambiò

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immediatamente atteggiamento fingendo di mettere a posto alcune suppellettili:

- Clarissa!

- Sì

- Mi sbaglio o noi due abbiamo un discorso in sospeso?

Clarissa dribblò con perfetta disinvoltura:

- Domani Ugo, domani, non vedi che ho da fare ora… e poi non ci sarebbe il tempo, ora, hai un sacco di cose da trovare tu, sbrigati che il buio non aspetta nessuno da queste parti.

- Ok… ma domani voglio sapere tutto, ok?

- Ok, domani - Domani, tutto?

- Si tutto!

Convinto, ma non troppo, s’incamminò di

nuovo, Clarissa questa volta, per paura di non ricadere in trappola, non lo seguì più con lo sguardo e infatti, Ugo dopo qualche passò si girò a guardarla di nuovo, stava freneticamente lavorando.

- Ugo! Non quello, quel seme è secco e vuoto, gli dissero i colleghi che lo videro rovistare ad una discarica fuori dal formicaio

Ugo, continuando a rimirare nella parte interna del seme gli rispose:

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- Esatto! Proprio come un tamburo! E

continuando a bassa voce, questo dovrebbe andare benissimo, passo a prenderlo

stasera.

Con fare lesto lo sistemò da una parte, lontano dai rifiuti ed esposto bene al sole in modo da seccare definitivamente.

Gli amici, come al solito, espressero il loro commenti negativi nel dubbio che l’amico stesse veramente esagerando. Uno dei

formichi, guardando la scena, completamente indignato, disse agli altri:

- Sarà bene controllare Ugo, nei prossimi giorni, altrimenti prima o poi potrebbe combinarci qualche guaio.

- Siamo d’accordo, facciamo dei turni.

Appena, Ugo si allontanò, gli amici andarono subito a controllare cosa ci fosse stato mai di particolarmente interessante in quel seme di miglio un po’ schiappato:

- Niente, qui non c’è assolutamente niente!

Chissà cosa ha in mente il nostro amico.

- Non mi piace per niente, disse un altro dei tre, stasera lo seguiremo, dopo il lavoro!

Tre

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Il tramonto ormai era imminente, e Clarissa era come al solito al lato destro della veranda che assaporava il caldo rosso del tramonto.

Ugo arrivò stracarico di cianfrusaglie, aveva con sé semi di miglio di diverse dimensioni, accuratamente svuotati, tre strass dorati e

diversi minuscoli ramoscelli e schegge di legno per costruire le attrezzature. Il tutto era legato con fili di tela di ragno e Ugo si trascinava il materiale che rotolava emettendo dei suoni, come le casseruole dietro un’auto di sposi appena usciti dalla chiesa.

- Ciao Ugo, vedo che già ti stai esercitando, non si può dire che sei venuto in silenzio!

- Non prendermi in giro Clarissa, questa roba pesa almeno tre effe.

- Tre cosa?

- Tre effe, è l’unità di misura per noi formiche, una effe è all’incirca il peso di una formica, due effe due formiche e tre effe…

- Tre formiche, interruppe Clarissa - Allora lo sapevi?

- No Ugo, è che me lo stavi già spiegando - E tu l’hai capito prima che io finissi di

spiegarlo! Sei veramente forte!

- Oddio!… ok Ugo diamoci da fare.

Clarissa spiegò a Ugo cosa avrebbe dovuto costruire, ma prima si mise a spiegare al

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formico che battendo con un elemento, che di lì in avanti avrebbero chiamato bacchette, sui semi di miglio vuoti di diverse dimensioni, si producevano tonalità diverse e come primo esercizio chiese a Ugo di sistemare lungo la parete i semi secondo un ordine crescente di tonalità.

Ugo, in un primo momento faceva fatica a riconoscere la diversa tonalità ma alla fine cominciò a divertirsi e Clarissa, con grande pazienza e fatica aveva fatto la sua prima

lezione. Ormai la luce era scarsa e la luna era coperta dalle nuvole, Ugo provò ancora a

battere le bacchette sui semi di miglio per un po’, anche se ormai andava a intuito.

- Bene Ugo, interruppe Clarissa, per oggi direi che abbiamo imparato una cosa.

- Cosa?

- A trovare il bersaglio, Ugo, vedi è importante per un percussionista, trovare il bersaglio, i tamburi, insomma i chicchi di miglio vuoti, perché nel frattempo che una mano batte su di un elemento l’altra lo fa su di un altro, e magari con i piedi devi fare una terza cosa.

- Vuoi dire che potrei diventare come Tullio de Piscopo?

Clarissa restò un attimo di stucco:

- E tu che ne sai di Tullio de piscopo?

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- Beh ogni tanto andiamo a far provviste al bar del paese degli umani e lì ascolto spesso la musica che viene da dentro. C’è un tizio che parla tra un pezzo e l’altro, da dietro una

graticola nera, la chiamano radio, e Tullio è il mio idolo lui si che è forte! Ta tum ta

trututum…

- Ecco dove hai ascoltato la musica, sai che stavo quasi per domandarti da dove veniva mai questa passione, non mi risulta che esistano discoteche per formiche.

- Discoteche per formiche no, ma formiche che vanno in discoteca sì che ne esistono, ce n’è proprio una non lontano da qui, ogni tanto andiamo a far provviste di zucchero. Il posto migliore è il banco delle caipirinhe, dobbiamo solo stare molto attente a non farci vedere e soprattutto fare molta attenzione a quando portiamo a casa chicchi di zucchero al rum o alla vodka, sai che sballo quando non te ne accorgi!

- Ma senti senti i formichi che fanno i furbetti e fanno bisboccia in discoteca, per fortuna da voi non c’era luce nel formicaio!

- Pochissima, infatti, e anche in discoteca non ce n’è poi tanta, almeno dove possiamo

passare indisturbati, solo qualche flash che ti sballa un po’ ogni tanto. Ma il massimo è

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quando passo nel muro vicino al subwoofer le vibrazioni ti fanno fare dei salti che ti

flesciano di brutto! Stunf stunf stunf

E come al solito Ugo cominciò a muovere il bacino avanti e indietro e altrettanto con la testa. Clarissa restò un po’ imbambolata e un po’ incuriosita, certo questa infarinatura di musica house non semplificava le cose ma comunque voleva dire che una base di

orecchio c’era:

- Ok ok Ugo basta così, ho capito, qualcosa di musica la hai ascoltata. Bene. Ora fai conto di non aver ascoltato mai niente e ascoltami bene: il ritmo, nella musica si divide in tempi, che possono essere due, tre, o quattro

quarti…

La lezione di musica sui solfeggi andò avanti fino a che la luna non fece di nuovo capolino, le nuvole erano passate, e con loro anche il tempo e i due erano presissimi nelle loro diverse attività: uno imparava e l’altra

insegnava ed entrambi erano talmente presi che non si resero conto che quasi era l’alba.

Il canto del gallo fece sobbalzare Ugo:

- Dio mio! È già giorno! Devo fuggire! Ci vediamo stasera, fuggo!

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- Scusami Ugo, anche io non me ne ero accorta.

- L’importante è rientrare prima che spunti il sole, altrimenti è un guaio grosso!

- Vai vai Ugo, a stasera.

Ugo fece una corsa che il cuore gli scoppiava in gola ma arrivò giusto in tempo per trovarsi in fila indiana insieme ai suoi compagni, che non risparmiarono la battuta:

- Notte brava eh! Disse il primo

- Ma che ci facevi in giro con tutte quelle cianfrusaglie da discarica, sembrava che

portassi a giro le pentole di cucina giusto per far casino, che ti è preso una rincretinite? Hai ricominciato i giochi da bambino, continuò il secondo prendendolo in giro.

- Non è che ti sei messo in testa cose strane con quella cicala brutta e stonata! Concluse il terzo cercando di provocare una reazione più decisa in Ugo che sembrava non considerarli.

- Siete una massa d’ignoranti, Uno, Due e Tre, indicandoli uno a uno, voi non capite, non potete capire, siete troppo stupidi per capire.

Uno Due e Tre, in effetti, erano i nomi dei tre suoi compari, amavano i loro nomi, perché così quando stavano in fila non facevano mai

confusione e di questa soluzione, a loro dire molto originale, ne andavano molto fieri.

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Tre che era il più giovane e il più facilmente infiammabile, alla dichiarazione di stupidità fatta da Ugo non riuscì a contenersi e si

scagliò con violenza sul Formico che lo aveva offeso:

- Calmo Tre! Non fare stupidaggini! Gli disse Uno, Sei impazzito, se crei scompiglio nella fila, proprio appena usciamo, ci vedono tutti i superiori e ci cacciano!

- Ok ok, ma non finisce qui, prima o poi facciamo i conti noi due, Frequentatore abusivo di cicale.

- A tua disposizione Tre, quando vuoi, ti aspetto.

I quattro si rimisero in fila cercando di

mantenere la calma, la paura di farsi beccare in atteggiamenti non corretti, proprio sotto gli occhi dei superiori che controllavano l’uscita, era troppo pericoloso. Avrebbe potuto

significare l’espulsione.

Per le formiche l’espulsione era la peggior

pena che si potesse subire. Due erano i casi di espulsione: fare a botte durante il lavoro e la diserzione.

L’espulsione non era una forma di prigionia, ma bensì una espulsione dalla comunità, il che non voleva dire odio o rancore, significava

semplicemente che la formica espulsa doveva

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dimostrare di essere capace di vivere da un’altra parte, riorganizzandosi la

sopravvivenza per conto suo. A volte alcune formiche espulse costituivano un nuovo

formicaio e ricostituivano una nuova comunità, guadagnandosi nuovamente onore e

rispettabilità nei confronti di coloro da cui erano stati espulsi. Altre volte, in rari casi, alcune

formiche continuavano la loro vita in solitudine e arrangiandosi come potevano, questo status era chiamato Randagismo. In altrettanti

rarissimi casi, alcuni solitari riuscivano ad organizzarsi così bene la vita da soli che suscitavano l’invidia e soprattutto

l’ammirazione delle comunità. Alcuni di essi venivano di volta in volta contattati dai saggi delle comunità perché a loro venivano attribuite doti di intelligenza fuori dal comune, in quanto solo in questo caso avrebbero potuto

sopravvivere agiatamente in solitudine e quindi divenivano una specie di consulente per coloro che desideravano aggiornarsi

sull’organizzazione della vita nelle comunità.

Per questo venivano chiamati Sapiens.

La giornata di lavoro per Ugo fu pesante, non aveva dormito per niente, e la scaramuccia con Uno Due e Tre gli aveva messo molta

agitazione. Ma nei momenti in cui non lo

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notava nessuno ripassava a mente,

canticchiando a bocca chiusa, i tempi del solfeggio.

La fine della giornata si concluse con una leggera pioggerella, che non era come la grandine, sinonimo di riposo autorizzato, no, con la pioggerella si lavora lo stesso, sotto l’acqua e scivolando nel fango. Quando ebbe riportato l’ultimo carico, Ugo era distrutto e quando Tre gli si ripresentò davanti, visto che era scaduta l’ora del lavoro, non fece a tempo a rendersi conto del pericolo che si prese un montante dritto dritto sotto il mento. Cadde nel fango, ko, quasi privo di sensi. Uno Due e Tre se ne andarono soddisfatti, anzi Uno non lo era del tutto, era il più anziano dei tre, non aveva gradito il comportamento di Tre e comunque non poteva dissociarsi. Ugo perse quasi

conoscenza, e quando riuscì ad alzarsi il

tramonto era passato da un pezzo. Non poteva fare il bidone a Clarissa, portandosi dietro la testa che gli scoppiava compressa tra le mani e fermandosi ogni 10 passi per riprendere il senso dell’orientamento, arrivò alla veranda che la luna era alta.

Quando entrò clarissa non c’era, cercando di tornare indietro, inciampò sugli strumenti che si trovavano appoggiati in mezzo alla veranda,

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creando un gran fracasso e finendo in terra esausto:

- Chi è! Urlò Clarissa svegliandosi, mentre si trovava su di un ramo sopra la veranda, chi va là, chi sei?

- Sono Ugo, con voce flebile, Clarissa arrivò in un attimo:

- Ugo! Che è successo? Che ti hanno fatto, Clarissa, dapprima volle rendersi conto che non avesse niente di rotto, dopodiché sfogò tutta la tensione accumulata nelle ore passate ad aspettare:

- Dove cazzo sei finto, fannullone perdigiorno, a far baldoria o a puttane? Se è così che

intendi imparare la musica ti sbagli di grosso!

Ugo non reagì, era distrutto nel fisico e

nell’anima e, come già aveva fatto giorni prima, cominciò a incamminarsi verso l’uscita ma

quando fu sotto la luna si girò lentamente e con voce rauca disse a Clarissa:

- Ti avevano offeso.

Senza aspettare una risposta si rimise in cammino, quella giornata era stata troppo pesante per lui, doveva in qualche modo raggiungere un letto.

Quattro

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Clarissa restò senza parole, la sua reazione era stata talmente fuori luogo che qualsiasi tentativo di riparare alla figuraccia le sembrò inutile, se non peggio.

La cicala tornò sul ramo e non dormì per tutta la notte, restò immobile con lo sguardo nel vuoto, come in una catalessi dalla quale né uscì soltanto con il canto del gallo e il

cinguettio degli uccelli lì vicino. Era stordita, confusa, dopo una notte a pensare a cose immobili e senza nulla dedurne cominciò a riattivare il cervello, ma molto lentamente, non capiva bene e si chiedeva se il gioco nel quale si stava cimentando non fosse una cosa

sbagliata, o addirittura pericolosa, non solo per lei ma anche per il povero Ugo che a questo punto c’era già dentro fino al collo.

Ugo, nonostante tutto, riuscì a dormire qualche ora quel tanto che bastasse a rimettersi in piedi per andare al lavoro. Due e Tre erano

soddisfatti della loro dimostrata superiorità e anche se non degnavano Ugo neanche di uno sguardo, carpivano la sua presenza e

soprattutto del fatto che da parte sua non c’era stata reazione. Ugo aveva altro per la testa, sentiva ancora i dolori dell’aggressione della sera prima, ma quello che più gli bruciava

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dentro era il modo in cui Clarissa lo aveva trattato.

Mentre era assorto nei suoi pensieri e lavorava, durante una operazione di

caricamento di un grosso chicco di grano, fu avvicinato da Uno che in modo furtivo e senza farsi accorgere dai suoi due compari gli disse:

- Dopo il lavoro ti devo parlare - Che cosa vuoi ancora?

- Ti devo parlare da amico, non temere, gli altri non ci saranno.

- Dove?

- Sotto il masso del ruscello

- Ok ci sarò, ma non avrò molto tempo

Ugo non si domandò quale potrebbe essere stato il motivo dell’incontro ma bensì si

preoccupò del fatto che non avrebbe voluto perdere molto tempo con Uno, voleva tornare alla veranda, doveva per forza vedere Clarissa.

Per fortuna la giornata di lavoro fu

caratterizzata da un buon clima e quindi fu molto meno faticosa del giorno precedente.

Dopo il lavoro, i due si trovarono sotto il masso che faceva una grande ombra proprio davanti al ruscello che scorreva tranquillo con leggeri gorgoglii.

- Ugo, Ugo! Sono qui, vieni non temere

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Ugo si avvicinò a Uno lentamente, ma non per paura, semplicemente per curiosità: cosa

avesse mai potuto volergli dire il suo compare.

- Dimmi Uno sono tutto orecchi e antenne.

- Intanto volevo chiederti scusa, Ugo, io non ero d’accordo sul comportamento che ha avuto Tre, ma tu devi capire, noi siamo un gruppo e in qualche modo dobbiamo sempre difenderci l’uno con l’altro, anche quando magari non sei completamente d’accordo su cosa stanno facendo gli altri.

Ci fu un attimo di pausa, i due restarono un attimo in silenzio, dopodiché Uno proseguì:

- Quando però è troppo è troppo Ugo, quello che ha fatto Tre non è leale e lui dovrebbe venire da te a chiederti scusa… ma anche tu non ce la stai raccontando giusta, Ugo.

- Cosa vuoi dire?

- Intendo, Ugo, che ultimamente hai avuto un comportamento veramente strano, il tuo frequentare una cicala, scusami, non è

decente! Addirittura passarci la notte insieme!

Ma ti rendi conto del disastro culturale che puoi provocare? Pensa se i giovani venissero a sapere che un formico se la spassa con una cicala? Sarebbe pazzesco, verremmo derisi da tutte le comunità circostanti. Tu

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forse non te ne rendi conto, ma potresti

essere una minaccia per la comunità intera!

Ugo restò pensieroso, in un primo momento stava quasi per dargli ragione, poi, cambiò espressione e, quasi divertito si rivolse a Uno cambiando totalmente discorso:

- Tu ci credi ai sogni

- Cosa c’entrano i sogni?

- Tutti coloro che hanno dei desideri sognano, Uno

- Io ne ho molti di desideri, cioè alcuni, sì…

voglio dire alcuni sono più importanti, altri meno, ma quando sogno, sogno altre cose.

- Cosa?

- Molto spesso sono cose che non hanno

niente a che vedere con i desideri, anzi, non vedo l’ora di svegliarmi.

- Lo pensavo anch’io ma quelli sono incubi, Uno, io parlo dei sogni, nel senso… quelle cose che vorresti tanto che succedessero e che ci pensi anche di giorno e che qualunque cosa tu faccia non ti abbandona mai la voglia di realizzarli, e che per raggiungerli saresti disposto a tutto.

- Tutto cosa?

- Tutto Uno, quando dico tutto, intendo tutto, anche la vita!

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- Uno restò pensoso, stizzito, proprio come era successo ad Ugo qualche sera prima con

Clarissa. Ma poi:

- E secondo te esistono delle persone che darebbero anche la vita per qualcosa?

- Beh… io credo di sì

- E’ impossibile Ugo, come fa un individuo a desiderare una cosa più della sua vita?

- Prova a pensarci un attimo, un momento fa mi hai detto che un disonore per la nostra comunità sarebbe una cosa gravissima.

- Certo che l’ho detto, e lo penso anche ora.

- E continueresti a pensarlo anche domani?

- Certo!

- Anche tra molto tempo?

- Sicuro!

- Anche dopo di te… intendo, vorresti che lo pensassero anche i tuoi discendenti?

- Ma certamente! Non c’è dubbio.

- Vedi Uno anche tu hai un sogno: che gli ideali in cui credi diventino la stessa cosa anche per i tuoi discendenti.

- Allora se questo può essere considerato un sogno, diciamo di sì, anche io ho un sogno.

- Bene, non ne hai altri?

- No, anche perché di vite ne ho una sola… lo dice anche il nome.

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- No Uno, non è che ogni volta che hai un sogno devi dare la vita, quella è solo una estrema eventualità, un modo per dire che è talmente importante per te che potresti anche sacrificarti, ma dovrebbe essere proprio una eccezione! Insomma, io intendo qualcosa per cui potresti durare molta fatica, sacrifici,

sacrificare molto tempo!

- Allora vuoi dire che potrei anche avere un sogno importante, ma che insomma non devo proprio dare la mia vita?

- Diciamo di sì

- E quindi te lo potrei dire anche adesso?

- Ma certo!

- Beh una cosa ci sarebbe che mi piacerebbe tanto.

- Sputa il rospo!

- Mi piacerebbe ritornare bambino.

- Ma quello è impossibile, non è un sogno.

Prova a pensare perché lo vorresti.

- Mi piacerebbe ritornare a giocare, avere la testa tra le nuvole, usare la fantasia e non dover soltanto lavorare riposare lavorare e riposare.

Ugo ebbe un sussulto e gli occhi gli s’illuminarono:

- Ecco, Uno, ecco un buon motivo per

sognare, la fantasia, seguirla, conoscerla

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farsi trasportare… e soprattutto trasportarci dentro anche tutti quelli che incontri, gli

amici… insomma tutta la comunità dove vivi.

- E tutto questo cosa c’entra con la cicala?

- Vedi Uno, la cicala, mi sta aiutando a rincorrere un sogno.

Uno ebbe un lampo di genio, o meglio un’ispirazione:

- La macchina del tempo! Non mi dire che tutti quei semi vuoti che ti abbiamo visto

trasportare servivano a costruire la macchina del tempo? Mitico Ugo! Zitto zitto si sta

costruendo la macchina del tempo! Non ti preoccupare Ugo, terrò il massimo silenzio…

però… mi raccomando… un giretto mi ce lo fai fare anche a me.

- Calmati Uno, credo che la tua fantasia corra un po’ troppo, io stavo parlando di musica.

- E cosa c’entra la musica con la macchina del tempo.

- Vedi Uno, Clarissa, la cicala…..

Ugo raccontò la storia del suo incontro con

Clarissa e Uno restò per un primo momento un po’ scettico, poi piano piano invece si sentì

coinvolto:

- Quindi vuoi dire che un giorno potresti esibirti in un concerto davanti a tutti noi?

- Perché no?

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- E quindi potremmo passare le serate al club della veranda spassandocela un po’ mentre tu ci suoni un assolo di De Piscopo?

- Già, sarebbe un sogno.

disse Ugo guardando nel vuoto, all’infinito, scuotendo la testa e ricordandosi che appena dopo la prima lezione la sua insegnante lo aveva cacciato.

- Ora però devo andare, Uno, mi dispiace, continueremo un’altra volta questa

chiacchierata

Mentre Ugo si allontanava lesto lesto, Uno lo raggiunse con una ultima raccomandazione:

- Ugo! Mi raccomando, che questa nostra chiacchierata resti tra noi! Sai… gli altri due non vorrei che se la rifacessero con me, in fondo sono il più anziano…

- Ok Uno ok! Ma tu promettimi di tenere a bada i bollenti spiriti di Tre, altrimenti…

- Ok ok Ugo ci proverò

- Grazie Uno, sapevo di poterci contare!

Ugo si affrettò, voleva essere alla veranda prima del tramonto.

Quando Ugo arrivò, non trovò nessuno, provò a chiamare ma inutilmente, Clarissa non era neanche sul ramo dell’albero che stava proprio sopra la veranda.

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Allora si mise sul lato desto della balconata, aspettando il tramonto, fissando la palla rossa di fuoco che s’immergeva all’orizzonte e

appena l’ultimo frammento di rosso

scomparve, Ugo prese in mano una bacchetta e cominciò a tamburellare sui semi di miglio. Si ricordava che le diverse tipologie di seme

producevano altrettanti suoni diversi e quindi si soffermò solo su tre di questi che avevano

suoni molto differenti.

Da prima era un tentativo incerto di trovare una sequenza gradevole, poi cominciò a dare un ritmo ai movimenti delle mani, cercando di

sperimentare ciò che aveva imparato nella sua prima e ultima lezione di musica. Dopo circa mezz’ora si era inventato un motivetto tutto suo, che sperimentava a velocità diverse. Ugo non si accorse che già da più di dieci minuti, Clarissa stava fuori della veranda come unico spettatore e sul finire del movimento fece

scattare un applauso. Ugo, colto di sorpresa, si allontanò dal balcone della veranda, con un balzo in avanti, finendo di nuovo sopra gli strumenti e inciampandoci sopra:

- Chi sei? Urlò Ugo con voce un po’ tremula cercando di districarsi dal groviglio di tamburi - Niente male Ugo, proprio niente male!

Commentò Clarissa come se stesse facendo

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un’audizione al povero formico, Dobbiamo lavorare sui tempi ma il tocco c’è,

complimenti, complimenti veramente.

- Clarissa! Sei tu? Disse Ugo rialzandosi e cercando di assumere un aspetto dignitoso - No sono madonna, ribatté Clarissa con tono

ironico, che non ha resistito alle tue storpiazioni ed è venuta a scritturarti!

Raccogli gli strumenti e vedi di metterli a posto Ugo, oggi lezione numero due.

Cinque

Ugo non credeva ai suoi occhi, raccolse gli

strumenti molto velocemente e li dispose come gli aveva insegnato clarissa la volta precedente e appena fu pronto si sedette sul suo sgabello, impugnò le bacchette e:

- Sono pronto, mia adoratissima prof, prometto che d’ora in poi non avrai più problemi con me… almeno spero.

E quasi come se avesse voluto coprire questa sua ultima considerazione attaccò una rullata di tamburi con un finale sui piatti.

- Cosa intendi Ugo, quando dici “almeno spero”

Ugo cambiò espressione e con un po’ meno entusiasmo le rispose:

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- Vedi Clarissa, per me questo che stiamo facendo è la cosa più importante della mia vita, è un sogno, uno di quelli per cui faresti di tutto… mi hai insegnato tu a chiamarlo così giusto?

- Vai avanti Ugo

- Il fatto è, che a volte, le cose non vanno come sembrerebbe che sia giusto che vadano, cioè… non basta che tu sia

veramente determinato nel voler fare una

cosa, a volte sei costretto a dover convincere anche altri, anche se poi loro stessi non

c’entrano niente… insomma, concluse Ugo con un colpo di bacchetta sul piatto,

rincorrere i sogni è un bel casino!

Clarissa capì, dal discorso un po’ contorto, che qualcosa bolliva in pentola:

- Vuota il sacco Ugo, cosa è successo, chi devi convincere?

- No… niente… era così per dire…

- Allora? Ti vuoi decidere? Siamo amici della veranda o siamo qui per raccontarci che oggi c’è il sole o che l’acqua è bagnata? O mi dici le cose come stanno o io a questo gioco non ci sto! Gradirei che tu mi rendessi partecipe anche delle tue paure, oltre che dei tuoi…

orgasmi musicali!

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- Non ti arrabbiare, pupa, non sono il solo ad avere avuto orgasmi musicali, se non ricordo male!

In quel momento calò un silenzio di tomba, per qualche attimo i due restarono fermi e con lo sguardo fisso: ognuno dei due tornò con la mente agli attimi prima della grandinata.

Clarissa, ovviamente, si ricordò del fatto che anche se era riuscita a far passare in secondo piano la questione, inevitabilmente era

riaffiorata, e ormai doveva affrontare la realtà, ma era disperatamente disarmata, non sapeva come uscirne. Ugo, che aveva parzialmente accantonato la questione, un po’ perché aveva altro a cui pensare, ma sentendosi contestare proprio il fatto che quando si è, o ci si dichiara, amici, bisogna dirsi tutto, non potette fare a meno di riprendere il discorso e, anche se qualcosa gli diceva che sarebbe stato meglio per Clarissa di non fare la domanda, fu più forte di lui:

- Sbaglio, Clarissa, o c’è qualcosa che anche tu devi dirmi, e non da ieri o stamattina… da diversi giorni, e arrivandogli dritta sul viso, proprio sul suo naso concluse, Sbaglio?

- No, non sbagli Ugo, hai ragione, sono la solita cicala che predica bene e razzola male… è che io…

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Clarissa restò con il fiato sospeso, gli occhi le divennero lucidi, il fiato le rimaneva nei polmoni e non riusciva a emettere alcun suono, alcuna parola, il blocco era totale.

Ugo si rese conto che quello che celava

Clarissa dentro di sé era talmente pesante che cercò di sbloccare la situazione, questa volta con una battuta un po’ più adatta:

- Ok, Clarissa, visto che parlare tra razze

diverse è una cosa difficile, comincerò io… lo so che i sentimenti non hanno forma né

colore, e che l’unica lingua universale la parla soltanto la paura, ma quando la paura mi

provoca… fanculo, fanculo e rivaffanculo!

Quindi, comincerò io. Quello che volevo dirti prima, è che i miei amici stanno diventando i miei nemici, proprio perché ti frequento… per loro il fatto che un formico frequenti una

cicala non è ammissibile, è più forte di loro!

Ugo fece una pausa, mentre Clarissa attendeva immobile:

- Ma uno di loro è diverso, Uno, sì Uno è diverso

- Quale?

- Uno!

- Uno chi?

- Uno, è il più grande dei tre - Avrà anche un nome spero

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- Scusa Clarissa, ora ti spiego: i miei amici si chiamano, Uno, Due e Tre

- Sì, cavallo carrozza e re!

- Lo so che non è una figata chiamarsi così, ma loro sono un po’ strani, pensano che invece sia un’invenzione molto intelligente, perché così quando sono in fila per andare al lavoro non fanno confusione.

Con tono molto sarcastico e un po’

provocatorio, Clarissa commentò:

- Però, hai degli amici molto intelligenti, anzi direi… profondi!

- Ma non sono tutti così, voglio dire… Uno di loro, Uno per l’appunto, è diverso, con lui ho potuto parlare… dei sogni, proprio come tu avevi fatto con me, e il risultato è stato

magnifico Clarissa, ha scoperto cosa vuol dire sognare! Insomma… voglio dire… basta far capire alla gente che esistono i sogni,

anzi, che loro stessi possono sognare, che gli cambi la vita... è come se i sogni togliessero la corrente ai pregiudizi.

- Mamma mia, Ugo, ho creato un mostro! Non starai mica cambiando il DNA?

- Non scherzare Clarissa, il DNA è diverso in ognuno di noi, i sogni invece possono essere gli stessi in persone diverse, chiunque abbia

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un anima può avere dei sogni… anche se gli esseri sono diversi e quindi… quindi…

Ugo era partito per la tangente, tanto che lui stesso non sapeva più dove andare a parare, ma di colpo si fermò, e portandosi davanti agli occhi di Clarissa gli cominciò a scandire la domanda:

- Quale, è, il tuo, so-gno?

Clarissa non poteva più tornare indietro, l’occasione era quella giusta, si sentiva terrorizzata, ma anche a suo agio, Ugo le aveva preparato la situazione giusta per

liberarsi finalmente dal peso che aveva dentro.

Avrebbe potuto parlargli delle sue paure e delle paranoie che nessuno aveva mai ascoltato, di sua madre e tutto il resto. L’occasione non poteva essere sprecata, bastava aprire bocca emettere i primi suoni, la prima parola, il resto sarebbe venuto da sé:

- La musica Ugo, sì, la musica è il mio sogno, ascoltarla, studiarla e perché no, anche

insegnarla… non sai quanta soddisfazione si prova Ugo, nel vedere che qualcuno desidera imparare qualcosa da te e che poi magari

diventa anche più bravo del maestro, è una sensazione impagabile, qualcosa che ti

riempie l’anima… e tu, Ugo stai riempiendo la mia.

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Ugo restò un po’ stordito da questa

affermazione, qualcosa gli diceva che quella non era la risposta che si sarebbe aspettato, ma ne restò così affascinato che non espresse alcun dubbio. Clarissa invece aveva saltato l’ostacolo un’altra volta, era sorpresa dalla sua capacità di eludere il problema ma anche un po’ delusa di aver perso una occasione, forse, irripetibile e comunque aveva detto ad Ugo una cosa vera e questo appagava tutti e due.

- Ok Proff, sono pronto, disse Ugo rimettendosi in posizione

- Ok Ugo fammi di nuovo il pezzo di prima, ma non tutto, solo l’ultima parte

Clarissa, nelle ore successive cominciò a far capire ad Ugo che lavorando sulla diversa apertura sul retro dei semi di miglio seccati si potevano ottenere tonalità di suono diverse e alla fine gli fece capire che queste tonalità diverse, in musica, avevano un nome. Quella sera Ugo, aveva imparato le Note musicali.

Quando Ugo si addormentò, quella sera, aveva ancora qualche ora di sonno da sfruttare,

Clarissa non aveva voluto che il suo amico non dormisse anche quella notte e in fondo anche Ugo, nonostante avesse desiderato fare l’alba, si rendeva conto che la sua vita sociale non poteva essere messa in pericolo.

(53)

Il mattino seguente, al lavoro, Uno Due e Tre appena lo videro lo guardarono con un po’ più di approvazione:

- Rientrato presto ieri sera eh! Attaccò con il solito sarcasmo Tre

- Cos’è, ti hanno fatto il bidone? Replicò Due Uno non fece neanche continuare la battuta che tirò un calcio dietro ad un polpaccio di Due:

- Scusami Due! Guarda un po’ se tu e il tuo

amico camminate invece di rompere i coglioni alla gente! Siete solo degli attacca brighe e non sapete farvi i cavoli vostri!

Ugo fece finta di non aver sentito, e in senso di ringraziamento nei confronti di Uno cercò di sdrammatizzare la situazione:

- Bella giornata ragazzi, non trovate?

- Non c’è male Ugo, e tu come stai?

- Bene Uno, grazie, sto proprio benone, anzi vi volevo dire, ragazzi, che ne pensate, per

sabato sera, di fare un salto al bar della

discoteca a far bisboccia di zucchero e rum?

Sei

- Ma senti senti, intervenne Due, il formico Ugo, che tutto ad un tratto si ricorda degli amici e vuol far baldoria…

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Tre non perse tempo per ribadire:

- Te l’avevo detto che la sua amichetta gli ha fatto il bidone!

Due replicò prima che Tre potesse compromettere l’uscita tra amici:

- Ok Ugo, vada per la rimpatriata, ma… mi raccomando, noi quattro da soli, non fare brutti scherzi!

- Ah ah ah, e secondo voi una cicala può infilarsi dove passiamo noi? Non vi

preoccupate verrò da solo. La mia prof di musica non è tipo da venire in questi posti.

- Cos’è una prof? Domandò Tre guardando Uno e Due incuriosito

- Ve lo spiego dopo ragazzi, disse Uno e rivolgendosi di nuovo ad Ugo, ok Ugo a sabato, al tramonto, puntuali.

Ugo era riuscito a recuperare un po’ di amicizia e rispetto dai suoi amici e al tempo stesso

aveva messo una pulce nell’orecchio, si fa per dire, a Due e Tre che ora rimanevano

incuriositi da questa informazione piazzata là come se nulla fosse e che però li lasciava un po’ spiazzati.

Mentre si allontanavano, Uno domandò ai due amici:

- Ragazzi, voi ci credete ai sogni?

- Cosa c’entra quando si dorme, rispose Tre

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- Io quando dormo, dormo, continuò Due, qualche volta però mi sogno che conto i

giorni che mancano alla fine dell’estate e più si avvicina e più mi girano le palle! Non lo sopporto il freddo! Non capisco poi cosa ci sarebbe poi da credere in un sogno così.

- Quelli sono incubi, Due, e rivolgendosi anche a Tre, io parlo dei sogni, nel senso… quelle cose che vorresti tanto che succedessero e che ci pensi anche di giorno e che qualunque cosa tu faccia non ti abbandona mai la voglia di realizzarli, e che per raggiungerli…

Ugo, mentre si stava allontanando, sentì e sorrise soddisfatto, la storia si ripeteva, e chissà che effetto avrebbe potuto avere sui suoi amici, soprattutto su Tre.

Quando la sera Ugo incontrò Clarissa, non stava nella pelle:

- Clarissa, Clarissa! E’ successa una cosa incredibile!

- Cosa? …Ah sì? Rispose Clarissa un po’

inacidita, e che cosa sognano i tuoi amichetti, contano le pecore?

Ugo restò di stucco e un po’ smarrito provò a rispondere:

- No… Due conta… cioè sì… ma non le

pecore… conta… conta i giorni, Il mio amico

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Due, quando sogna, conta i giorni che mancano alla fine dell’estate…

- Simpatico il tuo amico, replicò Clarissa molto infastidita, hai altro di carino di cui parlare stasera? Che ne so: reincarnazione, aldilà, infinito… oppure casse da morto!

Ugo rimase ammutolito per qualche attimo, come al solito aveva sbagliato battuta, e con tono dispiaciuto:

- Scusa Clarissa, non volevo, anzi, io volevo…

- No Ugo, non dire niente, ti prego, iniziamo la lezione

E cambiando completamente tono, Clarissa continuò con ritrovato entusiasmo:

- Oggi componiamo!

La lezione fu intensa emozionante e Ugo era talmente entusiasta che l’adrenalina gli

scorreva a fiumi nelle vene: tutto ciò che lo circondava, tutti i suoi pensieri e i ricordi,

stavano diventando note, ritmi, e le emozioni che aveva dentro, magicamente diventavano musica, Clarissa restava incantata di fronte a lui.

Gli assolo che Ugo improvvisava di tanto in tanto, avevano uno strano effetto su Clarissa:

oltre a trasmettere dentro di lei esattamente lo stato d’animo di Ugo, andava in una specie di

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trans e senza volerlo cominciava a far vibrare le sue ali.

Alla fine dell’ultima rullata con piatto finale, Ugo si fermò, aveva avuto la sensazione che un

nuovo suono lo stesse accompagnando, restò immobile e con l’orecchio teso, ma non disse niente, per lui era solamente una sensazione.

Clarissa tacque, si vergognava, né più né meno come quando un adulto si fa la pipì addosso e cercò di evadere la situazione:

- Complimenti Ugo, fai vibrare tutta la veranda, sei diventato davvero forte… ah ehm… che ne dici di una pausa?

Ugo non fece a tempo a rispondere che un rumore assordante li sorprese, un’auto stava avanzando verso la veranda e la ruota si era fermata a pochi centimetri dalla tegola. Ugo e Clarissa uscirono immediatamente, poteva succedere il peggio da un momento all’altro, una piccola manovra dell’auto e la veranda sarebbe stata schiacciata in un attimo.

- Vieni Ugo, sbrigati, andiamo sull’albero, li staremo più sicuri.

Per Clarissa il viaggio fu breve, dopo pochi secondi era già sull’ulivo che stava con i suoi rami proprio sulla veranda, da quella posizione poteva vedere una bellissima spider rossa,

ovviamente decappottata, nella quale

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sedevano una coppietta che ascoltava musica e guardava le stelle. Clarissa, mentre

aspettava Ugo, che con fatica cercava di raggiungere la sua amica nel minor tempo possibile, rimase incantata ad ascoltare la musica che proveniva dall’auto e guardando anche lei le stelle, ne vide cadere una, ebbe un sussulto, avrebbe voluto gridare ad Ugo ciò che aveva visto ma ebbe un fremito, quello che desiderava che si avverasse era talmente

intimo che lo tenne tutto per sé. Ugo ci mise una decina di minuti e quando arrivò era

affannato, aveva cercato di non sentirsi troppo inferiore a Clarissa e quindi aveva dato fondo alle sue energie.

- Guarda Ugo, sono due ragazzi, anzi un

ragazzo e una ragazza e stanno guardando il tramonto della luna.

Ugo si era appena sistemato a pelle di leone su di una foglia e stava cercando di riprendere fiato:

- Lo vedo lo vedo, Clarissa, ma credo che lui sia attratto più dallo scollo della camicetta della sua amica… che non è niente male…

Ma nello sporgersi dalla foglia per godersi meglio lo spettacolo, Ugo scivolò

- Attento Ugo!!!

- Oh ohoo ohoo, cadooooo!

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Ugo rimbalzò su due o tre foglie sottostanti e alla fine finì sui capelli di lei.

Ormai le grida di Clarissa, che cercava di dirgli qualcosa, erano coperte dalla musica che

usciva dalle casse di generose dimensioni, poste ai due lati dietro i sedili anteriori.

Ugo era un po’ stordito, il profumo della bellissima ragazza lo inebriava, Ugo non sapeva che fare. Per un attimo pensò di

desiderare di trasformarsi in pulce o pidocchio, ma il pericolo imminente lo riportò alla realtà, la ragazza si portò una mano tra i capelli e con gesto veloce li spostò dalla fronte, Ugo fu scaraventato sul sedile posteriore, proprio in mezzo alle due casse acustiche.

- Bella musica, non c’è che dire, ma qui è bene che trovi una via d’uscita, altrimenti questi chissà dove mi portano.

Ugo era quasi arrivato sullo schienale

posteriore, quando sentì che l’auto si metteva in moto, l’istinto fu di chiamare clarissa, si

fermò un attimo a guardare in alto se la se la vedeva, ma doveva continuare a salire

altrimenti sarebbe stata la fine.

In quegli attimi, Ugo, doveva scegliere se

fermarsi e vedere se clarissa poteva dargli una mano o salire più velocemente possibile. Il suo cervello, attivato al massimo della sua

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potenzialità dall’istinto della sopravvivenza che percepiva un pericolo estremo, gli fece optare per la fuga, Clarissa, se poteva fare qualcosa, lo avrebbe fatto, avrebbe sorvolato la zona e lui doveva assolutamente raggiungere il bordo superiore di quel fottutissimo schienale in pelle nera. Come in un film proiettato a grande

velocità Ugo rivide tutto quello che era successo da quando aveva conosciuto clarissa, si ricordò anche del suo

appuntamento con Uno Due e Tre. Le sue gambe, che ormai erano sfinite dalla fatica si muovevano solo con la forza della

disperazione. L’auto ormai era partita e

Clarissa la inseguì fino alla fine del prato ma quando entrò sulla strada asfaltata la spider rossa accelerò e in pochi attimi era fuori della portata di volo della cicala che a tutta velocità cercava di inseguirla ormai inutilmente. Ugo si rese conto della situazione e allora cercò

recuperare un po’ di forze restando qualche attimo fermo, aggrappato alla pelle nera dello schienale, ormai gli mancava poco. L’aria, all’interno dell’auto, era ormai turbolenta e appena Ugo spostava una presa per fare un passo, sentiva che poteva essere trascinato dallo spostamento d’aria. Volare via poteva essere pericoloso, una seconda auto poteva

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sopraggiungere e la fine sarebbe stata certa.

Doveva arrivare sul bordo superiore del sedile, controllare che non ci fossero altri veicoli al seguito, abbandonare la presa e lasciarsi andare, l’impatto con l’asfalto non sarebbe

stato un problema, ma nel radiatore di un’auto, di un camion che seguiva o sotto una ruota, sarebbe stato fatale. L’auto aumentava la

velocità Ugo si rendeva conto che ancora un po’ e non avrebbe più trovato la strada di casa, la comunità, gli amici, Clarissa, la musica. La decisione fu difficile ma immediata, lasciò la presa e un vortice d’aria lo sollevò nel

ruzzolare in aria non vide l’auto che seguiva la spider rossa a distanza e quando Ugo stava per toccare il manto stradale, fu preso da un nuovo vortice che lo sollevò di nuovo. Era aria molto calda, anzi, caldissima, Ugo stava

ruzzolando proprio sotto l’auto che seguiva e l’aria che passava vicino alla marmitta lo stava avvolgendo. Furono attimi, Ugo rischiò di

rimanere arrostito e finì sul ciglio della strada, in mezzo all’erba. Una sensazione di fresco, quasi di gelo, gli fece capire che il pericolo era passato. Restò immobile, al buio della notte, in mezzo all’erba per qualche ora, in un primo momento stordito e sfinito, poi cadde in un sonno profondo. Fu svegliato dal passaggio di

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