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A PNEE OSTRUTTIVE DURANTE SONNO E SINDROME METABOLICA

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La sindrome delle apnee ostruttive durante sonno (OSA, obstructive sleep apnea) è una condizione

patologica cronica caratterizzata da collasso reiterato delle vie aeree superiori durante il sonno (1) (tab. I).

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A PNEE OSTRUTTIVE DURANTE SONNO E SINDROME METABOLICA

V. PATRUNO UO Riabilitazione Respiratoria, Rivolta d’Adda (CR)

La sindrome delle apnee ostruttive durante sonno (OSA) è la seconda più importante patologia respiratoria dopo l’asma, per indici di prevalenza nella popolazione generale. L’OSA è ampiamente prevalente nei sogget- ti obesi, con diabete e ipertensione ed è associata a un aumentato rischio cardiovascolare. I meccanismi pato- genetici dell’OSA (iperattivazione simpatica, disfunzione endoteliale, stress ossidativi, infiammazione cronica, ipercoagulabilità, iperleptinemia e insulino-resistenza) possono influenzare lo sviluppo e la progressione di malattie cardiovascolari. Negli ultimi anni, studi epidemiologici hanno convinto dell’associazione che esiste fra OSA e malattie cardiovascolari (ipertensione arteriosa sistemica, scompenso cardiaco cronico, aritmie, cardio- patia ischemica e “stroke”) e hanno dimostrato che l’OSA è indipendentemente associata ai fattori di rischio cardiovascolari che costituiscono la sindrome metabolica, ipertensione arteriosa, insulino-resistenza, intolle- ranza glucidica, dislipidemia. Il legame fra OSA e rischio di patologie cardiovascolari è da ricercare in fattori ini- ziali promotori (ipossia, ipercapnia e frammentazione del sonno) e in meccanismi infiammatori (stress ossida- tivi) e neurovegetativi (ipertono simpatico) di ampiamento e progressione del danno aterosclerotico. La via finale è rappresentata dal complesso sintomatologico espresso dalla sindrome metabolica (obesità, iperten- sione, insulino-resistenza) che nell’OSA ha un rischio di sviluppo di 9,1 volte maggiore. La comprensione del- l’importanza e delle interazioni fra questi meccanismi e i fattori di rischio dei pazienti con OSA può avere impli- cazioni dirette nello sviluppo di strategie terapeutiche primarie e secondarie.

Parole chiave.Sleep apnea, OSA, sindrome metabolica, malattie cardiovascolari.

Sleep apnea syndrome and metabolic syndrome.

Sleep apnea syndrome (OSA) is the second most prevalent respiratory disease after bronchial asthma. OSA is widely prevalent in patients with obesity, diabetes, and hypertension and it’s associated with increased car- diovascular morbidity and mortality. Pathophysiologic mechanisms that are present in patients with OSA – including sympathetic activation, endothelial dysfunction, oxidative stress, systemic inflammation, hyperco- agulability, hyperleptinemia, and insulin resistance – may influence the development and progression of car- diac and vascular pathology. In the past few years, longitudinal studies have shown close association between OSA and cardiovascular disease (hypertension, chronic heart failure, arrhythmias, coronary disease and stroke) and stated that OSA is independently associated with the cardiovascular risk factors that comprise metabolic syndrome, including hypertension, insulin resistance, impaired glucose tolerance, and dyslipidaemia. The link between OSA and risk of cardiovascular diseases is due to promoter factors during apnea (hypoxemia, hyper- capnia, sleep fragmentation) and both inflammatory (oxidative stress) and neuromediated (sympathetic acti- vation) mechanisms supporting and developing basic ateromasic damage. Common pathway is the metabol- ic syndrome (obesity, hypertension, insulino-resistance) that was 9.1 times more likely to be present in sub- jects with OSA. Our understanding of the relative importance and interactions of these cardiovascular disease mechanisms and risk factors in patients with OSA may have direct implications for the development of target- ed preventive and therapeutic strategies.

Key-words.Sleep-apnea, OSA, metabolic syndrome, cardiovascular disease.

riassuntosummary

Significato clinico ed epidemiologia

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La eziopatogenesi della OSA è la risultante della com- binazione di due fattori principali: da una parte l’inca- pacità dei muscoli dilatatori del faringe di mantenere la pervietà delle vie aeree superiori nel momento di mag- gior carico resistivo e di minore tonicità muscolare (il sonno, appunto) e dall’altra la predisposizione anato- mica di riduzione dello spazio faringeo, tanto dei dia- metri anteroposteriori quanto, soprattutto, delle pare- ti laterali (2-4).

Nel soggetto di età pediatrica la presenza di OSA è pre- valentemente imputabile a ipertrofia adeno-tonsillare, mentre nel soggetto adulto questa condizione patolo- gica si associa più frequentemente con la presenza di obesità, collo grosso e tozzo, macroglossia, megauvo- la e/o lassità del palato molle (5, 6).

La diagnosi di OSA è strumentale (con esame polison- nografico) ed è comunemente definita dalla presenza di > 5 eventi apneici per ora di sonno (7).

La presenza di apnee (cessazione del respiro >10 sec) durante il sonno si accompagna a fenomeni acuti col- legati con l’assenza di respiro in presenza di movimen- ti toraco-addominali inefficaci (sforzi respiratori equi- valenti a reiterate manovre di Muller: inspirazioni for- zate a glottide chiusa) (8) con incremento della nega- tivizzazione intratoracica (ossia aumento della pressio- ne transmurale ventricolare sinistra, quindi aumento del post-carico ventricolare sinistro) (9), ipossiemia, ipercapnia (10) (tab. II).

Durante ogni apnea è stato anche dimostrato un signi- ficativo incremento di attività di scarica autonomica simpatica che non ritorna ai livelli basali dopo ogni evento ostruttivo periferico, ma progressivamente aumenta nel succedersi degli eventi apneici ed è in grado di rimanere elevata anche nelle successive fasi di veglia diurna (11).

La fine dell’apnea si associa a fenomeni fisiopatologici altrettanto importanti: microrisvegli sottocorticali (arousal), rapida re-ossigenazione tessutale, brusco incremento della pressione arteriosa, improvviso riem- pimento ventricolare sinistro con spostamento del setto interventricolare verso sinistra e ostacolo al riem- pimento ventricolare sinistro (12, 13).

Il risultato emodinamico complessivo, stante l’aumen-

to del post-carico ventricolare sinistro durante l’apnea e l’aumento del precarico ventricolare sinistro di fine apnea, è una importante riduzione della gittata cardia- ca (14).

Per ciò che attiene alla componente “arousal”, bisogna riconoscere che, se da un lato essa è necessaria nel meccanismo di terminazione dell’apnea e quindi ai fini della sopravvivenza del paziente, dall’altra, essendo responsabile delle alterazioni macro- e microstrutturali del sonno (microframmentazione, riduzione di sonno REM e di sonno a onde lente), essa è responsabile delle conseguenze sintomatologiche più evidenti, il manife- starsi di ipersonnolenza diurna e di peggioramento della qualità di vita per danneggiamento delle capaci- tà attentive e cognitive (15).

La prevalenza e l’incidenza dell’OSA nella popolazione generale di età media sono considerevoli: i lavori di let- teratura più accreditati (16, 17) riportano dati di pre- valenza del 2% per le donne e del 4% per gli uomini e un recente studio longitudinale (18) condotto per 5 anni su un campione rappresentativo di popolazione di età media e di area urbana, ha trovato un’incidenza di 16 nuovi casi di OSA all’anno ogni cento soggetti.

Questi dati hanno cominciato a elevare la considera- zione della sleep apnea nel mondo sanitario al rango di problema di salute pubblica (19-21).

OSA e rischio cardiovascolare

Grazie anche alla spinta di evidenze epidemiologiche così importanti, negli ultimi anni si è verificato un note- vole accumulo di studi che hanno indagato l’associa- zione fra OSA e malattie cardiovascolari: in particolare ipertensione arteriosa sistemica (22), scompenso car- diaco cronico (23), ictus (24, 25), malattia coronarica

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Tab. II. Effetti acuti dell’apnea

Effetti durante l’apnea Alla terminazione dell’apnea

• Ipossiemia-ipercapnia

• Bradicardia

• Aumento della negatività della pressione

intratoracica Aumento della pressione transmurale ventricolo sinistro Aumento del postcarico ventricolo sinistro Riduzione cardiac-output

• Rapida riperfusione tessutale

• Tachicardia

• Aumento della pressione arteriosa

• Microrisvegli inconsapevoli (arousal)

Frammentazione struttura del sonno

• Improvviso aumento ritorno venoso destro

“Shift” setto interventricolare Riduzione riempimento ventricolare sinistro

Tab. I. OSA (Obstructive Sleep-Apnea)

Episodi intermittenti di interruzione del respiro durante il sonno

Alterazione del sonno e della ventilazione

russamento e ipersonnolenza diurna

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dazioni del National Committee on Prevention, Detection, Evaluation and Treatment of Hight Blood Pressure, la sleep apnea viene indicata come la più importante causa identificabile di ipertensione arterio- sa sistemica (32). Sebbene i meccanismi di danno intermedi che legano l’OSA alle malattie cardiovasco- lari non siano completamente chiariti, è generalmente accettato che l’ipossia intermittente e la frammenta- zione del sonno giochino un ruolo chiave come “pro- moter” iniziali nella catena eziopatogenetica di pro- gressione dell’OSA verso il danno cardiovascolare (33).

In un certo senso possono essere considerati i pilastri maggiori del ponte logico su cui si basa l’interpretazio- ne del nesso di causa-effetto fra OSA e malattie cardio- vascolari.

È stato infatti dimostrato che tanto l’ipossia, soprattut- to l’ipossia di tipo intermittente (34), quanto la fram- mentazione microstrutturale del sonno (35) sono in grado di condurre a una iperattivazione del sistema simpatico che probabilmente è il fattore cruciale e più importante da cui prende origine e si sviluppa il danno cardiovascolare nell’OSA (36): è noto da tempo il ruolo fondamentale della disregolazione del sistema autono- mico nella genesi e prognosi dello scompenso cardia- co cronico e dell’ipertensione arteriosa sistemica.

Sono state proposte e indagate, però, anche altre vie potenzialmente in grado di promuovere da un punto di vista eziopatogenetico l’associazione indipendente dimostrata fra OSA e malattie cardiovascolari (tab. IV).

Una via esplorata di recente confermerebbe l’ipotesi che, nella OSA, il meccanismo di ipossia-reossigenazio- ne (assimilabile al danno da ischemia-riperfusione) e la frammentazione del sonno (assimilabile al danno da

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Tab. III. OSA e rischio di malattia cardiovascolare

Ipertensione arteriosa sistemica Scompenso cardiaco congestizio

• Disfunzione diastolica

• Disfunzione sistolica

Aritmie cardiache

• Bradicardia

• Blosso A-V

• Fibrillazione atriale

Ischemia cardiaca

• Malattia coronarica

• Depressione notturna tratto S-T

• Angina notturna

Alterazioni cerebrovascolari

Tab. IV. Meccanismi iniziali e intermedi di rischio cardiovascolare nell’OSA

Aumentato rischio cardiovascolare

Ipossiemia intermittente

Ipercapnia

Frammentazione del sonno

Disfunzione endoteliale Disfunzione vascolare Infiammazione

Iperaggregabilità piastrinica Disfunzione metabolica

Ischemia/Riperfusione

Iperattività simpatica

Stress ossidativo

ischemica (26), aritmie ipercinetiche/ipocinetiche (27, 28) (tab. III).

I più rappresentativi fra questi sono lo Sleep Heart Health Study (29), uno studio longitudinale su più di 6000 soggetti, e il Wisconsin Sleep Cohort Study (30), uno studio prospettico su 5 anni, nei quali le indagini hanno coinvolto coorti di popolazione particolarmen- te numerose.

Nelle conclusioni di questi studi e di un altro in parti- colare di Nieto e coll. (31), si suggerisce con tale forza un’associazione indipendente fra sleep apnea e malat- tie cardiovascolari che nelle più recenti raccoman-

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deprivazione di sonno) siano in grado di innescare una cascata di eventi cellulari di natura ossidoriduttiva fino alla concretizzazione di un vero e proprio stato di

“stress ossidativo” (37).

In questa ottica la reiterazione degli eventi apneici por- terebbe a un’aumentata produzione e accumulazione di specie ossidoriduttive, in particolare anioni superos- sidi, dai neutrofili e dai monociti, i quali, attraverso l’in- cremento dell’espressione di molecole di adesione (CD15-CD11, I-CAM-1, V-CAM1, E-sectin), indirizze- rebbero la progressione dell’OSA verso quello stato di disfunzione endoteliale che è stato riconosciuto essere come uno dei principali “step” patogenetici nella for- mazione del placca ateromasica (38, 39).

L’esistenza nell’OSA di uno stato di stress ossidativo può anche essere letta nella chiave associativa fra OSA e disfunzione metabolica: in questo senso è di chiara importanza il lavoro di Meigs e coll. (40) nel quale gli autori hanno dimostrato un legame fra le prime fasi di insorgenza di diabete mellito di tipo 2 e la presenza di biomarker di disfunzione endoteliale quali, appunto, le molecole di adesione cellulare (E-selectin), intercellula- re (ICAM-1) e vascolare (VCAM-1).

Sempre secondo questa lettura interpretativa sono inoltre da ricordare i diversi studi che hanno indaga- to il ruolo delle citochine plasmatiche nell’OSA (41) e che hanno potuto dimostrare che la sleep apnea si associa a elevate concentrazioni di interleuchina-6 (Il- 6) (42) e di TNF-alfa (43) indipendentemente dall’o- besità, e che queste citochine, rilasciate anche dagli adipociti e stimolate dalla deprivazione acuta di sonno, sono in grado di esercitare complesse azioni sul metabolismo lipidico, in particolare sulla insulino- resistenza e sulla secrezione di leptina.

Sovrappeso, obesità e OSA

Poiché la disfunzione metabolica è anch’essa associata all’incremento del rischio cardiovascolare (44, 45), e poiché la presenza di disturbi respiratori nel sonno nella popolazione generale sovrappeso è stata dimo- strata essere condizione associata in modo indipen- dente alla insulino-resistenza (46, 47), diversi studi hanno cominciato a esaminare le conseguenza meta- boliche della sleep apnea.

Fra questi è sicuramente da ricordare il lavoro di Gouglin e coll. (48), sulla prevalenza di sindrome metabolica nei pazienti con OSA, in cui gli autori sono stati in grado di dimostrare che nella sleep apnea il rischio relativo di presentare la “sindrome metabolica”

è aumentato di 9,1 volte. È inoltre da segnalare una recente revisione della letteratura (49) in cui la mag-

gior parte degli studi disponibili supportavano forte- mente l’associazione fra sleep apnea e disfunzione metabolica anche indipendentemente dall’effetto confondente dell’obesità associata.

Parallelamente, una serie ampia di studi è stata indiriz- zata alla comprensione del grado di rilevanza nella OSA di possibili fattori eziopatogenetici di innesco e progressione del danno metabolico quali l’intolleranza glucidica (50), l’insulino-resistenza (47), la leptino-resi- stenza (51) e la dislipidemia (52).

Già Strohl e coll. (53) nel 1994 concludevano uno dei primi lavori sull’argomento con l’evidenza sperimenta- le di un’associazione indipendente fra OSA, ipertensio- ne arteriosa e livelli di insulina.

Dati sperimentali su animali (54) e studi recenti sull’uo- mo (55), hanno potuto dimostrare che l’ipossia è in grado di modificare l’omeostasi glicemica e che anche la riduzione del sonno (più esattamente lo “shift” del- l’architettura del sonno verso la predominanza di stadi di sonno leggero a discapito della rappresentatività di sonno REM e di sonno a onde lente), può avere effetti negativi sulla omeostasi glicemica (56).

Ancora più recentemente Oltmanns e coll. (50), in uno studio ben disegnato, sono riusciti a dimostrare che l’i- possia indotta acutamente determina uno stato di intolleranza glucidica e che l’attivazione del sistema simpato-adrenergico (epinefrina) appare essere l’unico meccanismo di risposta allo stress coinvolto nell’intol- leranza glucidica indotta dalla ipossia probabilmente attraverso l’aumento dell’“output” epatico di glucosio e la riduzione dell’“uptake” muscolare.

Dati sperimentali raccolti da Kreiger e coll. (57) suggeri- scono inoltre che l’attività del sistema nervoso parasim- patico sia in grado di aumentare la sensibilità insulinica e la sintesi grassosa. D’accordo con queste osservazioni è l’associazione dimostrata in precedenza da Peterson e coll. (58) fra la ridotta attività parasimpatica, l’incre- mento dei livelli di acidi grassi liberi e l’insulino-resisten- za dei pazienti obesi con diabete mellito di tipo 2.

Da un punto di vista prettamente clinico, la relazione fra sleep apnea, iperinsulinemia/insulino-resistenza e iper- leptinemia in soggetti con diversi gradi di BMI è stata indagata anche da Manzella e coll. (59), che hanno potuto concludere con l’affermazione di un’associazio- ne fra i livelli plasmatici di leptina, l’insulino-resistenza e la OSA, indipendentemente dal grado di obesità.

Sicuramente, la relazione che lega l’OSA ai livelli di lep- tina si presenta, però lo più, complessa (60).

La leptina è una citochina infiammatoria prodotta dagli adipociti, considerata fondamentale nella regola- zione del peso in quanto capace di azione soppressiva dell’appetito a livello ipotalamico (61); circola a livello plasmatico sia in forma libera sia legata a proteine, e la

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quantità libera riflette il totale accumulo energetico nel tessuto adiposo, aumentando esponenzialmente con l’aumento della massa (62).

I livelli plasmatici di leptina rispondono anche alle variazioni di bilancio energetico nel breve periodo, con aumento nei periodi di iperalimentazione e diminuzio- ne nei periodi di dieta (63).

La leptina attiva specifici recettori a livello cerebrale, ma soprattutto a livello ipotalamico (64) dove in parti- colare inibisce l’espressione del neuropeptide Y (NPY) che è un potente stimolatore dell’appetito e attivatore dell’asse ipotalamo-ipofisario-gonadico. La “down- regulation” del NPY è associata con la soppressione dell’appetito, con l’aumento di attività di scarica auto- nomica simpatica, e con l’aumento del metabolismo energetico (65).

Poiché i livelli di leptina sono più elevati negli obesi che nei controlli normopeso è stato suggerito che l’obesità possa rappresentare, tra l’altro, uno stato di leptino- resistenza (66).

In effetti, la produzione di leptina dagli adipociti è regolata da diversi fattori: l’insulina e i glucocorticoidi agiscono direttamente sugli adipociti per aumentare la produzione di leptina, e l’iperinsulinemia cronica come l’aumentato turnover cortisonico possono essere alla base della iperleptinemia osservata nell’obesità (67).

D’altro canto le catecolamine circolanti sono in grado di ridurre la produzione di leptina dagli adipociti e forse questo spiega, almeno parzialmente, il ritmo circadia- no della leptina (maggiore di notte che di giorno) e l’influenza del sonno che è associato con un aumento della leptinemia nei soggetti normali (68).

Ma oltre agli effetti anti-obesità (69) la leptina eserci- ta anche importanti effetti sul controllo della respira- zione (70).

I topi “Ob/ob” resi geneticamente leptino-privi, oltre a essere obesi, sono cronicamente ipercapnici per severa riduzione della ventilazione alveolare (che compare prima dell’obesità e quindi non può essere spiegata con l’aumento del carico meccanico muscolare indotto dal- l’obesità) e la loro risposta ventilatoria all’aumento della CO2appare ridotta sia in veglia sia durante il sonno (71).

In questi animali da esperimento la somministrazione di leptina conduce a un significativo aumento della venti- lazione alveolare e a un significativo incremento della risposta ventilatoria alla ipercapnia anche prima che sia evidente qualsiasi modificazione ponderale (72).

Questi dati sperimentali e la alta prevalenza di OSA nei soggetti obesi avevano in un primo tempo suggerito la possibilità che la sleep apnea potesse rappresentare uno stato di leptino-deficenza.

Poiché, al contrario, la maggior parte degli studi suc- cessivi hanno dimostrato che i pazienti con OSA pre-

sentano livelli di leptina circolante di molto superiori rispetto a soggetti non OSA di pari età, sesso e BMI, si è fatta strada l’ipotesi che l’OSA fosse, di converso, uno stato di leptino-resistenza (41, 50).

È stato anche prospettato (73) che un profondo grado di leptino-resistenza possa giustificare lo svi- luppo della sindrome da obesità-ipoventilazione (OHS, sindrome di Pickwick) caratterizzata da severa obesità e ipercapnia in veglia in assenza di patologie neuromuscolari, metaboliche o di alterata meccanica respiratoria che possano giustificare l’ipoventilazione alveolare (74).

La maggior parte dei pazienti (ma non tutti) con sin- drome di Pickwick presenta infatti apnee durante il sonno (74) e in molti (ma non tutti) il trattamento effi- cace delle apnee con ventilazione a pressione positiva continua (CPAP) è in grado di correggere l’ipercapnia diurna (75): in questi soggetti, cioè, la ipoventilazione diurna non può essere spiegata solo sulla base delle apnee durante il sonno e l’ipercapia diurna non è attri- buibile solamente al grado di obesità.

In quest’ottica, la dimostrazione (76) che i livelli sieri- ci di leptina sono due volte più elevati nei soggetti apneici, obesi e ipercapnici rispetto ai soggetti obesi non ipercapnici, indipendentemente dalla presenza o meno di apnee notturne, ha portato a ipotizzare un ruolo specifico, forse causale, della leptina nello svi- luppo della sindrome da obesità-ipoventilazione: uno sguardo nuovo all’enigma di fondo per il quale alcu- ni soggetti obesi ipoventilano durante la veglia men- tre altri soggetti di pari peso presentano una ventila- zione pressocché normale.

Il dubbio che questo ruolo sia davvero causale o che invece non sia un epifenomeno della condizione di base non è del tutto risolto e rimane a oggi oggetto di studi.

OSA e sindrome metabolica

In realtà il punto cruciale è propriamente questo: se, come abbiamo visto, esistono importanti dati epide- miologici che sostengono una stretta associazione indipendente fra OSA e disfunzione metabolica e se, come abbiamo ricordato, ci sono dati sperimentali in grado di fornire il necessario “milieu” fisiopatologico alla relazione fra OSA e disfunzione metabolica, quale è, allora, il passaggio mancante alla reale forza delle evidenze indicanti che un rapporto, e un rapporto di inferenza causale, esiste fra le due patologie?

Per quanto gli studi clinici o epidemiologici siano con- dotti con la massima attenzione e il dovuto rigore per i necessari “aggiustamenti” per le covariate, è comun- que possibile che residuino fattori confondenti dovuti

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all’obesità o ad altri variabili “sfuggite” (come per esempio la distribuzione regionale dell’obesità) che possano giustificare le correlazioni osservate.

Ecco dunque che le evidenze di letteratura più convin- centi hanno utilizzato, al riguardo, un metodo alterna- tivo per porre la questione se davvero la sleep apnea è causa di disfunzione metabolica: e cioè hanno impie- gato la ventilazione non invasiva a pressione positiva continua (CPAP) per abolire la componente apneica durante sonno e di seguito hanno ricercato il grado di modificazione dei diversi fattori putativi della disfun- zione metabolica (danno vascolo-endoteliale, intolle- ranza glucidica/insulino-resistenza, leptino-resistenza).

Studi di intervento sull’OSA

La CPAP (Continuos Positive Airway Pressure) è rico- nosciuta come il più efficace trattamento terapeutico non invasivo della sindrome delle apnee ostruttive (77): agisce attraverso l’erogazione di una pressione positiva continua, generalmente via maschera nasale, capace di mantenere meccanicamente la pervietà delle alte vie aeree e di prevenirne così il collasso dina- mico durante il sonno.

Allo stato attuale è il trattamento terapeutico di scelta per l’OSA (78) ed è l’unico efficace nell’abolire com- pletamente e totalmente la componente apneica durante il sonno (se si esclude la tracheotomia che per i motivi più ovvi è molto poco accettata).

Lungo questo percorso di indagine degli effetti sulla disfunzione metabolica dell’abolizione della compo- nente apneica via CPAP, la letteratura offre significative e importanti conferme.

È già di qualche anno fa un pionieristico lavoro di Brooks e coll. (79) su pazienti OSA obesi e diabetici in cui gli autori concludevano indicando come il tratta- mento CPAP, quando efficace, fosse capace di miglio- rare la responsività all’insulina.

Più recentemente Harsch e coll. (80) hanno studiato gli effetti della terapia CPAP sulla sensibilità all’insulina, valutata con metodica del “clamp” iperinsulinemico euglicemico (81), in un gruppo di pazienti OSA in acuto e dopo tre mesi di trattamento e sono stati in grado di dimostrare che i miglioramenti della sensibili- tà all’insulina si manifestavano nel gruppo dei soggetti trattati efficacemente senza variazioni del BMI ed erano maggiori nei soggetti non obesi rispetto ai sog- getti obesi. Inoltre, la sensibilità all’insulina nei sogget- ti non obesi migliorava già in acuto (solo dopo due giorni di terapia con la CPAP) mentre non vi erano miglioramenti nel gruppo di obesi fino al terzo mese.

Il già citato lavoro di Vgontzas e coll. (41), ma anche

un precedente studio di Chin e coll. (82), hanno potuto dimostrare che il trattamento dell’OSA con CPAP per sei mesi è associato a una riduzione dei livelli di leptina circolanti fino a quelli di soggetti normali e, sebbene i motivi di tale efffetto non siano ancora completamente chiariti, alcune plausibili spiegazioni includevano una riduzione nell’accumu- lo di grasso viscerale, una riduzione nell’iperattività neurale simpatica, una riduzione nei livelli di stress, oltre che, come già citato, miglioramenti nella responsività all’insulina.

Lavie e coll. (83), in uno studio molto complesso su soggetti OSA, obesi, che presentavano elevati livelli di una potente citochina angiogenica, il fattore di cresci- ta vascoloendoteliale (VEGF), hanno potuto dimostra- re una significativa riduzione dei livelli di VEGF e quin- di del danno vascoloendoteliale solo in quei soggetti in cui il trattamento CPAP consentiva la correzione della ipossiemia notturna.

Sempre in questo filone di indagine, anche Shultz e coll. (38) hanno concluso il loro interessante studio sul- l’effetto della ventilazione positiva continua sulla dis- funzione endoteliale nella sleep apnea affermando che l’aumentato rilascio di anioni superossidi e polimorfo- nucleati trovato in soggetti con OSA è completamente abolito dal trattamento CPAP.

Ancora, Yokoe e coll. (84) sono riusciti a dimostrare che in soggetti OSA gli elevati livelli di PCR e Il-6 sono ridot- ti a livelli dei controlli normali dopo terapia con CPAP efficace nell’abolizione delle apnee durante sonno.

L’importanza di questi studi e di altri ancora, in grado di provare l’efficacia della CPAP nella corre- zione della disfunzione metabolica associata alla OSA, è di straordinario impatto da un punto di vista sia speculativo sia clinico in quanto genera la possi- bilità “pratica” di estendere concettualmente le indicazioni della CPAP (o comunque di qualsiasi altra terapia capace di abolire completamente le apnee durante il sonno) verso una nuova e galvani- ca prospettiva: indirizzare cioè l’obiettivo terapeuti- co non solo al miglioramento della ipersonnolenza diurna e della qualità di vita, ma anche e soprattut- to al raggiungimento di una sostanziale riduzione del rischio cardiovascolare.

All’alba del terzo millennio, l’orizzonte fra il mare dell’OSA e il cielo della sindrome metabolica appare sempre più fuso.

Ringraziamenti

Si ringrazia il dott. Stefano Aiolfi per la preziosa dis- ponibilità offerta nella cura e revisione del mano- scritto.

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Corrispondenza a: Dott. Vincenzo Patruno, AO Maggiore di Crema, UO Riabilitazione Respiratoria, Ospedale S. Marta, Via Montegrappa 1, Rivolta d’Adda (CR)

e-mail: centannipatruno@tin.it

Pervenuto in Redazione il 12/7/2004 - Accettato per la pub- blicazione il 20/10/2004

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