• Non ci sono risultati.

Gli interventi legislativi sulla giustizia civile del 2011 e 2012 - Judicium

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Gli interventi legislativi sulla giustizia civile del 2011 e 2012 - Judicium"

Copied!
33
0
0

Testo completo

(1)

www.judicium.it

ALESSANDRO MOTTO

Gli interventi legislativi sulla giustizia civile del 2011 e 2012••

Sommario: 1. Uno sguardo d’insieme; 2. Interventi in materia di spese di giustizia e previsioni introduttive di sanzioni processuali; 3. Utilizzo della posta elettronica certificata nel processo civile; 4. Interventi relativi ai giudizi di impugnazione; 5. Modifiche in tema di opposizione a decreto ingiuntivo; 6. Disposizioni in materia di giudizio previdenziale; 7. Modifiche relative al calendario del processo; 8. Il “Tribunale delle imprese”; 9. Modifiche relative all’azione di classe di cui all’art. 140 bis cod. cons.

1. Uno sguardo d’insieme.

Nel corso del 2011 e nei primi mesi del 2012, il legislatore è intervenuto a più riprese sulla giustizia civile;

il moto riformatore iniziato nel 2005-2006, e proseguito nel 2009, non sembra, dunque, essersi arrestato. I più recenti interventi si caratterizzano per essere frammentari e di difficile razionalizzazione: talvolta, sono state modificate o introdotte disposizioni nel codice di procedura civile, mentre in altri casi si è intervenuti sulla legislazione speciale; le nuove disposizioni non hanno un contenuto omogeneo e le norme, in alcuni casi, si sovrappongono l’una all’altra, intervenendo a più riprese sulla stessa materia.

Diverse per contenuto e struttura, le nuove disposizioni, nelle intenzioni del legislatore, condividono la finalità di implementare l’efficienza della giustizia civile, per lo più attraverso l’aggravamento degli oneri processuali a carico delle parti.

Gli interventi legislativi rilevanti sono i seguenti.

A) Il d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. con l. 15 luglio 2011, n. 111, contiene previsioni in materia di spese di giustizia (art. 37, comma 6), di pubblicità della sentenza di assenza o morte presunta (art. 37, comma 18), di contenzioso assistenziale e previdenziale (art. 38).

B) Il d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. con l. 14 settembre 2011, n. 148, detta norme in tema di calendario del processo (art. 1 ter), di spese di giustizia (art. 2, comma 35 bis e 35 sexies), di utilizzo della posta elettronica certificata nel processo civile (art. 2, comma 35 ter).

C) Il d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, concernente la riduzione e la semplificazione dei procedimenti civili di cognizione (cd. decreto riti).

D) La l. 12 novembre 2011, n. 183 contiene disposizioni relative alla liquidazione di spese processuali a favore della pubblica amministrazione (art. 4, comma 42), all’utilizzo della posta elettronica certificata nel processo civile (art. 25), nonché norme per l’accelerazione del giudizio di appello (art. 27) ed in materia di spese di giustizia (art. 28); inoltre, all’art. 26 erano dettate misure straordinarie per la riduzione del contenzioso pendente in Corte di cassazione e nelle corti d’appello, tuttavia abrogate dalla l. 17 febbraio 2012, n. 10.

In corso di pubblicazione nella Rivista Le Nuove Leggi Civili Commentate.

(2)

www.judicium.it

E) Il d.l. 22 dicembre 2011, n. 212, conv. con l. 17 febbraio 2012, n. 10, interviene sulle ipotesi in cui la parte può stare in giudizio personalmente e sulla liquidazione delle spese nelle cause di esiguo valore di fronte al giudice di pace (art. 13); inoltre, con previsioni tuttavia soppresse in sede di conversione, disciplinava la composizione della crisi da sovraindebitamento del debitore non soggetto alle procedure concorsuali (artt. 1-11) e dettava disposizioni in materia di mediazione (art. 12) e per la riduzione del contenzioso in grado di impugnazione ai sensi dell’art. 26 della l. 183/2011 (art. 14)1.

F) La l. 29 dicembre 2011, n. 218 innova la disciplina dei termini di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (art. 1) e detta una norma di interpretazione autentica per i processi in corso (art. 2).

G) Il d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, conv. con legge 24 marzo 2012, n. 27, introduce il “Tribunale delle imprese” (art. 2) e modifica parzialmente la disciplina dell’azione di classe di cui all’art. 140 bis cod. cons.

(art. 6).

Nel prosieguo, si passeranno in rassegna le innovazioni che appaiono di maggiore interesse pratico ed applicativo, ponendo in rilievo i problemi interpretativi, che le nuove norme, sin da un esame a prima lettura, sollevano; peraltro, non sarà oggetto di analisi il d.lgs. n. 150/2011, concernente la riduzione e la semplificazione dei procedimenti civili di cognizione (cd. decreto riti).

2. Interventi in materia di spese di giustizia e previsioni introduttive di sanzioni processuali.

Numerose sono le previsioni che riguardano, in senso ampio, le spese di giustizia. Tali interventi, peraltro, operano in una triplice direzione: si assiste ad un generalizzato aumento del contributo unificato; si introducono vere e proprie sanzioni pecuniarie a carico delle parti per la violazione di alcuni doveri imposti ad esse o ai loro difensori; infine, vengono dettate regole speciali per la liquidazione delle spese processuali in ipotesi specifiche.

Sotto il primo profilo, il legislatore, nel corso del 2011, ha più volte modificato il testo unico delle disposizioni in materia di spese di giustizia (dpr. 30 maggio 2002, n. 115), con l’effetto di introdurre l’onere del pagamento del contributo unificato per processi relativi a materie che ne erano escluse (segnatamente, per le controversie di lavoro pubblico e privato, di assistenza e previdenza obbligatorie, per l’esecuzione per consegna e rilascio, per il processo di separazione dei coniugi e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio) e di determinare un generalizzato aumento degli importi del contributo unificato dovuto (confronta gli artt. 10 e 13 dpr. 115/2002). A quest’ultimo riguardo, si segnala che: a) il comma 6 dell’art. 37 del d.l. 98/2011 ha ridefinito l’ammontare del contributo unificato per tipologia di processi e

1 Peraltro, la disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento del debitore non soggetto alle procedure concorsuali è oggi contenuta agli artt. 6 ss. della l. 27 gennaio 2012, n. 3; di essa, però, non ci occuperemo.

(3)

www.judicium.it

valore delle domande2; b) l’art. 28 della l. 183/2011 ha stabilito che il contributo sia aumentato della metà in sede di impugnazione e raddoppiato per i processi dinanzi alla Corte di cassazione3 (confronta l’art. 13, comma 1 bis, dpr. 115/2002)4; c) infine, l’art. 2, comma 3, del d.l. 1/2012 ha previsto che, per i procedimenti di competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, il contributo unificato sia raddoppiato (confronta l’art. 13, comma 1 ter, dpr. 115/2002)5.

Di indubbia rilevanza sono le modifiche apportate dall’art. 28 della l. 183/2011 all’obbligo di pagamento del contributo, quando una delle parti “modifica la domanda o propone domanda riconvenzionale o formula chiamata in causa” (art. 14, comma 3, dpr. 115/2002). Nel sistema previgente, la parte (qualsiasi parte) che spiegava una di queste attività e l’interventore autonomo nel processo erano tenuti all’integrazione del pagamento del contributo unificato, soltanto quando da ciò fosse conseguito un aumento del valore della causa.

Oggi, invece, valgono soluzioni differenziate: la regola enunciata vale solo nel caso in cui le attività in oggetto siano compiute dalla parte che ha proceduto al pagamento del contributo unificato; in modo diverso, quando le attività de quibus siano compiute da una qualsiasi altra parte, questa è in ogni caso tenuta al pagamento di un autonomo contributo unificato, determinato in base al valore della domanda proposta e, dunque, anche se questa non implichi un incremento del valore della causa e financo se sia di valore inferiore6.

Sotto il secondo profilo segnalato, vengono in rilievo alcune disposizioni, a mezzo delle quali è sanzionata l’inosservanza ad opera delle parti o dei loro difensori di determinate formalità e doveri.

Tali disposizioni sono accomunate dalla finalità di reprimere comportamenti ed atti, che implicano l’impiego di risorse pubbliche in ipotesi in cui il legislatore lo ritiene ingiustificato, imponendo alla parte il pagamento, a favore dello Stato, di una somma di denaro; peraltro, esse sono eterogenee, per presupposti,

2 Per il comma 7 dell’art. 37 del d.l. 98/2011, le previsioni in esame si applicano ai procedimenti iscritti a ruolo successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, prevista dall’art. 41 nel giorno stesso della pubblicazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 6 luglio 2011.

3 Poiché la norma si riferisce ai processi di fronte alla Corte di cassazione, il contributo nella misura doppia è dovuta per tutti i giudizi per cui è competente la suprema Corte, anche se a carattere non impugnatorio (ad esempio, il regolamento di giurisdizione).

4 Il comma 3 dell’art. 28 della l. 183/2011 prevede che le disposizioni de quibus si applichino anche ai processi in corso, nei quali il provvedimento impugnato sia stato pubblicato o depositato successivamente all’entrata in vigore della legge, prevista dall’art. 36 per il 1 gennaio 2012.

5 Rinviando al successivo par. 8 per l’esame della competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa istituite dall’art. 2 del d.l. 1/2012, si segnala che, ai sensi del comma 6 dell’art. 2 del d.l. cit., “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai giudizi instaurati dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, avvenuta, in base all’art. 1, comma 2, della l. 27/2012, il 25 marzo 2012. Infine, si precisa che, in base al comma 1 ter dell’art. 13 dpr. 115/2002, introdotto dall’art. 2, comma 3, d.l. 1/2012, per i processi di competenza delle sezioni specializzate trova comunque applicazione il comma 1 bis dell’art. 13 dpr. 115/2002, di guisa che anche per essi è disposto l’aumento del contributo unificato dovuto in sede di impugnazione e di fronte alla Corte di cassazione.

6 Posto che la l. 183/2011, in base al suo art. 36, è entrata in vigore il 1 gennaio 2012, le nuove regole, in assenza di disposizione transitoria, si applicano a partire da tale data e, dunque, alle domande riconvenzionali, alle chiamate in causa ed agli interventi volontari posti in essere successivamente ad essa.

(4)

www.judicium.it

contenuto e struttura: a) diversa è la tipologia di condotta di volta in volta considerata; b) l’obbligo di pagamento talvolta opera ipso iure, talaltra a seguito del provvedimento giudiziale che lo dispone; c) al verificarsi del presupposto indicato dalla norma, l’emissione del provvedimento, in alcuni casi, è doverosa, mentre in altri è meramente discrezionale; d) l’importo della somma in talune ipotesi è predeterminato dal legislatore, mentre in altre sussiste un potere discrezionale del giudice, che lo può determinare entro limiti minimi e massimi previsti dalla legge.

In questa sede, ci asteniamo da qualsiasi valutazione circa la legittimità e l’opportunità delle scelte compiute dal legislatore; più rilevante è analizzare, seppure brevemente, le fattispecie in esame7.

La prima figura a venire in rilievo è stata introdotta dall’art. 37, comma 6, del d.l. 98/2011, che ha inserito all’art 13 del dpr. 115/2002 un nuovo comma 3 bis, il quale dispone che il contributo unificato dovuto è aumentato della metà nelle seguenti ipotesi8: a) mancata indicazione da parte del difensore nell’atto introduttivo del giudizio dell’indirizzo di posta certificata e del numero di fax; b) omissione dell’indicazione del codice fiscale della parte nell’atto introduttivo del giudizio.

In materia di giudizio di appello, sia a rito ordinario che a rito speciale, l’art. 27 della l. 183/2011 ha introdotto un nuovo comma all’art. 283 c.p.c. ed all’art. 431 c.p.c., prevedendo che, nel caso in cui l’istanza di inibitoria della sentenza impugnata sia inammissibile o manifestamente infondata, il giudice possa condannare la parte che l’ha proposta al pagamento di una pena pecuniaria non inferiore ad Euro 250 e non superiore ad Euro 10.0009. Si tratta, quindi, di un provvedimento connotato da forti tratti di discrezionalità, la quale sussiste sia rispetto all’an della sua adozione, sia in ordine al quantum della sanzione: il giudice, al ricorrere dei presupposti previsti (la manifesta infondatezza o l’inammissibilità dell’istanza), può, ma non deve, disporre la sanzione; l’importo di questa, peraltro, è determinato dal magistrato, nel rispetto dei limiti minimi e massimi stabiliti dalla legge. Quanto al regime del provvedimento, avente forma di ordinanza, per espressa previsione di legge esso non è autonomamente impugnabile, ma è revocabile con la sentenza che

7 L’esame è limitato alle previsioni introdotte dai provvedimenti legislativi del 2011; tuttavia, si deve segnalare che i più recenti interventi normativi hanno un significativo precedente nella disciplina del d.lgs. 28/2010, che, in materia di mediazione, prevede che la parte vincitrice del processo, che abbia rifiutato la proposta di accordo formulata in sede di mediazione di contenuto identico al provvedimento giurisdizionale, sia, tra l’altro, condannata al pagamento a favore dello Stato di un’ulteriore somma, di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio.

8 Si ricorda che, per il comma 7 dell’art. 37 del d.l. 98/2011, la previsione in esame si applica ai procedimenti iscritti a ruolo successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, prevista dall’art. 41 nel giorno stesso della pubblicazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 6 luglio 2011.

9 Per l’art. 27, comma 2, l. 183/2011, “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”, prevista dall’art. 36 per il 1 gennaio 2012; in assenza di disciplina transitoria, a prescindere dalle opinioni che si abbiano, più in generale, sull’efficacia nel tempo della legge processuale, non è dubbio che la nuova

previsione sia applicabile solo rispetto alle istanze di sospensiva proposte successivamente al 1 febbraio 2012, data della sua entrata in vigore. Sull’efficacia nel tempo della legge processuale, per tutti, con diversità di orientamenti, R.CAPONI, Tempus regit processum. Un’appunto sull’efficacia delle norme processuali nel tempo, in Riv. dir. proc., 2006, p. 449 ss.; B. CAPPONI,La legge processuale civile e il tempo del processo, in Giusto proc. civ., 2008, p. 637 ss.

(5)

www.judicium.it

definisce il giudizio10; il che consente di ritenere che il suo riesame potrà essere richiesto al giudice dell’impugnazione della sentenza.

Ulteriore figura di sanzione pecuniaria è stata introdotta all’art. 8, comma 5, del d.lgs. 28/2010 in materia di mediazione, a mezzo dell’art. 2, comma 35 sexies, del d.l. 138/2011, inserito dalla legge 148/2011, di conversione del decreto.

L’art. 8, comma 5, del d.lgs. 28/2010, già consentiva al giudice di valutare la mancata partecipazione di una parte al procedimento di mediazione come argomento di prova. Oggi, è introdotta un’ulteriore sanzione, la quale colpisce la parte costituita nel giudizio conseguente all’insuccesso della mediazione, che, nelle ipotesi di mediazione giuridicamente necessaria di cui all’art. 5 del d.lgs. 28/2010 (mediazione obbligatoria, comma 1, su invito del giudice, comma 2, e in base a clausola convenzionale), in violazione dell’obbligo di cooperazione, non abbia partecipato al procedimento di mediazione senza giustificato motivo11. Pertanto, a prescindere dall’esito decisorio del processo –e, quindi, indipendentemente dal criterio della soccombenza-, il giudice pone a carico di questa parte il pagamento a favore dello Stato di una somma di denaro pari all’importo del contributo unificato dovuto per il giudizio.

L’emanazione del provvedimento de quo, in base al dato letterale della norma, non è discrezionale, bensì è doverosa: il magistrato, a meno che la parte dimostri di non avere partecipato alla mediazione per un giustificato motivo, è tenuto ad emanarlo12; di “discrezionalità” del magistrato può quindi parlarsi, ma solo in senso improprio, con riferimento all’operazione di sussunzione della fattispecie concreta nella clausola generale del “giustificato motivo”.

La l. n.10/2012, in sede di conversione del d.l. 212/2011, ha eliminato l’art. 12, il quale, al comma 1, lett.

b), modificando l’art. 8, comma 5, d.lgs. 28/2010, stabiliva che la sanzione fosse comminata d’ufficio alla prima udienza con ordinanza non impugnabile13. L’abrogazione di questa, rigorosa, previsione non sembra porre in discussione il carattere doveroso della sanzione e, di converso, lascia aperte alcune questioni, in ordine al momento in cui essa può essere disposta e rispetto alla forma ed al regime del provvedimento che la commina. Il venir meno della disposizione de qua, infatti, consente di ritenere che la sanzione non debba essere comminata in sede di prima udienza, di guisa che essa potrà essere disposta durante tutto il corso del processo ed anche con la sentenza che definisce il giudizio. Peraltro, dubbio è il regime applicabile al provvedimento, avente, con ogni probabilità, la forma dell’ordinanza, con cui il giudice abbia disposto la

10 Un’ipotesi in cui avrà senz’altro luogo la revoca dell’ordinanza –anzi, in cui il giudice avrà il dovere di disporla-, è quella in cui l’impugnazione proposta venga accolta.

11 La legge di conversione, ai sensi del suo articolo 6, è entrata in vigore il 17 settembre 2011. Non sembra dubitabile che la previsione in esame possa trovare applicazione solo rispetto ai comportamenti posti in essere successivamente alla data in cui è entrata in vigore e, dunque, che sia sanzionabile solo la mancata partecipazione a procedimenti di mediazione la cui istanza ex art. 4 d.lgs. 28/2010 sia stata proposta successivamente al 17 settembre 2011.

12 Su questa previsione, per tutti, R. TISCINI, La mediazione civile e commerciale, Torino 2011, p. 294 ss.

13 Al riguardo, per tutti, M. BOVE, Le sanzioni per la mancata cooperazione nella mediazione civile, in Le Società, 2012, p. 303 ss.

(6)

www.judicium.it

sanzione nel corso del processo. In specie, se si applichi la regola generale di cui all’art. 177 c.p.c., con la conseguenza, da un lato, che l’ordinanza è revocabile nel corso del giudizio e con il provvedimento finale e, da un altro lato, che il suo riesame potrà essere richiesto al giudice dell’impugnazione della sentenza; oppure, se essa sia soggetta allo speciale regime previsto dall’art. 179 c.p.c. per le sanzioni pecuniarie disposte dal giudice civile nel corso del processo di cognizione14.

Infine, vengono in rilievo due disposizioni concernenti la liquidazione delle spese processuali in peculiari ipotesi.

L’art. 13 del d.l. 212/2011, da un lato, ha modificato l’art. 82, comma 1, c.p.c., innalzando a 1.100 euro il limite di valore delle cause in cui la parte può stare in giudizio personalmente, davanti al giudice di pace; da un altro lato, è intervenuto sull’art. 91 c.p.c., inserendo un ultimo comma, in base al quale “nelle cause previste dall’art. 82, primo comma, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda”15.

La disposizione in esame generalizza la regola di analogo tenore introdotta all’art. 152, ult. comma, disp.

att. c.p.c. dalla legge 69/2009, la quale riguarda i giudizi per le prestazioni previdenziali16. Infatti, il nuovo comma 4 dell’art. 91 c.p.c. si applica ai giudizi aventi ad oggetto qualsiasi diritto, a prescindere dal titolo in cui ha origine e della forma di tutela per esso domandata, con l’unico limite che deve trattarsi di una causa prevista dall’art. 82 c.p.c. e, dunque, di una causa davanti al giudice di pace, di valore non superiore a 1.100 euro17.

La norma è dettata all’evidente fine di porre rimedio al fenomeno della liquidazione di spese processuali superiori al valore del causa, che ha modo di manifestarsi, in specie, nell’ipotesi di segmentazione processuale di diritti aventi titolo in obbligazioni a carattere continuato o periodico, mediante la proposizione di separate domande di importo modesto.

14 La norma disciplina le ordinanze del giudice istruttore con cui vengono comminate pene pecuniarie; essa prevede che non siano impugnabili le ordinanze pronunciate in udienza in presenza dell’interessato; negli altri casi, l’ordinanza è notificata all’interessato, che, nel termine di tre giorni, può proporre reclamo al giudice che l’ha pronunciata, il quale decide con ordinanza non impugnabile.

L’ordinanza, avente carattere decisorio e definitivo, dovrebbe essere impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ex art.

111, comma 7, cost.

15 Il d.l. 212/2011 è entrato in vigore il 23 dicembre 2012; in assenza di disciplina transitoria, si pone il problema di determinare se la nuova norma trovi immediata applicazione anche ai procedimenti in corso a tale data o solo a quelli instaurati successivamente.

A nostro avviso, a prescindere dalle opinioni che si abbiano in generale in ordine all’efficacia nel tempo della legge processuale, alla luce del contenuto della previsione, deve essere senz’altro privilegiata la seconda soluzione.

16 Su questa norma, per molti, A. CHIZZINI, in G. BALENA-R.CAPONI-A.CHIZZINI-S.MENCHINI, La riforma della giustizia civile, Milano 2009, p. 219.

17 Pertanto, la disposizione non è applicabile: a) nel giudizio di valore inferiore a 1.100 euro che non si svolge di fronte al giudice di pace; b) nelle fattispecie in cui l’autorizzazione a stare in giudizio personalmente derivi da una norma diversa dall’art. 82, comma 1, c.p.c. (ad esempio, nel processo di opposizione al verbale di accertamento di violazioni del codice della strada, ai sensi dell’art. 7, comma 8, d.lgs. 150/2011).

(7)

www.judicium.it

La previsione, quindi, sembra essere formulata tenendo in considerazione il caso della liquidazione delle spese a favore dell’attore vittorioso, in fattispecie nelle quali questo soggetto abbia azionato più pretese di infimo valore relative ad un unico titolo, anziché proporre un’unica domanda.

Tuttavia, per la sua formulazione e per il suo ambito di applicazione, la norma in realtà detta una regola di ben più ampia portata.

In primo luogo, essa si applica a tutte le domande di valore inferiore ai 1.100 euro e, quindi, anche nelle ipotesi in cui non venga in rilievo la segmentazione in sede processuale di un diritto unitario in una pluralità di pretese. In tali casi, la norma, in contrasto con il principio per cui colui che ha un diritto deve ottenere dal processo tutto e proprio tutto quel che gli spetta in base alle norme sostanziali, determina la conseguenza di privare l’attore vincitore di una tutela effettiva, tutte le volte che egli, per vedere riconosciuta la propria pretesa, di valore pari o inferiore a 1.100 euro, abbia dovuto sostenere spese superiori al suo ammontare. Tali spese, non potendo trovare rifusione, risulteranno così definitivamente poste a carico della parte vincitrice.

In secondo luogo, la norma è applicabile anche al diverso caso in cui il processo si concluda con una pronuncia di rigetto, favorevole al convenuto: anche in questa ipotesi, la previsione varrà ad introdurre un limite alla liquidazione delle spese a favore di questo soggetto, il quale, dunque, non potrà ottenere il rimborso delle spese sostenute per difendersi avverso una domanda infondata.

In entrambe le ipotesi, non sembra azzardato affermare che emergono profili di illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 24 cost. e financo dell’art. 3 cost.; il principio di uguaglianza, infatti, appare violato, poiché il titolare di un diritto di modesto valore non ottiene l’integrale rimborso delle spese che abbia sostenuto per conseguire la tutela giurisdizionale della sua pretesa, tutte le volte che quelle siano superiori al valore di questa.

Da ultimo, viene in rilievo l’art. 4, comma 42, della l. 183/2011, che ha introdotto un nuovo art. 152 bis nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

La nuova norma detta regole speciali per la liquidazione delle spese processuali a favore delle pubbliche amministrazioni, che, nei giudizi concernenti rapporti di lavoro, siano assistite da propri dipendenti; al riguardo, è previsto che si applichi la tariffa vigente per gli avvocati, con la riduzione del 20 per cento degli onorari di avvocato18. Per la riscossione delle somme così determinate, è disposta l’esecuzione mediante ruolo.

3. Utilizzo della posta elettronica certificata nel processo civile.

18 L’ultimo periodo del comma 42 dell’art. 4 della l. 183/2011 stabilisce che la nuova norma si applichi alle controversie insorte successivamente all’entrata in vigore della legge e, dunque, ai giudizi instaurati posteriormente al 1 gennaio 2012 (cfr. l’art. 36 della l. 183/2011). Peraltro, si ricorda che l’art. 9 del d.l. 1/2012 ha abrogato le tariffe professionali e che per la liquidazione del compenso del professionista da parte di un organo giurisdizionale vale quanto previsto dal medesimo art. 9, ai commi 2 e 3.

(8)

www.judicium.it

L’art. 2, comma 35 ter, del d.l. 138/2011 e, soprattutto, l’art. 25 della l. 183/2011 modificano disposizioni del codice di procedura civile, al fine di prevedere quale modalità privilegiata di comunicazione e notificazione la posta elettronica certificata19.

In tale contesto, meritano particolare attenzione le seguenti previsioni: l’art. 125 c.p.c. stabilisce che, negli atti di cui al comma 1 della disposizione (citazione, ricorso, comparsa, controricorso, precetto), il difensore indichi l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine ed il numero di fax20; l’art. 136 c.p.c., nel disciplinare le comunicazioni da parte del cancelliere, al secondo comma prevede che “il biglietto è consegnato dal cancelliere al destinatario, che ne rilascia ricevuta, ovvero trasmesso a mezzo posta elettronica certificata, nel rispetto della normativa anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”21; soltanto se la legge disponga altrimenti o non sia possible procedere con le modalità indicate, “il biglietto viene trasmesso a mezzo telefax, o è rimesso all’ufficiale giudiziario per la notifica”.

Con la modifica degli artt. 125 e 136 c.p.c., il legislatore ha compiuto una scelta netta, per la quale: a) qualsiasi comunicazione del cancelliere ai soggetti di cui al comma 1 dell’art. 136, concernente un fatto processuale (ad esempio, l’intervento di un terzo costituitosi in cancelleria, ex art. 267, comma 2, c.p.c., o l’intervento di un creditore nel processo esecutivo, ex art. 525 c.p.c.) o un provvedimento del giudice (sentenza, ordinanza o decreto), ove non avvenga mediante consegna personale, deve essere fatta utilizzando la posta elettronica certificata22; b) diverse modalità di trasmissione (mediante fax o notificazione) sono residuali; c) per quanto specificamente riguarda le comunicazioni al difensore, queste sono effettuate all’indirizzo di posta certificata, che egli ha l’obbligo di indicare in uno degli atti di cui all’art. 125, comma 1, c.p.c.; pertanto, l’utilizzo di tale modalità di trasmissione prescinde da una preventiva accettazione ed autorizzazione del difensore23.

19 Per il comma 5 dell’art. 25, “Le disposizioni del presente articolo si applicano decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge” e, dunque, a partire dal 31 gennaio 2012.

20 Si sono viste al paragrafo precedente le conseguenze che questa omissione può comportare in ordine all’importo del contributo unificato dovuto; per contro, non sembra che l’omissione di tali indicazioni comporti la nullità dell’atto.

21 La normativa regolamentare è recata dal decreto del Ministero della Giustizia del 21 febbraio 2011, n. 44.

22 L’enunciazione del principio generale all’art. 136 c.p.c. ha reso superflue le disposizioni disciplinanti specifiche ipotesi di comunicazioni, le quali, conseguentemente, sono state abrogate: è venuto meno l’ultimo comma degli artt. 133 e 134 c.p.c., disciplinante le modalità di comunicazione, rispettivamente, della sentenza e dell’ordinanza; analoga modifica ha interessato l’art.

176 c.p.c., nella parte in cui disciplinava la comunicazione delle ordinanze nel corso del procedimento; è stato abrogato il comma 10 dell’art. 183 c.p.c., che regolava le modalità di comunicazione dell’ordinanza istruttoria. Sui difetti di coordinamento tra queste disposizioni, introdotte dal d.l. 35/2005, e la norma di cui all’art. 136, come modificata dalla l. 263/2005, confronta: G. BALENA, in ID.-M.BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari 2006, p. 29 s.; S.CAPORUSSO, Pubblicazione e comunicazione della sentenza, in La riforma del processo civile, a cura di F.CIPRIANI e G.MONTELEONE, Padova 2007, p. 4 ss.; EAD., Comunicazioni, ivi, p. 11 s.; F. CORSINI, Articolo 133, in Le recenti riforme del processo civile, Commentario diretto da S. CHIARLONI, I, Bologna 2007, p. 41 ss., specie p. 46 ss.; F.P. LUISO, Le modifiche in tema di comunicazione di atti e di intimazione di testimoni, in CONSOLO-LUISO-MENCHINI-SALVANESCHI, Il processo civile di riforma in riforma, Milano 2006, p. 13 ss., specie p. 17.

23 Ci si può chiedere cosa accada qualora il difensore non indichi il numero di fax o l’indirizzo di posta elettronica certificata: se ciò impedisca l’utilizzo di tale modalità di trasmissione o meno. Rilevato che, diversamente da quanto previsto nel sistema previgente,

(9)

www.judicium.it

L’art. 136 c.p.c., come è stato correttamente notato, può essere considerato la norma-manifesto, sul cui modello sono disegnate anche altre previsioni24: a) all’art. 170, comma 4, c.p.c., sono stati abrogati i periodi successivi al primo, ove era prevista l’autorizzazione del giudice per ciascuno scambio o comunicazione di atti tra i difensori nel corso del procedimento a mezzo fax o posta elettronica25; b) l’art. 250, comma 3, c.p.c., che già prevedeva l’intimazione del testimone mediante posta elettronica, oggi è adeguato con la prescrizione dell’impiego della posta elettronica certificata; c) l’art. 366, comma 2, c.p.c. stabilisce che le notificazioni siano fatte nella cancelleria della Corte di cassazione al ricorrente se egli non ha eletto domicilio in Roma ovvero se “non ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicata al proprio ordine”, di guisa che sembra essere venuto meno l’onere dell’elezione di domicilio in Roma, essendo sufficiente l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata; inoltre, il legislatore è intervenuto sul comma 4 dell’art. 366 c.p.c., il quale oggi prevede quale modalità privilegiata di comunicazione e di notificazione degli atti la posta elettronica certificata: infatti, “le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra i difensori di cui agli articoli 372 e 390, sono effettuate ai sensi dell’articolo 136, secondo e terzo comma”26; d) l’utilizzo quale forma privilegiata di comunicazione della posta elettronica certificata è espressamente prevista anche nell’ambito del processo esecutivo, in riferimento a disposizioni che già prevedevano l’utilizzo della posta elettronica; vengono in rilievo l’art. 518, comma 6, c.p.c. (in materia di comunicazione del processo verbale del pignoramento) e gli artt. 173 bis, comma 3, e 173 quinquies, comma 1, disp. att. c.p.c. (in materia di espropriazione immobiliare, rispettivamente per la trasmissione della relazione di stima dell’esperto e per la presentazione delle offerte di acquisto).

Il comma 3 dell’art. 25 modifica gli artt. 1, 3, 4 e 5 della l. 21 gennaio 1994, n. 53, adeguando la disciplina delle notificazioni eseguite dall’avvocato all’utilizzo della posta elettronica certificata. In particolare, si segnala che: a) si consente all’avvocato di effettuare le notificazioni mediante l’utilizzo della

l’utilizzo di tale modalità di trasmissione non è subordinata ad una manifestazione di volontà del difensore o, comunque, ad una previa implicita accettazione ed autorizzazione mediante l’indicazione dell’indirizzo (confronta i previgenti artt. 133, 134, 176, 183 ult. comma c.p.c.); osservato che l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata è oggetto di un obbligo e non già di una facoltà da parte del difensore; se ne deduce che: a) tale modalità di comunicazione opera a prescindere dall’espressa

dichiarazione del difensore di voler ricevere le comunicazioni ad un determinato indirizzo e-mail, essendo sufficiente l’indicazione dell’indirizzo; b) la cancelleria potrà fare riferimento all’indirizzo comunque risultante dal corpo dell’atto (ad esempio, dal timbro apposto sullo stesso); inoltre, in mancanza assoluta di questo, non sembra esclusa la possibilità per la cancelleria di fare riferimento all’indirizzo comunicato dal professionista all’ordine di appartenenza e da questo pubblicato nell’elenco riservato (cfr. art. 16, comma 7, d.l. 29 novembre 2008, n. 185), con cui è costituito il registro generale degli indirizzi elettronici presso il Ministero della Giustizia (art. 7, d.m. 44/2011).

24 F. VALERINI, Le disposizioni in materia processuale nella legge di stabilità del 2012, in www.judicium.it, 3.

25 Risulta altresì abrogata la previsione che disciplinava la trasmissione dell’atto di impugnazione a mezzo fax o posta elettronica, su cui la dottrina aveva svolto rilievi critici, rilevando che essa fosse sostanzialmente inapplicabile (G. BALENA, op. cit., p. 102; S.

CAPORUSSO, Notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento, in La riforma, cit., p. 67 ss.; F. CORSINI, Art. 170, in op.

cit., p. 143; F.P. LUISO, op. cit., p. 17 s.).

26 Per effetto delle modifiche apportate dal d.lgs. 40/2006, il comma 4 dell’art. 366 c.p.c. prevedeva che le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra difensori ex artt. 372 e 390 c.p.c. potessero essere fatte al numero di fax o all’indirizzo di posta elettronica indicati nel ricorso (al riguardo, confronta A. CARRATTA, Art. 366, in Le recenti riforme del processo civile, cit., p. 370 ss., specie p. 371 s.).

(10)

www.judicium.it

posta elettronica certificata, in alternativa rispetto all’invio della lettera raccomandata (art. 1); in base al nuovo comma 3 bis dell’art. 3, la notificazione può essere compiuta mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata, a condizione che l’indirizzo del destinatario risulti da pubblici elenchi; il notificante procede ai sensi dell’art. 149 bis c.p.c., in quanto compatibile27; b) per gli artt. 4 e 5, l’avvocato può eseguire direttamente la notificazione di cui sia destinatario un altro avvocato che abbia la qualità di domiciliatario di una parte, utilizzando l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicata all’ordine o mediante consegna di copia al destinatario; soltanto per la notificazione mediante consegna diretta, è richiesto che il destinatario sia iscritto al medesimo albo del notificante.

4. Interventi relativi ai giudizi di impugnazione.

In materia di giudizi di impugnazione, la disposizione di maggiore rilievo teorico e pratico era sicuramente quella contenuta all’art. 26 della l. 183/2011, come modificato dall’art. 14 del d.l. 212/2011;

questa previsione disciplinava, come è noto, una peculiare figura di estinzione per i processi pendenti da più lungo tempo di fronte alle corti d’appello ed alla Corte di cassazione. L’art. 26 della l. 183/2011, sul quale la dottrina aveva per lo più manifestato critiche e perplessità, è stato tuttavia abrogato dalla l. 10/2012, di conversione del d.l. 212/2011.

Residuano, dunque, le modifiche al giudizio di appello apportate dall’art. 27 della l. 183/2011, le quali, come attesta la rubrica, perseguono lo scopo della “accelerazione del contenzioso civile pendente in grado di appello”.

A tal fine, l’art. 27 introduce, sia per il rito ordinario che per il rito del lavoro, la disposizione, già esaminata, che prevede una sanzione processuale a carico della parte che abbia proposto un’istanza di sospensione della sentenza impugnata inammissibile o manifestamente infondata28.

Altre modifiche sono poi introdotte per il giudizio di appello a rito ordinario, le quali incidono sulla fase di trattazione e di decisione della causa29.

In primo luogo, il legislatore è intervenuto sull’art. 350, comma 1, c.p.c., il quale prevede che la trattazione dell’appello davanti alla corte d’appello sia collegiale; ferma restando questa regola, oggi si prevede, però, che “il presidente del collegio può delegare per l’assunzione di mezzi istruttori uno dei suoi componenti”: la trattazione e la decisione del giudizio sono collegiali, ma l’istruttoria può essere delegata ad un membro del collegio.

27 La norma in esame disciplina la notificazione a mezzo posta elettronica certificata ad opera dell’ufficiale giudiziario; su questa disposizione, per tutti, confronta: F. VALERINI, Sub art. 149 bis, in La riforma del c.p.c., Commentario a cura di F. CIPRIANI,S.

MENCHINI eM.DE CRISTOFARO, in Le Nuove Leggi Civ. Comm., 2010, p. 850 ss.

28 Supra, par. 2.

29 Si ricorda che, per l’art. 27, comma 2, l. 183/2011, “le disposizioni del presente articolo si applicano decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”, prevista dall’art. 36 per il 1 gennaio 2012 e, dunque, a partire dal 31 gennaio 2012.

(11)

www.judicium.it

L’innovazione va posta in relazione con l’orientamento giurisprudenziale, il quale, ponendo la distinzione tra attività meramente ordinatoria ed attività valutativa, ritiene che l’illegittimo svolgimento da parte di un solo componente del collegio di attività processuali aventi carattere ordinatorio (ad esempio, la direzione dell’udienza di prima comparizione o di precisazione delle conclusioni) non integri il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. e, dunque, non dia luogo ad una nullità insanabile e rilevabile anche d’ufficio, bensì un vizio soggetto al regime ordinario delle nullità e, quindi, ex art. 157 c.p.c., sanabile e rilevabile solo su istanza di parte tempestivamente proposta.

Con una recente pronuncia, la Corte di cassazione, peraltro, aveva precisato, in consapevole dissenso con l’orientamento prevalente, che l’assunzione di mezzi istruttori non comporta sempre e comunque lo svolgimento di attività di carattere valutativo, il cui espletamento da parte di un solo componente del collegio integra sempre e comunque il vizio di costituzione del giudice, soggetto al regime dell’art. 158 c.p.c.; la sentenza 14 giugno 2011, n. 12957, ha infatti affermato il principio per il quale “l'attività istruttoria svolta dal giudice monocratico, su delega del collegio, in violazione della regola della trattazione collegiale del procedimento che si svolge davanti alla corte d'appello, non si traduce tout court in un vizio di costituzione del giudice ex art. 158 cod. proc. civ., con conseguente nullità assoluta della relativa pronuncia, occorrendo, a tal fine, la specifica deduzione e il positivo riscontro, che l'attività stessa abbia, in concreto, comportato l'esplicazione di funzioni, se non decisorie, certamente valutative, riservate dalla legge al collegio”.

Questa pronuncia, a nostro avviso, non era affatto condivisibile, in quanto essa contrastava con la regola, vigente al tempo della sua emanazione, della trattazione ed istruzione integralmente collegiali del giudizio di appello, la cui violazione non poteva che determinare un vizio di costituzione del giudice, soggetto al regime dell’art. 158 c.p.c.30.

Oggi, tuttavia, la questione può ritenersi superata per l’intervento del legislatore: con la modifica dell’art.

350, comma 1, c.p.c., è stata compiuta una diversa scelta, per la quale l’istruttoria può essere delegata ad uno dei componenti del collegio; conseguentemente, nel nuovo sistema l’assunzione di mezzi di prova da parte di uno dei magistrati del collegio all’uopo delegato dal presidente è pienamente legittima e non integra più alcuna violazione di legge processuale.

Anche la fase decisoria del giudizio di appello è stata interessata da alcune modifiche, volte ad accelerare i tempi di definizione del processo.

30 La sentenza n. 12957/2011, infatti, era stata criticata dalla dottrina: S.MENCHINI,La Cassazione e l’art. 350 c.p.c.: la trattazione e l’istruzione dell’appello di fronte alla corte di appello possono essere monocratiche, in Giusto proc. civ., 2011, p. 1107 ss.; A.

CARRATO, La necessaria collegialità della corte di appello e le conseguenze delle sue possibili violazioni, in Corr. Giur., 2012, p.

236 ss.;su questa sentenza, confronta anche G.COSTANTINO,Sulla trattazione collegiale in appello tra principio di legalità ed esigenze pratiche, in Foro It., 2011, I, col. 3036 ss.

(12)

www.judicium.it

Si consente, infatti, che anche in grado di appello la decisione possa essere emessa a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.; a tal fine, il legislatore ha aggiunto un ultimo comma all’art. 352 c.p.c., in base al quale “quando non provvede ai sensi dei commi che precedono, il giudice può decidere la causa ai sensi dell’art. 281-sexies”.

Più rilevante appare, tuttavia, segnalare l’introduzione da parte del legislatore della possibilità che la causa sia decisa in forme abbreviate, attraverso il sistema, non ignoto al nostro ordinamento, della cd.

“passerella”: il giudice, all’udienza in cui è chiamato a decidere sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, se ritiene la causa matura per la decisione, può deciderla immediatamente, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.

L’art. 27, comma 1, lett. c) num. 2), della l. 183/2011 ha infatti aggiunto un nuovo comma all’art. 351 c.p.c., a mente del quale “il giudice, all’udienza prevista dal primo comma, se ritiene la causa matura per la decisione, può provvedere ai sensi dell’articolo 281-sexies. Se per la decisione sulla sospensione è stata fissata l’udienza di cui al terzo comma, il giudice fissa apposita udienza per la decisione della causa nel rispetto dei termini a comparire”

Attraverso l’applicazione dell’art. 281 sexies c.p.c. è data la possibilità alla corte d’appello di decidere immediatamente, in sede di prima udienza, la causa, quando questa sia matura per la decisione: la corte, fatte precisare alle parti le conclusioni, può ordinare la discussione orale nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un’udienza successiva, e pronunciare al termine la sentenza in forma semplificata.

Tuttavia, occorre compiere una precisazione, alla luce dei principi generali del processo: l’applicazione della disposizione non può far subire alle parti un effetto “sorpresa”, alla stregua del quale esse, comparse all’udienza per la discussione dell’istanza di sospensione, vengono chiamate a precisare immediatamente le conclusioni e a discutere la causa. Invero, il rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio impone che, ogniqualvolta sia rilevata (d’ufficio o su istanza di parte) una questione idonea definire il giudizio, sia garantito alla parte interessata, che lo richieda, l’esercizio delle attività difensive che si pongono quale conseguenza del rilievo della questione de qua31. A tal fine, non è sufficiente che, come consentito dall’art. 281 sexies c.p.c., su istanza di parte, sia disposto il differimento della discussione della causa; infatti, ancor prima, occorre riconoscere alla parte interessata il diritto di non procedere all’immediata precisazione delle conclusioni e di ottenere (ed il correlativo dovere del giudice di disporre) il rinvio della precisazione

31 Ad esempio: il giudice ritiene matura per la decisione la causa, per la ricorrenza di una questione di rito, rilevata d’ufficio o su istanza di parte, che impedisce la trattazione nel merito dell’appello proposto. In tal caso, non sembra eludibile la necessità che sia riconosciuto all’attore, il quale ne abbia fatto istanza, di svolgere le attività difensive ritenute opportune, al fine di dimostrare il rispetto del presupposto processuale de quo; ciò, del resto, in applicazione del generale disposto di cui all’art. 101, comma 2, c.p.c.

Peraltro, è opportuno ricordare che, con riferimento all’analogo istituto previsto nel processo amministrativo, la Corte costituzionale (sent. 10 novembre 1999, n. 427) ha precisato che il passaggio al giudizio abbreviato in sede di trattazione dell’istanza cautelare non deve ledere il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa delle parti.

(13)

www.judicium.it

delle conclusioni ad una successiva udienza (ed, eventualmente, altresì un termine per il deposito di memorie), affinché possano essere svolte quelle attività difensive, che consentono l’attuazione del contraddittorio sulla questione idonea a definire il giudizio, rilevata d’ufficio o dall’altra parte.

D’altra parte, lo stesso legislatore, nel dettare la disposizione in commento, ha mostrato di voler assicurare che l’adozione del modulo semplificato di decisione avvenga nel pieno rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti; infatti, è opportunamente precisato che, nel caso in cui sia stata anticipata la decisione sulla sospensiva ai sensi del comma 3 dell’art. 351 c.p.c., a tale udienza il giudice non può, in alcun caso, procedere all’immediata decisione della causa, ma deve fissare un’udienza apposita, che consenta di rispettare i termini a comparire delle parti.

Infine, deve essere segnalata la modifica introdotta all’art. 351, comma 1, c.p.c., per effetto della quale l’ordinanza con cui il giudice provvede sull’istanza di inibitoria della sentenza impugnata è ora espressamente qualificata come “non impugnabile”.

Come è noto, la giurisprudenza assolutamente prevalente, confortata dall’indicazione normativa contenuta all’art. 350, comma 3, c.p.c. (ove è sancita la non impugnabilità dell’ordinanza resa a seguito del decreto emanato inaudita altera parte) nega che l’ordinanza de qua sia soggetta ad un mezzo di controllo e, in specie, esclude che essa sia reclamabile ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.32.

Il legislatore, con la modifica in esame, ha inteso ribadire e confermare questa impostazione.

L’interprete non può che prendere atto del chiaro dato di diritto positivo, e limitarsi a segnalare che la scelta compiuta non sembra opportuna ed è in certa misura contraddittoria. Sotto un primo profilo, costituisce regola generale che i provvedimenti con cui il giudice decide sulle istanze cautelari siano soggetti a controllo da parte di un giudice diverso, attraverso lo strumento del reclamo; principio questo, di cui la Consulta ha recentemente ribadito la rilevanza costituzionale con riferimento ai procedimenti di istruzione preventiva33.

32 App. Catania, 4 marzo 2009, in Giur. Merito, 2009, p. 2455 ss., con nota di M. GIORDANO, Sulla reclamabilità del provvedimento di inibitoria della efficacia esecutiva della sentenza di primo grado; App.

Bari, 11 settembre 2006, in Giusto proc. civ., 2007, p. 485 ss., con nota di G. IMPAGNATIELLO, Sulla reclamabilità dei provvedimenti di inibitoria; App. Catania, 10 novembre 2003, in Giur. merito, 2004, p. 213 ss.; analoga soluzione è seguita dalla giurisprudenza rispetto all’inibitoria del lodo in sede di impugnazione per nullità ex art. 830 c.p.c.: da ultimo, App. Genova, 18 gennaio 2011, in Riv. Arb., 2011, p. 456 ss., con nota di C. SANTINI, Sulla reclamabilità del provvedimento che decide sull’inibitoria dell’efficacia esecutiva del loro arbitrale impugnato per nullità; App., Milano, ord. 15 dicembre 2006, in Corr. Giur., 2007, p. 1007 ss., con nota di M. MARINELLI, La riforma degli artt. 615 e 624 c.p.c. e la reclamabilità delle pronunce rese dal giudice del gravame sulla inibitoria della decisione impugnate. Infine, si ricorda che, con orientamento consolidato, la Corte di cassazione esclude l’ammissibilità del ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, cost.

avverso l’ordinanza de qua, rilevando che essa, avendo natura cautelare, è priva del carattere della decisorietà:

Cass., 12 marzo 2009, n. 6047; Cass., 8 marzo 2005, n. 5011; Cass., 25 febbraio 2005, n. 4060.

33 Il riferimento è a Corte cost., 16 maggio 2008, n. 144, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 669 quaterdecies e 695 c.p.c., nella parte in cui non prevedono la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell'istanza per l'assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli artt. 692 e 696 c.p.c.

(14)

www.judicium.it

Sotto un secondo profilo, ai sensi dell’art. 624, comma 2, c.p.c., i provvedimenti con cui il giudice dell’esecuzione decide sull’istanza di sospensione del processo esecutivo -i quali hanno identica natura, nonché analoghi presupposti e contenuto rispetto a quelli resi dal giudice dell’impugnazione della sentenza sull’istanza di inibitoria- sono assoggettati a reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.34.

5. Modifiche in tema di opposizione a decreto ingiuntivo.

Con la legge 29 dicembre 2011, n. 218, di modifica dell’art. 645 c.p.c. e di interpretazione autentica dell’art. 165 c.p.c. in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, il legislatore è intervenuto al fine di porre rimedio alla situazione determinatasi a seguito di Cass., sez. un., 9 settembre 2010, n. 19246.

Come è noto, anteriormente a questa pronuncia, secondo il diritto vivente, la riduzione a metà del termine di costituzione in giudizio dell’opponente conseguiva alla circostanza che l’attore, ai sensi dell’art. 645, comma 2, c.p.c., avesse assegnato al convenuto un termine di comparizione inferiore a quello legale; nei casi in cui la parte non si fosse avvalsa di tale facoltà, assegnando un termine di comparizione pari o superiore a quello ordinario, previsto dall’art. 163 bis, comma 1, c.p.c., il termine di costituzione in giudizio sarebbe stato quello di dieci giorni stabilito dall’art. 165 c.p.c. Con la sentenza n. 19246/2010, la suprema Corte ha invece enunciato il principio per il quale i termini di costituzione sono in ogni caso ridotti della metà, quale effetto automatico della proposizione dell’opposizione e, dunque, indipendentemente dalla circostanza che l’attore abbia assegnato al convenuto un termine di comparizione inferiore a quello legale.

Con l’art. 1 della legge in esame, il legislatore è intervenuto sul comma 2 dell’art. 645 c.p.c., sopprimendo le parole “ma i termini di comparizione sono ridotti della metà”.

Due sono le conseguenze discendenti dalla modifica normativa35: a) diversamente da quanto avveniva nel sistema previgente, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la disciplina dei termini di comparizione è quella dettata per il procedimento ordinario di fronte al giudice adito; pertanto, nel rito ordinario di cognizione, al convenuto deve essere assegnato il termine di cui all’art. 163 bis, comma 1, c.p.c.; questo

34 La non reclamabilità dei provvedimenti resi dal giudice dell’impugnazione sull’inibitoria è criticata dalla prevalente dottrina, la quale rileva che si profilano dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo della violazione dell’art. 3 cost., alla luce

dell’espressa previsione della reclamabilità degli omologhi provvedimenti resi ai sensi dell’art. 624 c.p.c.; al riguardo, confronta: M.

MARINELLI, op. cit., p. 1009 ss.; C. SANTINI, op. cit.; G. IMPAGNATIELLO, op. cit.

35 La l. 218/2011 è entrata in vigore il quindicesimo giorno dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 5 gennaio 2012 e, dunque, il successivo 20 gennaio. In assenza di disciplina transitoria, si pone il problema di determinare a quali giudizi la nuova norma si applica; la soluzione della questione dipende dalla scelta che si compie in ordine al criterio da adottare per

determinare l’efficacia nel tempo della norma processuale (al riguardo, si rinvia agli Autori citati supra, alla nota 9). Così, secondo l’impostazione tradizionale, per la quale tempus regit actum, la nuova disposizione si applica ai giudizi di opposizione, in cui l’atto di citazione sia stato notificato successivamente alla sua entrata in vigore (così, A. TEDOLDI, Niente più dimidiazione dei termini nell’opposizione a decreto ingiuntivo (brevi note sulla modifica dell’art. 645, 2° co., c.p.c., in www.ilcaso.it, 3); per contro, ove si adotti il diverso criterio, per il quale il processo è retto dalle norme vigenti al tempo della sua instaurazione (tempus regit

processum), la nuova norma troverà applicazione nei giudizi instaurati posteriormente alla sua entrata in vigore e, dunque, in base all’art. 643, comma 3, c.p.c., ai processi di opposizione concernenti decreti ingiuntivi notificati successivamente al 20 gennaio 2012.

(15)

www.judicium.it

termine può essere ridotto fino alla metà ai sensi del comma 2 della disposizione citata, nelle cause di pronta spedizione, su istanza dell’attore e con decreto motivato del giudice; b) il termine di costituzione dell’attore nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che si svolge secondo le norme del rito ordinario, ai sensi dell’art. 165 c.p.c., è di dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto; esso è ridotto a cinque giorni, nei soli casi in cui l’opponente abbia ottenuto l’abbreviazione del termine di comparizione del convenuto ai sensi dell’art. 163 bis, comma 2, c.p.c. (art. 165, comma 1, c.p.c.)36.

L’art. 2 della l. 218/2011, peraltro, contiene una disposizione transitoria, la quale detta una norma di interpretazione autentica, di immediata applicazione ai giudizi in corso: “Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, l'articolo 165, primo comma, del codice di procedura civile si interpreta nel senso che la riduzione del termine di costituzione dell'attore ivi prevista si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l'opponente abbia assegnato all'opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all'articolo 163-bis, primo comma, del medesimo codice”.

Come ognun vede, con la disposizione de qua è posta fuori campo l’interpretazione fornita dalla Cassazione nel settembre 2010 e viene sostanzialmente riaffermata, per i giudizi in corso, la consolidata regola enunciata del diritto vivente anteriore37.

Ciò posto, sembra opportuno evidenziare le conseguenze sui processi pendenti.

Come è noto, la giurisprudenza di merito assolutamente prevalente aveva opportunamente ritenuto che il revirement giurisprudenziale non potesse pregiudicare l’opponente, il quale, anteriormente alla pronuncia della Corte di cassazione, in osservanza del consolidato orientamento giurisprudenziale, non avesse usufruito della facoltà di dimezzare i termini di comparizione dell’opposto e si fosse quindi costituito nel termine di dieci giorni38.

36 In tal caso, peraltro, ai sensi dell’art. 167, comma 1, c.p.c., il convenuto potrà costituirsi sino a dieci giorni prima dell’udienza.

37 Peraltro, la questione era stata rimessa nuovamente alle sezioni unite da parte di Cass., ord., 22 marzo 2011, n. 6514 (in Foro It., 2011, I, col. 1039 ss., con osservazioni di G.COSTANTINO, in Giusto proc. civ., 2011, p. 441 ss., con nota di G.TRISORIO LIUZZI, La dimidiazione del termine di costituzione nell’opposizione a decreto ingiuntivo torna alle Sezioni Unite unitamente agli effetti del mutamento di giurisprudenza),la quale, da un lato, riteneva non condivisibile l’interpretazione dell’art. 645, comma 2, c.p.c.

fornita da Cass. n. 19246/2010 e, da un altro lato, osservava che, in ogni caso, la nuova interpretazione non avrebbe potuto trovare applicazione con riferimento ai giudizi in corso alla data dell’emanazione della pronuncia de qua.

38 Per molte: Trib. Roma, 14 giugno 2011, n. 12978; Trib. Modena, 14 giugno 2011, n. 1015; Trib. Piacenza, 2 dicembre 2010, Trib.

Arezzo, 29 ottobre 2010, Trib. Santa Maria Capua Vetere, 22 ottobre 2010, Trib. Macerata, 21 ottobre 2010, Trib. Marsala, 20 ottobre 2010, Trib. Roma, 20 ottobre 2010, Trib. Velletri, 18 ottobre 2010, Trib. Pavia, 14 ottobre 2010, Trib. Milano, 13 ottobre 2010, Trib. Bari, 4 ottobre 2010, tutte in Giur. Merito, 2010, p. 3027 ss., con nota di M. GIORDANO; Trib. Bologna 30 novembre 2010 e App. Roma, 17 novembre 2010, entrambe in Foro It., 2011, I, col. 1548 ss.; Trib. Sulmona, 29 novembre 2010, n. 526; Trib.

Rovigo, 25 novembre 2010, Trib. Vibo Valentia, 23 novembre 2010, Trib. Latina 19 novembre 2010, Trib. Catanzaro, 4 novembre 2010, Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 3 novembre 2010, Trib. Belluno, 30 ottobre 2010, Trib. Varese, 8 ottobre 2010, tutte in Resp. Civ. prev., 2011, p. 703 ss.; Trib. Brindisi, 22 novembre 2010; Trib. Salerno, 25 ottobre 2010; Trib. Tivoli, 12 ottobre 2010;

Trib. Torino, 11 ottobre 2010; Trib. Macerata-Civitanova Marche, 22 ottobre 2010, Trib. Udine, 1 ottobre 2010, Trib. Ancona, 15 novembre 2010, Trib. Siracusa, 3 novembre 2010, tutte in www.ilcaso.it.

(16)

www.judicium.it

A tal fine, erano state delineate diverse soluzioni tecniche, tra le quali era prevista l’applicazione dell’istituto della rimessione in termini39. Oggi, in virtù della norma di interpretazione autentica, non occorre più fare ricorso a tale istituto, e deve quindi essere senz’altro esclusa la necessità della proposizione di specifica istanza di rimessione in termini da parte dell’opponente 40 : l’attore deve considerarsi tempestivamente costituito, se ha compiuto tale adempimento nel termine ordinario, con l’unica eccezione rappresentata dall’ipotesi in cui egli abbia assegnato all’opposto un termine di comparizione inferiore.

Ciò posto, si deve sottolineare che la norma, avendo carattere interpretativo ed applicandosi anche ai giudizi in corso, potrà operare anche rispetto a quei processi, nei quali il giudice, facendo applicazione del nuovo orientamento giurisprudenziale, abbia dichiarato l’improcedibilità dell’opposizione per tardività della costituzione in giudizio dell’attore; questo, a condizione che la parte abbia interposto l’impugnazione o, nei casi in cui non l’abbia proposta, ed i termini non siano ancora decorsi, la eserciti tempestivamente.

6. Disposizioni in materia di giudizio previdenziale.

L’art. 38 del d.l. 98/2011 detta disposizioni in materia di contenzioso assistenziale e previdenziale, al dichiarato fine di “realizzare una maggiore economicità dell’azione amministrativa e favorire la piena operatività e trasparenza dei pagamenti, nonché deflazionare il contenzioso in materia previdenziale, di contenere la durata dei processi in materia previdenziale” (comma 1).

E’ così previsto, innanzitutto (art. 38, comma 1, lett. a), che i processi in materia previdenziale in cui sia parte l’Inps, di valore non superiore a 500 euro, che risultino pendenti in primo grado al 31 dicembre 2010, e per i quali a tale data non sia intervenuta sentenza, si estinguono di diritto, con riconoscimento della pretesa economica a favore del ricorrente. L’estinzione è dichiarata, anche d’ufficio, con decreto; per quanto

39 Confronta, tra le pronunce citate alla nota precedente: Trib. Piacenza, 2 dicembre 2010; Trib. Arezzo, 29 ottobre 2010; Trib.

Rovigo, 25 novembre 2010; Trib. Salerno, 25 ottobre 2010; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 22 ottobre 2010; Trib. Marsala, 20 ottobre 2010; Trib. Pavia, 14 ottobre 2010; Trib. Tivoli, 12 ottobre 2010; Trib. Bari, 4 ottobre 2010; Trib. Macerata-Civitanova Marche, 22 ottobre 2010; Trib. Ancona, 15 novembre 2010, Trib. Siracusa, 3 novembre 2010. Peraltro, il ricorso all’istituto della rimessione in termini non appariva necessitato, alla luce dei principi enunciati dalla più recente giurisprudenza di legittimità;

secondo la Suprema Corte, quando un atto processuale è tempestivamente posto in essere alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale pregresso, ma non in base ad un successivo mutamento giurisprudenziale, avvenuto posteriormente al

compimento dell’atto, deve essere esclusa l’operatività della preclusione a danno della parte che abbia confidato nella precedente interpretazione della regola processuale: Cass., sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144, in Corr. Giur., 2011, p. 1392 ss., con nota di F.

CAVALLA – C. CONSOLO – M. DE CRISTOFARO, Le S.U. aprono (ma non troppo) all’errore scusabile: funzione dichiarativa della giurisprudenza, tutela dell’affidamento, tipi di overruling; in Giusto proc. civ., 2011, p. 1117 ss., con osservazioni di F.AULETTA, Irretroattività dell’overruling: come il «valore del giusto processo può trovare diretta attuazione»; su questa pronuncia, confronta anche R.CAPONI,Retroattività del mutamento di giurisprudenza: limiti, in Foro It., 2011, I, col. 3344 ss.; in modo analogo, con specifico riferimento al problema del termine di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, Cass., n. 6514/2011, cit.

40 Invero, l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 153 c.p.c. (ovvero di cui all’art. 184 bis c.p.c., anteriormente alla l. n. 69/2009) avrebbe dovuto condurre a ritenere necessaria, ai fini della rimessione in termini, l’istanza della parte interessata e la prova di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile; occorre tuttavia segnalare che alcune pronunce di merito, pur richiamando esplicitamente l’istituto de quo, non condizionavano la rimessione nel termine alla proposizione di apposita istanza ad opera dell’opponente.

Riferimenti

Documenti correlati

Vi è poi una ragione più generale che investe ogni tipologia di contenzioso, in parte sugge- rita da un’osservazione del Presidente della Corte di Cassazione nella relazione sulla

396, che adesso contemplano la possibilità di trascrivere negli archivi istitui- ti presso lo stato civile, negli atti di matrimonio e negli atti di nascita gli ac- cordi raggiunti

Per la verità, per quanto riguarda le parti costituite, quantomeno in linea generale, la norma maggiormente rilevante è quella contenuta nell'articolo 136, la quale prevede

5 ( 41 ), per cui la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e che, dalla stessa data, la domanda di mediazione

Né si comprende che fine farà la condanna alle spese, accessoria alla dichiarazione di inammissibilità, se verrà accolto il ricorso in cassazione contro la sentenza

Sui possibili motivi di questo atteggiamento ci siamo già interrogati: l’appello nel processo civile è un istituto su cui pesano notevolmente gli elementi strutturali

Per cui è condivisibile la posizione della Corte suprema quando dice: «La consulenza tecnica d’ufficio svoltasi prima della chiamata in causa di una delle parti processuali

• ottenuto l’iscrizione, quale “conciliatore di diritto” ai sensi dell’art.4, comma quarto, lett.a) del decreto ministeriale 222/2004, presso l’organismo di mediazione