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Non autosufficienti, i più deboli rimasti senza aiuti

Sono poco meno di 3 milioni di anziani che vivono nelle Rsa o in casa

di Dario Di Vico | 11 marzo 2021 | Corriere della Sera

Sono poco meno di 3 milioni, hanno pagato il prezzo più salato alla devastazione del virus (la mortalità si è concentrata tra persone ultraottantenni con due o tre patologie concomitanti) ma ciononostante non riescono ad ottenere la giusta e necessaria attenzione. Si aspettavano che, una volta illuminata dai media la loro condizione, politica e amministrazione agissero di conseguenza e invece niente.

Sono il piccolo esercito degli anziani che vivono nelle Rsa o in casa propria ma non sono autosufficienti vuoi a causa di una riduzione drastica della mobilità fisica (con l’impossibilità di lavarsi, vestirsi e camminare) vuoi per un grave disturbo cognitivo (il terribile Alzheimer tra tutti). Avrebbero bisogno di assistenza continuativa domiciliare o residenziale per rispondere alla condizione di dipendenza permanente, però non trovano interlocutori e risposte. Perché se è vero che la spesa corrente per il welfare italiano pende sul lato pensionistico, una è la condizione di un ex lavoratore settantenne in buona salute, altra e diversa quella di un anziano che dipende dai congiunti per le funzioni vitali e il sostentamento materiale.

Su questa esigenza di rappresentanza e di voce si muove il Network Non

Autosufficienza, una rete di esperti affiancata da 8 associazioni di malati di Alzheimer e Parkinson, da Cittadinanzattiva, Forum del Terzo Settore, Forum Disuguaglianze Diversità e sostenuta da Caritas Italiana. Un raggruppamento mai così largo e che testimonia la

preoccupazione di fondo che circola tra le famiglie coinvolte.

Il primo impegno è stato quello di elaborare una proposta sull’assistenza che nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza purtroppo manca. «Sarebbe paradossale — dice

Cristiano Gori, coordinatore del Network — che un Piano nato per rispondere a una tragedia dimenticasse coloro che hanno pagato il prezzo maggiore, le vittime». E aggiunge che la pandemia ha solo messo drammaticamente a nudo una criticità che esisteva da tempo.

Il welfare italiano è stato interessato negli ultimi anni da diversi interventi di riforma, dall’Aspi del 2012 al Reddito di cittadinanza del 2019 fino all’Iscro del 2021, ma nessuno di essi ha riguardato la platea dei non autosufficienti. Come invece hanno scelto di fare in varie forme Austria, Germania, Francia e Spagna tra gli anni Novanta e i Duemila. Il risultato è che, secondo le statistiche Ocse, solo la Grecia ha meno posti letto dell’Italia in strutture

residenziali: 1,8 ogni 100 persone contro 1,9. Ma oltre alla residenzialità anche l’assistenza a domicilio fa acqua: i servizi pubblici nella migliore delle ipotesi seguono l’anziano in media 18 ore l’anno (!). Eppure che ci sia necessità di provvedere lo suggeriscono innanzitutto le

tendenze demografiche che vedono salire il numero degli ultraottantenni a un ritmo

vertiginoso (fatto 100 il livello del 2000 già siamo nel 2020 a 198,1). E in questa fascia d’età i medici segnalano la preoccupante crescita dei malati di Alzheimer.

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Due sono i problemi di fondo che, secondo il Network, vanno affrontati di petto. Il primo riguarda la frammentazione degli interventi pubblici erogati da soggetti diversi (Asl, Comuni, Inps) e, purtroppo, non coordinati tra loro. Che andrebbero invece collocati in un sistema di governance unitario capace di armonizzare le diverse linee di responsabilità. Il secondo investe l’inadeguatezza dei servizi domiciliari, il cui sviluppo invece è valutato alla stregua di una priorità. Come ovviare? Offrendo agli anziani non solo gli interventi di natura medico- infermieristica ma anche quelli di supporto nelle attività di base della vita quotidiana.

Il Pnrr non permette (giustamente) l’incremento della spesa corrente ma può finanziare un investimento straordinario nella domiciliarità per accompagnarne la riforma e avviare l’ampliamento dell’offerta. Che, non ultimo, creerebbe un numero significativo di quei white jobs più volte raccomandati dalla Commissione Europea. «La proposta — sintetizza Gori — prevede circa 7,5 miliardi per la non autosufficienza nel periodo 2022-26, 5 dei quali dedicati ai servizi domiciliari. È la cifra giusta per avviare una riforma ambiziosa ma si può partire anche con meno. Il vero pericolo non è che i fondi siano inferiori a quelli sperati ma che il Pnrr ignori del tutto i non autosufficienti».

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