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Riassunto La SLA, descritta per la prima volta da Jean-Martin Charcot nel 1869, è la più grave delle Malattie del Motoneurone

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1. Riassunto

La SLA, descritta per la prima volta da Jean-Martin Charcot nel 1869, è la più grave delle Malattie del Motoneurone. E’ un disordine neurodegenerativo caratterizzato da un

significativo impoverimento dei motoneuroni corticali ( I motoneurone) e midollari ( II motoneurone), che determina una progressiva paralisi muscolare e porta a morte il paziente in 1-5 anni.

Nel 90-95% dei casi, la malattia si presenta in forma sporadica, mentre in un 5-10% dei casi si può riconoscere una familiarità. Si deve a Rosen, nel 1993, la descrizione del primo gene causativo di SLA, il gene SOD1; da allora numerosi geni sono stati identificati, associati a forme cliniche fenotipicamente anche molto differenti. Tuttavia l’ampia ricerca che

attualmente si sta svolgendo sulle basi genetiche della malattia ha osservato quanto la genetica Mendeliana possa essere non sempre applicabile, potendosi riconoscere casi di penetranza incompleta e ampia variabilità fenotipica inter-familiare ma anche intra-familiare.

Nel presente studio di tesi è stato analizzato un campione di pazienti SLA afferenti presso l’Ambulatorio per le Malattie Neuromuscolari della Clinica Neurologica dell’Università di Pisa. Obiettivo del presente studio di tesi è stata, dapprima, un’analisi di prevalenza delle forme SLA con una mutazione patogenetica del gene SOD1; successivamente l’analisi fenotipica dei pazienti con specifiche mutazioni in relazione ai dati di letteratura; è stata poi effettuata una analisi dei casi familiari identificati con particolare riguardo alle modalità di trasmissione e alla variabilità fenotipica.

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Il presente studio ha rilevato 20 pz affetti nel campione di 607 pazienti SLA che dal 1994 ad oggi avevano eseguito l’analisi molecolare volta ad individuare mutazioni SOD1. I casi sporadici risultano associati a quattro mutazioni del gene stesso: pE121G, G93D, D90A, G41S. Sono state inoltre identificate 4 famiglie, i cui membri erano tutti portatori della mutazione G41S.

Un solo paziente risulta positivo per la mutazione pE121G, che fino ad oggi era stata descritta solamente in altri due casi di pazienti affetti da SLA, mostrando un fenotipo compatibile con i dati presenti in letteratura al riguardo.

La mutazione G93D è stata descritta come causativa di quadri clinici variabili, riconoscendo fenotipi estremamente differenti sia in termini di età di esordio, di forma clinica e di aggressività, sia tra i casi sporadici che familiari. Solo una paziente tra quelli studiati risulta positiva per la mutazione, e il suo quadro clinico è definibile atipico. All’età di 18 anni la paziente riferiva comparsa di mialgie all’arto inferiore, poi evolute verso ipotrofia muscolare e infine paresi.

Inoltre mostra come comorbilità una importante Osteoporosi, non secondaria a immobilità né a disordini del metabolismo calcio- fosforo, né a disturbi endocrinologici; tale comorbilità non è ad oggi mai stata descritta in letteratura né associata a mutazioni SOD1 né alla SLA.

La mutazione D90A è la più frequente in Europa tra le mutazioni SOD1, in particolare in Scandinavia, dove si comporta sia da mutazione autosomica recessiva, molto più frequente e associata ad un fenotipo mild, sia da dominante, con un fenotipo più aggressivo e variabile, estremamente più rara anche nel resto delle popolazioni Europee. In Italia i casi familiari descritti fino ad oggi mostravano caratteristiche di recessività. Il presente studio ha rilevato elementi compatibili con quanto descritto in letteratura, tranne per una più alta prevalenza dei casi eterozigoti: i pazienti in omozigosi sono 2, 4 quelli in eterozigosi. Tra questi ultimi una paziente affetta, presenta una sorella attualmente vivente, di 83 anni ad oggi asintomatica, ma

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positiva per la stessa mutazione in eterozigosi. Un caso simile è già stato descritto in letteratura e due sono le ipotesi che possono spiegare questo comportamento: una prima possibilità è che in questa famiglia l’allele si sia comportato contemporaneamente sia come dominante che recessivo, e che la presenza di un differente background genetico che si comporti come permissivo o come protettivo, possa modulare l’espressione della malattia.

L’altra è che nella famiglia stessa la mutazione si comporti comunque in modo recessivo, come ci si aspetta in Italia, e che sia presente un’altra mutazione causativa di SLA, non indagata, presente solo nel familiare affetto.

I restanti 10 pazienti sono risultati positivi per la mutazione G41S, descritta in letteratura come autosomica dominante e associata ad un decorso aggressivo, rapidamente progressivo, ad esordio periferico, con coinvolgimento bulbare tardivo e caratterizzato da variabilità fenotipica sia nei casi sporadici che familiari. Quest’ultimo dato è stato confermato

dall’analisi delle caratteristiche dei pazienti dello studio. Tra questi sono stati individuate 4 famiglie. In 2 famiglie in particolare è stata evidenziata una anomalia nella modalità di trasmissione, in particolare un salto di generazione. Tale salto generazionale attribuirebbe ad una mutazione che finora in letteratura è stata descritta con autosomica dominante, una penetranza incompleta o in alternativa una espressività variabile in termini di età d’esordio. In entrami i casi si ipotizza la presenza di geni modulatori dell’espressione fenotipica del gene SOD1, sia in senso permissivo che protettivo. Per meglio chiarire questo dato, è stata eseguita

in alcuni pazienti di una delle due famiglie un’analisi molecolare per la ricerca

dell’espansione esanucleotidica del gene c9orf72, recentemente identificato come il gene che più frequentemente risulta associato alla SLA, ma anche a quadri più complessi in altre

malattie neurodegenerative (quali demenza fronto-temporale, Malattia di Parkinson e Corea di Hungtinton). Tale metodo di ricerca, basato sullo studio di ulteriori varianti geniche in

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pazienti mutati SOD1, rappresenta un approccio innovativo utilizzato per meglio chiarire la variabilità fenotipica e la differente espressività e penetranza in pazienti con SLA familiare.

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