DISCUSSIONE
I risultati del nostro studio retrospettivo mostrano innanzitutto che lo status di triplo negativo risulta essere il principale fattore di rischio di ricaduta locoregionale avendo mantenuto una significatività all’analisi multivariata sia nel gruppo “non PMRT” (p<0,0001) che nel gruppo “PMRT” (p=0,042).
E’ pertanto ipotizzabile una maggior probabilità di ricaduta locoregionale in questo “subset”
di pazienti che potrebbe giustificare il trattamento radiante dopo la chirurgia radicale a prescindere dalle dimensioni del T e dallo status linfonodale.
Inoltre, il valore prognostico negativo di questo fattore emerso anche nel gruppo di pazienti sottoposte a RT, potrebbe far propendere per una maggiore radioresistenza di questa variante biologica rispetto alle altre e potrebbe eventualmente giustificare l’impiego di dosi maggiori rispetto a quelle utilizzate convenzionalmente.
A questo proposito analizzando i risultati della nostra casistica emerge che la percentuale di recidive tra le pazienti triplo negative del gruppo non-‐PMRT è stata del 23,1%, mentre nel gruppo PMRT è stata del 21,4%.
Il ruolo prognostico negativo dello status di “triplo negativo” è ulteriormente convalidato dal fatto che la terapia ormonale, analizzata come variabile indipendente nella nostra casistica, è risultata essere associata ad una minor probabilità di ricaduta locoregionale sia nel gruppo
"non-‐PMRT" (p=0,025) che nel gruppo "PMRT" (p=0,002).
Questo dato conferma che l'espressione recettoriale del tumore e la conseguente terapia ormonale, come già ampiamente riportato in letteratura, rappresenti di per sé un ulteriore fattore protettivo oltre alla radioterapia, nei confronti della ricaduta locoregionale.
Questi risultati concordano con quelli riportati dal gruppo di studio danese (The Danish Breast Cancer Cooperative Group) nei 2 studi prospettici DBCG 82b e c.
Delle 3083 pazienti ad alto rischio randomizzate a ricevere o meno PMRT, 996 sono state classificate sulla base dell'espressione recettoriale (Rec + vs Rec -‐) e dello stato di HER-‐2 (Her 2 – vs Her 2 +).
Anche in questo studio lo stato di triplo negativo è risultato essere associato all’analisi multivariata ad una maggior probabilità di ricaduta locoregionale sia nel gruppo di 510 pazienti “non PMRT” (p=0,01) che nel gruppo di 486 pazienti “PMRT” (p=0,004). (24)
Lo status di triplo negativo è risultato essere anche il principale fattore di rischio di progressione sistemica di malattia avendo mantenuto nella nostra casistica una significatività
all’analisi multivariata sia nel gruppo “non PMRT” (p<0,0001) che nel gruppo “PMRT”
(p=0,015).
Dall’altro lato, l’età <40 anni (p=0,004), la presenza di invasione linfovascolare (p=0,045) e l’infiltrazione perilinfonodale (p=0,024) sono invece risultati associati ad una maggior probabilità di progressione sistemica di malattia soltanto nel gruppo “non PMRT”.
Il ruolo prognostico negativo di questi fattori è invece venuto meno nel gruppo “PMRT”.
Questo dato a nostro avviso è di rilevante importanza perché confermerebbe l’impatto positivo della radioterapia nel prevenire il processo di metastatizzazione ematogena in presenza di questi fattori di rischio.
Alcuni dati della letteratura riportano l’invasione linfovascolare come un fattore prognostico negativo indipendentemente dallo stato menopausale, dallo stato linfonodale, dalle dimensioni del tumore, dal grado di malignità e dalle terapie adiuvanti effettuate.
A questo proposito lo studio retrospettivo condotto da Mc Cready et al. su 156 pazienti con carcinoma mammario T1-‐3 ha riportato proprio un incremento significativo di progressione sistemica di malattia in presenza di invasione linfovascolare (p=0,03). (25)
La maggior parte degli studi della letteratura riconosce però nell’invasione linfovascolare un fattore prognostico di ricaduta locoregionale.
Nello studio condotto da Trovo et al. sono state analizzate 150 pazienti affette da carcinoma mammario in stadio I-‐II trattate con mastectomia senza PMRT.
Da questo studio è emerso come principale fattore di mancato controllo loco-‐regionale la presenza di LVI (p = 0.001).
Gli autori concludono che le pazienti con queste caratteristiche potrebbero beneficiare di PMRT ricevendo un beneficio anche in termini di prevenzione della comparsa di metastasi a distanza (26).
Nella metanalisi di Karlsson et al. condotta su 8106 pazienti arruolate in 13 diversi studi randomizzati, il rischio cumulativo di LRR aumentava del 15% a 10 anni nelle pazienti pN1 con età inferiore ai 40 anni, in presenza di LVI e con un numero di linfonodi negativi asportati
< 7 non sottoposte a radioterapia adiuvante.
Gli autori concludono pertanto che la PMRT potrebbe migliorare la prognosi nelle pazienti che presentano le caratteristiche sopra-‐elencate, indipendentemente dallo status linfonodale (27).
Alla luce di quanto suddetto possiamo ragionevolmente concludere che la presenza di LVI dovrebbe rappresentare un’indicazione al trattamento radiante anche dopo chirurgia radicale, al fine di garantire un maggior controllo locoregionale e conseguentemente un
Anche per quanto riguarda il ruolo dell’ECE, i nostri risultati sono in parte supportati da alcuni dati già presenti nella letteratura.
In particolare Ragaz et al. hanno riportato risultati relativi a 318 pazienti in stadio I o II, con linfonodi ascellari positivi per presenza di malattia, randomizzate dopo mastectomia radicale modificata a ricevere sola chemioterapia o chemioterapia e radioterapia.
Dopo un follow-‐up di 10 anni la DMFS nel gruppo di pazienti che avevano ricevuto radioterapia è risultata del 35% e del 58% rispettivamente per le pazienti con e senza ECE (p=0,004). (29)
Anche nello studio condotto da S. Hetelekidis et al. su 386 pazienti, la presenza di ECE è risultata correlata ad una probabilità di sviluppare metastasi a distanza del 37% contro il 20% in assenza di ECE (p=0,0009).
La spiegazione di questa correlazione potrebbe essere nel maggior numero di linfonodi coinvolti da malattia in presenza di ECE.
Infatti la potenza significativa dell’ECE decresce notevolmente quando analizzata in relazione al numero di linfonodi coinvolti da malattia che è a sua volta correlabile ad una maggiore probabilità di micrometastasi.
Ne consegue un importante ruolo della radioterapia poichè nella maggior parte dei casi i linfonodi ascellari di I e II livello sono compresi nei campi di irradiazione a causa della loro stretta contiguità anatomica con la parete toracica, anche in assenza di indicazione alla irradiazione delle stazioni linfonodali loco-‐regionali (30).
Inoltre, nell’analisi della nostra casistica la giovane età si è confermata, come già ampiamente riportato in letteratura (REF.), come fattore prognostico negativo di maggior probabilità di progressione sistemica di malattia (31-‐35).
Per questo motivo, alla luce anche dei risultati del nostro studio, dovrebbe essere considerato un fattore indipendente di indicazione alla radioterapia adiuvante.
Sempre nell’analisi dei fattori influenzanti la DMFS, nel gruppo PMRT la dimensione del tumore (T stage) sembra emergere in maniera rilevante come fattore prognostico, pur non raggiungendo la significatività statistica (p=0,085).
Anche in questo caso, il mancato raggiungimento della significatività da parte di questo parametro nel gruppo di pazienti ”PMRT” sembrerebbe confermare il ruolo positivo della radioterapia in presenza di noduli di dimensioni elevate.
Per quanto riguarda l’analisi dei fattori prognostici di sopravvivenza, l’unico parametro che è emerso come statisticamente significativo è stato la dimensione del tumore primitivo nel
gruppo di pazienti “non PMRT” che ha perso di significatività nel gruppo di pazienti sottoposte a radioterapia.
Il ruolo prognostico delle dimensioni del T è ampiamente confermato dai dati della letteratura, risultando universalmente una delle principali indicazioni alla PMRT (36-‐39).
La mancata evidenza nella nostra analisi di una correlazione con fattori prognostici emersi per gli altri endpoints (LC e DMFS), in particolare con lo status di triplo negativo, potrebbe esser giustificata dal follow-‐up ancora troppo breve (media 42,6 mesi; mediana 35 mesi) e conseguentemente dallo scarso numero di eventi osservati ad oggi.
Infine, confrontando il gruppo di pazienti “non PMRT” e “PMRT” abbiamo riscontrato dei risultati pressochè sovrapponibili in termini di LC (p=0,061) e di CSS (p=0,628).
Data la natura retrospettiva del nostro studio che comporta inevitabilmente uno sbilanciamento dei fattori clinico-‐prognostici nei due gruppi di confronto (maggior numero di pazienti a basso rischio nel gruppo “non PMRT” e maggior numero di pazienti ad alto rischio nel gruppo “PMRT”), i nostri dati sembrerebbero avallare il ruolo positivo della radioterapia.
Un altro interessante dato deriva dal confronto dei volumi di trattamento (P-‐PMRT vs PL-‐
PMRT) nel gruppo di pazienti sottoposte a PMRT.
Allo stato attuale infatti, oltre alla mancanza di chiare indicazioni al trattamento radiante dopo chirurgia radicale (a parte le dimensioni del T≥5cm e/o la presenza di 4 o più linfonodi positivi), non vi sono certezze sulla definizione dei volumi di irradiazione ovvero se la radioterapia debba essere limitata alla sola parete toracica oppure debba comprendere anche i drenaggi linfonodali.
I risultati del nostro studio in termini di LC e CSS mostrano rispettivamente un trend verso la significatività statistica che non è stata però raggiunta in maniera definitiva (p=0,069 Log-‐
Rank Test) ed una differenza statisticamente significativa (p=0,036 Log-‐Rank Test) a favore del gruppo sottoposto a PL-‐PMRT.
Pertanto complessivamente l’irradiazione anche dei drenaggi linfonodali sembrerebbe migliorare i risultati oncologici rispetto all’irradiazione limitata alla parete toracica.
A questo proposito, due importanti studi (DCBCG 82b e 82c e British Columbia Randomized Radiation Trial) riportano un miglior LC, una miglior DMFS e miglior OS nelle pazienti sottoposte a PL-‐PMRT rispetto a quelle sottoposte a P-‐PMRT (5-‐7).
Il vantaggio oncologico nell’irradiazione anche dei drenaggi linfatici potrebbe essere giustificato da un’elevata probabilità di interessamento micrometastatico linfonodale nelle pazienti ad alto rischio.
significativamente il tasso ricadute regionali con conseguente impatto favorevole anche sulla sopravvivenza totale.
E’ ormai noto per molti tumori, così come per quello mammario, che l’aumento del tasso di recidive locoregionali sia associato ad un aumento della mortalità.
Al momento però non esistono in letteratura studi randomizzati di comparazione tra P-‐PMRT e PL-‐PMRT.
Uno studio attualmente in corso che potrà dare risposte a questo quesito è quello di I. Kunkler et al. volto proprio ad indagare l’uso selettivo della PMRT limitata alla parete toracica (40).