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La responsabilità civile nell’esercizio della funzione di regolazione e vigilanza sui mercati nella prospettiva del diritto dell’Unione europea

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La responsabilità civile nell’esercizio della funzione di regolazione e vigilanza sui mercati nella prospettiva del diritto dell’Unione europea.

1. Premessa.

Il tema della responsabilità civile delle istituzioni incaricate della regolazione e della vigilanza sui mercati presenta un evidente interesse non solo teorico ma anche economico ed sociale. Si tratta infatti, in ultima istanza, di determinare i soggetti su cui lasciare o far ricadere i danni derivati da comportamenti scorretti dei soggetti sottoposti a regolazione e vigilanza. Due, fondamentalmente, le alternative a seconda che si ritenga di assegnare a regolazione e vigilanza una funzione semplicemente preventiva oppure anche di garanzia dei soggetti beneficiari della funzione, come ad esempio i risparmiatori o gli investitori. Nel primo caso, i danni non risarciti dai soggetti sottoposti a regolazione e vigilanza rimarranno a carico di chi li ha subiti, nel secondo verranno trasferiti ad altri. La seconda ipotesi prevede due varianti: o i danni sono scaricati sulla fiscalità generale e quindi in ultima analisi su tutti noi taxpayers oppure, ulteriormente sfruttando la tendenza pronunciata soprattutto in Italia di accollare ai soggetti regolamentati i costi delle autorità amministrative indipendenti, i danni possono essere socializzati tra l’insieme di coloro che sono sottoposti a regolazione e vigilanza1.

Si tratta, evidentemente, di scelte ordinamentali politiche e delicate. Il diritto dell’Unione europea è potenzialmente molto rilevante in questa materia in quanto molte delle funzioni di cui si tratta in questa sede sono previste e regolate da tale diritto2. In linea di principio, l’esistenza di una

disciplina di diritto europeo sostanziale relativa ad una funzione pubblica porta con sé l’applicazione delle regole relative alla tutela giurisdizionale3, comprese quelle che prevedono una

responsabilità dello Stato in caso di violazione del diritto dell’Unione4. Infatti, “faulty supervision

could be deemed to be tantamount to non-fulfilment by a Member State of its Union law obligations”5.

Come si mostrerà nelle pagine che seguono, tuttavia, l’elaborazione della giurisprudenza europea in materia è molto limitata e non del tutto perspicua.

2. La responsabilità per violazione del diritto dell’Unione europea.

Nel caso Francovich la Corte di giustizia ha riconosciuto il principio della responsabilità degli organi degli Stati membri per violazioni di disposizioni (allora) comunitarie attributive di diritti a favore dei singoli. Si trattava di una fattispecie nella quale la Repubblica italiana era venuta meno all’obbligo di attuare una direttiva comunitaria in materia di tutela dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro. La Corte ha ritenuto che la responsabilità degli Stati membri per 1 Per un’analisi dei più rilevanti argomenti pro e contro l’imposizione di una responsabilità sugli organi di vigilanza, in particolare sugli istituti di credito, si vedano Ph. Athanassiou, Bank Supervisors’ Liability: a European Perspective, in

Yearbook of Eur. Law, 2011, 236 ss.; R. D’Ambrosio, The ECB and NCA liability within the Single

Supervisory Mechanism, Banca d’Italia, Quaderni di Ricerca giuridica, n. 78, gennaio 2015.

2 Se non addirittura a livello mondiale: si vedano i diversi contributi raccolti da S. Battini (a cura di), Sistemi regolatori

globali e diritto europeo, Quaderno n. 6 della Rivista trimestrale di diritto pubblico, Milano, Giuffrè, 2011;

potenzialmente rilevante è anche la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, sulla quale si rimanda a Ph. Athanassiou, Bank Supervisors’ Liability: a European Perspective, cit., spec. 232 ss .

3 B. Marchetti, Il sistema integrato di tutela, in L. De Lucia – B. Marchetti (cur.), L'amministrazione europea e le sue

regole, Bologna, il Mulino, 2015, 197.

4 Ex multis P. Aalto, Public Liability in EU Law, Oxford, Hart, 2011; M.P. Chiti, La responsabilità

dell’amministrazione nel diritto comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2009, 505; R. Caranta, Responsabilità extracontrattuale (diritto comunitario), in S. Cassese (dir.), Dizionario di diritto pubblico, vol. V, Milano, Giuffré,

2006, 5137; nella specifica materia M. Tison, Do not Attach the Watchdog! Banking Supervisor’s Liability after Peter

Paul, in Common Market Law Rev. 2005, 641.

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violazioni del diritto comunitario fosse implicita nel sistema dei trattati, che creano obblighi in capo agli Stati membri6.

Spetta pertanto a ciascuno degli Stati membri accertarsi che i singoli ottengano un risarcimento del danno loro causato dall’inosservanza del diritto dell’Unione europea, a prescindere dalla pubblica autorità che ha commesso tale violazione e a prescindere da quella cui, in linea di principio, incombe, ai sensi della legge dello Stato membro interessato, l’onere di tale risarcimento; gli Stati membri non possono sottrarsi a tale responsabilità né invocando la ripartizione interna delle competenze e delle responsabilità tra gli enti locali esistenti nel loro ordinamento giuridico interno, né facendo valere che l’autorità pubblica autrice della violazione del diritto dell’Unione non disponeva delle competenze, cognizioni o dei mezzi necessari. Pertanto, accanto allo Stato, possono essere responsabili anche enti ad autonomia costituzionalmente garantita, come i Länder7.

Analogo ragionamento va pacificamente applicato alle (numerose) autorità, spesso indipendenti, di regolazione e vigilanza le quali si trovano ad applicare il diritto dell’Unione europea, essendo pertanto tenute, come esplicitamente affermato dalla Corte di giustizia nel caso CIF relativo alla nostra Autorità garante della concorrenza e del mercato8. Posto d’altra parte che,

come ben noto nel nostro Paese per la querelle seguita alla sentenza Traghetti del Mediterraneo9, la responsabilità si estende alle violazioni del diritto europeo nell’esercizio della funzione giurisdizionale (in ultima istanza)10, è chiaro che l’ordinamento europeo non può sposare la tesi

secondo la quale l’imposizione della responsabilità sarebbe incompatibile con l’indipendenza da riconoscere a giudici od autorità di regolazione, garanzia e/o vigilanza11.

Individuando le condizioni della responsabilità, nel caso Francovich il giudice del Lussemburgo indicava la necessità che la norma violata garantisse un diritto del cittadino comunitario, del nesso di causalità e del danno12. Nei casi riuniti Brasserie du pêcheur e

Factortame III, la Corte ha ridefinito i presupposti “comunitari” della responsabilità, indicando, accanto a quelli già individuati dal caso Francovich, la necessità che la violazione imputata agli organi nazionali sia “grave e manifesta”; la Corte ha invece rimesso al diritto nazionale, nel rispetto dei principi di equivalenza rispetto al trattamento di analoghe azioni di diritto interno, e di effettività della tutela giurisdizionale, la definizione delle modalità procedurali di verifica delle domande risarcitorie13. Il caso Dillenkofer ha ricondotto ad unità il sistema, rilevando che in caso di

mancata attuazione nei termini di una direttiva (allora) comunitaria, come nel caso Francovich, la violazione è senz’altro grave e manifesta14.

Gli Stati membri rimangono competenti a definire le condizioni per la messa in opera della responsabilità, in particolare per quanto riguarda le scelte di giurisdizione competente e di natura processuale, nel rispetto però dei principi di efficienza della tutela giurisdizionale e di equivalenza tra i rimedi offerti alle situazioni che trovano la loro protezione a livello europeo oppure a livello nazionale15.

6 C. giust. Ce, 19 novembre 1991, cause C-6/90 e C-9/90, Francovich.

7 C. giust. Ce, 1° giugno 1999, causa C-302/97, Konle; si vedano anche C. giust. Ce, 7 aprile 2000, causa C-424/97,

Haim II, relativo alla decisione di un ordine professionale tedesco, e da ultimo e con importanti precisazioni C. giust.

UE, 28 luglio 2016, causa C-168/15, Tomášová.

8 C. giust. Ce, 9 settembre 2003, in causa C-198/01, CIF.

9 C. giust. Ce, 13 giugno 2006, causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo; tra i molti commenti E. Scoditti,

Violazione del diritto comunitario derivante da provvedimento giurisdizionale: illecito dello Stato e non del giudice; A.

Palmieri, Corti di ultima istanza, diritto comunitario e responsabilità dello Stato: luci ed ombre di una tendenza

irreversibile; T. Giovannetti, La responsabilità civile dei magistrati come strumento di nomofilachia? Una strada pericolosa, tutti in Foro it., 2006, IV, 417 ss.

10 C. giust. Ce, 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler.

11 Sul punto Ph. Athanassiou, Bank Supervisors’ Liability: a European Perspective, cit., 216 e 229 s. 12 C. giust. Ce, 19 novembre 1991, cause C-6/90 e C-9/90 Francovich.

13 C. giust. Ce, 5 marzo 1996, cause C-46/93 e C-48/93.

14 C. giust. Ce 8 ottobre 1996, cause C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94. 15 Da ult. C. giust. UE, 28 luglio 2016, causa C-168/15, Tomášová, punto 38.

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La giurisprudenza della Corte di giustizia nella casistica sviluppatasi negli ultimi vent’anni è ritornata sulle condizioni della responsabilità degli Stati membri. Il grosso dell’attenzione si è incentrato sulla violazione grave e manifesta, che funziona anche come snodo fondamentale ed unificante dei regimi della responsabilità extracontrattuale delle istituzioni comunitarie e degli organi nazionali16. Al proposito, la fondamentale decisione nel caso Brasserie du pêcheur e

Factortame III, seguita da tutta la giurisprudenza successiva, ebbe a ritenere che il criterio decisivo per considerare sufficientemente caratterizzata una violazione del diritto comunitario fosse quello della violazione manifesta e grave, da parte di uno Stato membro o di un’istituzione comunitaria, dei limiti posti al loro potere discrezionale; nell’ipotesi in cui lo Stato membro o l’istituzione in questione dispongano solamente di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per accertare l'esistenza di una violazione manifesta e grave17.

La discrezionalità è dunque centrale nel disegnare il regime della responsabilità extracontrattuale per violazione del diritto comunitario18. In Bergaderm la Corte di giustizia,

citando fra l’altro Brasserie du pêcheur e Factortame, giudica che «sia per quanto riguarda la responsabilità della Comunità ai sensi dell'art. 215 del Trattato sia per quanto attiene alla responsabilità degli Stati membri per violazioni del diritto comunitario, il criterio decisivo per considerare sufficientemente caratterizzata una violazione del diritto comunitario [sia] quello della violazione manifesta e grave, da parte di uno Stato membro o di un'istituzione comunitaria, dei limiti posti al loro potere discrezionale»; conseguentemente, «la natura generale o individuale di un atto di un'istituzione non costituisce un criterio determinante per individuare i limiti del potere discrezionale di cui disponga l'istituzione in questione»19.

La giurisprudenza ha avuto meno occasioni di pronunciarsi sugli altri elementi “europei” costitutivi della responsabilità ed in particolare, per quanto maggiormente interessa in questa sede, sull’esistenza o meno di una posizione giuridica soggettiva protetta dal diritto europeo20. Gli è che

l’ordinamento europeo è costituzionalmente, verrebbe da scrivere geneticamente, generoso nel riconoscere dei diritti. Nel celeberrimo caso van Gend en Loos la Corte di giustizia individuò l’ubi consistam dell’ordinamento allora comunitario rispetto ai canoni del diritto internazionale proprio nella sua capacità di conferire i diritti21, e su tale base si sono costruite dottrine fondamentali del

diritto dell’Unione quali quella degli effetti diretti e dell’effettività della tutela giurisdizionale22.

Del tutto naturalmente tale ordinamento è così pronto a riconoscere la sussistenza di una posizione giuridica soggettiva ogni qual volta sia possibile ritenere che la protezione degli interessi di una determinata categoria di cittadini o imprese sia tra gli scopi del legislatore europeo23. Come è stato

osservato, “the type of provision which qualifies for an EU rule of law granting rights to individuals would seem to call for a rather wide interpretation”24.

3. Peter Paul: un precedente e poche certezze.

16 Amplius P. Aalto, Public Liability in EU Law, cit., spec. 176 ff.

17 Si veda anche C. giust. Ce, 4 luglio 2000, causa C-352/98 P, Bergaderm; si veda l’analisi di P. Aalto, Public

Liability in EU Law, cit., spec. 51 ss.

18 Così, sulla scia delle conclusioni dell’Avvocato generale Tesauro nel caso Brasserie du pêcheur e Factortame III, W. Van Gerven, The Emergence of a Common European Law in the Area of Tort Law: The EU Contribution, in D. Fairgrieve – M. Andenas – J. Bell (eds) Tort Liability of Public Authorities in Comparative Perspective, London, BIICL, 2002, 507 ss.

19 C. giust. Ce, 4 luglio 2000, causa C-352/98 P, Bergaderm.

20 Si veda l’analisi di P. Aalto, Public Liability in EU Law, cit., 39 ss. e 158 ss. 21 C. giust. Ce, 5 febbraio 196, causa 26/62, van Gend en Loos.

22 Si veda S. Prechal, Direct Effect, Indirect Effect, Supremacy and the Evolving Constitution of the European Union, in C. Barnard (ed), The Fundamentals of EU Law Revisited: Assessing the Impact of the Constitutional Debate, Oxford, Oxford University Press, 2007, 55; cfr. anche P. Aalto, Public Liability in EU Law, cit., 42 ss. e 160 ss.

23 Un buon esempio è fornito da C. giust. Ce, 24 marzo 2009, causa C-445/06, Danske Slagterier; cfr. anche A. Bartolini, Il risarcimento del danno tra giudice comunitario e giudice amministrativo, Torino, Giappichelli, 2005, 59 ss. 24 P. Aalto, Public Liability in EU Law, cit., 175.

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Tanto detto in linea generale, la problematicità dell’individuazione di una posizione giuridica protetta dal diritto europeo è venuta in luce proprio con riferimento alla questione di una possibile responsabilità delle istituzioni nazionali incaricate della regolazione e della vigilanza sui mercati bancari.

Il leading case è Peter Paul25. Nella fattispecie, il signor Paul era tra i clienti di una banca la quale aveva ottenuto l’autorizzazione da parte del Bundesaufsichtsamt, ma non faceva parte di un sistema di garanzia dei depositi in quanto non soddisfaceva i requisiti richiesti; la sua critica situazione finanziaria induceva l’organo di vigilanza ad effettuare numerose ispezioni; in seguito alla terza di queste ispezioni, il Bundesaufsichtsamt chiedeva l’avvio di una procedura fallimentare e revocava l’autorizzazione allo svolgimento di attività bancarie. Alcuni dei clienti i cui crediti erano rimasti insoddisfatti presentavano ricorsi contro lo Stato tedesco intesi ad ottenere il risarcimento delle perdite dei loro depositi; essi sostenevano che non avrebbero perduto questi depositi se la Direttiva 94/19/CE, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi, fosse stata recepita entro il termine stabilito nell’ordinamento tedesco. Il caso era dunque per molti versi simile a Francovich, discutendosi di danni asseritamente conseguenti al ritardato recepimento di una direttiva da parte di uno Stato membro. In sede di merito, i giudici riconoscevano l’indennizzo previsto dalla direttiva citata, peraltro inferiore alle somme perdute dal signor Paul e dagli altri depositanti, ma negavano il pieno risarcimento del danno rilevando che, in base al § 839 BGB il quale accoglie la Normzwechtheorie, tale risarcimento presupponeva il riconoscimento di un diritto a fronte dell’azione amministrativa non presente nella normativa applicabile. In sede di Revision, il Bundesgerichthof sollevava una serie di complesse questioni pregiudiziali intese tra l’altro ad accertare se le direttive (allora) comunitarie in materia riconoscessero, oltre al diritto di essere indennizzato in caso di indisponibilità del suo deposito fino a concorrenza dell’importo previsto dal sistema di garanzia dei depositi, anche l’ulteriore diritto a che le autorità competenti esercitassero i poteri di vigilanza, compresa, se necessaria, la revoca dell’autorizzazione rilasciata all’ente creditizio, con conseguente diritto al risarcimento in caso di violazione grave e manifesta delle disposizioni che reggono l’attività di vigilanza26.

L’Avvocato generale Stix-Hackl esaminò dapprima la questione se alla Direttiva 94/19/CE potesse riconoscersi efficacia diretta per poi verificare se la direttiva stessa, e precedenti interventi normativi europei in materia di vigilanza sul settore creditizio, potessero essere considerate conferire diritti ai singoli.

La prima questione non sarebbe di per sé rilevante circa la fondatezza di un’azione di responsabilità, che non dipende, come risulta ancora dal caso Francovich, dalla presenza degli effetti diretti. Anzi, il rimedio risarcitorio è particolarmente necessario proprio quando non si possano invocare tali effetti. Merita peraltro analizzare compiutamente tale parte delle conclusioni in quanto già da essa emerge un’impostazione marcatamente germanica, molto restia nel riconoscere che una disposizione tuteli diritti individuali (oltre, naturalmente, interessi pubblici).

Secondo l’Avvocato generale, le disposizioni della direttiva “disciplinano esclusivamente i rapporti tra l’ente creditizio interessato, le autorità e il sistema di garanzia. Nessuna di tali norme concerne i rapporti giuridici dei depositanti con il proprio ente creditizio, con le autorità o con il sistema di garanzia. Le disposizioni in parola disciplinano una serie di poteri e doveri degli enti creditizi, delle autorità e dei sistemi di garanzia, ma non diritti o obblighi dei depositanti”27. Inoltre,

sempre a giudizio dell’Avvocato generale, “le misure di vigilanza, sia in generale, sia in particolare quelle previste dai nn. 2-5 dell’art. 3 [della Direttiva 94/19/CE], non tengono conto dell’interesse dei depositanti, tanto meno poi dell’interesse dei depositanti del singolo ente creditizio interessato. Le misure di vigilanza mirano all’adempimento degli obblighi da parte degli enti creditizi. Prima di adottare misure di vigilanza, si deve procedere ad un complesso confronto di una pluralità di

25 C. giust. Ce, 12 ottobre 2004, causa C-222/02, Paul e al.

26 Le si vedano riportate al punto 23 della motivazione di C. giust. Ce, 12 ottobre 2004, causa C-222/02, Paul e al. 27 Punto 75 delle conclusioni.

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interessi, nell’ambito del quale può anche risultare che gli interessi di determinati depositanti siano in conflitto con quelli di altri depositanti o con determinati interessi pubblici”. Addirittura, con un’impostazione che fa apprezzare come benigna la creazione italica dell’interesse legittimo, “In via di principio, l’esigenza di tutelare anche altri interessi oltre a quelli dei depositanti – ad esempio, l’interesse all’efficienza del settore creditizio – esclude addirittura che si prendano in considerazione solo gli interessi dei depositanti”28.

Con tale impostazione non stupisce che poi, e più rapidamente, l’Avvocato generale giunga a negare che la direttiva, ed altre misure adottate dal legislatore europeo in materia, conferiscano dei diritti ai singoli. Secondo l’Avvocato generale, “Già dallo scopo della prima direttiva di coordinamento risulta che a un soggetto non viene concesso alcun diritto all’attuazione di misure di vigilanza, in quanto con questa direttiva vengono semplicemente poste le basi comuni per una procedura d’autorizzazione degli enti creditizi. Ma anche dal dato testuale della prima direttiva di coordinamento non si desume alcun diritto del singolo soggetto all’attuazione di misure di vigilanza, comunque siano esse strutturate, in quanto nella direttiva mancano sul punto disposizioni incondizionate e sufficientemente precise che i depositanti possano far valere dinanzi ai giudici nazionali”29.

La mancanza di carattere sufficientemente preciso non solo esclude gli effetti diretti, ma la stessa possibilità di individuare una posizione giuridica tutelata. E a poco vale che i “considerando” della Direttiva 94/19/CE, come quelli di altre direttive in materia creditizia, si riferiscano all’obiettivo di assicurare la protezione dei consumatori, clienti e investitori. Per l’Avvocato generale, “occorre rilevare che tutte le direttive menzionate nella seconda parte della seconda questione pregiudiziale richiamano la tutela degli investitori, dei clienti e simili soltanto nei ‘considerando’. I menzionati ‘considerando’ possono senz’altro fornire un aiuto nell’interpretazione delle direttive rilevanti; sennonché nessuna di queste direttive prevede i diritti dei depositanti in parola. Ciò, unito al fatto che il principale obiettivo delle suddette direttive richiamate nella seconda parte della seconda questione pregiudiziale consiste nella realizzazione del mercato interno, non può certo portare alla conclusione che i singoli soggetti abbiano un diritto all’adozione di misure di vigilanza”30.

Le conclusioni echeggiano l’elaborazione tedesca della Normswecktheorie o Schutznormtheorie anche per le sue applicazioni restrittive nel riconoscere diritti soggettivi sulla base di disposizioni che tutelano interessi pubblici31.

La Corte di giustizia si discosta in modo significativo dalle conclusioni dell’Avvocato generale Stix-Hackl pur pervenendo a risultati negativi della responsabilità. Secondo la Corte la Direttiva 94/19/CE mira ad istituire una tutela dei depositanti in caso di indisponibilità dei depositi costituiti presso un ente creditizio che fa parte di un sistema di garanzia dei depositi”32. Tale tutela

è però di natura indennitaria, e limitata alla misura prevista dalla direttiva stessa, ferma la possibilità per gli Stati membri di offrire una tutela più elevata; i poteri di vigilanza previsti dalla Direttiva 94/19/CE avrebbero il solo fine di verificare il rispetto da parte degli istituti di credito degli obblighi discendenti dal sistema di garanzia; pertanto, ad essi non corrisponderebbe un diritto

28 Punto 76; si veda anche il punto 77: “Ciò considerato, il riconoscimento di diritti di singoli soggetti, vale a dire dei depositanti, presupporrebbe che costoro possano far valere anche interessi diversi dai propri, vale a dire anche interessi della collettività. Tuttavia, i diritti dei singoli vengono riconosciuti solo quando si tratta di tutelare interessi giuridicamente rilevanti dei soggetti direttamente coinvolti. Un riconoscimento di diritti oltre tali limiti implicherebbe la possibilità di proporre azioni popolari. Ma ciò non corrisponde al principio comunitario dell’efficacia diretta delle direttive”.

29 Punti 123 s. delle conclusioni. 30 Punti 135 s. delle conclusioni.

31 Si veda, nella specifica materia, anche Ph. Athanassiou, Bank Supervisors’ Liability: a European Perspective, cit., 218 ss.

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in capo ai risparmiatori a che le autorità competenti assicurino nel loro interesse le misure di vigilanza33.

Secondo la Corte la conclusione raggiunta non sarebbe modificata dalla considerazione degli altri atti di diritto derivato in materia di vigilanza prudenziale, in quanto, dal fatto che tra gli obiettivi delle dette direttive figuri anche quello della tutela dei depositanti non deriverebbe necessariamente che queste direttive mirino a creare diritti a favore dei depositanti in caso di indisponibilità dei loro depositi causata da una vigilanza carente da parte delle autorità nazionali competenti; in proposito, la Corte valorizza l’assenza di esplicite previsioni normative in tal senso, rilevando altresì che lo scopo principale del corpus normativo in materia è quello di pervenire al reciproco riconoscimento delle autorizzazioni e dei sistemi di controllo prudenziale il quale consente il rilascio di un’unica autorizzazione valida in tutta la Comunità34. La Corte non manca di

sottolineare che in un certo numero di Stati membri è escluso che le autorità nazionali di vigilanza sugli enti creditizi possano, in caso di vigilanza carente, essere responsabili nei confronti dei singoli e che simili soluzioni appaiono basate su considerazioni relative alla complessità della vigilanza bancaria, nell’ambito della quale le autorità hanno l’obbligo di tutelare una pluralità di interessi, tra i quali più in particolare quello della stabilità del sistema finanziario, mentre i risparmiatori sono comunque in qualche misura tutelati dall’indennizzo previsto dalla già ricordata Direttiva 94/19/CE35. Escluso che il diritto di fonte europea conferisca un diritto ad una vigilanza

efficace, manca una delle condizioni per far valere la responsabilità dello Stato membro in caso di “vigilanza carente”36.

La sentenza Peter Paul non può essere letta come la previsione di un’immunità a beneficio delle istituzioni di vigilanza. La dottrina ha puntualmente sottolineato che “the ECJ ruling in Peter Paul is to be approached with caution”37. La sentenza è stata resa sulla base di testi normativi ormai

superati da altre disposizioni di diritto europeo secondario le quali, pur non esplicitamente consacrando un diritto dei risparmiatori ad un’efficace vigilanza finanziaria, hanno quantomeno aumentato l’enfasi posta sulla tutela dei consumatori anche come conseguenza della crisi finanziaria del 200838. Oggi un nuovo caso Peter Paul potrebbe ben essere deciso diversamente39.

4. La giurisprudenza successiva

In attesa che si presenti un caso analogo a Peter Paul, occorre segnalare che la giurisprudenza seguita alla pronuncia della Corte di giustizia ha confermato un’impostazione molto generosa dell’ordinamento europeo nel riconoscere diritti ai singoli. In effetti la questione è sorta molto raramente, e Peter Paul non è spesso invocato come precedente. Due soli casi meritano una certa attenzione.

Nel primo, la signora Jutta Leth lamentava la perdita di valore del proprio immobile a seguito di numerosi ampliamenti dell’aeroporto di Vienna avvenuti senza che, in violazione del diritto dell’Unione, venissero seguite le previste procedure di valutazione di impatto ambientale – VIA40.

33 Punti 29 s. 34 Punto 27. 35 Punti 40 ss. 36 Punti 49 s.

37 Ph. Athanassiou, Bank Supervisors’ Liability: a European Perspective, cit., 226.

38 L. Dragomir, European Prudential Banking Regulation and Supevision: The Legal Dimension (London, Routledge, 2010, 348 ss.; si veda anche Ph. Athanassiou, Bank Supervisors’ Liability: a European Perspective, cit., 226 s. e 254 per specifico riferimento alla recente crisi.

39 Cfr. M. Andenas, Liability for Supervisors and Depositors Rights – The BCCI and the Bank of England in the House

of Lords, in Euredia 2003, 406; si vedano però le considerazioni critiche di M. Poto, La Corte di giustizia ed il sistema tedesco di vigilanza prudenziale: la primauté si scontra con il vecchio adagio ubi maior, minor cessat, in Riv it. dir. pubbl. comunitario, 2005, .

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Il giudice di rinvio dubitava che la disciplina della VIA fosse stata adottata per tutelare gli interessi economici dei proprietari danneggiati dalla realizzazione di un’opera avente effetti significativi sull’ambiente. L’Avvocato generale Kokott rilevò che le direttive in materia prendono in considerazione esclusivamente “gli effetti su beni materiali che possano essere importanti anche per l’ambiente naturale”41. Considerato, sulla base di giurisprudenza pacifica, che, a differenza di

quanto si era ritenuto per la disciplina del credito nel caso Peter Paul, i singoli possono invocare in giudizio e far valere la violazione di disposizioni in materia di VIA42, l’Avvocato generale continuò

la propria analisi esaminando lo “scopo di tutela della direttiva VIA” nonché il “rilievo assunto ai fini dell’individuazione dello scopo della norma violata dal fatto che la direttiva VIA disciplina solo il procedimento per l’autorizzazione dei progetti, ma non i contenuti degli stessi”43.

Secondo l’Avvocato generale, “La valutazione degli effetti sull’ambiente mira naturalmente in primo luogo a ridurre al minimo i danni ambientali. Ciò, tuttavia, non esclude la possibilità di ricomprendere nello scopo di tutela della direttiva determinati danni economici. Tali danni, infatti, non sono che un’altra manifestazione di determinati aspetti degli effetti sull’ambiente”44. In

particolare, “se il valore degli immobili diminuisce a causa del rumore prodotto dagli aeromobili, questo effetto economico trova la sua origine nel fatto che la proprietà immobiliare risulta meno gradita agli uomini. Da tali danni occorre distinguere quei danni che non derivano dagli effetti sull’ambiente del progetto, ad esempio determinati svantaggi concorrenziali. Questi ultimi danni non sono più ricollegabili allo scopo di tutela della direttiva VIA”45.

L’Avvocato generale rilevò peraltro che “la direttiva non stabilisce quali progetti possano in assoluto essere realizzati. In particolare, contrariamente a quanto ritiene la Commissione, la necessità della valutazione dell’impatto ambientale non può essere intesa come obbligo di ponderare gli effetti sull’ambiente con altri fattori. Pertanto, la direttiva non osta alla realizzazione del progetto, anche nell’ipotesi in cui la valutazione dell’impatto ambientale accerti importanti effetti negativi sull’ambiente” 46. Ora, secondo l’Avvocato generale, “La mera possibilità che le

autorità competenti, se avessero agito correttamente, avrebbero adottato, nell’esercizio del potere discrezionale loro spettante, una decisione diversa, non è sufficiente a fondare un diritto al risarcimento dei danni. Non sussiste, infatti, alcun diritto a che il potere discrezionale sia esercitato in un determinato modo”47.

Sembrerebbe dunque impossibile fondare un diritto protetto dall’ordinamento europeo sulla base delle direttive in materia di VIA. Tuttavia, con un notevole coup de théatre, a questo punto l’Avvocato generale ritiene che la normativa riconosca “al pubblico interessato il diritto a che gli effetti sull’ambiente del progetto che lo riguarda siano sottoposti a valutazione e che esso sia consultato a proposito di tali effetti”48. Conseguentemente, “la sola circostanza che siano stati

permessi effetti sull’ambiente in violazione della direttiva VIA non comporta ancora l’obbligo di risarcire i danni causati da tali effetti. Il diritto al risarcimento dei danni presuppone piuttosto, in

41 Punto 21 delle conclusioni, corsivo aggiunto.

42 Punto 34: “Per tale aspetto la direttiva VIA si distingue dalle disposizioni sulla vigilanza bancaria che, secondo la sentenza Paul, richiamata da alcuni dei soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono fondare il diritto dei clienti di una banca insolvente al risarcimento dei danni. A differenza di quanto avviene nel caso della direttiva VIA, i singoli non possono far valere le disposizioni esaminate in tale sentenza. Peraltro vi era una disciplina speciale per la tutela degli interessi patrimoniali dei clienti delle banche, vale a dire la garanzia dei depositi. La direttiva VIA non contiene alcuna previsione analoga” (omessi i riferimenti).

43 Punto 31. 44 Punto 36. 45 Punto 38.

46 Punto 42; si veda anche il punto 48: “Analogamente, la direttiva VIA non conferisce il diritto ad essere messi al riparo da determinati effetti sull’ambiente, come ad esempio l’intensificazione del rumore prodotto dagli aeromobili. La sola circostanza che siano stati permessi effetti sull’ambiente in violazione della direttiva VIA non comporta ancora, pertanto, l’obbligo di risarcire i danni causati da tali effetti”.

47 Punto 46. 48 Punto 49.

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aggiunta a quanto sopra, che il pubblico interessato, a causa di errori intervenuti nell’applicazione della direttiva VIA, non sia stato adeguatamente informato dei prevedibili effetti sull’ambiente”49.

L’analisi è molto strutturata, o contorta, secondo i punti di vista. Ma il punto essenziale, come già più volte rilevato, è che il diritto dell’Unione è pour cause generoso nel riconoscere posizioni giuridiche soggettive a beneficio dei singoli. L’Avvocato generale riconosce che “La possibilità di fondare un diritto al risarcimento dei danni sulla violazione della direttiva VIA rafforzerebbe ulteriormente il suo carattere operativo”50.

La sentenza della Corte di giustizia segue in larga misura le conclusioni dell’Avvocato generale, in particolare ritenendo che “la prevenzione di danni patrimoniali, qualora siano conseguenze economiche dirette dell’impatto ambientale di un progetto pubblico o privato, ricade nell’obiettivo di protezione perseguito dalla direttiva 85/337. Dal momento che siffatti danni economici sono conseguenze dirette di tale impatto, essi devono essere distinti dai danni economici che non hanno la loro fonte diretta nell’impatto ambientale e che, quindi, non rientrano nell’obiettivo di protezione perseguito da tale direttiva, come, in particolare, taluni svantaggi concorrenziali”51.

Tuttavia la Corte, che non richiama neppure la sentenza Peter Paul, sposta poi il ragionamento sul profilo del nesso di causalità52. Pur deferendo in ultima analisi al giudizio della

corte di rinvio, il giudice europeo ritiene che la disposizione rilevante prescriva una valutazione dell’impatto ambientale, ma non enunci “né le regole sostanziali relative ad una ponderazione dell’impatto ambientale di un progetto pubblico o privato con altri fattori, né vieta la realizzazione dei progetti atti ad avere un impatto negativo sull’ambiente. Tali elementi tendono ad indicare che, in linea di principio, la violazione dell’articolo 3 di detta direttiva, ossia, nel caso specifico, l’omessa valutazione prescritta dalla norma citata, non configura, di per sé, la causa della diminuzione del valore di un bene immobile”53.

E dunque, pur in presenza di una normativa che evidentemente tutela in primis l’ambiente e solo mediatamente interessi come quello alla salute, la Corte è restia a negare la sussistenza di una posizione giuridica tutelata dal diritto europeo alla semplice integrità patrimoniale. Una tale posizione, d’altra parte, consente innanzitutto di dedurre in giudizio violazioni del diritto europeo che diversamente sarebbero solo tutelabili con procedure di infrazione contro gli Stati membri intraprese su iniziativa della Commissione. Una conclusione negativa in punto risarcimento può al più essere raggiunta ragionando sull’elemento del nesso di causalità.

Il secondo caso, molto recente, è per certi versi più vicino a Peter Paul. Si tratta infatti di un problema di responsabilità legato a funzioni di vigilanza. Per altri versi, è più lontano, in quanto non si tratta di responsabilità dello Stato o di un’entità pubblica. La signora Elisabeth Schmitt si era fatta applicare in Germania delle protesi mammarie in silicone. Tali protesi erano state prodotte da un’impresa con sede in Francia, la Poly Implant Prothèse (PIP). La competente autorità francese aveva successivamente accertato che in sede di produzione delle protesi mammarie era stato impiegato silicone industriale scadente, in violazione delle norme di qualità applicabili. Il produttore era quindi dichiarato fallito. Su parere medico, la signora Smith si faceva rimuovere le protesi. Quindi agiva dinanzi ai giudici tedeschi chiedendo la condanna della TÜV Rheinland LGA Products GmbH, l’organismo notificato designato dal fabbricante ai sensi della direttiva 93/42/EC, ad un risarcimento del danno morale nella misura di EUR 40 000 e la dichiarazione della responsabilità di quest’ultima in caso di danni materiali futuri. Entrambe le parti riconoscevano che la convenuta, in ottemperanza agli obblighi derivanti dal suo contratto con il fabbricante, aveva

49 Punto 56. 50 Punto 39. 51 Punto 36.

52 Esaminando vari precedenti relativi alla responsabilità delle istituzioni europee, l’Avvocato generale aveva, invece, ritenuto che, “Pur trattandosi di profili che dovrebbero venire in rilievo anche in sede di causalità, la Corte, tuttavia, a quanto pare ritiene che essi attengano all’essenza stessa delle norme interessate. Essi, pertanto, non sono, per loro natura, idonei a fondare un diritto al risarcimento dei danni” (punto 47 delle conclusioni).

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effettuato presso i locali dell’impresa produttrice, anteriormente al 1° dicembre 2008, alcune visite preannunciate, ma non aveva esaminato la documentazione aziendale né disposto nessun esame dei prodotti, né ha effettuato visite impreviste. La ricorrente sosteneva che la convenuta, esaminando i documenti di trasporto e le fatture in possesso del fabbricante, avrebbe potuto riconoscere che non era stato impiegato il silicone autorizzato (per uso medico)54.

Il Bundesgerichtshof sollevava una serie di questioni pregiudiziali. Innanzitutto, ancora una volta riprendendo la Schutznormtheorie, il giudice di rinvio chiedeva alla Corte di giustizia se la Direttiva 93/42/CE avesse “lo scopo di, e intenda, imporre all’organismo notificato incaricato della revisione (audit) del sistema di garanzia della qualità, dell’esame della progettazione del prodotto e della sorveglianza, di operare, per quanto riguarda i dispositivi medici della classe III, a tutela di tutti i potenziali pazienti, e se quindi, in caso di violazione colposa degli obblighi posti a suo carico, esso possa essere chiamato a rispondere direttamente e illimitatamente nei confronti dei pazienti interessati”. Inoltre il giudice tedesco domandava alla Corte se la direttiva imponesse all’organismo notificato un obbligo generale o quantomeno circostanziato di controllo dei dispositivi, di visionare la documentazione aziendale del fabbricante e/o di compiere ispezioni impreviste.

Le pregevoli conclusioni dell’Avvocato generale Sharpston iniziano con un inquadramento storico-giuridico dell’armonizzazione giuridica all’interno del mercato europeo. Sancito, nella celebre sentenza Cassis de Dijon55, il principio del mutuo riconoscimento, le istituzioni europee avevano dato il via ad una serie di norme di armonizzazione degli standards di qualità dei prodotti in modo da facilitare la libertà di circolazione56. Ricorda quindi l’Avvocato generale che “Al fine di

assicurare il funzionamento del sistema di cui trattasi e instaurare fiducia tra gli Stati membri, le norme armonizzate in questione dovevano offrire un livello di protezione garantito. A tal fine era necessario mettere a punto un’adeguata politica di valutazione della conformità. Essa consisteva in una serie di moduli selezionati dal legislatore tenendo conto della natura del prodotto considerato e dei rischi ad esso collegati. Se il livello di rischio collegato al prodotto in esame era alto, il modulo conteneva, come elemento essenziale, la partecipazione di un soggetto indipendente noto come «organismo notificato», che aveva il compito, in particolare, di valutare la conformità del prodotto alle prescrizioni legislative”57. In questo contesto, la Direttiva 93/42/CE è chiamata a conciliare la

libera circolazione dei dispositivi medici e la tutela della salute dei pazienti58.

Sul merito della questione, l’Avvocato generale osserva innanzitutto che “La direttiva non parla della previsione di una responsabilità in capo agli organismi notificati, benché il requisito di cui al punto 6 dell’allegato XI - secondo cui essi devono stipulare un’assicurazione responsabilità civile - indichi che una qualche responsabilità è prevista”59. Il problema è come definire i

presupposti della responsabilità in questione. Ora, considerato “il ruolo fondamentale svolto dagli organismi notificati nella procedura che porta all’immissione in commercio dei dispositivi medici disciplinata dalla direttiva 93/42 e tenuto conto, in particolare, dell’elevato livello di protezione dei pazienti che la direttiva in parola mira a fornire e dei rischi collegati ai dispositivi rispetto ai quali essi sono chiamati a svolgere il proprio esame”, secondo l’Avvocato generale è “del tutto opportuno che i suddetti organismi possano essere chiamati, in linea di principio, secondo il diritto nazionale, a rispondere nei confronti di tali pazienti e utilizzatori per una violazione colposa degli obblighi ivi previsti a loro carico”60.

La tradizionale categoria civilistica della colpa, e non quella della violazione grave e manifesta elaborata in riferimento alla responsabilità delle istituzioni europee e dei Paesi membri, è dunque il parametro essenziale della responsabilità degli organismi notificati incaricati della

54 C. giust. UE, 16 febbraio 2017, causa C-219/15, Schmidt. 55 C. giust. CE, 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe-Zentral. 56 Punto 24 delle conclusioni.

57 Punto 25. 58 Punto 26. 59 Punto 35.

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revisione del sistema di garanzia della qualità che si ritiene implicita nel sistema di tutela approntato dalla Direttiva 93/42/CE.

La nozione di colpa richiama quella di diligenza. Secondo l’Avvocato generale, gli organismi notificati, anche in ragione della propria indipendenza e competenza tecnico-scientifica, godono di una certa discrezionalità nello svolgere la propria missione, e la Direttiva 93/42/CE non può essere letta come un catalogo esaustivo e vincolante di obblighi specifici di verifica ed ispezione61. Tuttavia, nell’ambito del suo obbligo generale di diligenza, l’organismo notificato è

tenuto a prestare attenzione al fatto che si possa verificare una vera e propria svista del fabbricante o peggio un inganno o frode da parte del fabbricante62. Vista la natura ad alto rischio dei dispositivi

medici di cui si tratta, tali organismi sono soggetti all’obbligo di adottare tutte le misure necessarie in tale contesto; tenuto conto della loro competenza scientifica, l’esatto modus operandi dei suddetti organismi e le specifiche misure che essi adottano in una situazione siffatta ricadono nell’ambito del loro margine di discrezionalità, a condizione però “che essi agiscano sempre con tutta la cura e la diligenza dovute”63. Spetterà al giudice nazionale verificare se, tenuto conto delle circostanze del

caso concreto, l’organismo notificato abbia agito con tutta la cura e la diligenza necessarie64.

La Corte di giustizia segue solo in parte le conclusioni dell’Avvocato generale Sharpston. In particolare la Corte conferma che gli organismi notificati godono di un “ampio margine di discrezionalità” nello svolgimento delle loro funzioni65. Tuttavia, l’assolvimento “da parte

dell’organismo notificato del proprio ruolo nell’ambito della procedura relativa alla dichiarazione di conformità CE non potrebbe essere garantito laddove quest’ultimo potesse legittimamente restare inerte in presenza di indizi tali da suggerire che un dispositivo medico può non essere conforme ai requisiti posti dalla direttiva 93/42”66. Quindi deve essere riconosciuto “un obbligo generale di

diligenza” in capo agli organismi stessi67.

Per quanto riguarda la responsabilità, la Corte di giustizia sembra – ma la motivazione è tutt’altro che precipua – invece discostarsi dalla conclusioni dell’Avvocato generale. La Corte ribadisce che la Direttiva 93/42/CE è volta a tutelare non solo la salute in senso stretto, ma anche la sicurezza delle persone, e che essa non riguarda solamente gli utilizzatori dei dispositivi medici e i pazienti, bensì, più in generale, i “terzi” o le “altre persone”68. Soddisfatta la Schutznormtheorie, la

Corte osserva che, “[b]enché spetti in primis al fabbricante garantire la conformità del dispositivo medico ai requisiti posti dalla direttiva 93/42, è necessario constatare che tale direttiva impone obblighi in tal senso anche agli Stati membri e agli organismi notificati”69. Tuttavia, richiamando

esplicitamente la sentenza Peter Paul, la Corte afferma che “né dal fatto che una direttiva imponga taluni obblighi di sorveglianza a determinati organismi, né dal fatto che tra gli obiettivi di detta direttiva figuri quello della tutela delle parti lese deriva necessariamente che questa direttiva mira a creare diritti a favore di tali parti in caso di inadempimento dei propri obblighi da parte degli organismi, e che ciò vale, in particolare, laddove la direttiva in argomento non contenga alcuna norma esplicita che accordi diritti di questo tipo”70. La Direttiva 93/42/CE non contenendo

indicazioni relative alle modalità di impegno della responsabilità civile degli organismi notificati, “non si può ritenere che tale direttiva abbia ad oggetto di disciplinare le condizioni alle quali i destinatari finali dei dispositivi medici possono eventualmente essere risarciti in conseguenza dell’inadempimento colpevole dei loro obblighi da parte di tali organismi”71. Il solo fatto che la

61 Punti 44 ss. 62 Punto 52. 63 Punto 57. 64 Ibidem.

65 Punto 44 della sentenza. 66 Punto 45.

67 Punto 46.

68 Punto 50; citata in motivazione è C. giust. CE, 19 novembre 2009, causa C-288/08, Nordiska Dental, punto 29. 69 Punto 51.

70 Punto 55 della motivazione. 71 Punto 56.

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Direttiva obblighi gli organismi notificati a stipulare un’assicurazione sulla responsabilità civile “non può essere sufficiente, in assenza di qualsiasi ulteriore precisazione al riguardo, per affermare che tale direttiva impone agli Stati membri di garantire ai destinatari finali dei dispositivi medici danneggiati in seguito all’inadempimento colpevole da parte degli organismi notificati un diritto al risarcimento da far valere nei confronti di questi ultimi”72.

Tale esito negativo in termini di diritto europeo non esclude la legittimità di una disciplina nazionale che, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività,73 preveda una responsabilità

dell’organismo notificato, purché non si tratti di responsabilità oggettiva come quella del produttore74.

Come accennato, la controversia non riguardava la responsabilità dello Stato, la direttiva rilevante nel caso essendo stata attuata in Germania, né veniva in rilevo la responsabilità di un’entità pubblica, la TÜV Rheinland LGA Products GmbH essendo pacificamente un soggetto di diritto privato75. Il caso riguardava piuttosto l’interpretazione di una specifica direttiva. D’altra

parte, come si è visto, l’indagine per stabilire se l’ordinamento europeo riconosca o meno e tuteli un diritto spesso si traduce, proprio come nel caso Peter Paul, nell’interpretazione di uno strumento di diritto secondario. Il rilievo del caso ai nostri fini deriva quindi dal fatto che la Corte di giustizia è stata chiamata a stabilire da tale diritto se sia desumibile una responsabilità non del (diretto) danneggiante, ma di un organo incaricato della vigilanza. A differenza dell’Avvocato generale, la Corte di giustizia ha invocato il caso Peter Paul proprio per negare la possibilità di ritenere implicata in un sistema di vigilanza la responsabilità del soggetto chiamato a sorvegliare un terzo per gli effetti dannosi causati dal terzo stesso76. A differenza del caso Peter Paul, non è negato il

fine di protezione della salute e della sicurezza delle persone, d’altra parte già riconosciuto dalla giurisprudenza77. E’ negata la protezione risarcitoria78. O meglio, la questione è rimessa alle scelte

dell’ordinamento interno ed ai suoi giudici (che nella specie hanno negato la configurabilità di un’obbligazione risarcitoria in capo alla convenuta)79.

5. Conclusioni

La configurazione di ipotesi di responsabilità delle istituzioni incaricate della regolazione e della vigilanza per danni provocati a terzi dai soggetti sottoposti alla loro vigilanza presenta profili problematici. Esclusi casi di collusione tra regolatore e regolato, che nel nostro ordinamento avrebbero addirittura rilevanza penale, il regolatore o l’autorità di vigilanza sono al più “secondary tortfeasors”80.

Allo stato, il diritto dell’Unione europea non fornisce chiare indicazioni in materia. I casi rilevanti sono molto limitati, e riguardano esclusivamente la vigilanza. Le sentenze rese non del tutto precipue. Sembra di poter leggere una certa riluttanza della Corte di giustizia a leggere nel diritto secondario l’affermazione della responsabilità dei soggetti chiamati a vigilare sul comportamento di operatori del mercato. Tecnicamente tale riluttanza passa ora l’affermazione tranchant che il diritto dell’Unione applicabile alla fattispecie non prevede un tale rimedio81, altra

72 Punto 57.

73 Punto 59; si noti che il riferimento al secondo principio è un fuor d’opera, perché la Corte ha negato la sussistenza di una responsabilità basata sul diritto dell’Unione.

74 Punto 58. La precisazione è resa necessaria da un case law, citata in motivazione, la quale, sulla base della Direttiva 85/374/CEE in materia di responsabilità del produttore, esclude la legittimità della giustapposizione di ulteriori ipotesi di responsabilità oggettiva a carico di altri soggetti, come il distributore.

75 Come peraltro sottolineato al punto 27 delle conclusioni dell’Avvocato generale Sharpston: “quest’ultimo non è, in quanto tale, un organismo statale o un’emanazione dello Stato”.

76 Si veda ancora il punto 55 della motivazione.

77 C. giust. CE, 19 novembre 2009, causa C-288/08, Nordiska Dental, punto 29. 78 C. giust. UE, 16 febbraio 2017, causa C-219/15, Schmidt.

79 Si veda la sentenza del 22 giugno 2017 BGH VII ZR 36/14.

80 Ph. Athanassiou, Bank Supervisors’ Liability: a European Perspective, cit., spec. 239. 81 C. giust. UE, 16 febbraio 2017, causa C-219/15, Schmidt.

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volta per la negazione di una posizione giuridica tutelata82 o ancora per l’esclusione – sia pur

demandata al giudice nazionale, del nesso di causalità83.

A distanza di quasi trent’anni dallo scandalo del vino adulterato, si conferma la difficoltà di usare il diritto dell’Unione europea per qualificare in termini di illiceità le eventuali insufficienze od omissioni in sede di controllo84.

Nella specifica materia dei mercati finanziari, è stato sottolineato come la creazione di istituzioni europee di vigilanza finanziaria non possa essere senza significato rispetto alla configurabilità di una responsabilità delle istituzioni nazionali di vigilanza, non foss’altro per lo sviluppo di best practices e conseguente più agevole individuazione di comportamenti carenti,85 sia

pur nel quadro di competenze che si incrociano tra livello nazionale ed europeo.86

Certo è che i precedenti per il momento non paiono segnalare un mutamento di orientamento della Corte di giustizia.

82 C. giust. Ce, 12 ottobre 2004, causa C-222/02, Paul e al. 83 C. giust. UE, 14 marzo 2013, causa C-420/11, Leth.

84 C. giust. Ce, 4 luglio 1989, cause riunite 326/86 e 66/88, Francesconi.

85 Ph. Athanassiou, Bank Supervisors’ Liability: a European Perspective, cit., 223 s.

86 Si veda in part. M. Mancini, La Banking Union: il riparto delle funzioni di regolazione e di vigilanza, disponibile su http://www.regolazionedeimercati.it/sites/default/files/Report

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