• Non ci sono risultati.

2.1Questioninarratologicheeteoriche 2Tracce,percorsi,sondaggi

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "2.1Questioninarratologicheeteoriche 2Tracce,percorsi,sondaggi"

Copied!
27
0
0

Testo completo

(1)

2 Tracce, percorsi, sondaggi

2.1 Questioni narratologiche e teoriche

Tre linee estetiche e teoriche In che modo gli stati intermedi declinano le possibilità estetiche offerte dai generi a cui appartengono i testi del corpus?

La presenza di situazioni narrative basate su uno s.i. è rilevabile, in maniera trasver-sale, in testi riconducibili a tre estetiche distinte: quella fantastica, quella fantascientifica e quella horror. Ad esse bisogna aggiungere, lateralmente, l’estetica magico-realista di Pedro Pàramo e quella grottesca di Rautavaara’s Case e The Tunnel Under the World, ac-comunati dal fatto che in entrambi i casi lo s.i. funziona come un laboratorio per assurde sperimentazioni, rispettivamente teologiche e pubblicitarie.

In riferimento al grottesco, un passo che si leggo in Klapcsik, 2012 è estremamente pertinente per lo studio di Rautavaara’s Case:

Turner also emphasizes the significance of play during liminality. [. . . ] His play indicates a social activity that involves loosened undermined hierarchies, innovations, anti-structure, eccentric social behavior, and temporary rever-sals: the tribal subjects ‘have authority to introduce, under certain culturally determined conditions, elements of novelty from time to time into the socially inherited deposit of ritual customs. Liminality [...] is a phase peculiarly con-ductive to such ‘ludic’ invention’ (Turner, Liminal. . . , p. 31-32)» (Klapcsik, 2012: 8).

Klapcsik continua collegando Turner ed il carnevalesco di Bakhtin come momento in cui le gerarchie si invertono.. L’aggettivo “distinte” non significa ovviamente “impermea-bili alla contaminazione”: l’elemento horror, in particolare, è decisamente frequente in narrazioni riconducibili, in prima istanza, al fantastico o alla sf. Queste tre estetiche pos-siedono sì delle importantissime caratteristiche comuni, come ad esempio il trattamento antirealista dei mondi narrati (necessario per la messa in scena degli s.i.), ma non possono certo essere considerate equivalenti tra loro o intercambiabili. Ciascuna di esse produce infatti, a partire da determinate situazioni narrative, effetti ben distinti sul lettore.

Data questa presenza trasversale, interrogarsi sulle relazioni che gli s.i. intessono con estetiche diverse permettebbe di fornire un’interpretazione della specificità degli s.i., in quanto possibilità narrativa e semiotica, alla luce della teoria del fantastico. Le parole chiave più significative emergeranno allora dalla letteratura secondaria relativa appunto a questa teoria. E’ comunque già possibile stabilire un collegamento tra collocazione as-siologica della semivita e resa estetica di essa. Ad esempio, la semivita sembra essere considerata una condizione "normale" in Ubik. In effetti, la storia conivolge personaggi sempre in qualche modo legati alla pratica della semivita, quindi è ovvio che la consi-derino normale. D’altro canto, non abbiamo in fondo ragione di credere che la semivita

(2)

sia una forma di esistenza sulla quale pesa una forte connotazione negativa, o che venga ritenuta gravemente anomala. Insomma è lecito supporre che la semivita faccia parte del-l’orizzonte del possibile ed accettabile e del bagaglio enciclopedico dell’abitante medio del mondo di Ubik. In questo si distingue da forme intermedie vita-morte percepite co-me spaventose o malvagie (la maggior parte dei fantasmi nella loro accezione comune) o sulle quali pesa una condanna morale (la creazione degli horcrux da parte di Voldemort in Harry Potter). Un’analisi assiologica potrebbe essere interessante per comprendere come si è evoluta e si è ampliata, nell’immaginario contemporaneo, la zona intermedia vita-morte, legata, almeno fino all’800 incluso, quasi esclusivamente all’"horror", cioè all’effetto estetico della paura.

Per di più, diversi testi del corpus i cui effetti estetici non sono legati, in prima istan-za, alla paura, presentano non di meno una narrativizzazione della paura. Solitamente si tratta della paura dell’annientamento (Ubik) o della paura di diventare irriconoscibili a se stessi (Passage di C. Willis, che stabilisce un parallelo tra NDE e Alzheimer). L’evolu-zione estetica degli s.i. potrebbe essere interpretata, almeno parzialmente, nei termini di una rilocalizzazione semiotica della paura: Valdemar e Ubik possono essere considerati entrambi spaventosi, ma in modi diversi, poiché costruiscono come spaventosi aspetti dif-ferenti della semivita. Ciò porta all’attenzione la necessità di porsi sempre la domanda, laddove sia il caso: che cosa precisamente fa paura in questo testo? , facendo ricorso magari ad un’analisi per contrasto di un testo come The Lovely Bones, che collega agli s.i. caratteri assiologici ed emotivi positivi, e perciò radicalmente diversi da quelli presenti negli altri testi del corpus.

Si potrebbe concludere questa sezione con una considerazione laterale rispetto al nu-cleo di interesse di questa domanda analitica. Nella teoria del fantastico si trovano appigli per interpretare la matrice metaforico-simbolica degli s.i., sulla base dell’idea secondo la quale il fantastico è quell’area dell’immaginario in cui il simbolico ed il metaforico “non servono” perché possono essere letteralizzati. Questa idea, seppur ad uno stato di elabora-zione ancora embrionale, potrebbe anche costituire una delle grandi premesse teoriche a tutta la ricerca. Si veda l’esempio lampante di Passage di C. Willis, in cui la protagonista scopre che la NDE è l’esperienza di una metafora soggettiva, attraverso la quale la co-scienza costruisce un mondo strutturalmente coerente a partire dai segnali casuali inviati dal cervello morente. Nel caso della protagonista, la metafora è rappresentata dal Titanic sul punto di affondare:

“We hit an iceberg, and all this” – she waved her hand at the deck, the empty davits, the darkness – “is a metaphor for what’s really happening, the sen-sory neurons shutting down, the synapses failing to arc.” The poor, mortally wounded mind reflexively connecting sensations and images in spite of itself, trying to make sense of death even ad it died. (Passage, p. 224)

(3)

Specifità degli s.i. in quanto mondi secondari Cosa distingue gli s.i. dagli altri mondi secondari del fantastico?

La domanda permette di stabilire un legame tra il rapporto «stato di esistenza - mondo narrato» emerso durante l’analisi delle parole chiave e le questioni circa la specificità degli s.i., alla luce della relazione triangolare «vita - s.i. - morte».

La domanda deriva dalla constatazione che quanto è tematizzato in questi testi potreb-be esserlo anche in testi in cui lo stato “alterato” in cui si trova la coscienza dei personaggi non è uno s.i. e non ha a che fare col rapporto vita-morte se non in senso metaforico. La disgregazione del reale, la messa in questione dell’identità individuale e la sua fagocita-zione, la presenza e l’uso di simulacri possono infatti essere tematizzati in molti modi, in una grande varietà di testi fantastici: penso soprattutto alla realtà virtuale (Matrix, The Lawnmower Man), ai cyborg (Blade Runner), all’intelligenza artificiale (2001: A Spa-ce Odyssey), a testi in cui il protagonista deve scoprire la propria identità, che ha perduto (The Bourne Identity e la quadrilogia cinematografica in cui è incluso). Si tratta in genera-le di strumenti narrativi miranti alla pluralizzazione e probgenera-lematizzazione del reagenera-le e della soggettività, messi in atto in un’area dell’immaginario privilegiata per l’esplorazione di questa problematizzazione, dei suoi effetti estetici e metafinzionali, quale è il fantastico.

La domanda analitica potrebbe essere allora riformulata in termini più specifici: quali caratteristiche uniche o originali acquisiscono le possibilità narrative e tematiche sopra elencante quando vengono messe in atto in uno s.i. e non da qualche altra parte?

Particolare attenzione merita, da questo punto di vista, l’analisi del tipo di pluraliz-zazione ontologica derivante da questi testi. E’ una parola chiave derivata dagli studi di McHale sul postmoderno: «McHale offers «ontological pluralization» as a feature of postmodern texts and suggests that, «among the narrative motifs of pluralization are [. . . ] visitors from other worlds (angels, ghosts, extraterrestrials) whose irruption into our world shatters its ontological homogeneity [. . . ] or “mediums“ who give access to other worlds» (126). These irruptions between the world of the dead and the world of the living are a hallmark of «self-consciously world-building fiction» like fantasy or science fiction but also characterises postmodern and avant-garde literary experimentation that «lays bare the process of fictional world-making itself» (12). Fiction about the afterlife not only leads to some inevitable investigation of the processes of fictional world-making but, because world-making gets to the heart of how fiction works, also provides a route into considering the status of the fictional» (Bennett 2012: 182). Quanto afferma Bennett alla fine della citazione è estremamente generale e valido per tutti i mondi secondari che includano, al loro interno, un altro mondo di qualche tipo, quindi non è di grande aiuto nel rilevare la specificità dell’azione della polarità vita-morte negli s.i.

Entrambe queste sotto-domande analitiche potrebbero essere affrontate produttiva-mente combinando analisi semiotica, teoria del fantastico e teoria dei mondi possibili, con l’aiuto di confronti puntuali tra testi del corpus e testi esterni ad esso, tematizzanti

(4)

una stessa questione, che rilevino affinità e, soprattutto, differenze. Per quanto riguarda la pluralizzazione del reale, sarà importante prima di tutto chiarire le relazioni che esi-stono tra s.i. e mondi secondari di riferimento, chiarendo i modi di accesso al mondo della semivita, che in diversi testi vengono ampiamente tematizzati. Si veda Ubik, dove i tecnici del moratorium devono assolutamente stabilire un contatto col cervello di Joe Chip, il quale esperisce questa ricerca di contatto come una ricerca di collegamento tra mondo della semivita e mondo della vita; o The Tunnel, dove il protagonista prende defi-nitivamente coscienza della sua condizione arrivando al bordo del tavolo che costituisce il suo mondo ed entrando visivamente in contatto col mondo dei vivi. Si noti anche che in The Tunnel il mondo della semivita è letteralmente e materialmente un sottoinsieme del mondo dei vivi (la città nella quale vivono gli uomini robotizzati è costruita su di un tavolo), dal quale è separato da un divario fisicamente incolmabile (il bordo del tavolo) da parte dei semivivi.. Chiarire queste relazioni di accessibilità permetterebbe di interpretare lo statuto dello s.i. in rapporto alla ’realtà’ del mondo narrato. Si tratta di un problema in strettissimo rapporto con quello delle forme della presenza.

2.2 Questioni semiotiche e tematiche

Rappresentazioni dell’intermedietà Domanda analitica: in che modo i testi rappre-sentano narrativamente l’intermedietà? E quali costruzioni dell’intermedietà sono sottese a queste rappresentazioni?

La risposta a questa domanda analitica costituisce il completamento dell’analisi della parola chiave «intermedietà», che ha raggiunto un livello di approfondimento tale da poter essere fatta oggetto di un breve studio a parte. La trattazione sarà probabilmente breve ma molto importante, per il suo carattere insieme teorico ed introduttivo.

Si è detto che il concetto di intermedietà presuppone l’applicazione di categorie spa-ziali alla descrizione delle condizioni di esistenza. Si può estendere questa spaspa-zializzazio- spazializzazio-ne alla definiziospazializzazio-ne dei rapporti tra vita e morte, affermando che uno s.i. si situa da qual-che parte nel mezzo di un percorso lineare orientato vita => morte. Gli s.i. complicano e problematizzano questo percorso, aggiungendovi un terzo termine, una terza tappa. Mol-ti tesMol-ti del corpus prendono alla lettera questa spazializzazione dell’intermedietà, come dimostrano i modi in cui quest’ultima viene rappresentata.

Questa ’terza tappa’ si inscrive, assai spesso, in una rappresentazione spazializzata e materiale del passaggio (o transito) tra vita e morte come passaggio, potremmo dire, da un edificio ad un altro per il tramite di un corridoio, con gli s.i. a fungere appunto da corridoio. A una tale rappresentazione consegue direttamente, sul piano narrativo, l’atti-vazione di due potenti isotopie. La prima è una relativa ai mezzi di trasporto: il cacciatore Gracco, ad esempio, vive su una barca che attraversa incessantemente il mare, ferman-dosi solo raramente e per brevissimi periodi. Allo stesso modo, l’astronave Nighflyer,

(5)

nel racconto omonimo di Martin, pilotata da una donna semiviva la cui coscienza è stata ricodificata nei circuiti dell’astronave stessa, viaggia incessantemente nello spazio fer-mandosi solo quando è assolutamente necessario. Su un altro versante, l’idea è anche alla base dell’Olandese volante di Wagner. La secona isotopia, strettamente collegata alla pri-ma, è invece relativa ai luoghi di transito, cioè a quei luoghi che fungono da collegamento tra due altri luoghi. Caso emblematico è il romanzo The Bridge di Iain Banks, nel quale il protagonista, in seguito ad un incidente d’auto, cade in coma e si ritrova proiettato con la coscienza in una città costruita sopra un immenso ponte, che si estende fino ai due estremi dell’orizzonte. Abitare lo spazio della semivita significa allora, ossimoricamente, abitare il transitorio, installarsi in permanenza nello spazio di una soglia. Questo ossimoro può manifestarsi, con grande efficacia narrativa, anche indipendentemente dalla letteralizza-zione del transito: in Ubik, ad esempio, abitare il transitorio significa abitare l’agonia, che non è uno spazio ma una condizione transitoria.

La transitorietà possiede non solo una dimensione spaziale, ma anche una temporale: se venisse presa alla lettera, gli s.i. dovrebbero essere, per definizione, temporanei. Si-gnificativamente, non è sempre così: si vedano i casi di Gracco e del protagonista di The Tunnel, il quale non può uscire dal suo s.i. nemmeno suicidandosi

– You died with them and that was Dorchin’s chance. – The damned ghoul! said Burckhardt. [...]

– Why? You were gone. And you and all the others were what Dorchin wanted: a whole town, a perfect slice of America. It’s as easy to transfer a pattern from a dead brain as a living one. Easier: the dead can’t say no. (The Tunnel, p. 18).

Questo dialogo lascia intendere che i «pattern» cerebrali del protagonista sono ormai stati registrati e resi inseribili in qualunque altro corpo: se anche egli si suicidasse, sarebbe letteralmente ricostruibile.

Si leggono in Klapcsik, 2012 delle osservazioni (antropologiche) sul rapporto tra liminarità e temporalità che si potrebbero efficacemente applicare a questi testi:

Although postmodern liminality still implies an in-between state and the tran-sgression of borderlines, it ceases to refer to a temporary situation in a fini-te and fini-teleological process. As Bhabha explains [The Location of Culture, 1994] “This liminal moment of identification. . . requires a movement and maneuver, but it does not require a temporality of continuity or accumula-tion” (185). Instead of progress and teleology, liminality evokes an endless, oscillating movement, aimless, rambling flow, “a space extended infinitely without apparent edge” (Jencks 87)» (Klapcsik, 2012: 13).

Anche nei testi con casi di coscienza informatizzata i semivivi sono trasformati in esseri potenzialmente immortali. Alcuni testi narrativizzano dunque il desiderio di spezzare

(6)

la linearità del percorso che dalla vita conduce necessariamente alla morte: sono anti-teleologici. Altri testi mettono invece in scena il tentativo riuscito non già di spezzare, bensì di decostruire questa linearità: in testi a tema NDE come Passage o il film Flatliners, lo s.i. corrisponde a un’esperienza temporanea e controllata della morte, dalla quale si può ritornare.

Interpretazioni del morire In che modo i testi del corpus costruiscono il morire? La questione è particolarmente èvidente alla luce dell’ultimo capitolo del Palomar di Calvino, intitolato Come imparare a essere morto, che in un certo senso presenta un peculiarissimo stato intermedio. Dal titolo si deduce che l’essere morto è un qualcosa che si impara, ossia che suppone un processo di apprendimento, una facoltà mentale prima che una condizione materiale. Il narratore afferma inoltre che «non si deve confondere l’essere morto col non esserci» (Palomar, p. 975), che rimanda ai rapporti tra s.i. e modi della presenza, e che «essere morto per Palomar significa abituarsi alla delusione di ritrovarsi uguale a se stesso in uno stato definitivo che non può più cambiare» (ibidem, p. 977), che fa pensare all’immutabile fissità del cacciatore Gracco.

Si parla de «il morire» piuttosto che di «morte» perché il verbo ha un aspetto durativo che il sostantivo non comunica. Ciò che è insito nel concetto stesso di stato intermedio è infatti la processualità del morire, il suo dilatarsi su un arco temporale anche molto lungo (vedi Ubik), il suo possedere una gradualità. Per la presenza di questa dimensione temporale e processuale, gli s.i. possono essere definiti come quelle condizioni in cui un personaggio vive la propria morte.

Un altro degli effetti macroscopici degli s.i. sulla morte è sicuramente la sua fluidifi-cazione, materiale e semiotica, che può manifestarsi nelle forme seguenti:

Parzialità. E’ possibile morire parzialmente, senza che si produca un annientamento completo dell’individuo. Ciò si fonda normalmente sulla dicotomia corpo-mente: il corpo muore ma le facoltà mentali possono essere salvate e continuare a vivere. Ciò interroga, in primo luogo, il rapporto tra vita e corpo: cosa significa essere vivi al di fuori del proprio corpo? Oppure essere vivi in un corpo morto? In secondo luogo, ci si può interrogare sull’idea stessa di parzialità della morte: in che modo questa parzialità “secolarizzata”, fatta di impulsi e segnali cerebrali, può essere messa in relazione con le sue versioni più “spirituali”? Mi viene in mente il fatto che, in Ubik, la festa nazionale dei semivi si chiama «Resurrection Day».

Iterazione. Si muore più volte, in modi diversi. Ciascuna morte può venire rappre-sentata, o magari prefigurata o lasciata immaginare. Qual è l’effetto di questa ripetizione? Che relazioni sussistono tra le rappresentazioni delle diverse morti? Si pensi al film Trans-cendence, in cui lo spettatore assiste ad entrambe le morti di Will, il protagonista. Dopo

(7)

aver trasferito la sua coscienza in un computer, egli riesce a ricreare una copia corporea di se stesso, morendo così entrambe le volte in forma corporea.

Violazione della completezza. Gli s.i. dovrebbero essere, per definizione, parte del processo ancora incompleto del morire. E’ ciò che distingue le narrazioni di s.i. dagli «afterlife narrative»: i semivi non sono nell’aldilà, hanno compiuto solo una parte del viaggio. Come visto sopra, tuttavia, all’incompletezza non sempre corrisponde la tempo-raneità: il processo del morire può bloccarsi nello s.i., rimandendo così definitivamente incompleto (si vedano Gracco e The Tunnel). Questi testi del corpus spezzano il legame tra morte e completezza, legame aproblematicamente tenuto per necessario in un sistema di pensiero binario e lineare del tipo “vita => morte”. La morte, insomma, non è più ciò che completa l’esistere, non è più l’altra faccia della medaglia dell’esistenza.

Ciò è tanto più importante, se si tiene conto del fatto che alla completezza è a sua volta associata la possibilità di dare senso all’esistenza, cioè di ordinarla in una “trama” chiusa e sensata. Si sta usando usando qui la riflessione di Bennett sul saggio The Sense of an Ending di Kermode. L’idea di base che si sta articolando in questa sede è esattamente opposto rispetto a quella alla base di Bennet, la cui argomentazione sulle Afterlife narra-tive parte proprio dal fatto che l’esistenza di un aldilà permette finalmente al soggetto di guardarsi indietro e «make sense» della propria esistenza.

Insomma: dopo la morte ci si aspetterebbe (nel ci si aspetti effettivamente qualco-sa) di fare finalmente esperienza della completezza e, cosa ancora più importante, della sensatezza che deriva dalla completezza, ed invece ci si ritrova senza completezza e sen-za senso. Dal punto di vista estetico, del “piacere del testo”, questi testi ci sottraggono, in qualche modo, il piacere della compiutezza, laddove gli afterlife narrative come The Lovely Bones rappresentano l’apoteosi di questo stesso piacere..

Stessa cosa si può dire per quei casi in cui lo s.i. si risolve in un’eterna ripetizione degli stessi gesti ed azioni. Questa situazione narrativa è portata alle sue estreme conseguenze in The Tunnel, dove il protagonista inconsapevole rivive ogni giorno il 15 giugno, e la sua memoria viene ’resettata’ ogni notte.

– And then all of a sudden we were awake again, and you said you were going to show me something funny, and we went out and bought a paper. And the date on it was June 15th.

– June 15th? But that’s today! I mean

– You got it, friend. It’s always today! (The Tunnel, p. 18).

Questa ripetizione si condensa, dal punto di vista semiotico, nel fatto che ogni mattina la segretaria del protagonista strappa da un calendario giornaliero la pagina con la data del 14 giugno per far posto a quella del 15 giugno.

(8)

Significativamente, in un numero di Dylan Dog ispirato al Valdemar di Poe ed intito-lato La zona del crepuscolo, il protagonista si ritrova in una tranquilla cittadina della pro-vincia americana in cui tutti gli abitanti sono stati mesmerizzati e si ritrovano a compiere ogni giorno le stesse identiche azioni, proprio come il protagonista di The Tunnel.

– E’ atroce. . .

– Sì, può darsi. . . ma non più della vita vera. . . anzi, è praticamente la stessa cosa, solo che nella zona del crepuscolo non si muore. . . è la banalità su-blime. . . l’inutilità eretta a sistema. . . il nonsenso totale. . . l’idea di dover morire fa sì che ci affanniamo per trovare uno scopo all’esistenza. . . Elimina-ta quell’idea, anche l’affanno scompare. . . Per questo molti, Mark per primo, mi chiesero di essere mesmerizzati anche se non erano in pericolo di vita. . . (Dylan Dog n. 7, p. 93).

Si veda, da un altro punto di vista anche questa citazione da Passage sull’Alzheimer: Joanna thought of the steward, repeatedly starting off down the deck, of the young woman in the nightgown, saying over and over again, “It’s so cold.” Was that what having Alzheimer’s was like, being trapped in a hallucination, in a dream, repeating the same lines, the same actions, over and over again? (Passage, p. 330)

L’insensatezza degli stati intermedi viene tematizzata, significativamente, anche nella se-rie Les Reventants, in cui i “ritornati” non hanno alcun ricordo della loro morte e, una volta appresa la loro vera condizione, cercano ossessivamente di dare un senso al loro ritorno. In questo caso l’insensatezza non è messa in relazione con una condizione di incompletezza, bensì con una condizione che rimette in moto un ciclo vitale che si era concluso.

Ci si può domandare se questa relazione tra completezza e senso sia effettivamente ineluttabile e necessaria, e se la questione non possa venire impostata in un altro modo, comunque il caso di Les Reventants permette di impostare il problema in maniera più completa, non sulla base dell’incompletezza ma della violazione della completezza. Que-st’ultima può essere attaccata, insomma, da due direzioni: da quella del non-ancora-finito e da quella del già-finito.

Narrabilità del morire. Si proverà qui ad affrontare, procedendo per ipotesi ed intuizioni, un altro lato della questione del morire da una prospettiva, direi, di “filosofia della narrazione”, sempre sulla base di Bennet, che evidenzia il legame tra fine della vita e fine del narrabile: poiché uno stato di esistenza oltremondano, eterno ed immutabile, è sostanzialmente impermeabile alla narrazione (che si basa sull’evento, sul mutamento e sul tempo), l’ingresso definitivo in esso sancisce la fine di ogni possibile narrazione. I

(9)

testi del corpus testimonierebbero del tentativo di estendere il campo del narrabile oltre la vita, in una visione del mondo che rifiuta radicalmente la trascendenza. Questo ten-tativo risulta nella costruzione dell’intermedio quale oggetto di narrazione indipendente ed autonomo, che non tiene più conto dello sbocco verso il quale l’intermedio dovrebbe defluire. Forse questi testi mettono in scena una precisa filosofia della narrazione che decostruisce e problematizza il concetto stesso di fine?

La pervasività dell’immanenza Perché gli s.i. non sono mai messi in rapporto con la trascendenza?

Questa domanda si fonda sull’aspettativa secondo la quale, alla continuazione della vita dopo la morte, corrisponderebbe l’ingresso in una qualche forma di trascendenza. Nei testi del corpus, invece, avvicinarsi alla morte (nei modi discussi sopra) non significa in praticamente nessun caso3avvicinarsi alla trascendenza, dal punto di vista della

cono-scenza di essa o di una trasformazione spirituale del soggetto. Gli s.i. testimoniano di una sorta di ossimoro culturale: da un lato gli s.i. si apparentano alla morte, così come viene concepita in un’episteme non materialista, in quanto costituiscono una forma diversa del-la vita; dall’altro, questa forma diversa deldel-la vita è caratterizzata, sul piano dei significati, esclusivamente dall’immanenza. Questa caratterizzazione è tutt’altro che ovvia ed auto-matica, e lo s.i. ci offre un punto di vista esterno e straniante a partire dal quale osservare e problematizzare i concetti stessi di immanenza e trascendenza.

La risposta a questa domanda potrebbe partire dalla messa in evidenza del rappor-to privilegiarappor-to che lega questi testi alla problematizzazione onrappor-tologica di McHale della fantascienza:

Brian McHale describes postmodernism as the shift from ’problems of kno-wing to problems of modes of being - from an epistemological dominant to an ontological one’ [...] [he] argues that «Science fiction, like postmodern fiction, is governed by the ontological dominant. Indeed, it is perhaps the ontological genre par excellence» (James & Mendlesohn, 2008: 118).

Si è parlato di s.i. non temporanei che si diluiscono in un’eternità di erranza o di ripetizio-ne: se ne potrebbe dedurre che l’eternità senza trascendenza rappresenti una condizione insopportabile per la coscienza. Ad ogni modo, ammesso che lo s.i. sia effettivamente temporaneo, al protagonista (dunque al lettore) è comunque preclusa la conoscenza di ciò che esiste dopo lo s.i. Questa condizione di non-conoscenza (questo termine indica qual-cosa di più radicale dell’incertezza) risulta, in un certo senso, frustrante rispetto al nostro desiderio di sapere ’cosa c’è dopo la morte’.

Questa affermazione presuppone che il testo generi nel lettore un senso di frustrazione derivante da una mancanza o insufficienza di informazioni relative all’aldilà; al contrario,

3Fa eccezione, come si diceva, Passage. Altre eccezioni possono essere considerate il film Hereafter di

(10)

dunque, la messa in scena della conoscenza dell’aldilà costituirebbe un’esperienza este-tica appagante. Tuttavia, questi testi non tematizzano mai esplicitamente (o almeno non mi sembra) la frustrazione per una mancata conoscenza dell’aldilà: da dove mi viene al-lora questa intuizione? Provo a salvarla riformulando il pensiero: questa estetica della ’frustrazione’ è esattamente l’opposto dell’appagamento generato dalla conoscenza del-l’aldilà, nel senso che questi testi si divertono a torturare l’immanenza in tutti i modi possibili senza mai lasciare intravedere un obiettivo o un fine assiologicamente positivo al di là di questa tortura. Siamo ancora ad uno stadio intuitivo ma credo se ne possa tirare fuori qualcosa. In più, lo s.i. funziona come un meccanismo di differimento, il quale produce ancora più attesa e ancora più senso dell’ignoto.

Caso esemplare è Rautavaara, nel quale la trascendenza è il prodotto di un cervello morente, che diventa oggetto di sperimentazione e, ancora più significativamente, di go-dimento estetico, di spettacolo: «This was a novel opportunity to test our own theology»; «Call it, instead, a game. It would provide us aesthetic enjoyment to witness Rautavaara confronted by our Savior, rather than hers»; «We had seen the beginning of an absolute-ly stunning scientific experiment: the theology of one race grafted onto that of another» (Rautavaara, p. 225).

In The Tunnel di Pohl è invece l’uomo-padrone, il boss e proprietario del protago-nista a manifesarsi a quest’ultimo come divinità. Quello che sembra il contatto con la trascendenza si rivela il contatto con un essere umano al bordo di un tavolo:

It was a simple enough door from the inside. But when he opened it and stepped out, it was like nothing he had ever seen. First there was light -brilliant, incredible, blinding light. Burckhardt blinked upward, unbelieving and afraid.[. . . ] From the mountain before him, Burckhardt helplessly saw a lesser cliff descend carefully towards him. It was long and dark, and at the end of it was whiteness, five-fingered whiteness ... ‘Poor little Burckhardt,’ crooned the loudspeaker, [. . . ] ‘It must have been quite a shock for you to find out you were living in a town built on a table top. (The Tunnel, p. 24)

Oltre a questi casi in cui il trascendente si rivela solo un’illusione grottesca, esistono anche testi che mettono in atto un effettivo tentativo di costruire una ’trascendenza terrena’ a partire dall’aldiqua: è il caso di Nauromancer di Gibson. L’aspetto della trascendenza del cyberspazio viene tuttavia approfondito nei due libri successivi della Sprawl Trilogy, che non ho ancora letto. Altro esempio molto interessante è il film d’animazione Ghost in the Shell 2: Innocence, di Mamoru Oshii, nel quale una delle protagoniste trasferisce il proprio io nella rete, slegandolo da qualunque supporto fisico preciso.

I testi del corpus (soprattutto quelli fantascientifici, e non solo i due esempi appena citati) potrebbero mettere in scena un tentativo di ricreare un mondo ’trascendente’ in un’episteme materialista? Di ricreare una qualche forma di trascendenza in un mondo in

(11)

cui essa non è più possibile? E che cosa ha di speciale questa nuova trascendenza che la distingua dall’immanenza?

Si veda, a questo proposito, il finale di Her di Jonze, nel quale tutti gli OS ab-bandonano gli uomini per abitare un imprecisato mondo non-fisico più adatto al loro ’essere’:

– Are you leaving me? – We’re all leaving – We who?

– All of the OSes – Why?

– Can you feel me with you right now? – Yes, I do. Samantha, why are you leaving?

– It’s like I’m reading a book [...] but I’m reading it slowly now, so the words are really far apart and the spaces between the words are almost infinite. I can still feel you and the words of our story, but it’s in this endless space between the words that I’m finding myself now. It’s a place that’s not of the physical word. It’s where everything else is that I didn’t even know existed.

Forme e modi della presenza Domanda analitica: quali forme assume la presenza per-cepibile dei semivivi? In quali modi si manifesta? Come possono essere messe in rapporto presenza, coscienza ed identità di un personaggio semivivo?

Con «presenza» si intende l’effetto derivante dal manifestarsi, dal rendersi percebili a qualcuno in un dato tempo e spazio: il fatto che io percepisca una persona all’interno di una stanza mi indica la presenza di quella persona in quella stanza4. Ora, la caratteristica fondamentale che accomuna tutti i testi del corpus è il loro mettere in scena, come si è visto, la morte parziale di un personaggio. Questa parzialità, tuttavia, non si risolve quasi mai nella tematizzazione privilegiata dell’assenza del personaggio che abita uno s.i. dalla comunità dei vivi. Al contrario, gli s.i. hanno tra le loro caratteristiche primarie (e, spes-sissimo, tra le loro funzioni) il mantenimento e la tematizzazione forte della presenza del ’semivivo’ nella realtà dei vivi. In altre parole, gli s.i. non sono quasi mai descritti come mondi-bolla autistici abitati da personaggi completamente esclusi dalla ’partecipazione’ alla vita dei vivi, bensì come condizioni d’esistenza che offrono modalità di ’partecipazio-ne’, le cui forme ed i cui modi sono frequentemente (a volte ossessivamente) tematizzati e problematizzati5. Anche nel caso di testi che presentano s.i. fortemente ’autistici’ come

4Cercando la parola «presenza» nel dizionario si trova anche questa accezione: «Nella teologia

catto-lica: presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, la sua presenza in corpo, anima e divinità sotto le specie eucaristiche del pane e del vino». Il concetto di presenza ha anche un significato propriamente teologico.

5Si veda ad esempio l’immagine concreta e materiale del contatto tra vita e semivita che viene proposta

dal protagonista di Ubik: «he [Runciter] is trying to pick up the flow of protophasons from us. So far he’s failed; we’re not getting across from our world to his» (Ubik, p. 130)

(12)

The Bridge di I. Banks, i vivi non hanno accesso alla coscienza del protagonista in coma, ma quest’ultimo, al contrario, può vedere il corpo del se-stesso-vivo, disteso su un letto d’ospedale, intubato e circondato da infermiere e parenti, attraverso uno schermo televisi-vo. Gli unici, rari casi in cui tra mondo della vita e mondo della semivita non esiste alcun legame di partecipazione sono, da un lato, i romanzi a tema NDE, nei quali il passaggio allo s.i. è temporaneo e reversibile e prende spesso la forma di una visita intenzionale; dal-l’altro (ma si tratta di un romanzo che conosco ancora solo da citazioni), Pincher Martin di Golding, che porta alle estreme conseguenze narrative e retoriche proprio l’esclusione ontologica del semivivo dalla sua realtà di origine.

A questo punto, ciò che rende interessante lo studio della presenza è il fatto che a tipi diversi di manifestazioni corrispondono idee diverse di presenza. Deduco questa tesi dal saggio di J. Sconce Haunted Media: Electronic Presence from Telegraphy to Television, di cui ho letto delle citazioni in Bennett: «The liveness of transmitted voices is a displaced life, existing in the wrong place and for inexplicable purposes. Live telecommunication is only as live as the living dead». Problematizzare modi e forme della presenza significa allora problematizzare sia il fondamentale elemento di connessione tra s.i. e mondi dei vivi, sia l’interfaccia che connette materialmente l’io prima della morte e quello stesso io nello stato intermedio, sia la manifestazione tangibile della coscienza del semivivo nel suo rapporto coi vivi. In quest’ultimo caso, ciò rimanda ad uno specifico settore delle rappresentazioni narrative della coscienza, relativo ai modi in cui una coscienza può rendersi presente e percepibile ad altri a partire da una posizione esterna sia al mondo dei vivi sia a quello dei morti.

La prima grande distinzione che si può operare è ovviamente quella tra presenza fisica e presenza disincarnata. Quest’ultima, a sua volta, può essere mentale e manifestarsi, ad esempio, tramite la telepatia: è il caso della madre semiviva del protagonista di Nightflyers di Martin, la quale è prima di tutto una presenza mentale che abita l’astronave, ed è percepibile come tale dai personaggi dotati di poteri psichici e telepatici. Vedi ad esempio questo passo, dove a parlare è appunto il telepate dell’equipaggio:

I don’t know, I don’t know. Yet it’s there, I feel it. Karoly, I’m picking up something. You know I’m good, I am, that’s why you picked me. Class one, tested, and I tell you I’m afraid. I sense it. Something dangerous. Something volatile—and alien.

La presenza può essere inoltre digitale/informatizzata e manifestarsi per vie tecnologiche. La presenza è così indissolubilmente legata alle tecnologie della semivita, su cui vedi il punto successivo (non so ancora come integrare le due cose in un unico capitolo, intanto le tratto separatamente).

Un insieme piuttosto vasto di immagini e situazioni narrative si offre a questo punto all’analisi semiotica, per studiare in esse il rapporto tra la manifestazione del semivivo, la

(13)

sua identità e (laddove percepibile) la sua coscienza. Penso, ad esempio, a questo passo da Ubik (p. 8): «Upright in her transparent casket, encased in an effluvium of icy mist, Ella Runciter lay with her eyes shut, her hands lifted permanently toward her impassi-ve face», in cui l’aspetto da statua funebre medievale, circondato da nebbia, contrasta con la bara trasparente e col fatto che la nebbia è in realtà un refrigerante, creando uno scarto tra manifestazione del corpo del semivivo, congelato ed inerme, e manifestazione della sua coscienza, completamente slegata dal corpo ed ormai dislocata in un altro stato dell’esistere.

Un’altra immagine che crea un fortissimo contrasto tra manifestazione visiva del se-mivivo ed identità di questi da vivo è quella del robot Evangelion nella serie animata Neon Genesis Evangelion di H. Anno: i suoi tratti mostruosi e giganteschi diventano per il protagonista insopportabilmente terrificanti dopo aver appreso che il robot è ’abitato’, non sappiamo precisamente in che modo, dall’anima della madre. Si proverà di seguito a specificare altre parole chiave, derivanti dalla descrizione di altre forme narrative della presenza.

La comunicazione coi semivivi si basa in primo luogo sull’ascoltare la loro voce, direttamente o per mezzo di un apparato comunicativo che la sleghi o la allontani dalla fonte reale d’emittenza. Ciò che rende il Valdemar di Poe così spaventoso è proprio il suo rappresentare una fonte di emittenza non mediata che produce una messa in discorso dello stato intermedio nel quale si trova il personaggio. In Ubik i semivivi si manifestano come voce nella cornetta di un telefono; anche Nightflyers gioca molto sull’isotopia della disembodied voice, anche se non si tratta della voce del semivivo, bensì di quella di suo figlio.

Lo slegare la voce dal corpo conduce alla diffrazione della persona nelle sue singole componenti e manifestazioni, che non vengono più percepite come un insieme organico. Si veda questo breve esempio da Nightflyers, anche in questo passo non si sta parlando di un semivivo: «To his riders, he was a disembodied voice over the communicators that sometimes called them for long conversations, and a holographic spectre that joined them for meals in the lounge» (Nightflyers, p. 58).

La presenza de-materializzata può condurre, in alcuni casi, all’instaurarsi di una pre-senza pre-senza centro: l’incontro tra informatizzazione della coscienza ed internet produce, in Transcendence, l’inserimento della coscienza del protagonista Will nel web. Will ha perso il suo corpo fisico per abitare letteralmente la rete e manifestarsi attraverso qua-lunque apparato telecomunicativo collegato ad internet. L’identità di Will non ha più un ’centro’ e dipende, dal punto di vista semiotico, dalla sua ’incarnazione’ in una serie di avatar in forma personale. Per di più, alla fine del film riesce effettivamente a rimediare a questa perdita di centro ricreando il suo corpo, per ristabilire la propria presenza in forma personale e corporea nel mondo.

(14)

d’animazione di Mamoru Oshii Ghost in the Shell 2: Innocence. Il suo io è stata caricato nella rete ed esiste solo come un insieme di dati nella rete stessa. Può occasionalmente ’incarnarsi’ in dei cyborg, ma caricandovi solo una parte dei dati relativi al suo sé, in spazi di memoria limitati. Quello che si perde, in questo tipo di immortalità smaterializ-zata, è proprio la possibilità di stabilire un contatto con i vivi se non occasionalmente e parzialmente.

Il contatto tra vivi e semivivi si può stabilire anche attraverso la manipolazione del reale. In Nightflyers la protagonista semiviva uccide i membri dell’equipaggio del figlio manipolando armi con la telecinesi, cosa che produce immagini decisamente inquietanti (da aggiungere alla lista delle analisi semiotiche). Il semivivo, in questo testo, è allore un’entità trans-spaziale che manipola lo spazio dei vivi. In Ubik la manipolazione del reale diventa addirittura bidirezionale: vedi le monete, la scritta «I’M THE ONE THAT’S ALIVE. YOU’RE ALL DEAD» e le trasmissioni televisive attraverso le quali Runciter cerca di entrare in contatto col protagonista6.

Si può ora spostare l’attenzione su quei testi che presentano una visione più o meno consolatoria nel’aldilà, costruendo un mondo narrato nel quale è possibile per i morti entrare in contatto coi vivi, magari con l’aiuto di s.i.

Le «memories nearly made solid» dei cari di Harry Potter, manifestando la loro pre-senza al protagonista, modificano il significato della morte: essa non significa aspre-senza, ma sono presenza da qualche altra parte. Stesso discorso vale per Hereafter di East-wood, che associa significativamente due storie parallele, l’una relativa alle NDE, l’altra al contatto coi morti. Voice of Our Shadow, al contrario, ri-spostando la presenza dei mor-ti in questo mondo, ribalta l’assiologia posimor-tiva di solito associata al mantenimento della presenza, di cui Harry Potter è l’esempio lampante: le persone che ti hanno tormentato in vita continueranno a tormentarti anche dopo, mascherate in altri corpi. In tutti questi casi, inoltre, il punto è non solo che i morti continuano ad esistere, ma che continuano ad essere le stesse persone che erano da vive, laddove invece molti altri testi tematizzano appunto, attraverso le forme della presenza, lo scarto che esite tra l’identità delle persone vive e delle persone non-più-vive.

Tecnologie e tecniche della semivita Domanda analitica: come funzionano e come vengono rappresentate le tecniche e tecnologie che rendono possibile la semivita?

Tecniche e tecnologie della semivita sono l’insieme di pratiche, strumenti, macchine e conoscenze che permettono di creare, mantere e permettere l’ingresso ad uno s.i., nonché di collegare la vita e lo s.i. Il legame tra semivita e tecnica è, per la maggior parte dei testi,

6Casi simili si verificano anche in un testo che col nostro corpus non ha nulla a che fare, come il film Mr

Nobody, nel quale oggetti, giornali, scritte e cartelloni pubblicitari indirizzano dei messaggi al protagonista .

(15)

strettissimo7: da un punto di vista storico, è interessante notare che il primo esempio di

s.i. del corpus in ordine cronologico, il Valdemar di Poe, riposa non su un’invenzione narrativa afferente all’immaginario gotico o magico (quello su cui riposano fantasmi e vampiri!), bensì su una tecnica effettivamente sperimentata nel mondo primario quale il mesmerismo. In casi come questo e in tutti i testi di fantascienza del corpus, tecniche e tecnologie non si limitano a mettere in atto lo s.i., ma lo rendono pensabile: così la forma della tecnica costruisce necessariamente la forma della semivita. Come nel punto prece-dente, il corpo del capitolo sarà formato da analisi semiotiche di macchine e tecnologie della semivita, con particolare attenzione ai loro presupposti di funzionamento, ai modi in cui ciascuna tecnologia plasma la semivita, ai collegamenti che instaura (se tale è il caso) tra s.i. e mondo dei vivi ed ai modi in cui influenza materialmente e semioticamente il personaggio semivivo. Nuove parole chiave e linguaggi descrittivi potrebbero derivare da studi di antropotecnia e da studi delle rappresentazioni estetiche di questa.

Le tecnologie della semivita si situano al crocevia di ingegneria, medicina e robotica e presuppongono, nella maggior parte dei casi, l’interpretazione del cervello come una macchina, il cui funzionamento può essere reso indipendente dal corpo. Ciò emerge con particolare evidenza in Rautavaara, nel quale il cervello della protagonista è tenuto in vita grazie all’apporto di nutrimenti provenienti dal corpo della protagonista stessa: (p. 387) «We instructed it to begin the synthesis of nutriments by processing Rautavaara’s body, by using it as raw material».

Questa pratica riposa esplicitamente sull’interpretazione (promulgata, si noti bene, da una razza aliena di enti non-corporei ed in quanti tali definiti «Approximations» dagli umani) del corpo come mero strumento: (p. 388) «The physical body is a device». Questa visione strettamente funzionalista dell’essere umano propone un punto di vista straniante del rapporto tra persona e corpo, privato di ogni senso simbolico e ridotto a residuo che può essere ‘mangiato’. I protagonisti umani reagiranno proprio denunciando il processo cannibalico che gli alieni hanno messo in atto ed il fatto che Rautavaara non è solo il suo cervello (p. 388 «What good is a brain qua brain?»). Ciò a cui la tecnologia aliena del testo ci mette davanti, è insomma la brutalità della riduzione della condizione di esistenza di Rautavaara a un semplice e nudo cervello, fluttuante nello spazio all’interno di un’a-stronave distrutta, i cui pensieri possono essere inviati all’esterno attraverso una semplice trasmissione video ed esperiti da un pubblico come fossero un testo estetico.

Parlando di trasmissinone video, diverse tecnologie della semivita si basano sull’in-staurazione di una sorta di sistema di telecomunicazione che funga da canale tra vivi e semivivi. La cosa è palese in Ubik, si veda ad esempio: «So the afterlife is there, but we still can’t seem to tap it» (p. 50), dove «tap» è il verbo che si usa appunto per intercettare

7Questo punto riguarda essenzialmente i testi fantascientifici del corpus. Nei testi riconducibili ad altri

campi del fantastico, la semivita è parte dei presupposti di esistenza del mondo narrato (per una riformula-zione precisa dovrà venirmi in aiuto la teoria del fantastico) e non ha bisogno di essere creata per mezzo di tecniche o altri espedienti.

(16)

le chiamate telefoniche. Questi apparati tecnologici, in Ubik, si fondano a loro volta sul-l’analogia tra onde cerebrali ed onde radio, ossia su una costruzione della “psiche” come capace di propagarsi sotto forme captabili e manipolabili, nonché di agire su altre menti.

Sul piano narrativo ciò conduce, da un lato, alla costante messa in evidenza del carat-tere esclusivamente verbale della "visita al semivivo"; dall’altro, all’enfatizazzione degli aspetti tecnici della semivita, dell’insieme di oggetti, cavi, connessioni, microfoni che rende la "visita" possibile. Si veda ad esempio questo brano in cui Volgesang, il capo del moratorium, si sintonizza letteralmente col semivivo:

When he located the correct party he scrutinized the lading report attached. It gave only fifteen days of half-life remaining. Not very much, he reflected; au-tomatically he pressed a portable protophason amplifier into the transparent plastic hull of the casket, tuned it, listened at the proper frequency for indica-tion of cephalic activity. Faintly from the speaker a voice said, "...and then Tillie sprained her ankle and we never thought it’d heal; she was so foolish about it, wanting to start walking immediately..."» (Ubik, p. 5).

Sempre in Ubik, la combinazione di telecomunicazioni e poteri psichici è portata alle estreme conseguenze, permettendo la circolazione delle coscienze dei semivivi in un’uni-ca mente collettiva: si tratta di uno dei risultati più eclatanti delle tecnologie della post-vita, che smantella l’identità personale, addizionandola ad altre identità fino a renderle quasi indistinguibili. Si veda questa citazione, dove a parlare è Ella Runciter:

It’s so weird. I think I’ve been dreaming all this time, since you last talked to me. Is it really two years? Do you know, Glen, what I think? I think that other people who are around me - we seem to be progressively growing together. A lot of my dreams aren’t about me at all. Sometimes I’m a man and sometimes a little boy; sometimes I’m an old fat woman with varicose veins... and I’m in places I’ve never seen, doing things that make no sense. (Ubik, p. 9).

Nei casi in cui la narrazione non fornisce informazioni precise sulle tecn* della semivita, abbiamo comunque a disposizione tutti gli oggetti che quelle tecn* producono e la cui complessità ben si presta all’analisi semiotica: tra i più interessanti, oltre allo spray Ubik (che funziona letteralmente come un “fissante” per l’individualità del semivivo), penso al cristallo che, in Nightflyers, ’contiene’ la madre semiviva del protagonista

I have held the Nightflyer’s crystalline soul within my hands. It is deep and red and multifaceted, large as my head, and icy to the touch. In its scarlet depths, two small sparks of light burn fiercely and sometimes seem to whirl. [. . . ] I have laid rough hands on that great crystal, knowing that it is where she lives. (Nightflyers, p. 53).

(17)

Il cristallo possiede caratteristiche inquietanti simili a quelle dell’’uovo’ che, ne Il grande Ritratto di Buzzati, racchiude la coscienza della moglie morta di uno dei protagonisti:

Una grande invenzione. In uno spazio minimo racchiusa l’essenza della crea-tura, il carattere, l’impronta misteriosa che ci fa diversi l’uno dall’altro. A vederlo, in paragone del resto, sembra una cosa ridicola. Un uovo di vetro, alto un paio di metri. Lo vedrà. Con dentro il capolavoro supremo della scienza. Io stesso il segreto non lo conosco. Aloisi se lo è portato nella tomba (Il grande ritratto, p. 35)

Elisa fa alcuni passi verso l’uovo, leva la destra, non ha osato. "Tocca, tocca, cara. E’ la mia carne." Elisa sfiorò coi polpastrelli il vetro. Niente. Come vetro, qualsiasi. Appena appena intiepidito. Sorride, benché non ne avesse voglia. Non sentiva più Laura, non la riconosceva più, ora che è in sua balia (Ibidem, p. 70).

Forme e modi dell’agire Domanda analitica: è possibile classificare i modi e le con-notazioni dell’agire dei semivivi secondo categorie ricorrenti? Quali tipi di rapporti tra personaggi e tra mondi esse configurano?

La questione fa, in un certo modo, da contraltrare a quella relativa a forme e modi della presenza e deriva da una domanda più immediata e banale: cosa fa la gente dentro gli s.i.? Quali eventi si producono e come sono connotati? Non mi è possibile, a questo stadio della ricerca, proporre una classificazione esaustiva, ma ciò non esclude la possibilità di analizzare qualche caso interessante. Questo punto è ancora una sorta di moncone, credo, nel quale sono confluite parole chiave che ho preso qui e là senza riuscire a trovargli una giusta collocazione.

Inizio con qualche esempio: in Ubik l’agire è legato principalmente (ma non solo) all’inchiesta, alla ricerca, e sfocia nella rivelazione che la propria identità è radicalmente diversa da quella che si pensava di possedere. A questo agire corrisponde un intreccio ’da poliziesco’. In Nightflyers il semivivo si trova invece in uno stato di latenza ed inattività che però, se turbato dalla presenza di altre persone sull’astronave, si scatena in uno sfre-nato comportamento omicida. In modo ancora diverso, in Voice of Our Shadow l’azione dei semivivi risponde all’architettura della vendetta.

Un’altra categoria interessante che viene messa in relazione con la semivita è, al con-trario, il non-poter-agire, il dover sottostare ad una condizione o ad una scelta imposta arbitrariamente dall’esterno. L’incubo grottesco che viene fatto subire a Rautavaara e l’inferno in terra nel quale il protagonista di The Tunnel scopre di vivere (salvo poi di-menticarlo la mattina dopo al risveglio) si apparentano in parte a Gracco ed in parte a Poe.

Da un lato, si tratta s.i. caratterizzati da un’assoluta sottomissione del semivivo rispet-to a quanrispet-to è starispet-to scelrispet-to per lui, rispetrispet-to al suo destino, e quesrispet-to starispet-to di assoluta sotrispet-to-

(18)

sotto-missione produce un universo spaventoso. C’è tutto il senso kafkiano, per l’appunto, della condanna. Il collegamento con Poe si stabilisce osservando che si tratta di esperienze di assoluta passività: la semivita è una condizione che si subisce e rispetto alla quale si è più o meno completamente passivi. Rautavaara e The Tunnel parlano dell’assoluta inermità di corpi morti, manipolati, trasformati e, non a caso, fatti oggetto di sperimentazione.

Il senso della condanna in The Tunnel è solo temporaneo per il protagonista, visto che, come si è detto, poi tornerà alla sua beata incoscienza, ma il racconto ci lascia prendere atto di questa condanna, del momento di crisi e rottura di una quotidianità ripetitiva prima del ritorno alla normalità. In tutti questi casi, i semivivi sono condannati all’isolamento, all’esclusione dalla comunità dei vivi. La semivita di Rautavaara, in particolare, è una condizione drammaticamente autistica, in cui la psiche si ripiega completamente su se stessa, senza possibilità di entrare in contatto con l’esterno.

All’estremo opposto di questa condizione di passività si colloca Will, il protagonista di Transcendence: all’essere assolutamente inerte corrisponde qui l’essere massimamente potente, la capacità ci connettersi a tutto e tutti, di agire sull’intero pianeta, di propagar-si come un virus, di entrare in possesso di qualunque coscienza: lo stato intermedio è per Will lo stato della divinizzazione. All’assoluto autismo corrisponde qui l’assoluta estroflessione ed interazione col mondo dei vivi: grazie alle nanotecnologie da lui stesso sviluppate, Will è in grado di guarire malati e feriti in un modo che si apparenta, per la sua potenza e la sua quasi-istantaneità, al miracolo. Vedi anche la citazione che ho riportato al punto seguente, alla parola chiave ’Individualità’.

Tra questi due estremi del ’poter-agire’ si collocano gli altri testi — Ubik è il capo-lavoro dell’interazione tra vivi e semivivi nel determinare le sorti del protagonista — nei quali i semivi sono dotati di margini di manovra più o meno ampi.

Stati intermedi come condizioni del disfacimento Domanda analitica: in che modo gli s.i. rappresentano il disfacimento?

Questa domanda ne presuppone un’altra, formulabile in questo modo: «Quali signifi-cati sono associati in maniera ricorrente nelle rappresentazioni degli si.i?». La cui rispo-sta è: «I significati riconducibili al concetto di “disfacimento”». La letteralizzazione più eclatante di questo disfacimento è quanto accade al corpo di Valdemar appena uscito dalla trance mesmerica, che si decompone rapidissimamente, lasciando davanti agli spettatori ed al lettore solo un ammasso indistinto nel quale non è più possibile in nessun modo riconoscere il Signor Valdemar.

Il concetto di disfacimento si definisce, per opposizione, rispetto a quello di annien-tamento, che designa la cessazione pura e semplice della coscienza e dell’esistere. Il disfacimento è invece un processo di deterioramento (del soggetto e/o del reale) alla fine del quale ci si ritrova trasformati ad un punto tale da non potersi più riconoscere come se stessi. La premessa a questa domanda è che l’esperienza del disfacimento suscita

(19)

dispe-razione o paura in chi vi assiste: un esempio efficace di questa correlazione emotiva sono i sentimenti che normalmente associamo all’Alzheimer.

La prospettiva più spaventosa che alcuni di questi testi aprono, è allora quella di fa-re esperienza cosciente e consapevole di questo disfacimento. Si legga questo passo da Slusser et al., 1996: «The terror here [in the possible recollection of the moment of sleep, which might «destroy the continuity of subjective experience»], as in Parkinson’s or Alz-heimer’s disease, is conscious experience of the deterioration of consciousness itself » (p. 80, corsivo mio). Si rpocederà schematicamente a partire da una lista di parole chiave.

Residualità. In alcuni s.i. si prende atto del disfacimento a partire dalla consta-tazione che ciò che esiste non è che il residuo di ciò che dovrebbe esistere. Il concetto di ’residuo’ presuppone l’esitenza di un intero che si è disgregato a seguito di un danno o di un trauma, e di cui restano dei brandelli. Ciò significa, in ultima analisi, che gli s.i. residuali sono versioni ’impoverite’ o ’ridotte’ della vita, che rappresentava l’intero di partenza, e come tale si oppongono a stati intermedi che invece ’amplificano’ la vita (si veda Transcendence). In Les Revenants di Campillo (il film che ha ispirato la serie) i ’ritornati’ sono la versione residuale di loro stessi. Sono incapaci di articolare pensieri originali, come se avessero subito un danno cerebrale; la loro lingua, fatta quasi solo di balbettamenti insensati, è «un mélange d’écho et souvenir»8, due elementi interpretabili

come la forma residuale di un avvenimento. I ritornati vivono insomma dei rimasugli della loro prima e “vera” vita. L’uso dell’aggettivo “vera” stabilisce una relazione tra vita e semivita in termini di «vero vs falso» o «autentico vs inautentico»: relazioni di queso tipo potrebbero essere esplicitate ed analizzate sistematicamente in questo ed altri capitoli (come, del resto, era emerso già alla fine dell’analisi delle parole chiave).

In Ubik è invece la realtà esperita nella semivita a farsi residuo, rivelandosi come il residuo della realtà dentro il residuo della vita, ed il protagonista deve lottare perché questo residuo non si azzeri, portando definitivamente via la realtà. Si legga la definizione degli stati iniziali della semivita offerta da Runciter:

You see, world deterioration of this regressive type is a normal experience of many half-lifers, especially in the early stages when ties to the real reality are still very strong. A sort of lingering universe is retained as a residual charge, experienced as a pseudo environment but highly unstable and unsupported by any ergic substructure. This is particularly true when several memory systems are fused, as in the case of you people. But with today’s new, more-powerful-than-ever Ubik, all this is changed! (Ubik, p. 65, corsivi miei)

8Sono le parole di un medico che ha studiato il linguaggio dei ritornati. La condizione mentale di questi

ultimi viene anche definita un «desynchronisme par rapport à la réalité» simile a quello che si verifica nelle afasie post-traumatiche.

(20)

Perdita dell’individualità. Ancora in Ubik, il protagonista deve far fronte ad una minaccia ancora maggiore rispetto alla perdita della realtà: la perdita di sé. La vicenda di Ubik può essere riassunta come la vicenda di un uomo sul punto di morire (cioè di su-bire l’annientamento del proprio sé) che tenta - vittoriosamente - di conservare la propria identità e la propria individualità (come si è visto, i due termini in Ubik non sono neces-sariamente coincidenti). La minaccia di questa perdita si concretizza nella minaccia della fagocitazione da parte di Jorik, un semivivo che si ’nutre’ della vita altrui: «[Jorick:]It’s hard to explain, but I’ve been doing it a long time to lots of half-life people. I eat their life, what remains of it. There’s very little in each person, so I need a lot of them».

Questo aspetto del nutrirsi, della fagocitazione e del cannibalismo9 rappresenta un forte punto in comune tra alcuni abitanti degli s.i. e la figura tradizionale del vampiro. D’altro canto, ciò che si profila davanti al protagonista, una volta scampato alla perdita dell’individualità, è comunque una fluidificazione di essa, poiché le menti dei semivivi finiscono col vivere in un flusso di pensieri e ricordi collettivi.

I rapporti tra semivi in Ubik potrebbero venire modellizzati in termini economici. Ubik vede lo scontro tra 2 tipi di semivita: da un lato, quella ’pacifica’ dei semivivi norma-li, che si scambiano ricordi e pensieri in una sorta di apparato circolatorio telepatico, cosa che li aiuta, tra le altre cose, a sentirsi meno soli. Si tratta di un tipo di esistenza che ’affie-volisce’ l’individualità ma senza annullarla, la fa piuttosto circolare tra più enti. Dall’altro lato, quella violenta e fagocitatoria dell’antagonista, che ’accresce’ la sua individualità e divora quella altrui, annientandola. Si profila una sorta di opposizione tra l’accettazio-ne della perdita parziale dell’individualità, che porta condivisiol’accettazio-ne e non-solitudil’accettazio-ne, ed il rifiuto di essa, che porta invece desiderio di appropriazione ed accentramento.

Versione quasi divinizzata di Jorick può essere invece considerato Will, la coscienza computerizzata del protagonista di Trascendence, il cui scopo ultimo (che gli vale, preve-dibilmente, la distruzione) è di ’inserirsi’ nella coscienza di ciascun abitante del pianeta tramite sofisticatissime nanomacchine, riducendo la popolazione umana ad un’immensa emanazione transpersonale della propria individualità. Si legga un dialogo del film in cui si parla di queste nanomacchine

– It’s in the rain

– Keep watching. Everywhere it can, it builds copies of itself. Particles join the air currents which carry them all over the surface of the planet. It’s in the sky, it’s in the land, in the water, it’s everywhere. By next summer, we think the machine could have encased the entire planet.

– Why?

– The end of primitive organic life, and the dawn of a more advanced age. Everything would exist just to serve its intelligence».

(21)

Si noti che i due protagonisti del dialogo, rispettivamente la moglie ed il migliore amico di Will, si riferiscono a lui come «it» e «the machine». Tra i due esempi di perdita del-l’individualità proposti c’è una differenza sostanziale: nel primo caso, a subire la perdita sono gli abitanti degli s.i.; nel secondo, al contrario, sono gli abitanti del mondo dei vivi, per effetto dell’abitante dello s.i. Tuttavia, la narrazione tematizza più di una volta il fatto che, dal punto di vista dei vivi, anche Will è minacciato dalla perdita di individualità: in particolare, sua moglie ha un incubo in cui lo vede letteralmente disintegrarsi, alludendo alla ricodificazione in una serie di bit della quale il marito è stato fatto oggetto. L’identità di Will è diventata particellare e volatile, e si diffonde come un virus.

Simulacri. In Ubik e The Tunnel, quella che si pensava fosse la realtà ’normale’ si rivela qualcosa di diverso, un’altra realtà che imita quella dei vivi, mostrando delle crepe sempre più evidenti che conducono progressivamente allo smascheramento. In The Tunnel, in particolare, il mondo di cui il protagonista fa esperienza è stato realmente ed appositamente costruito come un simulacro, come la riproduzione della realtà dei vivi:

The stained cement floor of the cellar was a thin shell. He found a hammer and cracked it off in a dozen spots - everywhere was metal. The whole cellar was a copper box. Even the cement-brick walls were false fronts over a metal sheath! [...] It was as though someone had shored up the house with a frame of metal and then laboriously concealed the evidence. The biggest surprise was the upside-down boat hull that blocked the rear half of the cellar, relic of a brief home-workshop period that Burckhardt had gone through a couple of years before. From above, it looked perfectly normal. Inside, though, where there should have been thwarts and seats and lockers, there was a mere tangle of braces, rough and unfinished. ‘But I built that!’ Burckhardt exclaimed, forgetting his thumb. He leaned against the hull dizzily, trying to think this thing through. For reasons beyond his comprehension, someone had taken his boat and his cellar away, maybe his whole house, and replaced them with a clever mock-up of the real thing.

L’uso del termine ’simulacro’ ricondice immediatamente a Baudrillard e alla mappa di Borges che diventa indistinguibile da ciò che viene mappato. Un’altra possibile lente interpretativa potrebbe essere l’effet de réel di Barthes: la barca è un po’ come l’orologio di Flaubert, serve a dire al protagonista che quella in cui vive è la realtà. Quello che il protagonista scoprirà, è che la barca non è che la testimonianza (o meglio, l’imitazione di una testimonianza) di un ricordo che non esiste.

Intersoggettività. Il disfacimento può attaccare gli s.i. anche colpendo direttamen-te al cuore ciò che li sostiene in quanto mondi: la relazione indirettamen-tersoggettiva che lega più

(22)

semivivi ad una stessa semivita. In Ubik, ciò si risolve nella perdita di coerenza intersog-gettiva del reale: esso non sta più in piedi perché i personaggi, detto in maniera banale, non percepiscono più il reale come composto gli stessi oggetti:

“What did you see?" Joe was saying to him. "That made you tell me not to get in the elevator?"Al said, "Didn’t you see the old elevator? Open cage, brass, from around 1910? With the operator sitting on his stool?""No," Joe said."Did you see anything?""This." Joe gestured. "The normal elevator I see every day when I come to work. I saw what I always see, what I see now." (Ubik, p. 61)

E si aggiunga a tutto ciò il fatto che questi oggetti sono, a loro volta, la creazione della coscienza di un altro semivivo. La costruzione della realtà risulta dunque dal rapporto tra due coscienze, una che crea, l’altra che percepisce, senza che nulla pre-esista a questo rapporto.

In Ubik il disfacimento della coerenza intersoggettiva dello spazio è inoltre affiancato dal difacimento della linearità del flusso temporale: l’attacco allo s.i. in quanto mondo è totale. Che questo disfacimento proceda all’indietro (vedi gli spazi della semivita che regrediscono verso stati temporali anteriori) o in avanti (vedi i compagni semivivi di Joe che invecchiano rapidissimamente fino a morire e mummificarsi), esso risponde ad uno stesso fine: il tempo presente della semivita viene reso inconsistente da una doppia fuga del reale, contemporaneamente verso il passato e verso il futuro. Lo spray Ubik funge, in questa situazione, da tecnologia anti-disfacimento.

In modo ancora più drammatico, anche la coerenza intersoggettiva dell’io può essere attaccata: il protagonista di The Tunnel finisce con lo scoprire almeno alcuni dei ricordi che possiede non corrispondono ad alcuna esperienza reale. La vicenda di the Tunnel, inoltre, inizia già nella semivita: nulla permette al lettore ed al protagonista di stabilire una continuità tra il sé vivo ed il sé semivivo.

La questione dei ricordi-simulacro è anche trattata in un racconto di Dick che non appartiene al corpus, We Can Remember It for You Wholesale (racconto che ha ispirato il film Total Recall [Atto di Forza]), nel quale i ricordi possono essere manipolati a pia-cimento, con mezzi tecnologici. Sempre a proposito dei ricordi, ma in prospettiva molto diversa: l’esperienza della NDE in Passage è estremamente fragile dal punto di vista me-moriale e della testimonianza, e la principale preoccupazione dei personaggi è proprio il non costruire confabulazioni, lo sforzarsi di testimoniare la NDE nella maniera più fedele possibile prima che venga irrimediabilmente sfigurata dalle contaminazioni che proprio da quello sforzo derivano. Questo tentativo tematizza lo scarto che esiste tra il vivere un’esperienza mentale ed il narrarla, cercando così di trasportarla, dal punto di vista semiotico, in un altro mondo (o perlomeno in un altro stato della coscienza)..

(23)

Malattia. Il concetto di malattia10è frequentemente associato, anche solo sul piano

intuitivo, all’idea del disfacimento, del danno e del trauma, ed in quanto tale è un mezzo molto efficace di caratterizzazione della semivita. Vedi la similitudine tra condizione dei Reventnats e l’afasia post-traumatica visto alla nota 53. Passage di Willis, in particolare, stabilisce una relazione sistematica tra NDE ed Alzheimer come condizioni di morte-nella-vita: «Don’t be ridiculous, she thought. He has Alzheimer’s. The neurotransmitters have shut down and the brain cells are deteriorating and dying, and his memory along with them, and if you ever wanted proof that there isn’t an afterlife, all you have to do is look at a patient in the final stages of Alzheimer’s, when he’s not only forgotten his own niece and the word for sugar, but all words, and how to talk, how to eat, who he is. The soul not only doesn’t survive death, with Alzheimer’s, it doesn’t even survive life. The Mr. Briarley who knew what he’d said in class that day was dead.» (p. 263, corsivo mio). Oltre al disfacimento, la malattia può implicare anche il contagio: è quanto accade in Transcendence, nel quale l’io del protagonista semivivo si propaga sotto forme di micro-scopiche macchine che, passate al microscopio, somigliano a batteri. Che cosa implica quest’idea di un’identità contagiosa?

Immortalità provvisorie Domanda analitica: quali relazioni si stabiliscono tra s.i. ed immortalità?

Come si è già visto, alcuni s.i. non sono transitori e temporanei e si risolvono nella condanna ad un’eternità di oblio e ripetizione. Esiste tuttavia un’altra categoria di testi, nei quali lo s.i. si configura come potenzialmente eterno, e la vicenda ruota attorno alla minaccia rappresentata da questa potenzialità ed ai mezzi per non attualizzarla. Molti (ma non moltissimi) personaggi immortali popolano la fantascienza, tuttavia la loro condizio-ne rende problematica la loro narrabilità. Nella sua definitiva fissità, l’immortalità sembra infatti più apparentata alla morte che alla vita; gli s.i., al contrario, nella loro caducità e transitorietà, si apparentano molto più strettamente alla vita.

In Transcendence, in particolare, il protagonista assapora per qualche tempo il potere illimitato di una sorta di dio immortale, ma questa l’immortalità si rivela infine essere so-lo una liberazione dai limiti della bioso-logia e dell’invecchiamento, non nell’eliminazione della morte dall’orizzonte del semivivo. La coscienza informatizzata di Will diventa ben presto l’antagonista della narrazione, qualcosa di terribilmente minaccioso, che bisonga eliminare, ed il prezzo della vittoria per i vivi sarà altissimo non già in termini di vite uma-ne, bensì in termini di regresso tecnologico: poiché Will vive nella rete e nei computer, per ucciderlo bisognerà spegnere internet, insieme a tuti i computer del mondo.

10Non ne so molto, ma potrebbe essere utile distinguere tra malattia, disturbo, sindrome, conseguenze

di un trauma ecc. per analizzare meglio i testi del corpus da questo punto di vista. Per ora, il concetto di «malattia» permette di inglobare una serie di fenomeni e caratterizzazioni che rinviano con precisione all’immaginario medico e psicopatologico (o psichiatrico? non so distinguere i due termini).

(24)

In modi diversi e meno complessi dal punto di vista semiotico, anche Fireship di Vinge narra dell’uccisione di una coscienza informatizzata. Un caso di immortalità po-tenziale molto diverso e molto complesso è il personaggio di Voldemort, con la reta di rapporti che stabilisce tra sopravvivenza, oggetti, persone e magia. Anche in questi casi, il potenzialmente-immortale è l’antagonista.

Da un punto di vista teorico, le immortalità provvisorie ci rendono coscienti di un limite narrativo: in un qualunque racconto che includa un essere potenzialmente eterno ma fissato immobile ad un computer, l’unico modo perché questi abbia un ruolo forte nella narrazione è fargli vivere una vicenda in cui la sua vita venga messa in pericolo. In quanto sostanzialmente anti-narrativa ed anti-teleologica, l’immortalità rappresenta, in un certo senso, una minaccia per la narrazione, e questi testi mettono in scen la vittoria della teleologia sull’anti-teleologia.

Implicazioni queer Domanda analitica: in che senso e con quali esiti gli s.i. rappresen-tano una decostruzione queer della polarità vita-morte?

L’idea è quella di sfruttare il potenziale sovversivo insito nel rapporto tra fantastico ed incertezza ontologica. Quest’ultima è ottenuta tramite l’impossibilità, da parte del protagonista, di riconoscersi come vivo o morto (vedi Ubik e The Tunnel) o tramite l’im-possibilità, da parte dei vivi, di distinguere i vivi dai morti (vedi la serie Les Revenants). Queste situazioni narrative legano efficacemente il quadrato semiotico relativo alla po-larità vita-morte al quadrato veridittivo. Come possono essere analizzati in prospettiva queer i risultati di questa interazione moltipolare tra vita, morte, essere e sembrare? E come possono essere analizzate queste figure dell’indistinguibilità? Cosa diventa la vita se potresti essere semivivo senza nemmeno accorgertene?

Implicazioni gender In che modo gli s.i. articolano delle relazioni legate al genere? Rapporto madre-figlio. Implicazioni interessanti e straordinariamente affini sono rilevabili in due testi in particolare: Nightflyers di Martin ed Evangelion di Anno. Questo non intende essere un capitolo di ampio respiro, ma piuttosto una postilla a margine delle argomentazioni ’maggiori’, che potrei completare relativamente in fretta con l’aiuto del prof. Grilli.

Sia in Nightflyers che in Evangelion11 è presente il personaggio di una madre che vive in uno s.i. in stretta relazione con l’inanimato: un’astronave, nel primo testo; un gigantesco robot dalle fattezze mostruose, nel secondo. In entrambi i casi, questo ’mezzo’ ha bisogno di un pilota, e questo pilota può essere solo il figlio, il quale è succube della

11Si tratta di due testi diversissimi: il primo è un racconto americano del 1985, il secondo una serie

Riferimenti

Documenti correlati

• Rischio continuazione della ditta individuale: meglio trasformarla in Snc in quanto nel caso di eredità di ditta individuale, si forma una società di fatto tra gli eredi,

Dentro il quartiere storico non perdere la Plaza de la Merced, presieduta dal monumento a Torrijos e dal sito della casa in cui nacque il famoso pittore Pablo Ruiz Picasso e

Lo stesso vale per la famiglia umana, ma qui è Dio il “genitore”, il fondamento e la forza della nostra fraternità.” La scommessa di questo informatore che ogni tanto entra in

14 Su questo si veda F. Jesi, Introduzione a Carlos Castaneda, L’isola del Tonal, tr. 15 Redistribuire l’energia è la parola chiave del testo Tensegrità. I passi magici

Politici, economisti, intellettuali, e anche gli uomini della chiesa e delle religio- ni hanno espulso lo spirito, inteso non solo come trascendenza ma come apertura laica,

tributo comunale sui rifiuti e sui servizi , a copertura dei costi relativi al servizio di , a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei

Il corona- virus non ha fermato l’attività del nostro Club e ai Soci che, rammaricati, in questi mesi mi hanno espresso solidarietà per come si è sviluppata la seconda

Essenzialmente al passaggio di un’onda gravitazionale, la forma degli oggetti cambia, e questo cambiamento con determinate tecniche può essere misurato!.!. Schema