IV
1. LA LETTERATURA FRANCOFONA: L’AFRICA
1.1 Nascita ed evoluzione del termine ‘francophonie’
Il termine ‘francophonie’ compare per la prima volta sul finire del XIX secolo nell’opera del geografo Onésime Reclus La France et ses colonies.
Dopo aver elencato le popolazioni sotto il governo francese e altri popoli che utilizzano il francese come lingua di comunicazione, Reclus utilizza tale termine da un punto di vista sociolinguistico per indicare l’insieme delle popolazioni che parlano il francese, e da un punto di vista geopolitico per designare l’insieme dei paesi in cui si parla francese. In tale modo Reclus dà un senso approssimativo al termine ‘francophonie’ che in generale indica un raggruppamento di paesi su base linguistica, tenendo conto delle realtà geografiche nate dopo l’espansione coloniale della Francia in Africa, Maghreb, Indocina, e dell’espansione della stessa lingua francese in Europa e America settentrionale.
Dimenticato per più di cinquant’anni, il termine ‘francophonie’ riappare
di nuovo nel 1962 in un numero speciale della rivista Esprit dedicata al
francese nel mondo. Tuttavia parecchie critiche si addensano sull’uso di
questo termine che, in pieno periodo di decolonizzazione, veicola, secondo
alcuni, nostalgie imperiali e progetti espansionistici. Tra gli anni ’60 e gli
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anni ’70 vengono fondate numerose associazioni e istituzioni come l’Association des universités partiellement ou entièrement de langue française (AUPELF), l’Agence de Coopération Culturelle et Tecnique (A.C.T.T.) e le Haut Conseil de langue française che testimoniano l’intenzione di instaurare rapporti più solidi, tra i paesi francofoni per favorire gli scambi tra di essi e coordinare azioni comuni
1.
È solo a partire dal 1986, con la prima conferenza dei capi di stato dei governi dei paesi che hanno in comune l’uso della lingua francese, che si assiste alla ‘volgarizzazione’ dei termini ‘francofonia’ e ‘francofono’ che entrano a pieno titolo nell’uso della lingua comune. Inoltre in questo periodo la Francia inizia a considerarsi come stato facente parte dell’‘espace francophone’. Se da una parte la ricerca di alleati politici tra i paesi francofoni da parte della Francia, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, è stato un modo per scongiurare la sensazione di decadenza della lingua francese di fronte all’egemonia crescente dell’inglese nel mondo, d’altra parte la Francia ha dovuto prendere atto della progressiva indipendenza, in campo politico e culturale, che i paesi di lingua francese stavano guadagnando.
Quest’insieme francofono resta tuttavia squilibrato. In quanto la Francia è lo stato più popolato, più potente in campo economico e predominante in quello della diffusione della cultura. Le culture francofone, e in particolare quelle africane, si sono affermate a fianco del ruolo egemonico della Francia che nel corso degli anni ha saputo apprezzare le caratteristiche di queste letterature.
1
Cfr. J.-L. JOUBERT, Les littératures francophones depuis 1945, Paris, Bordas 1986.
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1.2 La lingua francese nel mondo: il caso dell’Africa sub sahariana.
La lingua francese è presente in quattro continenti, sebbene la concentrazione di parlanti vari considerevolmente da uno stato all’altro. È possibile individuare quattro regioni francofone: i paesi in cui il francese è lingua madre di una comunità da parecchi secoli (l’Europa e il Canada francofoni); i paesi di lingua creola, dove il francese è la lingua d’uso o la lingua ufficiale per una comunità che non la considera come totalmente straniera anche se convive con il creolo (le Antille, Haiti, la Guyana, le isole Mauritius, La Riunione, le Seychelles); i paesi dove, a causa della colonizzazione, il francese è diventato lingua della comunicazione, dell’insegnamento e lingua ufficiale (negli stati dell’Africa nera francofona, nel Madagascar, nel Maghreb, nel Libano); infine i paesi dove sono presenti minoranze che parlano anche il francese come nella penisola dell’Indocina, nel vicino oriente o nell’Europa centrale.
L’Africa sub sahariana rientra nel gruppo di paesi dove la lingua francese è lingua di comunicazione e di insegnamento e coesiste, a volte, con altre lingue africane. L’introduzione del francese è avvenuta durante il XIX secolo in seguito all’avventura coloniale francese e belga. Il processo di assimilazione, voluto dalla Francia nei confronti delle colonie, prevedeva anzitutto un’assimilazione linguistica e culturale dei territori conquistati.
Tale politica avrebbe dovuto conferire alle mire colonialistiche francesi una parvenza di assoggettamento pacifico delle colonie e dei coloni. Esemplare è a tal proposito una circolare sull’insegnamento, scritta da Joseph Gallieni, amministratore e generale francese in Madagascar:
Vous ne devez jamais perdre de vue que la propagation de la langue française
dans notre nouvelle colonie, par tous les moyens possible, est l’un des plus
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puissants éléments d’assimilation que nous ayons à notre disposition et que tous nos efforts doivent être dirigés vers ce but
2.
Tale politica, escludendo le lingue nazionali dall’insegnamento, poiché considerate dai colonizzatori inferiori al francese, le ha relegate al ruolo di subalterne, in quanto, non essendo né insegnate, né scritte, tali lingue sono state impiegate solo nella comunicazione quotidiana e locale. D’altra parte il francese ha avuto il merito di favorire la creazione di un’unità nazionale in un paese composto da varie popolazioni che parlano lingue diverse.
Col processo di decolonizzazione si sarebbero aspettate inevitabili rivendicazioni di indipendenza linguistica, e invece nell’Africa sub sahariana le soluzioni radicali sono state scartate. Le ragioni sono state numerose. La molteplicità di lingue parlate in ogni stato, la difficoltà del passaggio dall’orale allo scritto per tantissime lingue che sino ad allora avevano conosciuto solo una trasmissione orale, le esitazioni politiche e l’assurdità di un abbandono totale del francese hanno reso la lingua francese lingua ufficiale, dell’insegnamento, dell’amministrazione, degli affari e della diplomazia.
La dispersione geografica del francese ha generato numerose variazioni linguistiche legate alla provenienza geografica e al contesto culturale del parlante. Nell’Africa sub sahariana le variazioni linguistiche scaturiscono dalle interferenze tra il francese e le lingue africane. Gli scrittori africani hanno a lungo usato una lingua letteraria piuttosto classica salvo l’introduzione di termini africani, per dedicarsi dagli anni ’60 in poi a una maggiore sperimentazione linguistica.
2
J.-L. JOUBERT, cit., p. 10.
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1.3. Come classificare la letteratura francofona
Da più di quindici anni, il termine ‘letterature francofone’ ha sostituito altri termini ed espressioni utilizzate per indicare le letterature di lingua francese nel mondo. Sia nell’insegnamento, che nella storia della letteratura in generale, i testi sono stati per comodità classificati e raggruppati col criterio delle lingue in cui sono scritti, pertanto ogni letteratura era letteratura nazionale. Tale principio è in parte giustificabile, in quanto la nazione corrispondeva allo spazio geografico delimitato dalla lingua. In base a questo criterio la letteratura di una nazione che parla una determinata lingua ingloba nel patrimonio culturale nazionale tutti i testi scritti nella medesima lingua (nel caso della Francia alcuni scrittori svizzeri come Rousseau o belgi come Simenon saranno considerati scrittori francesi).
Questo principio inizia a perdere validità nel momento in cui viene
meno la congiunzione tra letteratura nazionale e lingua usata, poiché
quest’ultima non corrisponde più alla lingua della nazione, ma a una lingua
straniera o sentita come tale. È il caso della nascita della letteratura di
lingua inglese in America del Nord in seguito all’indipendenza degli Stati
Uniti, e successivamente della nascita di altre letterature di lingue europee
al di fuori del territorio linguistico d’origine dello stato nazione (per
esempio le letterature ispano-americane in America latina e le letterature
francofone in diverse parti del mondo). In una tale situazione risulta
evidente come la lingua usata dagli scrittori sia un elemento insufficiente
per classificarli come appartenenti alla produzione letteraria della nazione
(di cui usano la lingua ufficiale) anziché di un’altra (ovvero quella a cui
appartengono in quanto vi vivono e di cui accettano le tradizioni). Ogni
regione, nel nostro caso francofona, si presenta come comunità di individui
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che sviluppa una cultura specifica. Ma siccome ognuna di queste culture francofone si esprime in lingua francese partecipa inevitabilmente allo stesso progetto culturale. Tali letterature nascono infatti dalla caduta degli imperi coloniali, portano alla ridefinizione dei canoni letterari e interagiscono con le istituzioni, infatti sono inserite nei programmi scolastici e nei circuiti di pubblicazione. Tali testi creano uno spazio culturale francofono, e non francese, perché si mettono in relazione non con la comunità francese, ma con quella che nei testi francofoni vi riconosce i propri valori, problemi e identità, insomma vi si rispecchia.
La nascita della letteratura africana ha messo in discussione l’egemonia letteraria francese. Da una parte la letteratura africana entra in contatto con la letteratura francese perché ha come elemento comune la lingua utilizzata.
Dall’altra diverge da essa perché deriva da una società, da una storia e da una visione del mondo differente da quella della Francia. Anche la lingua utilizzata manifesta questa diversità dal francese standard, in quanto è espressione di tensioni, di incontri di lingue diverse, di significati diversi se non nuovi.
Dal punto di vista della ricezione da parte del lettore, i testi francofoni
per la loro polifonia, impediscono ogni appropriazione univoca. Scritti per
due o più tipi di pubblico, appartenenti, grazie alla lingua, a più culture i
testi francofoni non hanno una ricezione semplice. Il lettore francese, o
comunque non africano, avrà difficoltà a decifrare tutto l’implicito culturale
legato al contesto dello scrittore, che si nasconde sotto l’uso di una lingua
apparentemente familiare e semplice da decodificare. Ma questa difficoltà
di lettura è propedeutica per avvicinarsi alla cultura altra che condivide col
lettore la stessa lingua. È un processo pertanto di continuo arricchimento.
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1.4. La letteratura africana: la tradizione orale
Per interessarsi al vasto patrimonio letterario africano e analizzarlo correttamente è necessario conoscere la letteratura orale che ha preceduto la produzione letteraria scritta apparsa in seguito alla colonizzazione dell’Africa da parte degli Europei.
La letteratura orale era la forma letteraria tradizionale e privilegiata in Africa. Infatti per secoli l’Africa sub sahariana ha sempre diffidato della scrittura come mezzo di diffusione delle opere letterarie, utilizzandola solo in campi specifici quali quello religioso o quello della magia. Pertanto la letteratura scritta africana non si è modellata semplicemente sulle forme letterarie importate dai colonizzatori europei, come la critica occidentale ha a lungo sostenuto, ma ha ereditato gran parte delle tecniche narrative, temi e immaginari dalla tradizione precoloniale orale.
Le figure incaricate della diffusione della letteratura orale erano quella del conteur e quella del griot
3. Mentre il conteur (narratore) è una qualsiasi persona che impara l’arte del narrare da autodidatta, il griot è un vero e proprio professionista che si forma o presso un griot rinomato, o nel caso di società suddivise in caste, presso un anziano della casta dei griot. Il termine griot, di origine incerta, è stato spesso attribuito dagli occidentali a quegli individui delle popolazioni africane, a volte appartenenti alla casta dei poeti-musicisti, che la società africana riconosce come depositari affidabili di miti, epopee, leggende e racconti. La formazione del griot così come il termine specifico che designa questa ‘professione’ varia da popolazione a popolazione. La formazione più rigida era quella dei griot detti
3
Cfr. C. NDIAYE, Introduction aux littératures francophones : Afrique, Caraïbe,
Maghreb, Montréal, Les Presses de l’Université de Montréal 2004.XI
tradizionalisti. Appartenenti a una casta, sono degli iniziati la cui scienza è segreta e sono legati a una famiglia reale di cui conservano la memoria delle origini, la genealogia e tutti gli avvenimenti fondamentali della storia del popolo del loro regno. Sono i depositari non solo del bagaglio culturale di un popolo, ma anche di quello giuridico-politico che legittimano la presenza di un determinato assetto politico. Per questo motivo i griot sono a tutti gli effetti uomini di potere e maestri di eloquenza, espongono le loro conoscenze sia durante le feste di villaggio che in caso di cerimonie ufficiali. La prestazione del griot può durare anche più giorni.
Il conteur del villaggio è invece un anziano che la comunità riconosce come maestro di eloquenza e attorno al quale si riuniscono gli abitanti del villaggio di notte o nei momenti di pausa.
Il conteur e il griot hanno come scopo quello di trasmettere il sapere e per farlo devono tenere sempre viva l’attenzione del pubblico. A tal proposito le loro performance comportano una dimensione teatrale (mimica) e spesso l’accompagnamento di strumenti musicali (tam-tam e canti). Entrambi possono intervenire per commentare il proprio racconto e per sottolineare in maniera didattica gli elementi fondamentali su cui si vuole far focalizzare l’attenzione del pubblico.
La tradizione orale è costituita da quattro generi: miti; leggende sugli
dei, esseri soprannaturali o uomini; epopee che riguardano le gesta di
fondatori di dinastie e di conquistatori; racconti con protagonisti umani, del
mondo animale o di quello soprannaturale. I racconti sono spesso
raggruppati per ciclo (iena, lepre, tartaruga, elefante, ecc.), per tipo o per
struttura. Nonostante gli elementi meravigliosi, i racconti orali presentano
XII
sempre una dimensione realistica che permette al pubblico di identificarsi, e riconoscere i fatti e i gesti della vita quotidiana
4.
Per quanto riguarda la struttura formale dei racconti, essi si presentano sottoforma di prosa ritmata il cui ritmo si adegua di volta in volta alla respirazione del griot. Talvolta i racconti assomigliano di più a una poesia in versi, a una prosa ripetitiva, o a versi cantati. L’accompagnamento musicale contribuisce a marcare il ritmo.
1.5. La letteratura africana: nascita della tradizione scritta
Gradualmente l’oralità inizia a perdere il ruolo predominante nella diffusione della cultura in Africa. Gli africani accordano alla parola scritta quel prestigio e efficacia che prima le avevano rifiutato. Si è temuto che un tale cambio di tendenza avrebbe compromesso la sopravvivenza della tradizione orale. Sintomatica di questa diffusa preoccupazione è la famosa frase di Hampaté Bâ «En Afrique, chaque veillard qui meurt est une bibliothèque qui brûle». A partire dal XIX secolo numerosi missionari, etnologi, amministratori, e viaggiatori si sono adoperati per la salvaguardia di questo bagaglio di conoscenze, dando inizio a lavori di raccolta, trascrizione o traduzione. Tali studi e trascrizioni si sono susseguiti per tutta la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, dando vita a numerose pubblicazioni. Se da una parte il patrimonio è stato salvato da una lenta scomparsa, d’altra parte le trascrizioni hanno perso irrimediabilmente i caratteri dell’oralità, facendo apparire i testi appiattiti, fossilizzati.
4
Cfr. ibidem.
XIII
La vera produzione scritta francofona nasce in seguito alla fondazione di case editrici e alla crescente scolarizzazione. Prima della seconda guerra mondiale non esistevano ancora case editrici africane. I primi organi di pubblicazione di cui gli scrittori si servono, sono le tipografie dei missionari e dell’amministrazione coloniale che comunque non pubblicano ancora testi africani. Tuttavia questi ultimi riusciranno a collaborare con le riviste pubblicando articoli di vario tema. La prima casa editrice specializzata in letteratura africana, fondata a Parigi nel 1947, è Présence africaine che ancor oggi pubblica autori africani. A partire dagli anni ’60 iniziano ad apparire in Africa le prime case editrici, tuttavia queste strutture o mancano di mezzi adeguati o la censura imposta dai governi non permette loro la libera pubblicazione di testi africani. Gli scrittori pertanto continuano a farsi pubblicare in Francia e in Belgio, dove però i criteri di selezione sono concepiti per soddisfare i gusti del pubblico francese che non sempre viene incontrato dai testi africani. Pertanto si assiste, anche oggigiorno, alla distribuzione internazionale di opere appartenenti alla cultura popolare (e magari più vicine al gusto europeo) e alla circolazione solo locale di opere di gran valore ancora poco conosciute.
Anche la crescente scolarizzazione è stata alla base della formazione di ogni aspirante scrittore. Numerose scuole sono state istituite in Africa dai colonizzatori e gestite dalla chiesa. Malgrado ciò, un bisogno molto diffuso tra gli intellettuali africani è stato quello di completare i propri studi in Francia dove era possibile accedere a un migliore insegnamento superiore.
Nonostante vari ostacoli, le opere degli autori africani iniziano ad
apparire a partire dal XX secolo. Prima di questo periodo troviamo testi che
hanno come tema l’Africa ma che appartengono alla letteratura coloniale. Si
tratta di testi prodotti da viaggiatori e colonizzatori che avendo soggiornato
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in Africa decidono di raccontare l’esperienza vissuta. Questa produzione però, anziché essere realistica, si inscrive all’interno della letteratura esotica poiché riproduce cliché ricorrenti come quello del nero primitivo, selvaggio e per questo motivo inferiore e denigrato. Protagonista dell’opera è la vita appassionante del colonizzatore che si avventura in mezzo ai selvaggi e alla natura.
A partire del XX secolo si inizia a riconsiderare l’Africa e a scoprire la grandezza delle civiltà africane precoloniali. La letteratura, stanca dei luoghi comuni del romanzo esotico, chiede produzioni più realistiche che testimonino la vera realtà africana.
1.6. Il successo di Batouala
Il primo vero romanzo africano nasce sotto l’influenza della tradizione orale precoloniale e dalla richiesta, da parte del pubblico e della critica, di maggiore realismo nelle produzioni riguardanti l’Africa. Nel 1921 il romanzo di René Maran Batouala, véritable roman nègre vince l’ambito premio Goncourt che lo consacra come primo testo letterario scritto africano. È l’autore stesso del romanzo, Maran, a evidenziare la
‘nazionalità’ del testo con il sottotitolo significativo: véritable roman nègre.
Batouala è il primo romanzo africano che parla dell’Africa vista dall’interno. A differenza del romanzo coloniale, i protagonisti di Batouala sono, non più i coloni, ma gli africani colonizzati, le loro vite e gli abusi subiti durante la colonizzazione da parte degli amministratori locali europei.
Maran, originario delle Antille, ha a lungo vissuto e studiato in Francia e ha
ricoperto incarichi di funzionario coloniale in Africa, terra di cui si
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appassiona presto e su cui decide di scrivere un romanzo. Con la sua opera viene data finalmente voce agli africani e sono probabilmente queste voci, che alcuni non vorrebbero sentire, il motivo scatenante di pesanti critiche.
Contro questo romanzo si accanisce la stampa europea che lo giudica infamante nei riguardi degli occidentali e sovversivo, e infamante anche nei confronti degli africani, tanto che in Africa ne viene vietata la diffusione.
Davanti a tali critiche Maran risponde difendendo la propria opera affermando di non averla scritta con intento sovversivo ma spinto dal bisogno di una narrazione realistica.
Ad ogni modo lo scandalo e il successo di Batouala portano alla nascita del movimento della négritude che si sviluppa negli anni ’30 e che darà a sua volta impulso alla nascita di un romanzo africano realista, ma sempre più impegnato e lontano pertanto dalla letteratura coloniale.
1.7. La négritude
È con l’Anthologie de la nouvelle poésie nègre et malgache de langue
française di Senghor, pubblicata nel 1948 e preceduta dalla famosa
prefazione di Jean-Paul Sartre Orphée noir, che viene sancita la nascita
della letteratura del movimento della négritude. Sebbene tale nascita sia
modesta, in quanto l’antologia contiene solo tre autori: Birago, Diop, e
Senghor stesso, tuttavia testimonia la presenza di fermenti letterari in
Africa. La nuova poesia nera in lingua francese, lingua straniera per la
maggior parte degli africani, era destinata a un pubblico ben definito: la
piccola cerchia di africani istruiti, e soprattutto il pubblico europeo a cui gli
scrittori intendevano mostrare un’Africa completamente diversa, senza
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dubbio più realistica, rispetto a quella esotica illustrata dai romanzi coloniali.
La parola négritude viene forgiata negli anni ’30 da Aimé Cesaire nel corso dei dibattiti culturali degli intellettuali africani andati a completare i propri sudi a Parigi
5. Questi intellettuali si scoprono fautori di una causa comune, quella di rifiutare la denigrazione della razza nera, che da sempre aveva caratterizzato i comportamenti del continente europeo nei loro confronti. Nasce pertanto non solo un movimento poetico ma una vera e propria corrente di pensiero che vuole definire il lavoro degli intellettuali africani in campo letterario, culturale e politico.
La parola négritude traduce quindi una presa di posizione dell’intellettuale nero davanti al mondo strutturato dai bianchi sui propri valori. Tale movimento prevede il totale dissenso e la rottura con le ideologie eurocentriste, si propone di combattere il secolare razzismo contro i neri, teorizzato per giustificare la tratta, la schiavitù e poi la colonizzazione, e intende riabilitare l’immagine del nero. È un movimento di rivoluzione contro il processo di assimilazione, non solo politica, ma soprattutto culturale del mondo africano in quello europeo durante la colonizzazione. I poeti della négritude esprimono le esperienze vissute in forma di mito che ribalta le concezioni razziste e i luoghi comuni europei.
Tale produzione impone pertanto un’immagine particolare del poeta nero:
vittima delle barbarie della colonizzazione, il poeta eleva contro di essa il suo canto che al tempo stesso deplora e celebra la condizione del nero. Più in particolare la négritude vede l’uomo nero come un nuovo Cristo: «Le noir conscient de soi se présente à ses propres yeux comme l’homme qui a
5
J.-L. JOUBERT, cit., p. 23.
XVII
pris sur soi toute la douleur humaine et qui souffre pour tous même pour le blanc» (Jean-Paul Sartre)
6.
Nel periodo tra le due guerre nascono numerose riviste, che, sebbene abbiano vita breve, hanno il merito di far circolare le idee degli intellettuali della négritude: La Revue du monde noir (1931-1932), Légitime défense (1932, un solo numero che è considerato un manifesto fondatore del movimento), L’Étudiant noir (1934-1940). Nel 1947 viene fondata Présence africaine, rivista e casa editrice, che si occupa della diffusione di opere artistiche e saggi sull’Africa e in generale sul mondo nero.
La négritude ha tratto giovamento anche dal rinnovato interesse della cultura occidentale per quella africana. Gli artisti parigini, già dai primi decenni del ‘900, stanchi dei canoni tradizionali dell’arte europea scoprono per la prima volta la scultura e le maschere dell’arte africana. Considerati sino a qual momento semplici curiosità, nel giro di pochi anni tali oggetti entrano a far parte di una nuova concezione dell’arte. In pittura artisti come Picasso, Braque e Matisse traggono ispirazione dall’arte africana per creare un nuovo movimento chiamato cubismo. Il loro interesse nasce però su un malinteso. Credono infatti che le produzioni africane siano slegate da qualsiasi significato mitologico e in generale da qualsiasi referenza col mondo reale, malinteso che investirà anche il romanzo
7. In realtà ogni opera artistica riflette le esperienze della vita quotidiana degli africani.
In campo musicale, a partire dagli anni ’20, trionfa il jazz e in quello letterario saranno Picasso, Apollinaire, Cendras e più tardi Soupault a interessarsi all’arte africana. Da parte loro gli antropologi iniziano ad
6
Vedi ibidem, pp. 21-22.
7
J. CHEVRIER, Littérature nègre, Paris, Colin 1984, p. 18.
XVIII
abbandonare i postulati di diseguaglianza delle razze e delle culture e cominciano ad accettare il concetto di relativismo culturale
8.
1.8. Il romanzo africano
I primi romanzi africani, dopo la pubblicazione di Batouala nel 1921, appaiono parecchi anni dopo tra il 1939 e il 1950. Questo momentaneo arresto della produzione romanzesca è dovuto alla maggiore libertà di circolazione della poesia, la cui carica sovversiva passa inosservata agli occhi della censura, e dal fatto che gli scrittori considerano la poesia il mezzo privilegiato per dar sfogo al sentimento di rivolta provato da milioni di africani alienati da un sistema coloniale che non riconosceva loro alcun diritto e dignità. La prosa diventa solo in un secondo momento funzionale per testimoniare e analizzare la nuova società che sta per crearsi, man mano che le colonie combattono e conquistano la propria indipendenza.
Se da una parte il romanzo africano prende logicamente spunto da quello coloniale, dall’altra ne ribalta i contenuti. Gli scrittori adottano il punto di vista del colonizzato che descrive la situazione dell’Africa dall’interno per testimoniarne la miseria nel periodo coloniale o per esaltare la grandezza precoloniale. Ma il romanzo africano è soprattutto debitore della tradizione letteraria orale dei conteur e dei griot, di cui prende in prestito il discorso lento e ripetitivo, ricco di referenze alla storia, alle leggende e alla mitologia e in questo senso il carattere realistico di quella produzione.
8
Ibidem.
XIX
L’inserimento di insegnanti africani nelle scuole e l’introduzione di autori africani nei programmi scolastici incoraggiano la pubblicazione dei romanzi africani in edizioni economiche e stimolano la pubblicazione di manuali specifici e di studi. I romanzieri africani diventano tra il 1953 e il 1963 dei veri e propri classici della letteratura africana. Tra di essi troviamo Mongo Beti (Le pauvre Christ de Bomba, 1956; Ville cruelle, 1954), Bernard Dadié (Climbié, 1956), Ferdinand Oyono (Le vieux nègre et la médaille, 1956; Une vie de boy, 1956), Ousmane Sembène (Les bouts de bois de Dieu, 1960), Cheikh Hamidou Kane (L’aventure ambiguë, 1961).
Nel 1963 la casa editrice Présence africaine pubblica un’antologia in due volumi Romanciers et conteurs négro-africains ricca di autori africani.
È possibile comunque individuare delle linee comuni: scrittura sobria, attenzione al realismo, rifiuto di sperimentazione, manifesto impegno politico, volontà di confutare le immagini precostruite dei bianchi sui neri, necessità di svelare le strategie narrative dell’opera letteraria. Il romanzo africano privilegia le forme letterarie in cui viene messo in risalto il tema della ricerca dell’identità, per cui gli scrittori ricorrono per lo più a due tipi di romanzo: il romanzo storico e il romanzo di formazione
9.
Il romanzo storico si rivela funzionale per legittimare l’identità nazionale delle popolazioni africane. Esso permette di conservare la memoria dei tempi antichi alimentando così un sentimento nazionalistico. A tal proposito, il primo romanzo storico è Chaka di Thomas Mofolo istitutore bantu che aveva scritto in lingua sotho la storia epica del capo zulu Chaka che aveva fondato sul terrore un vasto impero nel Sudafrica prima di essere ucciso dai fratelli. Sebbene l’intento di Mofolo era quello di scrivere un’opera che supportava la morale cristiana, a discapito del
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