• Non ci sono risultati.

seguita dal numero della pagina dell’autografo e, eventualmente, dalla data) ci siamo attenuti all’edizione critica e annotata a cura di G

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "seguita dal numero della pagina dell’autografo e, eventualmente, dalla data) ci siamo attenuti all’edizione critica e annotata a cura di G"

Copied!
12
0
0

Testo completo

(1)

1 AVVERTENZA

Per quanto riguarda lo Zibaldone di pensieri (indicato nel testo con l’abbreviazione Zib.

seguita dal numero della pagina dell’autografo e, eventualmente, dalla data) ci siamo attenuti all’edizione critica e annotata a cura di G. Pacella, 3 voll., Garzanti, Milano 1991. Quando non indicato diversamente in nota, per tutti gli altri testi leopardiani citiamo invece, per comodità del lettore, dall’edizione di Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di L. Felici e E. Trevi, Newton Compton, Roma 1997 (segnalata nel testo con la sigla TPP). Da quest’ultima edizione ci discostiamo tuttavia per quanto riguarda gli accenti, per i quali abbiamo ripristinato l’uso leopardiano. Per l’indicazione completa delle altre edizioni delle opere di Leopardi che abbiamo consultato e di cui ci siamo avvalsi, rimandiamo invece alla bibliografia. Se non segnalato diversamente in nota, i corsivi all’interno delle citazioni sono presenti nel testo.

(2)

2 INTRODUZIONE

Come le figure in rilievo agiscono così fortemente nella fantasia per il fatto di voler uscire, per così dire, dalla parete e, trattenuta da qualche parte, di arrestarsi improvvisamente: così l’esposizione incompleta […] di un pensiero, di una filosofia, è talora più efficace dell’esposizione esauriente: si lascia di più al lavoro di chi guarda, questi viene spinto a continuare e a compiere col pensiero ciò che gli si staglia davanti in così forte chiaroscuro, a superare egli stesso quell’ostacolo che le aveva fino ad allora impedito di balzar fuori compiutamente.

F. Nietzsche

Tentare, come cercheremo di fare in questo lavoro, una ricostruzione sistematica del pensiero filosofico di Leopardi potrà sembrare un’impresa non solo inutile, ma anche pretenziosa. Di per sé appare già abbastanza problematico stabilire se il pensiero di Leopardi abbia o meno una portata propriamente filosofica; il fatto poi di volerlo addirittura definire sistematico potrebbe sembrare decisamente eccessivo. Questa presunta sistematicità parrebbe anzitutto contraddetta dalla forma stessa dello Zibaldone, che della riflessione filosofica leopardiana dovrebbe essere la massima espressione: la scrittura, nello Zibaldone, sembra procedere più per divagazione che per consequenzialità logica, più per contiguità che per continuità tematica. D’altra parte, pur restando lo Zibaldone un riferimento fondamentale, la nostra ricostruzione del pensiero di Leopardi vorrebbe resistere alla tentazione di trincerarsi al suo interno, come se questa fosse l’unica zona franca in cui alla filosofia è concesso di spaziare liberamente. Il nostro studio vorrebbe, al contrario, tentare delle incursioni anche in altri luoghi non strettamente

“filosofici” della produzione leopardiana, in particolare nelle Operette morali e nei Canti, considerati non come semplici momenti accessori o esemplificativi di tesi già esposte nello Zibaldone, ma nella loro specifica portata teorica e

(3)

3 conoscitiva, capace talvolta di rischiarare alcuni aspetti più propriamente filosofici del pensiero leopardiano1.

In che senso, allora, andiamo alla ricerca di una presunta “sistematicità”

nel pensiero filosofico di Leopardi? O meglio, in che cosa consiste questa sistematicità a cui ci appelliamo? Se per sistema s’intende un’esposizione unitaria e coesa di una serie di tesi e di affermazioni, allora Leopardi certamente non fu un pensatore sistematico, dal momento che non ha mai scritto un’opera filosofica in cui possiamo trovare un’esposizione coerente di tutto il suo pensiero. Ma la sistematicità e la coerenza che andiamo cercando si situano su un altro livello, che non è tanto quello affermativo delle soluzioni e delle risposte, quanto piuttosto quello più aperto e problematico delle domande e delle questioni che vengono sollevate. Al di là delle soluzioni o delle risposte che di volta in volta possono essere tentate, ci sono dei problemi, delle questioni o delle domande che sono come delle costanti nel pensiero leopardiano: tali sono ad esempio la domanda attorno al piacere o alla felicità, il problema della noia e del desiderio di morte, la questione della conoscenza e della differenza tra l’uomo e l’animale, il problema dell’unità e della continuità della natura. L’insieme di questi interrogativi, che si intrecciano e si combinano continuamente, forma un sistema del tutto unitario e coerente che ci permette di delineare la particolare postura del pensiero filosofico di Leopardi, di cogliere le linee che lo attraversano e le direzioni fondamentali verso cui si dirige.

Ecco in che senso crediamo innanzitutto di poter rintracciare una forma di coerenza e di sistematicità nel pensiero leopardiano: essa risiede più nell’atteggiamento o nella postura che nelle singole affermazioni, più nei problemi sollevati che nelle soluzioni proposte. Se quindi di sistema è lecito parlare, quello leopardiano dovrà essere definito non come un sistema chiuso,

1 Da questo punto di vista ci sembra significativo quanto ha osservato C. GALIMBERTI, La speranza nell’opera (saggio introduttivo a F. Nietzsche, Intorno a Leopardi, testo originale a fronte, il melangolo, Genova 2000, pp. 9-25), e cioè che «in verità la separazione del filosofo dal poeta, avviata da De Sanctis ed esasperata da Croce, non s’incontra, di norma, nei primi lettori di Leopardi», i quali mostrano di cogliere in lui non solo la solidarietà di poesia e filologia, ma anche la «presenza, accanto, alla poesia, della riflessione filosofica. Accanto o anche nella poesia» (ivi, pp. 13-14). Tra questi primi lettori di Leopardi (che non conoscevano ancora lo Zibaldone, ma solo le Operette, i Canti e i centoundici Pensieri) troviamo, oltre a Giordani, Gioberti e Ranieri, anche Schopenhauer e Nietzsche.

(4)

4 ma come un sistema aperto, in cui i problemi e gli interrogativi vengono continuamente rilanciati e le soluzioni o le risposte non sono mai date una volta per tutte. Sembra tuttavia che per cogliere questo tipo di ordine o di sistematicità occorrerà essere in grado di esercitare, rispetto al pensiero di Leopardi, quella capacità di cogliere «rapporti tra cose disparatissime», che lui stesso considerava indispensabile nella conoscenza della natura: come è solo attraverso una visione d’insieme che si può cogliere nella natura un ordine o un «effetto poetico», così è solo attraverso una «vista dall’alto» che potrà sorgere l’immagine di un pensiero. Cesare Luporini aveva notato, con particolare riferimento allo Zibaldone, come ciò che caratterizza il pensiero leopardiano sia «la sua capacità di muoversi sincronicamente su piani diversissimi», secondo una «compresenza» la cui logica può sfuggire a prima vista2. Per questo, secondo Luporini, per cogliere il pensiero di Leopardi in una visione d’insieme occorre una sorta di attitudine alla distrazione, intesa in senso strettamente leopardiano3: solo lasciando da parte ogni volontà classificatoria, ogni abitudine intellettuale, è possibile cogliere questo pensiero nel suo «spontaneo ricomporsi»4, del tutto simile (ci verrebbe quasi da dire) a quello di un ricordo involontario che prende forma alla superficie della coscienza e in cui ciò che riaffiora non è quasi mai quel che si era andati a cercare.

Del resto, sempre a proposito della sistematicità del pensiero leopardiano, ci sembra che non si possa nemmeno trascurare l’importanza che Leopardi stesso ha mostrato di attribuire all’«idea di sistema». Non solo lo Zibaldone, osservato a partire dal complesso degli indici e delle polizzine a parte5 o attraverso la fitta rete di rimandi di cui è intessuto, si presenta molto

2 C. LUPORINI, L’officina dello Zibaldone, in Id., Leopardi progressivo [1980], Roma Editori Riuniti, Roma 1996³, pp. 125-134.

3 Cioè «un’attenzione *…+ fatta di negazione intellettuale, il più possibile libera da pregiudizi culturali e classificatori» (ivi, p. 129). Cfr. infra, cap. III, § 3.

4 LUPORINI, op. cit., p. 129.

5 Le polizzine a parte sono delle compilazioni, diverse dagli indici, con cui Leopardi individua dei percorsi all’interno dello Zibaldone. Esse si distinguono a seconda che siano

“richiamate” o “non richiamate” negli indici leopardiani. Mentre le polizzine richiamate si compongono di singoli lemmi, le polizzine non richiamate riportano invece veri e propri titoli di trattati e sembrano rivelare una forte tensione progettuale da parte di Leopardi nei confronti dei materiali contenuti nello Zibaldone. Per una trattazione più specifica della questione cfr.: F. CACCIAPUOTI, Polizzine richiamate e non richiamate, in Leopardi, Zibaldone di

(5)

5 più sistematico di quanto non appaia a una lettura lineare6, ma Leopardi stesso sembra considerare la sistematicità come una necessità del pensiero, al punto che pensare vuol dire propriamente avere o seguire un sistema, cioè stabilire una qualche forma di «connessione» o di «dipendenza» tra le idee7. Non solo – osserva Leopardi – tutti i grandi pensatori, come Cartesio, Newton, Leibniz, Locke, Rousseau, Kant, etc., hanno avuto un sistema, ma chiunque abbia la capacità o la forza di pensare da sé, «qualunque vero pensatore», non può fare a meno di formarsi o di seguire un sistema8. Senza sistema non si dà pensiero perché senza un «ordine» o una «connessione» tra le idee non si dà

«discorso» possibile attorno ad alcuna cosa9. Il sistema è a tal punto indispensabile al pensiero che anche chi, come Pirrone, si fa negatore di tutti i sistemi ha bisogno di averne uno10. La sistematicità, l’ordine e la connessione tra le idee è, in altri termini, ciò che distingue il pensiero dal non pensiero, chi pensa da «chi non pensa» e si accontenta di ripetere singole verità isolate, affermate da altri, senza preoccuparsi né di legarle insieme né di avere intorno ad esse un’idea chiara, un concetto stabile11. Il sistema è quindi per Leopardi una condizione di possibilità del pensiero, specie di quello filosofico, se è vero che «lo scopo della filosofia (in tutta l’estensione di questa parola) è il trovare le ragioni della verità», le quali si danno solo «nelle relazioni di esse verità, e col mezzo del generalizzare»12. Per questo la filosofia, intesa come «speculazione de’ rapporti»13, non può che essere pensieri, edizione fotografica dell’autografo con gli indici e lo schedario, a cura di E. Peruzzi, Scuola Normale Superiore, Pisa 1994, vol. X.

6 È quanto ha mostrato in particolare F. CACCIAPUOTI, Dentro lo Zibaldone. Il tempo circolare della scrittura di Leopardi, Donzelli, Roma 2010. La «sistematicità» dello Zibaldone si situa innanzitutto, secondo l’autrice, a livello della scrittura e sembra trovare nella liason des idées di Condillac il principio filosofico alla base della sua composizione. All’immagine dello Zibaldone come caos privo di logica o come «labirinto» in cui Leopardi stesso si perderebbe (cfr. ad es. G. GENOT, L’écriture labyrinthe, «Critique», 512-513/1990, janvier-février, pp. 76-84), Cacciapuoti sostituisce l’immagine del «sistema filosofico aperto», «dinamico» e «complesso».

Quello dello Zibaldone è quindi innanzitutto un «sistema di rapporti» che si costituisce attraverso la scrittura per mezzo di richiami e di collegamenti trasversali.

7 Cfr. Zib. 950, 17 aprile 1821.

8 Cfr. Zib. 945-6, 16 aprile 1821.

9 Cfr. Zib. 950.

10 Cfr. Zib. 949, 16 aprile 1821.

11 Cfr. Zib. 948.

12 Zib. 947.

13 Ibid.

(6)

6 sistematica e «la connessione e dipendenza delle idee, de’ pensieri, delle riflessioni, delle opinioni, è il distintivo certo, e nel tempo stesso indispensabile del filosofo»14.

Il sistema diventa nocivo nel momento in cui, da condizione di possibilità del pensiero, si trasforma in qualcosa che costringe, limita o ingabbia il pensiero stesso. Ciò che Leopardi chiama «amor de’ sistemi» e riconosce come «dannosissimo al vero»15 non è altro che una certa fretta o

«smania» di generalizzare, di formulare ipotesi, di trarre subito delle conclusioni: «quando da pochi ed incerti, e mal connessi, ed infermi particolari, da pochi ed oscuri rapporti, si passa al sistema, ai generali»16, ecco che «i particolari si tirano per forza ad accomodarsi al sistema» già formato, ecco che «le cose si travisano, che i rapporti si sognano, si considerano i particolari in quell’aspetto solo che favorisce il sistema, in somma le cose servono al sistema, e non il sistema alle cose»17. Tuttavia, in tutti questi casi, l’errore non sta – come precisa Leopardi – «nel cercare un sistema», ma nel procedere troppo facilmente alla generalizzazione, finendo col prendere «per sistema reale e naturale, un sistema immaginario, o anche arbitrario»18. Un singolo sistema può ben essere falso, «non però l’idea ch’esso include, che la natura e le cose sieno regolate e ordinate a sistema»19.

L’ordine e la sistematicità sono infatti, secondo Leopardi, una necessità del pensiero e della conoscenza non meno di quanto non siano una realtà presente nella natura e in tutto ciò che esiste: le cose stesse «hanno certo un sistema, sono ordinate secondo un sistema, un disegno, un piano».

Comunque la si voglia concepire, «certo è che l’idea di sistema, cioè di

14 Zib. 950.

15 Cfr. Zib. 945.

16 Zib. 947.

17 Zib. 948. Cfr. con quello che dice BUFFON, Premier discours: De la manière d’étudier et de traiter l’histoire naturelle, in Id., Œuvres, préface par M. Delon, textes choisis, présentés et annotés par S. Schmitt, avec la collaboration de C. Crémière, Gallimard, Paris 2007, pp. 29-66.

Questa distinzione tra «idea di sistema» e «amor di sistema» messa in campo da Leopardi in queste pagine può del resto ricordare quella tra «esprit systématique» e «esprit de système»

proposta da CONDILLAC, Traité des systèmes (1749), e divenuta corrente tra i philosophes (cfr.

ad es.: D’ALEMBERT, Discorso preliminare all’Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, ordinato da Diderot e D’Alembert, a cura di P. Casini, Laterza, Bari 1968, p.

17).

18 Zib. 1089-90, 26 maggio 1821.

19 Zib. 1090.

(7)

7 armonia, di convenienza, di corrispondenza, di relazioni, di rapporti, è idea reale, ed ha il suo fondamento, e il suo soggetto nella sostanza, e in ciò ch’esiste»20. Seguire un certo sistema è quindi indispensabile al filosofo non solo perché senza ordine non si dà pensiero ma anche perché senza ordine non si dà conoscenza possibile della realtà. Chiunque voglia «arrivare al vero» nella conoscenza della natura o delle sue singole parti ha bisogno di un sistema, dal momento che la natura stessa non consiste in altro che in un sistema di relazioni21. Per questo, chi critica in generale l’idea si sistema, «si oppone all’evidenza del modo di esistere delle cose»22.

Con quest’affermazione Leopardi sembra andare al di là del modello stesso di conoscenza sotteso all’Enciclopedia, dove pure si poteva trovare un’analoga esigenza di sistematicità, espressa nel tentativo di ricomporre, attraverso una sorta di «albero genealogico» o di «mappamondo» concettuale, l’ordine e la connessione delle idee e delle conoscenze umane23. Leopardi pone l’accento sul fatto che l’idea di sistema ha non solo un’importanza metodologica ma, per così dire, un fondamento ontologico. Per questo, quanto più un pensiero o un sistema sarà capace di cogliere e di instaurare relazioni tra le cose, tanto più sarà in grado di avvicinarsi alla conoscenza della natura, vale a dire del «vero sistema». Crediamo del resto che sia precisamente su questa via che sarà possibile comprendere il rapporto strettissimo che in Leopardi si instaura tra poesia e filosofia, nonché lo stesso primato conoscitivo che è loro assegnato, se è vero che ciò che accomuna il poeta e il filosofo non è altro che «la facoltà» o «vena della similitudini», cioè la capacità di cogliere rapporti e relazioni tra cose apparentemente distanti e disparate. Tuttavia, sarà solo alla fine del nostro percorso che il rapporto tra

20 Zib. 1089 (corsivo nostro).

21 Più oltre Leopardi aggiunge che, poiché tutte le verità, al pari di tutte le cose esistenti, sono necessariamente legate tra loro, ne segue che la considerazione del sistema, cioè della connessione delle verità, è indispensabile non solo a chi voglia conoscere la natura nel suo complesso, ma anche a chi voglia conoscerne perfettamente una singola parte o una singola verità: infatti «nessuna verità si conosce perfettamente, se non si conoscono perfettamente tutti i rapporti che ha essa verità colle altre». Ciò però vuol dire anche che «nessuna *…+ verità, è stata nè sarà mai perfettamente ed interamente e da ogni parte conosciuta» (Zib. 1090-91). Ci sembra ne risulti ulteriormente fondata l’idea stessa di “sistema aperto” che avevamo proposto più sopra.

22 Zib. 1090.

23 Cfr. ad es. D’ALEMBERT, Discorso preliminare, cit.

(8)

8 poesia e filosofia in Leopardi potrà essere compreso fino in fondo, quando cioè la stessa concezione della natura su cui questo rapporto si fonda risulterà sufficientemente chiarita in tutta la sua complessità. Allora sarà forse possibile gettare qualche luce anche sul significato stesso di quell’«ultrafilosofia»24 che è forse uno degli hapax più interessanti dello Zibaldone.

Le possibili vie d’accesso al pensiero di Leopardi sono certamente innumerevoli, forse addirittura tante quante sono le possibili porte d’ingresso allo Zibaldone, suggerite dal complesso sistema degli indici e delle polizzine compilato dal suo stesso autore. Tuttavia, il nostro studio verterà su due concetti in particolare, richiamati già dal titolo, il desiderio e l’assuefazione, a partire dai quali tenteremo una ricostruzione complessiva del pensiero leopardiano. Queste due tematiche, benché centrali, sono state raramente considerate insieme. L’interesse di un simile accostamento sembra motivato dal fatto che desiderio e assuefazione si presentano come concetti fondamentali che Leopardi applica non solo all’interpretazione del mondo umano, ma anche alla comprensione della natura nel suo complesso.

Desiderio e assuefazione non sono quindi due concetti che abbiamo scelto o prelevato tra molti altri ugualmente possibili, ma gli unici due a partire dai quali ci sembra lecito tentare una ricostruzione veramente sistematica e onnicomprensiva del pensiero filosofico leopardiano. Come cercheremo di mostrare nel corso del nostro lavoro, questi due concetti potranno anche essere considerati come le due coordinate di un unico piano entro cui Leopardi si sforza di comprendere tutto l’esistente. Il rapporto tra desiderio e assuefazione non dovrà tuttavia (come forse potrebbe sembrare ovvio a prima vista) essere pensato come un rapporto oppositivo, né tantomeno dialettico. Come vedremo, le vere opposizioni, nel pensiero leopardiano, si giocano altrove.

Il nostro lavoro si articolerà in cinque capitoli, che possono essere divisi in tre gruppi principali. I primi due capitoli ruotano attorno al concetto di desiderio, il terzo e il quarto focalizzano sulla tematica dell’assuefazione, mentre il quinto e ultimo capitolo cerca di mostrare come, sul terreno più

24 Cfr. Zib. 115, 7 giugno 1820.

(9)

9 propriamente politico, questi due aspetti del pensiero leopardiano entrino più direttamente in relazione.

Il desiderio è pensato da Leopardi come una tendenza innata e illimitata al piacere, comune a tutti gli esseri viventi e più forte dello stesso amore per la vita. Come cercheremo di mostrare nel primo capitolo, questa concezione del desiderio ha due implicazioni fondamentali. Da una parte, essa sembra svincolare Leopardi da quella lunga tradizione che, da Platone in avanti, non ha fatto che pensare il desiderio come mancanza. In quanto espressione immediata della vita e della vitalità, il desiderio leopardiano sembra infatti caratterizzarsi innanzitutto per la sua pienezza e per la sua assoluta positività;

è solo nell’uomo, dove il desiderio illimitato di piacere diventa, per opera dell’immaginazione, desiderio di un piacere infinito che non si trova da nessuna parte, che il desiderio stesso finisce per essere sentito come una pena e si costituisce come mancanza costitutiva e originaria. La noia si configura allora come l’esperienza dello scarto tra desiderio e soddisfacimento, come il sentimento della sproporzione tra il piacere immaginato e quello reale, a cui l’uomo può cercare di sottrarsi attraverso l’esperienza del sublime, la quale esprime il tentativo di favorire il continuo rilancio del desiderio e di ritardare il più possibile il suo ripiegamento nel piacere particolare. Dall’altra parte, in questa concezione del desiderio sembrano risiedere le ragioni dello scarto compiuto da Leopardi rispetto all’orizzonte dell’edonismo settecentesco, a cui pure la sua «teoria del piacere» parrebbe per certi versi poter essere ricondotta. Non solo Leopardi non si accontenta più di ridurre il piacere alla semplice cessazione del dolore, ma la stessa opposizione tra piacere e dolore sembra svuotarsi di ogni significato. Ad essa si sostituisce l’opposizione tra noia e felicità, pensate come due diversi gradi d’intensità del desiderio. Noia, per Leopardi, è sentire il desiderio allo stato puro: come vedremo nel secondo capitolo, questa definizione fondamentale conoscerà, nel suo pensiero, una doppia declinazione, fisica e metafisica. L’opposizione tra noia e felicità o tra noia e piacere (dove quest’ultimo è inteso nel suo senso più proprio e più pieno) si rivelerà ancora più decisiva di quella tra la vita e la morte, che finiranno al contrario per divenire intercambiabili sul terreno del piacere.

Assuefazione è invece per Leopardi sinonimo di abitudine: essa presuppone una «conformabilità» o «assuefabilità» (vale a dire una capacità,

(10)

10 propria tanto del corpo quanto della mente, di assumere sempre nuove forme o appunto assuefazioni) e una memoria, intesa come superficie di registrazione. Come vedremo nel terzo capitolo, la teoria leopardiana dell’assuefazione si articola in una riflessione più propriamente antropologica attorno alla differenza tra l’uomo e l’animale (pensata come differenza di grado e non di natura) e in una riflessione più strettamente gnoseologica attorno alle condizioni di possibilità della conoscenza. Se da una parte l’esperienza si dimostra essere per Leopardi il fondamento di ogni conoscenza e di ogni facoltà (dal momento che tutto nell’uomo deriva dall’assuefazione e non esistono facoltà innate) dall’altra parte la conformabilità sembra presentarsi a sua volta come la condizione stessa di ogni esperienza possibile. La filosofia leopardiana sembrerà capace di spingersi più in là di un semplice empirismo nel momento in cui affermerà che senza attenzione non si dà memoria, vale a dire non si dà esperienza o conoscenza, e che esistono due tipi fondamentali di attenzione, volontaria e involontaria. Se la prima forma di attenzione, su cui si fonda la memoria come facoltà, dipende ancora dall’assuefazione e dall’esercizio, l’attenzione involontaria o materiale, su cui si fonda la memoria come semplice disposizione, sembra presentarsi invece come la condizione stessa di ogni assuefazione. Inoltre, come vedremo nel quarto capitolo, allargando il principio della conformabilità dalla natura animata a quella inanimata, Leopardi arriverà a pensare la natura stessa come un unico «sistema di assuefazione», in cui diventa possibile articolare, senza salti o interruzioni, il passaggio dall’esistenza alla vita, dalla natura inanimata a quella animata, e viceversa.

Ciò ci consentirà di far emergere, accanto all’immagine più tradizionale di un Leopardi materialista, quella di un Leopardi la cui posizione filosofica si dimostra fondamentalmente irriducibile all’alternativa tra materialismo e spiritualismo. L’immagine della natura come «sistema di assuefazione» sarà, accanto all’ipotesi della «materia pensante», una delle possibili vie dell’immanenza tentate da Leopardi. Queste due vie, per quanto alternative, risponderanno infatti a un unico problema, che è quello di porre tutta la natura su di un unico piano.

L’ultimo capitolo vorrebbe invece provare a gettare uno sguardo sulla riflessione politica leopardiana a partire dalla particolare prospettiva offerta

(11)

11 dalla questione della «società», dove le tematiche del desiderio e dell’assuefazione convergono e si intrecciano in vario modo. Si tratterà innanzitutto di chiarire la differenza tra quelle che, nello Zibaldone e nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani, Leopardi chiama

«società larga» e «società stretta», per mostrare come in un caso e nell’altro gli stessi termini non designino gli stessi oggetti. Se nello Zibaldone si tratterà di gettare le basi di un discorso politico complessivo, fondamentalmente alternativo rispetto a quello svolto dal pensiero politico moderno, nel Discorso si tratterà invece di pensare una questione molto specifica, vale a dire la situazione dell’Italia nei primi decenni del XIX secolo.

La questione dell’animalità, che emergerà forse più esplicitamente solo in quest’ultimo capitolo, ha avuto in realtà un ruolo decisivo in tutto il nostro lavoro. L’animale si rivela essere, nel pensiero leopardiano, una presenza forse non vistosa ma certamente costante, ricorrente: una presenza che si rivela avere, a partire soprattutto dalla giovanile Dissertazione sopra l’anima delle bestie, un’importanza non solo critica ma anche profondamente teorica e conoscitiva25. Più in particolare ci sembra che il mondo animale funzioni, nel pensiero leopardiano, come una sorta di piano di proiezione a cui Leopardi costantemente ricorre per verificare le proprie tesi o per ampliare la portata delle conclusioni di volta in volta raggiunte. Crediamo che, seppure in maniera indiretta, l’animale abbia giocato un ruolo non dissimile anche nel nostro lavoro, dal momento che, come vedremo, tutti i principali temi della riflessione filosofica di Leopardi si sostanziano in maniera determinate di un confronto assiduo con il mondo animale.

25 Cfr. G. LEOPARDI, Il gallo silvestre e altri animali, a cura di A. Prete e A. Aloisi, Manni, Lecce 2010.

(12)

12 RINGRAZIAMENTI

Un ringraziamento va innanzitutto ad Antonio Prete, che ha generosamente accettato di seguire il mio lavoro fin dai suoi primi passi: la disponibilità, l’incoraggiamento e la fiducia che mi ha sempre dimostrato sono stati per me stimoli a dir poco decisivi.

Ringrazio inoltre Leonardo Amoroso, che mi ha seguito in questi anni di studio sopportando con pazienza tutte le mie divagazioni, e Tomaso Cavallo, attento lettore di queste pagine che ha contributo ad arricchire con essenziali spunti e osservazioni.

Una particolare riconoscenza va poi a Luigi Blasucci, per le sue strigliate e per le sue esortazioni, ma anche per i preziosi consigli che in numerose occasioni mi ha voluto offrire. In modo più indiretto ma non per questo meno decisivo, il mio lavoro deve sicuramente molto a una certa pratica seminariale, di lettura collettiva e di discussione dei problemi, inaugurata a Parigi, in un appartamento di avenue Félix Faure, e consolidata a Pisa, tra le mura domestiche di via Cavalca. A quel seminario itinerante, che alla fermata del métro Boucicaut deve il nome, e agli amici che in vario modo vi hanno preso parte va quindi un affettuoso ringraziamento: di quegli incontri e del loro spirito queste pagine si considerano debitrici. Uno speciale ringraziamento va anche a un altro gruppo di amici, più strettamente “leopartyani”, che con tanta ospitalità mi ha accolto a Birmingham regalandomi mesi di intense discussioni, di confronto e di scambio di idee. Ringrazio infine Emanuela e Nicoletta per l’aiuto che mi hanno offerto con la loro lettura e con i loro commenti, e Paolo che ha sempre ascoltato, nelle loro successive e spesso incerte formulazioni, le idee che hanno preso forma in queste pagine, dandomi costantemente la possibilità di discuterle e di migliorarle.

Riferimenti

Documenti correlati

Nella sua moderata, ma non per questo meno ferma difesa degli elementi di novità linguistica e stilistica presenti nella sua traduzione, Cesarotti si fa attivo portavoce

L’ utilizzo dello standard Bluetooth è di largo respiro, va dalla creazione di reti domestiche o aziendali wireless fino alla comunicazione negli autoveicoli,

storia del pensiero politico, da un lato, e quella del pensiero giuridico, dall’altro – guardano alla Costituzione di Weimar come un «classico», os- sia un «testo» che continua

Ma è chiaro che una visione del genere non solo non è riscontrabile in Aristotele – che per l'appunto fa della metafisica una scienza completamente unitaria

Scalfati(a cura di), La circolazione investigativa nello spazio giuridico europeo: Strumenti, Soggetti, Risultati, Cedam, 2010, p. Saccone, La raccolta e l’utilizzo

{ Canzoni Idilli Grandi idilli Ciclo di Aspasia. La ginestra e Il tramonto