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10. Conclusioni

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Academic year: 2021

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10. Conclusioni

I silicati idrati di calcio costituiscono un gruppo di fasi, naturali e sintetiche, di grande interesse scientifico e tecnologico; particolarmente interessanti risultano i composti appartenenti al gruppo della tobermorite, in seguito alle loro potenziali applicazioni pratiche ed alle interessanti problematiche di carattere cristallografico da esse presentate. Lo studio di queste fasi è reso difficile da problemi di carattere sperimentale, legati sostanzialmente alla morfologia dei campioni, difficilmente utilizzabili con tecniche di cristallo singolo, le sole che possano consentire di affrontare adeguatamente i complicati aspetti cristallografici (geminazioni, disordine strutturale, politipismo) che interessano questi minerali. Il carattere fibroso e spesso microcristallino rende inoltre difficile una loro accurata caratterizzazione chimica, a seguito anche della frequente associazione con altri silicati idrati di calcio, morfologicamente simili e pertanto difficilmente separabili. L’integrazione di differenti metodologie di studio è quindi risultata necessaria per raggiungere un soddisfacente grado di caratterizzazione dei campioni studiati.

I minerali del gruppo della tobermorite sono tradizionalmente classificati in funzione della loro periodicità basale; si distinguono così fasi a 14, 11 e 9 Å, denominate rispettivamente plombièrite, tobermorite e riversideite da McConnell (1954). L’unica specie di tale gruppo ufficialmente approvata dalla CNMNC dell’IMA è la clinotobermorite (Henmi & Kusachi, 1992); tutte le altre fasi sono da considerarsi grandfathered, in quanto approvate precedentemente al 1959, anno di istituzione della commissione dianzi citata. Si è pertanto cercato di studiare criticamente i dati riportati in letteratura per verificare la validità delle tre specie grandfathered. La plombièrite fu originariamente descritta da Daubrée (1858) quale prodotto di interazione fra le acque termali di Plombières (Vosgi, Francia) e materiali cementizi di età romana; oggi questa fase non sarebbe ritenuta valida, alla luce della natura antropogenica del materiale di Daubrée. McConnell (1954) attribuì tale nome alla fase a 14 Å, fase che è stata ripetutamente osservata in natura. La determinazione strutturale condotta da Bonaccorsi et al. (2005) su campioni provenienti da Crestmore ha portato un importante contributo alla conoscenza di questa specie che può pertanto essere ritenuta valida, nonostante i dubbi sul materiale originariamente descritto da Daubrèe (1858).

Diversa è la situazione della riversideite, descritta come una fase a 9 Å; al momento non esistono dati certi riguardo alla sua esistenza quale fase naturale e conseguentemente la riversideite dovrebbe essere ritenuta una specie questionabile. Infine il termine tobermorite indica probabilmente la soluzione solida fra due termini, Ca4Si6O15(OH)2·5H2O e Ca5Si6O17·5H2O, termini che potrebbero assumere la denominazione di “tobermorite-” e “tobermorite-Ca”, in virtù, rispettivamente, dell’assenza o della presenza di calcio nelle cavità strutturali. La possibile introduzione di alcali

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(soprattutto K) in tali siti potrebbe eventualmente originare anche ipotetiche “tobermorite-K”, al momento tuttavia non note in natura. La distinzione fra “tobermorite-” e “tobermorite-Ca” va al di là delle problematiche squisitamente nomenclaturali, rivestendo una certa importanza per quanto riguarda il comportamento termico delle tobermoriti. Questo aspetto è stato particolarmente studiato nel corso di questa tesi di dottorato.

Mitsuda & Taylor (1978) hanno suddiviso le tobermoriti in tre categorie, in funzione del loro comportamento termico a 300°C: “normali”, “anomale” o “miste”. Questi tre aggettivi sono stati già definiti nel corso dei capitoli precedenti. Gli studi si sono concentrati su vari campioni di tobermorite s.s., cercando di verificare come la variabilità chimica potesse influenzare il comportamento termico; a questi campioni si sono aggiunti i dati raccolti su due esemplari di plombièrite.

Il comportamento termico di quest’ultima fase è abbastanza semplice nelle sue linee generali: al di sopra di 100°C la plombièrite passa ad una fase a 11.8 Å che, a 300°C, si trasforma in una nuova fase con periodicità basale di circa 9.6 Å. L’aumento di temperatura, al di sopra di 300°C, porta poi il riflesso basale di quest’ultima fase a spostarsi verso valori di distanza interplanare più grandi, fino a giungere ad un valore attorno a 10.2 Å. Gli studi spettroscopici hanno evidenziato che la tobermorite con periodicità basale da 11.8 Å presenta catene singole. Si tratta di un dato interessante in quanto tutte le tobermoriti 11 Å, siano esse naturali o ottenute per sintesi idrotermale, presentano catene doppie.

Proprio lo studio del comportamento della fase naturale a 11 Å ha rappresentato la parte più importante di questo lavoro. La tab. 10.1 riassume i comportamenti termici osservati, evidenziando i rapporti fra Ca:(Si+Al) e Si:Al nei campioni studiati, oltre alla eventuale presenza di alcali probabilmente ubicati nelle cavità strutturali.

Le definizioni di Mitsuda & Taylor (1978) descrivono esaurientemente il comportamento termico delle tobermoriti entro i 300°C; delle differenze importanti si osservano invece fra le tobermoriti

“anomale”, con la comparsa di una fase a 10 Å o con la persistenza della periodicità basale da 11 Å, al di sopra di 400°C. La differenza fra questi due comportamenti è ancora poco chiara;

considerando le composizioni chimiche delle tobermoriti “anomale”, in particolare la presenza di Al, potrebbe essere ipotizzato che la sostituzione Si4++O2-→Al3++OH- possa dar luogo ad un differente schema di legami a idrogeno. Quest’ultimo potrebbe inibire la perdita delle molecole di H2O legate ai poliedri calcio dello strato tobermoritico, rendendo così più stabile la fase a 11 Å.

Difatti le perdite in peso dei campioni di N’Chwaning II mine e di San Vito di Leguzzano, rappresentative dei due differenti comportamenti “anomali”, indicano una maggior perdita di peso

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della prima entro i 300°C. Studi termo-gravimetrici su ulteriori campioni di tobermoriti “anomale”

potranno confermare o smentire questi risultati.

I rapporti Ca:(Si+Al) nelle tobermoriti “anomale” sono generalmente bassi ed attorno a 0.67, cioè 4 : 6. Se invece consideriamo la totalità dei cationi “zeolitici”, includendo quindi anche gli alcali, osserviamo che esiste un particolare gruppo di tobermoriti “anomale” o al più “miste” che presenta alti rapporti tra (Ca+alcali) e (Si+Al). Si tratta di tobermoriti ricche di Al e K; una possibile spiegazione del loro comportamento termico è legata alle grandi dimensioni del catione K+, in grado di coordinarsi direttamente con gli ossigeni dei moduli complessi. Tuttavia la loro natura estremamente fibrosa e la possibile presenza di altre fasi associate rende necessario un più particolareggiato studio volto a definirne in maniera se possibile più accurata la reale composizione chimica.

Tab. 10.1 – Comportamenti termici dei campioni di tobermorite studiati

Comportamento termico Provenienza (Ca+alcali):(Si+Al) Si:Al K+Na (apfu)

d002 300°C

(Å) d002 500°C

(Å)

“anomalo”

N’Chwaning II mine 4 : 6 6:0 0 11.3 10.2

San Vito di Leguzzano 4.1 : 6 5.5:0.5 0 11.3 11.3

Urali 4.4 : 6 5.25:0.75 0.4 11.1

Gambellara 4.1 : 6 5.5:0.5 0 11.3

(11 + 9)

miste Höwenegg 4.8 : 6 5.1:0.9 0.4 11 + 9

normale

cava Grolla 4.5 : 6 5.5:0.5 0 9.6

(11 + 9)

Montalto di Castro 5 : 6 5:1 0 9.5 9.5

Vallerano 5 : 6 5:1 0.1 9.6

Le tobermoriti “normali”, come prevedibile in seguito alle ipotesi di Merlino et al. (2001), presentano sempre un alto contenuto di calcio; i campioni studiati, inoltre, mostrano un importante contenuto in Al. Gli studi in spettroscopia micro-Raman sembrano mostrare un minor grado di polimerizzazione delle catene silicatiche in queste tobermoriti ricche in Al; probabilmente saranno necessari altri tipi di dati spettroscopici (27Al NMR, 29

Un comportamento intermedio fra quello “anomalo” e quello “normale” è mostrato dalle tobermoriti “miste”; si tratta di una serie di campioni che, riscaldati a 300°C, mostrano la coesistenza di un riflesso a 11 Å e di un riflesso a 9 Å. Apparentemente questo comportamento passa, senza soluzione di continuità, da un comportamento francamente “anomalo” ad uno

Si NMR) per poter meglio comprendere questo aspetto.

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francamente “normale”. La tobermorite di Gambellara, ad esempio, ha mostrato comportamenti

“anomali” o “misti” in differenti cristalli, mentre i campioni della cava Grolla hanno mostrato comportamenti “misti” o “normali”. Pertanto è probabile che un ruolo molto importante sia giocato anche dalle disomogeneità chimiche da cristallo a cristallo o, addirittura, all’interno di un medesimo individuo cristallino.

Un interessante aspetto legato alle disomogeneità dei cristalli di tobermorite ci è stato offerto dall’esame dei campioni di Gambellara; gli studi di cristallo singolo hanno mostrato la contemporanea presenza, all’interno del medesimo individuo, di tobermorite e clinotobermorite.

L’associazione fra i due dimorfi è stata osservata anche in altri campioni studiati nel corso di questa tesi; tuttavia mentre negli altri casi si trattava di campioni microcristallini che non consentivano di escludere la presenza di individui distinti dell’una e dell’altra fase, il campione di Gambellara ha permesso di accertarne la coesistenza in un medesimo cristallo. Rimane tuttavia da comprendere quali relazioni sussistano fra tobermorite e clinotobermorite, in particolare se si possa evidenziare un concrescimento epitattico delle due fasi oppure una struttura a domini. Soltanto studi in microscopia elettronica a trasmissione potrebbero consentire di rispondere a questi quesiti. La conoscenza delle relazioni fra le due fasi potrebbe permettere di formulare ipotesi sui relativi campi di stabilità. Infatti non è ben chiaro se la clinotobermorite sia un polimorfo di bassa temperatura, come ipotizzato da Henmi & Kusachi (1992) e come osservato nello studio termico in situ del campione di San Vito di Leguzzano (la clinotobermorite scompare a 300°C), o se invece rappresenti una fase di temperatura più alta, come parrebbero suggerire la comparsa di clinotobermorite prima delle transizioni a tobermorite 10 Å ed a 9 Å, osservate rispettivamente nei campioni di N’Chwaning II mine e Montalto di Castro.

Anche la composizione chimica della clinotobermorite di Gambellara andrà indagata più a fondo. In tale campione, in cui tobermorite e clinotobermorite coesistono in rapporto di circa 1:1, il contenuto medio di Ca si aggira intorno a 4.1-4.2 apfu. Il basso contenuto in cationi “zeolitici” (circa 0.2 apfu) potrebbe essere legato alla presenza di domini privi di calcio associati a domini ricchi in calcio.

Questo renderebbe conto del comportamento “misto” osservato in alcuni cristalli. D’altra parte, è anche possibile che il poco calcio “zeolitico” si distribuisca in maniera uniforme nella struttura, giustificando così il comportamento “anomalo” di altri cristalli. Queste due possibilità sembrano non essere legate alla natura della fase a 11 Å coinvolta, tobermorite o clinotobermorite. Potremmo pertanto essere in presenza di una clinotobermorite “anomala” (mai segnalata in letteratura), per la quale utilizzare il termine “clinotobermorite-” in contrapposizione con la “clinotobermorite-Ca”

con comportamento “normale”, secondo lo schema di nomenclatura già proposto per la tobermorite.

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Un’ultima problematica affrontata nel corso di questo studio riguarda le relazioni fra la tobermorite 10 Å, ottenuta per disidratazione della tobermorite “anomala”, e l’oyelite, un borosilicato naturale attribuito al gruppo della tobermorite e caratterizzato da una periodicità basale da 10 Å. Studi diffrattometrici, termo-gravimetrici e spettroscopici mostrano inequivocabilmente la differenza esistente fra questi due composti, differenza non soltanto chimica ma probabilmente anche strutturale, con la presenza di catene silicatiche doppie nella tobermorite 10 Å e catene silicatiche singole nell’oyelite. La parola definitiva sulla questione, tuttavia, sarà possibile soltanto riuscendo a risolvere la struttura di queste due fasi, ad oggi non ancora nota.

Lo studio presentato in questa tesi di dottorato si auspica quindi di fornire nuovi dati sul comportamento termico e sui meccanismi di disidratazione delle fasi del gruppo della tobermorite, con la consapevolezza che molti degli esperimenti condotti e dei dati acquisiti aprono nuove ed intriganti problematiche nello studio di questi silicati idrati di calcio.

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