• Non ci sono risultati.

6. Nino Lamboglia e l’archeologia subacquea

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "6. Nino Lamboglia e l’archeologia subacquea"

Copied!
19
0
0

Testo completo

(1)

6. Nino Lamboglia e l’archeologia subacquea

L’archeologia subacquea in Italia nacque la mattina dell'8 febbraio 1950, quando l'“Artiglio” si ancorava sul punto in cui era adagiata la nave romana davanti alla costa di Albenga ed i suoi palombari, poco dopo essersi immersi, comunicavano che le anfore erano migliaia, collocate in un cumulo lungo circa trenta metri e che erano pronti per iniziare il recupero.

Erano state le segnalazioni dei “Prain”, famiglia di pescatori di Albenga, a far individuare il luogo esatto nel quale, anni prima, avevano recuperato tre anfore vinarie romane. Il vecchio Praìn era stato incaricato di segnalare il punto in cui le aveva recuperate; lo fece con tale precisione che quando il palombaro Petrucci fu calato nella torretta per la prima ispezione, dopo qualche minuto lo si sentì gridare al telefono: “sono al centro di un mare di anfore!”.

La campagna, come è noto, si protrasse fino al giorno 20 dello stesso mese, tra alti e bassi. Le anfore cominciarono a salire a grappoli, legate ai cappi di una cima.

Anfore, anfore, centinaia di anfore sempre uguali. Nessun bollo, nessun marchio o elemento di identificazione: qualche vaso, un’olpe.

Il capo dei palombari dell’artiglio, Mario Raffaelli tagliò corto: andare avanti di quel passo si sarebbe finiti alle calende greche. Se gli archeologi tenevano tanto a sapere di più, lasciassero fare alla sua benna. E il 10 febbraio la mascella d’acciaio piombò sul relitto. Era come se un bulldozer si aprisse un varco in una necropoli per scoprire più in fretta qualche tomba di maggior interesse.

Nel giornale di scavo pubblicato dal Lamboglia1 si possono intuire, tra le righe, le sue perplessità dinanzi al metodo di recupero e delle notevoli difficoltà sorte durante l'intervento “...questa prima esplorazione archeologica sottomarina a grande profondità, resa possibile da un mezzo eccezionale come l’Artiglio, rivela le grandi possibilità ma anche le gravi difficoltà tecniche dell’impresa.

1 N.

(2)

Non si può pretendere, data l’ingente spesa che essa comporta, la lentezza e la minuzia della ricerca archeologica ordinaria. Il palombaro lavora alla massima profondità consentita dallo scafandro normale, con scarsa probabilità di fare sforzi di svincolare dal fango più oggetti senza mezzi meccanici radicali. Solo le “bennate” hanno potuto liberare una parte delle anfore in posto, ma esse portano in superficie montagne di cocci e fango che non si può vagliare con lo stesso sistema del terreno ordinario e che ingombrano enormemente il lavoro. Infine si crea a poco a poco sul fondo un pulviscolo terroso come nebbia, che occorrerebbe lasciare depositare per vedere più chiaro, tornando così in gioco il fattore tempo e spesa come fondamentale”.

Fig. 1 - Albenga, Nave Romana,1950.

Il capostipite dei "Prain" Antonio Bignone detto "Tognu" con N. Lamboglia.

Fig. 2 - Albenga, Nave Romana, 1950.

La nave "Artiglio" ancorata sul punto del relitto.

Fig. 3 - Albenga, Nave Romana,1950. La "benna" durante il recupero di anfore.

Fig. 4 - Albenga, Nave Romana, 1950.

Foto ricordo con le Autorità, l'equipaggio e i palombari dell'"Artiglio". Il primo a sinistra è N. Lamboglia, al centro, seduto, il Comm. Giovanni Quaglia.

(3)

Due anni dopo, ancora turbato per i metodi usati per il recuperò, formulò la celebre frase riferita all’azione devastante della benna dell’Artiglio: “Il cimitero di anfore provocato dalla benna a bordo della nave avrebbe turbato la coscienza di qualsiasi archeologo, e turbò assai la nostra2”.

Come spesso è avvenuto in Italia, l’entusiasmo divampò immediatamente, soprattutto tra i non archeologi, e subito dopo l'intervento venne presentata un'interrogazione parlamentare per il prosieguo delle ricerche da parte della SORIMA3.

Il Lamboglia, in alcune sue note in buona parte inedite, scritte nel 1963, ricordò come, nell'intimo, gli archeologi erano i più perplessi e preoccupati “anzitutto perché Quaglia4 accettava di fare il mecenate con condizioni ben precise, che egli aveva posto allo Stato: esser padrone della metà di quanto recuperato (e non di un terzo come voleva la legge), salvo poi decidere in seconda istanza se e come fare un gesto di mecenatismo verso la sua città”.

“In secondo luogo perché il recupero della cassaforte dell’”Egypt” offuscava la mente ai suoi collaboratori che pensavano di cercare la cassaforte della nave romana ed erano disposti a qualunque sacrificio pur di riuscirci. Per l'ultimo, e per superabili che fossero i rischi di questi stati di animo, c'era la più totale impreparazione ad un'impresa del genere” ed aggiungeva: “i nostri patemi di archeologi coscienti si erano verificati in pieno. Come fermare, come difendere gli altri e noi stessi dalla frenesia del recupero? Come evitare un secondo naufragio della nave, se veramente c'era, fragile e trattata da gente che, con tutte le migliori intenzioni, mirava alla cassaforte e al numero di anfore recuperate? Furono ore terribili, aggravate dal fatto che a terra non ci sentivamo sostenuti da nessuno, né dalla Soprintendenza né dai nostri stessi amici e collaboratori, entusiasti della nave romana a qualunque costo. Non si potevano ancora fare fotografie a quella profondità e per un rilievo sommario 1'“Artiglio” non era attrezzato. Era chiaro che occorreva affidarsi al buon Dio e

2

N. LAMBOGLIA,La nave romana di Albenga, in RSL, XVIII, 1952, 1-4, p. 142. Alla fine della campagna dell'"Artiglio" erano state

recuperate 728 anfore "tra integre e poco mutile" (N. LAMBOGLIA,// Museo Navale Romano di Albenga, in RII, V, 1950, 3-4, p. 72), "Ma i colli ed i frammenti di quelle schiacciate dalla benna indicavano un numero ben maggiore" (Restauri e considerazioni di

metodo sulle anfore di Albenga, in RII, VII, 1, 1952, p. 25

3

Un'interrogazione parlamentare sulla nave romana di Albenga, in RII, V, 1950, 3-4, p. 88.

(4)

sperare in un fortunale”. Nelle stesse note aggiunse ancora: “Nessuno di noi era archeologo navale, nessun allievo e nessun insegnamento era uscito dall'esperienza negativa, salvo quello che scavare per entusiasmo e per preconcetto politico significa spesso distruggere o affrettare la distruzione”. L'esperienza di Albenga segnò profondamente il Lamboglia che decise di non effettuare scavi subacquei finche tecnicamente non si fossero materializzate le premesse per procedere sistematicamente e scientificamente applicando gli stessi sistemi già collaudati negli scavi a terra agli scavi subacquei. In questi anni egli conobbe Fernand Benoit col quale pubblicò l'articolo “Scavi sottomarini in Liguria e in Provenza5” una raccolta di dati su tutti i ritrovamenti sottomarini effettuati fino al 1952 nelle due regioni. A proposito di tale pubblicazione il Lamboglia scrisse: “Tra molti anni questo primo tentativo di sintesi locale farà forse sorridere ed apparirà come lo stadio d'infanzia di una nuova branca dell'archeologia; ma era pur necessario che questi primi passi di una disciplina appena nata e di una tecnica ancora in formazione fossero fissati e illustrati con la dovuta ampiezza. E' questa una prerogativa che resterà alla Liguria e all'Istituto di Studi Liguri6“.

L'incontro del Lamboglia e del Benoit con i subacquei presenti al I Congresso di Archeologia Sottomarina tenutosi a Cannes nel 1955 è assai significativo, in quanto per la prima volta apparve evidente il contrasto esistente tra sportivi e archeologi sulle metodologie da adottare negli interventi su siti archeologici sottomarini e, soprattutto, sulla necessità di documentare ogni oggetto.

Nello stesso tempo, il Lamboglia, ispirandosi al sistema di rilevamento topografico già in uso a terra, sperimentò una rete di stuoia formata da quadrati di 2 m di lato che, collocata sul giacimento sommerso, doveva servire da punto di riferimento per la documentazione fotografica dalla quale estrapolare il rilievo.

5 N Lamboglia, La Nave romana di Alberga, in RSLXVIII,1952,1-4,pp.131-236 6

Pubblicazioni dell'Istituto nel 1953. La Rivista di Studi Liguri e gli scavi sottomarini, in RII, Vili,

(5)

Questo sistema venne applicato per la prima volta in Sardegna sul relitto di Spargi e creò non pochi problemi, poiché le fettucce risultarono sensibili al movimento ondoso ed all'azione delle correnti nonché elemento di attrazione per i polpi che facilmente le spostavano.

Fig. 5 - Spargi, 1958. Nino Lamboglia (al centro) con i suoi collaboratori subacquei. Da sinistra a destra A. Pederzini, G. Laviano. A. Pontiroli, R. Ferrandi e G. Roghi.

Fig. 6- Spargi, 1958. N. Lamboglia con l'editore Angelo Rizzoli e il Soprintendente prof. Mario

Mirabella Roberti osservano i materiali recuperati dal relitto.

Fig. 7- Spargi, 1958. Nino Lamboglia (al centro) con Duilio Mercanti (a destra) e I. Callegaro (a sinistra).

Fig . 8 spargi, 1958. Gli operatori subacquei col-locando la rete di riquadri per la documentazione fotografica e grafica.

I risultati ottenuti furono presentati al II Congresso di Archeologia Sottomarina tenuto ad Albenga nel 1958. Tale rete fu perfezionata l'anno successivo utilizzando quadrati in metallo di 1,50 m di lato.

II voto finale del Congresso di Archeologia Sottomarina tenutosi ad Albenga nel 1958 prevedeva che le tre nazioni interessate al Mediterraneo nord occidentale, e cioè Italia, Francia e Spagna, si dotassero di un mezzo nautico convenientemente attrezzato per la ricerca subacquea.

(6)

L'Italia fu la prima nazione a realizzare tale voto e, nella primavera del 1959, con la firma di un'apposita convenzione, il Ministero della Marina metteva a disposizione del Ministero della Pubblica Istruzione la nave “Daino”.

La scelta della nave era stata fatta presso l'Arsenale Militare di La Spezia, tra le corvette della classe “Antilope”. In questo gruppo il “Daino”, ex unità tedesca, costruita nel 1943 e consegnata all'Italia nel 1949, era quella che presentava le caratteristiche che più si adattavano a quelle richieste dal Centro Sperimentale di Archeologa Sottomarina.

Fig. 9– Isola di Giannutri, 1963, Punta Scaletta. La nave Daino ancorata sul relitto

Tali richieste riguardavano il dislocamento, la velocità, l'autonomia, lo spazio disponibile per le strutture di servizio (direzione scientifica, sala operativa,infermeria, magazzino per i materiali archeologici, gabinetto fotografico, ecc.), per gli alloggi del personale civile e il pescaggio, che non doveva superare i 2,50 m.

L'adattamento del “Daino” ad unità archeologica ed oceanografica fu decisa nella riunione dell'apposita commissione tenutasi al Marinarsen di La Spezia il 14 gennaio 1959.

Il giorno successivo alla riunione, il Lamboglia scriveva al Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, prof. Guglielmo De Angelis D'Ossat, illustrandogli l'esito della riunione stessa e specificando: “Non sognarli neppure che una attività simile possa essere sostenuta e finanziata coi normali uomini e sistemi della nostra amministrazione statale e col controllo della Corte dei Conti: naufragheremo alla

(7)

prima settimana”.! Nella stessa lettera, prendendo come esempio Rizzoli, che aveva finanziato la prima campagna sul relitto di Spargi nel 1958, aggiungeva: “Vorrei convincerti, precisamente da questo esempio, che il modo migliore per servire lo stato e la nostra amministrazione è proprio quello di fare tutto quello che si può, dal punto di vista contabile e formale, fuori dalle pastoie amministrative ... Non devi dimenticare che, se non ci mettessimo sotto il dichiarato usbergo del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina la nave archeologica sarebbe ben presto in balia dei vari dilettanti sportivi e giornalisti, degli archeologi che fanno poesia e dei deputati delle varie regioni italiane”.

La nave “Daino” fu munita di attrezzature all’avanguardia, acquistate dal Ministero della Pubblica Istruzione per l'ingente somma di 100 milioni.

Durante l’allestimento del’”Daino”, il Lamboglia si pose per la prima volta anche il problema della sicurezza, per cui venne montata a bordo la torretta batiscopica e dopo due anni, la camera di decompressione.

La torretta serviva anche per il Lamboglia e per gli archeologi che non si immergevano con l'autorespiratore. Il Lamboglia non sapeva nuotare. E’ emblematico a riguardo l’aneddoto che uno dei sommozzatori raccontò sulla prima esperienza nella campana da parte dello studioso: “La campana, chiusa nel lato inferiore e pertanto stagna, fu calata a una ventina di metri sulla scogliera della Gallinara: c’erano dentro Ferranci, Pederzini e il professor Lamboglia. Era la prima volta che l’archeologo vedeva il mare di sotto, ed era una delle prime esercitazioni pratiche con l’attrezzo. La campana, anzi adesso la torretta, rischiò di bloccarsi in un canalone Fig. 10 – Isola di Giannutri, 1963, Relitto di Punta

Scaletta. La campana batoscopica in appoggio all’operatore subacqueo

(8)

roccioso, andò su e giù a strattoni, poi si interruppe il telefono. I tre non si sentivano troppo tranquilli. D’un tratto arrivò uno sciame di grandi ricciole, circondò il tubo d’acciaio. Ferrandi e Pederzini, incollati agli oblò, mugolavano. Il professore si stupì: “Be!” , disse, “che avete?”.

“Ricciole, professore, guardi che spettacolo!”.

“Pesci. Ci sono anche in pescheria”. I due strizzarono gli occhi”.

Si rendeva inoltre contro delle difficoltà di non poter assistere personalmente alla maggior parte del lavoro, tanto è vero che nella chiusura del suo articolo su La Nave Romana di Albenga, scriveva: “L’archeologo lavora nelle condizioni in cui lavorerebbe un cieco in terraferma;ascoltando e annotando quello che gli riferiscono gli operatori subacquei e guidandoli solo a distanza”.

La Marina Militare, oltre alle spese di trasformazione, aveva munito il Daino anche delle attrezzature necessarie per la ricerca oceanografica e dotato di imbarcazioni di supporto per i collegamenti a terra e per gli interventi a bassissima profondità, in vicinanza della costa.

La durata della convenzione tra i due ministeri era di cinque anni, dal 1959 al 1963. Ogni anno il “Daino” era a disposizione del Ministero della Pubblica Istruzione per la durata di cinque mesi.

Contemporaneamente un'altra convenzione veniva firmata tra quest'ultimo e l'Istituto di Studi Liguri. In essa si stabiliva che l'Istituto, per il tramite del suo Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina, doveva effettuare le campagne di ricerca e di scavo nei mari italiani per conto del Ministero della Pubblica Istruzione e doveva presentare dei programmi annuali di ricerca concordati preventivamente con le singole Soprintendenze. A fronte di questo tipo di attività, il Centro doveva finanziare le assicurazioni del personale impiegato, esonerando da tali responsabilità il Ministero della Pubblica Istruzione, e, alla fine di ogni campagna, aveva l'obbligo di consegnare i materiali provenienti dagli scavi, opportunamente ordinati ed inventariati, e di presentare, entro i tre mesi successivi alla fine di ciascuna campagna, una relazione scientifica sul lavoro fatto.

(9)

I primi due anni7 furono utilizzati come periodo di rodaggio “con prudenziale discrezione” come soleva dire il Lamboglia, per collaudare le attrezzature e per poter trarre delle considerazioni sulla fattibilità della Forma Maris Antiqui di tutte le coste d’Italia, tra cui anche la prospezione tra Capo Mortola e Ventimiglia.

Il 1962 fu dedicato in buona parte al tentativo di eseguire uno scavo sistematico, in trincea, sulla fiancata della nave romana di Albenga. Durante i lavori si riscontrarono notevoli difficoltà oltre che logistiche,anche nei rapporti tra civili e militari. Secondo il comandante del “Daino” le tabelle di decompressione della Marina non prevedevano immersioni ad oltre 39 metri di profondità con una permanenza superiore ai 10minuti. Erano gli anni infatti in cui stavano iniziando a prendere piede le immersioni con autorespiratore e la nascita delle prime tabelle ad uso civile, mentre i militari erano ancora legati alla formazione come palombari e quindi molto più legati ad una diversa concezione del lavoro subacqueo.

In attesa delle decisioni della Marina, Lamboglia decise di interrompere i lavori e di mandareil “Daino” a Gaeta, ove la batimetria non superava gli 8-10 m.

In un intervista rilasciata dopo questo fatto il Lamboglia dichiarava: “Per il 1963, ad ogni modo, sta facendosi largamente strada in me la prima idea, da cui ho deviato l’anno scorso; che occorra andar per gradi e che prima di affrontare con le sorbone lo scavo di un relitto così smisurato a 40 metri di profondità, come quello di

Albenga, occorra affermare e provare i metodi di lavoro, e propriamente di scavo, su di un giacimento minore e soprattutto a minor profondità. Abbiamo fatto bene a rilevare e proteggere la nave romana di Albenga, ma forse è meglio lasciarla ancora in letargo 5 o 10 anni e attendere che si possa “tirarla su” con mezzi adeguati”.

La campagna del 1962 durò soltanto 17 giorni dopo i quali il Lamboglia scriveva: “II “Daino” non è ad Albenga per far della propaganda a tizio e caio ma per tentare un esperimento. Il primo che si fa in Italia con mezzi adeguati e con un programma, a lunga scadenza, di scavo a grande profondità (e purtroppo anche l’ultimo). Per tanto tutti i risultati, sia positivi sia negativi, che si traggono da questa campagna

(10)

rimangono acquisiti in maniera definitiva al progresso scientifico dell'archeologia sottomarina”.

Nei cinque anni in cui il “Daino” fu impiegato vennero effettuati 25 cantieri, tra i quali sono stati particolarmente importanti quelli di Punta Epitaffio a Baia, dove venne impostata la topografia di base per i successivi cantieri; quello del relitto di Albenga, ove fu effettuato il rilevamento totale della nave; quello di Punta Scaletta a Giannutri, che consentì di rilevare e recuperare i resti del carico di un relitto formatosi su un fondale in pendio; quello del relitto di Spargi, col rilievo del secondo strato di anfore, nonché altri interventi minori, ma pur sempre con una loro importanza, che non staremo ad elencare in questa sede essendo già stati oggetto di diverse pubblicazioni e relazioni preliminari.

In vista della imminente scadenza della Convenzione nel 1963, il Lamboglia scrisse in via riservata a Carlo Russo, allora Ministro delle Poste e delle Comunicazioni, comunicandogli che si poteva intravedere la possibilità di proporre una internazionalizzazione del “Daino”, che avrebbe potuto essere impiegato quattro mesi in Italia e quattro in Francia. “Non ti sfuggirà certamente che arrivare ad un simile traguardo sarebbe un risultato internazionale di grandissima portata, non soltanto sul piano archeologico e scientifico, ma tale da riflettersi su tutta la posizione dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri nel mondo Mediterraneo”, e lo prega, i voler intercedere presso il Ministro degli Esteri Couve de Mourville. Alla risposta dell’On. Russo circa le “difficoltà difficilmente sormontabili” che tale risposta poteva comportare, il Lamboglia ribadiva che si erano già presi accordi con Benoit e con il prof. Hubert Gallet de Santerre affinchè suddetta proposta fosse prospettata a Parigi e aggiungeva inoltre che: “... se Parigi dovesse dire di no dovrebbe in alternativa concedere loro qualche cosa sul piano nazionale. Se invece dovesse dire di sì, e trattare, potrebbe essere la via per tentare il superamento degli ostacoli formali che apparentemente si oppongono”.

Il quinquennio previsto dalla Convenzione aveva quindi dato notevoli risultati scientifici sia di immagine internazionale, all'archeologia sottomarina italiana che, per

(11)

cinque anni, era balzata all'avanguardia tra i diversi paesi che operavano nel Mediterraneo.

Ma alla scadenza del termine della convenzione l'Istituto di Studi Liguri venne a trovarsi in una difficile situazione finanziaria, con un notevole deficit, in quanto aveva dovuto anticipare i finanziamenti per le campagne e, a causa dei notevoli ritardi nel rimborso da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, tali finanziamenti apparivano difficilmente recuperabili.

Inoltre, occorreva anche tener presente i considerevoli costi di armamento del “Daino”, che erano a totale carico del Ministero della Marina Militare. Per tutte queste ragioni si giunse alla decisione unanime di effettuare una sospensione provvisoria dei lavori a partire dal gennaio del 1964. Con una certa amarezza per questa situazione, nel dicembre del 1964, il Lamboglia scriveva a Carlo Russo: “La ragione di tutto questo non sta nella cattiva volontà della Marina né nella mancanza di impegno da parte nostra, ma semplicemente nel fatto che l'Istituto Internazionale di Studi Liguri, per quanto sia solido, è sempre una navicella troppo debole per far fronte, senza mezzi finanziari, ad una gestione così onerosa con carattere particolare com'è quella di una campagna archeologica in mare. Lo Stato, vedi Ministero della Pubblica Istruzione, ci ha abbandonati a noi stessi sotto questo aspetto e solo negli ultimi due anni ci ha rimborsato briciole, cioè le spese dei pasti consumati a bordo dai singoli partecipanti alla campagna” e prosegue: “...nessuno al Ministero ha idea, come puoi averla Tu, di quel che significa un lavoro così complesso, rischioso e totalmente nuovo, e mette sullo stesso piano i sommozzatori e i pescatori di lenza! Difficile, anzi impossibile, un ulteriore dialogo, perché due altri fattori influiscono negativamente: la propaganda, che in questo campo valorizza le attività e le aberrazioni a carattere puramente sportivo, e la malcelata gelosia dei Soprintendenti, i quali vedono ogni fondo speso per l'Archeologia sottomarina come una sottrazione alla loro torta, non molto abbondante in verità su scala nazionale”.

Negli anni 1964-65 Lamboglia tentò, senza successo di ottenere ulteriori finanziamenti per proseguire l’attività con il Daino, il quale nel 1966 su decisione

(12)

della marina era stato messo in disarmo e le attrezzature erano state, non senza difficoltà affidate all’Istituto di studi Liguri.

Lamboglia rispose all'ammiraglio Mocci, Capo di Stato maggiore della Marina prendendo atto che questo fatto segnava il De profundis per il “Daino” e aggiungendo: “Credo che ormai occorra studiare un diverso orientamento della questione, ma esso dipende tutto dalla risposta del Centro Nazionale delle Ricerche, per il finanziamento di tale attività. In caso positivo potremo, con diverso metodo da quello seguito nei 5 anni di attività del “Daino”, armare un piccolo natante da ormeggiare sul posto di ogni ricerca, e chiedere l'appoggio di un rimorchiatore o di altra nave della Marina Militare di volta in volta, a titolo di appoggio”.

Nei primi mesi del 1968 era pure stata fatta, da parte di un gruppo di subacquei di La Spezia, una proposta mirante ad istituire un Centro Nazionale di ricerche archeologiche subacquee, nella quale si parlava di avocare a tale Centro tutte le attrezzature acquistate dal Ministero della Pubblica Istruzione nel quinquennio 1959-1963.

La richiesta sconvolse il Lamboglia che si rivolse ai politici liguri affinché intervenissero onde evitare che venisse distrutta totalmente l'organizzazione archeologica sottomarina che era stata sistemata ad Albenga al prezzo di grandi fatiche e sacrifici. Egli si lamentava perché “la posizione della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, nonostante la buona volontà di qualche funzionario, è di totale attesa e letargo” e perché “l'orientamento del Ministero della Pubblica Istruzione è pregiudizievole per la Liguria occidentale e per il prestigio internazionale italiano”.

La risposta non si fece attendere e, nel mese di luglio del 1968, il Ministero della Pubblica Istruzione, a seguito del rinnovo della convenzione avvenuto nei primi mesi del 1968, su consiglio della Soprintendenza Archeologica di Genova, scrisse all'Avvocatura dello Stato per chiedere un parere circa la consegna all'Istituto di Studi Liguri delle attrezzature imbarcate sul “Daino”.

(13)

Finalmente, nello stesso anno, tutte le attrezzature furono consegnate dalla Soprintendenza Archeologica della Liguria al Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina di Albenga.

Il periodo che intercorre tra il 1964 e il 1968 rappresentò un momento di interruzione delle attività subacquee e di meditazione. In questi anni furono effettuati solamente modesti interventi in Liguria ove, con regolare concessione Ministeriale, si svolsero prospezioni nelle acque dell'Isola Gallinara, nella rada di Portovenere e alla “Pria Pulla” di Genova Pegli e si garantirono la tutela e la salvaguardia della Nave Romana di Alberga.

Nel 1968 il Lamboglia cercò una soluzione per poter disporre di una nave attrezzata; se il Ministero della Pubblica Istruzione avesse garantito cinque milioni annui per cinque anni per l'affitto di un natante, egli sarebbe stato in grado di armare una nave per le ricerche subacquee. Nel 1968 aveva ricevuto una lettera di proposta di vendita di un motorsailer, il “Pegasus”, di nazionalità tedesca occidentale, costruito nel 1943 e rimesso a nuovo nel 1967.

Furono presi i primi accordi e l'Istituto di Studi Liguri ne deliberò l'acquisto.

A tale riguardo il Lamboglia comunicava questa decisione a Massimo Pallottino specificando che: “Per riparare alla perdita insana del “Daino”, dopo tanto sudore per renderlo efficiente negli ultimi due anni di campagna, abbiamo trovato modo di acquistare a condizioni eccezionali un'imbarcazione più leggera ma fatta per la navigazione atlantica e abbastanza sicura che permetterà di impiegare tutte le attrezzature già pronte e di farle funzionare come in passato, con spese di gestione ben minori, per tutto l'anno e senza intralci e remore di regolamenti militari''

Purtroppo le pratiche burocratiche di trasferimento della nave in Italia rischiavano di ritardare ulteriormente la decisione presa. Nel contempo l'attenzione di Lamboglia venne attratta da un motoveliero italiano, il “Rocco I”, costruito a Chioggia dalla ditta Ravagnan nel periodo 1943/51. La nave era stata varata il 26 aprile 1951 ed era, in quel momento, proprietà degli armatori Fili Sodini di Viareggio.

(14)

Dopo gli accordi di acquisto, Lamboglia informava l'On. Carlo Russo della decisione di acquistare “una nave italiana equivalente, anzi lunga 5 m di più (rispetto al Pegasus) ma che presentava gli stessi vantaggi ed è di fabbricazione più recente”. Venne ribattezzata dal Lamboglia “Cycnus”, in onore del mitico re dei Liguri.

Le attrezzature acquistate dieci anni prima dal Ministero vennero imbarcate ed erano perfettamente funzionanti in quanto l’Istituto di Studi Liguri aveva provveduto, nel periodo intercorso dal disarmo del “Daino” all'ordinaria manutenzione.

Nell'agosto del 1969 Lamboglia comunicava finalmente a Pallottino ed ai membri del Consiglio Superiore l'entrata in funzione della nave “Cycnus”, la cui prima campagna di prova venne effettuata ad Albenga, e mirava a risolvere il problema della tutela con il posizionamento in loco di una boa luminosa e l’emanazione da parte della Capitaneria di Porto di un'apposita ordinanza, che diede sul notevoli risultati, sia per evitare il passaggio dei pescherecci con le reti a strascico che, per impedire le immersioni effettuate dai sommozzatori clandestini.

Gli anni 70 e 71 furono funestati dalla cronica carenza di fondi elargiti dal Ministero, ma nonostante tutti i disguidi e ritardi, furono effettuati numerosissimi interventi in Liguria, Lazio e Sardegna.

Tra il 1972 e il 1974, il Lamboglia riuscì ad ottenere finanziamenti dai privati (AccademiaAmericana di Roma) e da alcune Soprintendenze (Sassari, Puglia, Liguria). Si procedette pure alla compilazione della Forma Marìs Antiqui, controllando in molti casi direttamente sul posto le segnalazioni di ritrovamenti fatte da pescatori e da sommozzatori. In questi anni, vennero effettuate campagne di scavo e di rilevamento sui relitti di Albenga, di Spargi, di Funtanamare, Porto Badisco, di Cala Gadir (Pantelleria), di Filicudi (sul relitto F di Capo Graziano, assai impegnativo per la notevole profondità, 55 m), nella baia di Santa Sabina (Brindisi), a Riace e nelle zone portuali di Populonia (Baratti) e Pyrgi (Santa Severa); queste ultime effettuate in collaborazione con la Scuola Americana di Roma.

(15)

Per l’anno 1975, in seguito alle notevoli spese sostenute per lo scavo del relitto F di Filicudi, il Lamboglia cercò nuovamente delle soluzioni per riorganizzare il comando e l'equipaggio delle imbarcazioni.

Nel considerare l'esperienza acquisita dai sommozzatori della Pubblica Sicurezza, egli scrisse in questo senso al Ministero dell'Interno, Ispettorato Generale della Pubblica Sicurezza, specificando che “Tra le varie soluzioni ventilate può esistere anche quella dell'imbarco temporaneo o permanente, a bordo della nave “Cycnus”, di un comandante e di due marinai sommozzatori, o semplici marinai o semplici sommozzatori, provenienti dal Corpo Guardie di Pubblica Sicurezza, e da esso, come già in passato, messi a disposizione del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina” e aggiungeva che, se tale eventualità si fosse realizzata, ne poteva derivare, tra l'altro, la permanenza continua, a bordo della “Cycnus”, non solo di un gruppo responsabile di Guardie di Pubblica Sicurezza, ma anche una prima attuazione di “un gruppo di Polizia Archeologica di cui si auspica, anche in terraferma, da anni, la costituzione”. Il Ministero rispose dicendo che non era nelle condizioni di aderire alla richiesta.

Nel 1975, con la creazione del Ministero dei Beni Culturali, si tentò di dare una nuova struttura all'archeologia subacquea italiana. Il Ministro ed i suoi collaboratori presentarono al Parlamento una “Bozza di disegno di legge sui Beni Culturali subacquei”. Tale “Bozza” faceva riferimento alla legge 1089 del 1939 estendendola alla tutela dei beni di interesse archeologico o storico che si trovano nelle acque territoriali e nelle acque interne, pubbliche e private. La “Bozza” prevedeva l'istituzione, a Roma, di una “Soprintendenza ai Beni Archeologici, Storici e Ambientali subacquei”, secondo il modello della Direzione delle Antichità Sottomarine francese, con un organico minimo. La Soprintendenza poteva avvalersi, in caso di necessità, dell'opera delle diverse istituzioni italiane convenientemente attrezzate e scientificamente valide per la ricerca archeologica che ne facessero richiesta, secondo quanto già previsto per gli scavi a terra, e avvalendosi,qualora si presentasse l'occasione, dell'opera di studiosi in qualità di consulenti. All'entrata in

(16)

vigore della legge era prevista la creazione di una Commissione con il compito di elaborare una carta delle potenzialità dei beni sommersi (Forma Maris Antìqui) da pubblicare a cura del Ministero, in base alla quale il Ministero stesso avrebbe dovuto procedere alla regolare notifica per I Beni Archeologici e storici subacquei.

La risposta del Lamboglia a questa “Bozza di disegno di legge” non si fece attendere,infatti, nel mese di marzo 1976, Lamboglia scrisse al dott. Italo Angle, Capo Ufficio Studi del Ministero, allegando le sue osservazioni e le sue proposte. Da queste appare chiaro come egli fosse contrario alla più facile autorizzazione di ricerca a favore di enti o privati, perché non andasse dispersa l'opera di arginamento dei dilettanti e dei clandestini già compiuta precedentemente dal Ministero. Suggerì di tenere in maggior conto la competenza di altri organi dello Stato e in primo quella dell'Autorità marittima, dando forma giuridicamente definita, tramite le Capitanerie di Porto, alle ordinanze e ai divieti, che equivalgono alle notifiche di vincolo archeologico in terra ferma.

Lamboglia sconsigliava la creazione, come prevedeva la proposta, di una Soprintendenza alle Antichità subacquee a carattere nazionale che avrebbe moltiplicato le difficoltà implicando una serie di conflitti di competenza con le già esistenti Soprintendenze territoriali, soprattutto per quanto riguardava il problema della tutela, per la quale appariva indispensabile un solido appoggio in terraferma ed in ambito regionale. Egli non escludeva, tuttavia, la creazione di un ufficio centrale presso il Ministero dei Beni Culturali, ma quest’ufficio avrebbe dovuto avere funzioni prevalentemente amministrative e di coordinamento generale facendo da tramite tra il Ministero, le Soprintendenze, il Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina e ogni altro organo dello Stato interessato. Nella stessa lettera Lamboglia sottolineava la difficoltà di formare nuovi collaboratori in questo campo.

La Forma Maris Antiqui, secondo lo studioso, non doveva essere pubblicata e pubblicizzata ma tenuta riservata, almeno fino al momento in cui non fosse esistito in Italia un adeguato ed effettivo servizio di protezione.

(17)

Il periodo che intercorre tra il 1974 e il 1976 rappresenta pure un momento di ripresa dei contatti con gli archeologi subacquei francesi insieme ai quali furono tenute, in occasione della allora ricorrente Mostra Navale di Bordighera. le “Giornate italo-francesi dell'Archeologia sottomarina”. Queste non solo avevano consentito di mettere a confronto i rispettivi risultati, le tecniche e i sistemi organizzativi impiegati dalle due nazioni ma, fino al 1976, di fare un diretto confronto tra le navi “Cycnus” e “Cycnulus” con l'Archéonaute”. Da questo confronto emerse la maggior funzionalità e utilità d'impiego delle due navi italiane, nonostante la maggior modernità e manovrabilità del corrispondente mezzo francese, che non aveva a bordo né la camera di decompressione né la campana batiscopica.

Nel mese di febbraio del 1976 Lamboglia scrisse al prof. Mario Pedini, Ministro per i Beni culturali ed Ambientali, compiacendosi per la sua nomina e aggiungendo: “Il problema dell'archeologia sottomarina è uno di quelli che al momento attuale, più acutamente pesano sull'Istituto di Studi Liguri, in quanto con apposita convenzione abbiamo accettato, non da oggi, di accollarci tale branca di attività non facilmente inquadrabile nelle procedure statali; ma sono sempre mancati, nonostante i riconoscimenti e la buona volontà del Ministero, i mezzi sufficienti per pareggiare le spese pur contenute, con due navi in armamento e con personale ridotto al minimo, nel più francescano spirito economico”.

Alla fine del 1976 il Lamboglia compendiò, in una cospicua relazione, l'attività del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina dal 1970 al 1976 .

In essa ricorda la presa di coscienza, anche se non senza evasioni e polemiche, da parte di migliaia di subacquei che affollavano le coste italiane ed ai quali si dovevano a volte scoperte di importanza eccezionale, circa la necessità di adeguarsi ad una tecnica di ricerca scientificamente valida e produttiva e in particolare sottolineava che: “Non si può dire invece che sia ancora nata, come da due decenni si auspica, una generazione di archeologi subacquei, capaci di spostare anche momentaneamente il loro campo di ricerca e di scavo dalla terra sul fondo del mare, e di acquistare l'esperienza tecnica necessaria per guidare e orientare i subacquei di buona volontà e

(18)

padroneggiare l'organizzazione di imprese e campagne di ricerca tecnicamente più complesse, quali dovrebbero esistere a lato di ciascuna Soprintendenza”.

In previsione dell'anno finanziario 1977, N. Lamboglia aveva chiesto al Ministero di cercare di sdoppiare l'articolo 2105 del Bilancio generale dello Stato “Sussidi e contributi per ricerche e scavi archeologici, anche sottomarini” istituendone uno apposito con il titolo “Sussidi e contributi per ricerche e scavi archeologici sottomarini e nelle acque interne” e proponeva un finanziamento di 500 milioni di lire.

Tale stanziamento fu, in realtà, di soli 100 milioni, in buona parte destinati al Centro Sperimentale di Albenga in base ai programmi concordati di volta in volta col Ministero.

Un tragico incidente, avvenuto nel porto di Genova il 10 Gennaio 1977, mentre si recava a Sassari per riscuotere i pagamenti relativi alle campagne effettuate in Sardegna quello stesso anno, troncò la fervida attività del Lamboglia.

Nelle “Norme pratiche per la continuità dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri in caso di morte del prof. Nino Lamboglia” da lui redatte e allegate al suo testamento, scriveva: “Non considerare l'archeologia sottomarina come un lusso o come un parassita, ma ridurla alle sue proporzioni giuste e realizzabili in accordo con Carlo Russo, che mi ha spinto per primo su questa via. Occorre svilupparla e continuarla in maniera autonoma ma sempre attraverso l'Istituto, e formando un assistente che vi si dedichi ex professo. Non parlo della nave “Daino”, che rappresenta già un ricordo, ma del coordinamento generale di lavoro che occorre fare in sede scientifica per tenere fede agli impegni da me assunti e scarsamente mantenuti in tal senso. La pubblicazione degli Atti dei Congressi e della Forma Maris Antiqui possono costituire un fattore di armonia e di prestigio per tutto l'Istituto”.

Nel suo testamento8 specificava ancora: “per l'archeologia sottomarina si cerchi tra i giovani un homo novus capace di capirla e continuarla, se nel frattempo non sarà già nato”.

(19)

Non vi è dubbio che la figura del Lamboglia, in collaborazione col Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina, ha fatto fare notevoli passi avanti alla ricerca scientifica subacquea italiana e mediterranea. Piccoli passi si stanno compiendo in questo senso, ma la situazione appare oggi notevolmente mutata; non tanto nell'applicazione di nuovi concetti e metodologie, facilitate dalle continue innovazioni nel campo dell'archeologia e della scienza subacquea quanto, per le nuove situazioni che si sono venute a creare: la presenza a Roma dello STAS, organo del Ministero dei Beni Culturali per gli aspetti tecnici dell'archeologia subacquea, da una parte, ed il sempre più crescente numero di giovani archeologi subacquei per i quali la situazione non offre né una palestra di formazione né un lavoro continuativo, dall'altra.

Figura

Fig. 3 - Albenga, Nave Romana,1950.   La "benna" durante il recupero di anfore
Fig. 5 - Spargi, 1958. Nino Lamboglia (al centro) con i  suoi collaboratori subacquei

Riferimenti

Documenti correlati

16 sopravvenuti ed esauriti nel periodo ispezionato grafico 13 Tribunale di ASCOLI PICENO Numero di procedimenti penali di rito monocratico modello 16 sopravvenuti ed esauriti solo

Entro il termine di 10 (dieci) giorni solari decorrenti dalla data di ricevimento da parte dell’Impresa della comunicazione, da effettuare mediante raccomandata A/R e/o tramite

 supporto specialistico all’analisi normativa e amministrativa per lo sviluppo delle procedure informatiche e dei servizi telematici, nonché verifica delle

Garantisce il governo centralizzato per l’esercizio del diritto di accesso e la tenuta del Registro nazionale degli accessi, esercitando, nel proprio ambito, la funzione di Centro

Procura della Repubblica di Pescara ­ – numero di affari in materia di misure di prevenzione ­ sopravvenuti ed esauriti nel periodo ispezionato – ­ grafico 7 Procura della

L’Impresa, entro il termine di 60 (sessanta) giorni solari dall'avvenuta “Riunione di avvio lavori”, di cui al precedente Paragrafo 4.bis.1, dovrà provvedere

Entro ___ (_____) giorni solari, decorrenti dalla data di ricevimento della comunicazione dell’avvenuta approvazione ed esecutività del contratto nei modi di legge, effettuare

4. I titoli devono essere posseduti alla data di scadenza del termine utile per la presentazione della domanda di partecipazione al concorso e devono essere dichiarati nella