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mm 125 1000 mm 25⇒=φ⇒8f;

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(1)

CAPITOLO IV Spettrometri ottici

1) BREVI RICHIAMI DI OTTICA GEOMETRICA Formula dei punti coniugati (rispetto a una lente sottile)

1 f =1

s+1

s'

(1)

Fig. 1

dove f è la lunghezza focale, s la distanza dalla lente dell’oggetto e s’ quella dell’immagine. Se h e h’ sono le dimensioni lineari dell’oggetto e dell’immagine, l’ingrandimento è

m= h' h =s'

s

(2)

Il numero di diottrie D è il reciproco della distanza focale espressa in metri:

D 1f

=

Esempio: una lente per occhiali da 3 diottrie ha una f = 0,33 m.

L’ F-Number e l’Apertura Numerica (N.A.)

L’f-number è il rapporto tra la lunghezza focale e il diametro ϕ di una lente (o del diaframma posto davanti ad essa).

fnumber= f /#= f

φ (3)

Esempio

Obiettivo 50mm f/2⇒φ=25mm;1000 f 8⇒125mm

Consente di determinare le φ ottimali dei componenti del sistema ottico.

(2)

Fig. 2

L’apertura numerica N.A. con cui un punto P dell’asse ottico vede una lente (uno specchio) è il seno dell’angolo che un raggio marginale che parte da P (fig. 2), raggio cioè che colpisce il bordo estremo della lente, forma con l’asse ottico; se la lente ha diametro ϕ,

f 2

= φ θ

=sin

N.A. (4)

Quindi anche:

N.A.= 1

2⋅ f # (5)

Più in generale, se la luce non si propaga nell’aria o il vuoto, ma in un mezzo di indice n,

N.A.=n sinθ

Si può notare allora che la N. A. si conserva quando la luce passa attraverso mezzi di indici diversi, come in Fig. 2. Infatti, per la legge di Snell,

N.A.1 =n1sinθ1=n2sinθ2 =N.A.2 Esempio

Adattare una sorgente a filamento F di tungsteno spesso 1mm ad un analizzatore di spettro avente ottica f/4 e fenditura di ingresso F’ di 100 , distante x=200 mm dalla sorgente. Tutto il percorso è µ in aria.

F(h) s s’ F’(h’)

θ θ’

Fig. 3 (filamento e fenditura si estendono in lunghezza ortogonalmente al piano della figura) Se il sistema ottico è una lente sottile, allora x≅s+ 's.

Combinando la (1) e la (2) si calcola la focale della lente:

(3)

N.A.= ϕ

2 f = 1

2 ⋅ f # ⇒ ϕ= f

f # =14.5

4 =3.6 mm Esempio

Determinare l’ottica di accoppiamento tra una sorgente a filamento (con h=1 mm) ed una fibra ottica avente un core di diametro d = 0.1 mm e n1 = 2.5 ed un rivestimento di n2 = 1.5.

Sia s+s’ = 22 mm.

Si risolve come il caso precedente, ma bisogna trovare la N.A. della fibra ottica (o il suo f-number). La fibra trasmette tutti i raggi compresi nel cono θ0 che consente la riflessione totale tra core e rivestimento.

Solitamente, la luce giunge sulla fibra da una lente a menisco di indice ≅n1.

Quindi θ0 ≅θ1. Dalla legge di Snell per riflessione totale: Fig. 4

1 2 2 2 1 2

1 2 1

2 1

0 n

n n n

1 n 1

A

N −

"" =

#

$

%%&

−'

= θ

= θ

≅ θ

=sin sin cos

. . Quindi

N.A.=

( )

2.5 2

( )

1.5 2

2.5 =0.8

f =m

(

s+s'

)

1+m

( )

2 =2 mm

s=20 mm;s'=2 mm ϕ =N.A.⋅2 f =3.2 mm

Si sceglierà un diottro di n≅2.5, f = 2 mm e ϕ =3.2 mm .

ABERRAZIONI

1. Cromatica: è dovuta alla dipendenza dell’indice di rifrazione n del vetro (flint, crown) dalla lunghezza d’onda:

n ≡ n(λ)

. Può essere di tipo longitudinale (il fuoco si sposta lungo l’asse ottico in corrispondenza dei vari colori) e/o trasversale (l’ingrandimento cambia per i diversi colori, producendo contorni iridescenti). Si rimedia con il doppietto acromatico: lente convergente crown incollata su lente divergente flint).

2. Sferica: quando un’onda piana incide su una superficie sferica l’angolo di incidenza varia con la distanza del raggio di luce dall’asse, e quindi anche il fuoco si sposta lungo l’asse ottico. Si rimedia diaframmando la lente, usando lenti paraboliche o con il doppietto acromatico.

3. Coma (“chioma”): Le immagini dei punti-sorgente fuori-asse sono sfumate.

Rimedi come in 2.

(4)

4. Astigmatismo: I raggi meridiani (nel piano tangenziale definito dall’asse ottico e dalla congiungente sorgente/centro-lente) vengono focalizzati in un punto più vicino o più lontano di quelli sagittali (nel piano ortogonale al piano meridiano).

5. Curvatura di campo: l’immagine prodotta da una lente sferica è a sua volta sferica: proiettata su una superficie piana produce linee incurvate, soprattutto negli angoli. Si rimedia con obiettivi formati da più lenti.

DIFFRAZIONE E RISOLUZIONE LATERALE

Fig. 5 E’ causata dalla lunghezza d’onda finita

λ

della luce. Oltre ai noti fenomeni causati da fenditure, diaframmi e reticoli (vedi nel seguito), si noti che la dimensione del punto sorgente non può scendere – in “campo lontano”, cioè a distanza dalla sorgente d >>

λ

- sotto la dimensione del disco di Airy (Fig. 5), il cui diametro è

d=2.44 λ

f /#

(6)

e quindi dell’ordine di grandezza di

λ

. Questo effetto determina anche la dimensione apparente di un punto dell’oggetto in un microscopio ottico, cioè la sua risoluzione laterale

Δr

. Si ricorda che per la luce visibile

λ≈0,5µm

, nel medio infrarosso

λ ≈ 5µm

.

2) SPECCHI

Gli specchi sfruttano la riflettività dei metalli, molto prossima a 1 da ω=0 fino alla frequenza di

(5)

strato antiriflesso. Quest’ultimo elimina le ghost reflections.

Vantaggi degli specchi sulle lenti:

• riflettono anche l’infrarosso e l’ultravioletto su larghe bande

• non hanno aberrazione cromatica

• si lavora otticamente una sola superficie

• è più facile ottenere elementi asferici Svantaggi:

• il metallo si deteriora nel tempo

• le superfici antiriflesso hanno bande strette

• pesano più delle lenti e ingombrano molto di più

• per mantenere i cammini ottici diritti, come nei sistemi multilenti, si devono usare costose ottiche Cassegrain (Fig. 6)

Fig. 6 Ottiche Cassegrain in un telescopio riflettore SPECCHI SFERICI

2

f = R (Fig. 7)

Concavo →lente convergente Convesso→lente divergente

Soffrono di tutte le aberrazioni delle lenti sferiche, eccetto quella cromatica.

SPECCHI ASFERICI Fig. 7

Specchi Parabolici

Il fuoco del paraboloide è il fuoco dello specchio. Non presentano aberrazione sferica. Sono molto usati come collimatori (per produrre cioè fasci paralleli).

Spesso sono anche usati fuori-asse per porre nel fuoco un altro elemento senza che produca

“ombra”. Uno specchio sferico “fuori-asse” sarebbe infatti troppo aberrante.

(6)

Fig. 8 Specchi ellittici

Rifocalizzano in F’’ una sorgente posta in F’. Spesso sono usati per ruotare il percorso della radiazione di 90°, come in Fig. 9.

Fig. 9 Specchi cilindrici

Si usano per focalizzare in uno solo dei due piani, o per correggere l’astigmatismo.

Fig. 10 Specchi torici

Il piano tangenziale e quello sagittale hanno raggi e focali diverse. Si può quindi correggere

un’immagine distorta. Fig. 11

(7)

Il calcolo delle ottiche asferiche viene eseguito con programmi di ray tracing al calcolatore.

3) MONOCROMATORE A RETICOLO

Separa le componenti spettrali della radiazione elettromagnetica deviandole a diversi angoli sfruttando il principio della diffrazione da un sistema di fenditure (reticolo). Il monocromatore, nella sua versione più comune, adotta un’ottica di tipo Czerny-Turner (Fig. 1), dove due specchi sferici hanno il fuoco nella fenditura di ingresso e in quella di uscita. Il primo (il collimatore) trasforma il fascio di luce in un’onda piana e lo invia sul reticolo; il secondo (il focalizzatore) focalizza sulla fenditura di uscita l’onda piana restituita dal reticolo, che può ruotare per creare l’interferenza costruttiva nella direzione corrispondente alla lunghezza d’onda λ che si vuole selezionare (Fig. 12). Anche se nel Czerny-Turner il reticolo lavora in riflessione, conviene trattare prima il caso del reticolo in trasmissione.

Reticolo rotante

Fenditura di uscita (FU) Fenditura di ingresso (FI)

Specchi sferici: hanno i fuochi (collimatori)

nelle fenditure

Fig. 12. Schema di un monocromatore Czerny-Turner. Il primo collimatore invia sul reticolo on fascio parallelo (onda piana), il secondo lo rifocalizza sulla fenditura di uscita.

3.1) RETICOLO IN TRASMISSIONE

Fig. 13

Il reticolo è fatto di strisce parallele trasparenti nell’intervallo di frequenze di interesse, di larghezza a e lunghezza b, alternate a strisce opache, e ottenute con tecniche litografiche. Un’onda piana

E ∝ ei(q ⋅! ! r −ωt) incide su una fenditura (la cui lunghezza b è ortogonale al piano del foglio). Per il principio di Huyghens il punto in x della fenditura diventa sorgente di un campo sferico che, integrando su x, per ρ >> a vale

(8)

E0

( )

θ,t =Aeiqρ

ρ b e−iωt eiq⋅Δρ(x )dx

0 a

,

dove:

q⋅ Δρ =

λ x sinθ ≅

λ xθ = βx . Introducendo

( )

!"

#

<

= <

a x 0 1

0 x a x 0

G , il campo si può riscrivere come

( ) ∫ ( )

+∞

= e e G x e dx t

E0 θ, E iqρ iωt iβx ,

dove l’integrale altro non è che la trasformata di Fourier di G(x):

=sin βa 2

( ) (

βa 2

)

⎜ ⎜

⎟ ⎟ . Si ha quindi:

I0

( )

θ = c

E02 =I0

sin2 πaθ λ

⎝ ⎜ ⎞

⎠ ⎟ πaθ

λ

⎝ ⎜ ⎞

⎠ ⎟

2 (7)

Se quella in figura è la n-esima di N fenditure di un reticolo con passo (distanza tra i centri di due fenditure consecutive) d, la distanza del punto sorgente dall’origine diventa diventa

nd+x e:

E θ,t

( )

=E eiqρ e−iωt G x

( )

⋅ eiβ nd( +x) dx

−∞

+∞

=

n=0 N −1

E0

( )

θ,t eiβnd

n=0 N −1

Di conseguenza:

Ricordando che e che , si ha:

(8)

è un “pettine” con massimi principali nei poli

(9)

(9)

di intensità di picco , e zeri per ( , ). Gli zeri (N – 1 per ogni picco) separano i massimi secondari, è poi modulata da che ha zeri per

θn =nλ

a (Fig. 14).

P(θ) (curva nera) e I0(θ) (curva rossa).

Valori numerici: A = 20, N = 5, (π a)/λ = 0.6, (π d)/λ =1.2 I(θ) = I0(θ) P(θ)

Fig. 14

3.2) RISOLUZIONE TEORICA DEL RETICOLO

Per il criterio di Rayleigh due righe sono risolte quando il massimo della prima è sovrapposto almeno al minimo dell’altra (Fig. 15).

La distanza angolare tra un massimo a kd

k

= λ

θ e lo zero più vicino, che si

trova a

( )

1 Nd

z Nk + λ

=

θ , è:

Nd

= λ θ

Δ (10) Fig. 15

Se due righe distano angolarmente almeno di Δθ, saranno risolte per il criterio di Rayleigh.

D’altronde, la distanza tra i massimi principali delle due righe che differiscono di

Δλ sarà anche, per la (9):

Δθ =kΔλ

d (11).

Uguagliando la (13) e la (14):

Nd d

k λ

λ =

Δ , da cui

=kN λ Δ

λ (12).

Il potere risolutivo (resolving power) del reticolo cresce con l’ordine di diffrazione e con il numero totale delle fenditure. La (12) vale per ogni tipo di reticolo.

(10)

Attenzione! Per aumentare λ Δ

λ non basta accrescere N aumentando n, perché così per la (12) si rischia di vedere solo le σ più alte, se si vuole lavorare ad alti k. Quindi bisogna accrescere N aumentando W e mantenendo n costante. D’altronde all’aumentare di k diminuisce il contrasto (vedi Fig. 14).

Valori ottenibili per λ Δ

λ in un monocromatore a singolo passo, come quello in Fig. 7: 105. Valori più alti necessitano di un secondo reticolo.

3.3) RETICOLO IN RIFLESSIONE

Per un reticolo che lavora in riflessione si può scrivere la condizione sul cammino ottico (Fig. 16):

Δx=AH − BK =d sinα+d sinβ=k λ

sinα+sin β=kλ

d (13)

Per ogni angolo di rotazione di G, α−β=costante.

Confrontando la (9) e la (13) si può riscrivere la (8) per un reticolo in riflessione:

Fig. 16

α,β

( )

=I0

sin2 πa

λ

(

sinα+sinβ

)

⎣⎢

⎦⎥

πa λ

⎝⎜ ⎞

⎠⎟

2

sinα+sinβ

( )

2

sin2 πNd

λ

(

sinα+sinβ

)

⎣⎢

⎦⎥

sin2 πd

λ

(

sinα+sinβ

)

⎣⎢

⎦⎥

(14)

La larghezza della superficie riflettente prende il posto di quella della superficie trasmittente.

Supponiamo ora che nella luce emessa dalla sorgente (o in quella trasmessa da un campione) siano mescolate righe di lunghezze d’onda

λ123,... Scegliamo ad esempio nella (10) l’ordine di diffrazione k=1, il più luminoso dopo il k=0 (che non è selettivo perché soddisfa la (10) con reticolo al centro per ogni

λ ). Per un valore di

α−β si presenterà sulla fenditura di uscita una I massima per la

λ1 che soddisfa la (11); ruotando il reticolo, la (11) sarà soddisfatta da

λ2, e così via.

Una rotazione motorizzata (continua o a step) del reticolo, modificata da un sistema di ingranaggi per riprodurre la funzione seno, quindi proietta su una lastra fotografica (o, al giorno d’oggi, su una CCD, v. oltre) un’alternanza di righe luminose e zone buie che costituisce lo spettro della sorgente o del campione. In modo analogo si ottiene uno spettro continuo anziché a righe.

(11)

Fig. 16. Riflettività di un semiconduttore multiferroico (Ba2CuGe2O7) in prossimità della prima banda elettronica, ottenuta con un monocromatore a reticolo e con luce polarizzata nel piano ab

della sua struttura tetragonale.

3.4) GAMMA SPETTRALE

Riscriviamo così la formula del monocromatore (13):

σ λ ≡ β= + α

1 n

k sin

sin (14),

dove σ è la frequenza in cm-1 (“numero d’onde”) e d

n=1 è il numero di incisioni per cm (se N è il

numero totale di incisioni e W la larghezza del reticolo, si ha

n= N W ).

• Notiamo anzitutto che per α=−β (reticolo “al centro”) si ha σ=∞, mentre per il valore tipico n = 600 incisioni/mm e sinα+sinβ=0.25 si ha σ=k⋅24000cm1. Al primo ordine (k=1) si osserva quindi un massimo nel visibile con un reticolo standard e angoli accettabili.

• Inoltre, se la (14) è soddisfatta da

β +

= α

σ sin sin kn

1 , lo è anche per lo stesso β da

( )

β + α

= +

σ sin sin n 1 k

2 . Quindi nello stesso fascio di luce risulteranno non separabili due frequenze tali che

k 1 k

1

2 +

σ =

σ . La gamma spettrale del monocromatore (cioè l’intervallo di frequenze in cui non c’è ambiguità) è perciò:

β +

= α σ

− σ

= σ

Δ sin sin

n

1

2 (15)

e cresce con n.

(12)

3.5) RISOLUZIONE PRATICA DEL MONOCROMATORE Si è visto che la risoluzione massima di un reticolo è

λ

Δλ =k N =knW per la (12). Questo limite ideale può non essere raggiunto a causa dell’ottica del monocromatore.

Definiamo la dispersione angolare come la separazione angolare dα per una distanza tra due righe dλ(Fig. 10). Differenziando la (10)

k λd

= β + α sin

sin (β costante) si ottiene:

λ

= α

α d

d d k

cos ,

da cui:

= α

= α λ α

cos cos

n k d

k d

d (16)

Per la (15), la dispersione angolare è proporzionale all’ordine di diffrazione, alla densità di incisioni e aumenta all’aumentare dell’angolo .

La dispersione lineare di un monocromatore misura il numero di nanometri dλ cha cadono in 1 mm di spettro sulla fenditura di uscita FU:

dλ

dx =106cosα

knf nm mm dove f è lunghezza focale del monocromatore.

dα dα

dα

F’ F’

dα f FF'=

Dal reticolo (onde piane)

dα dα

dα

F’ F’

dα f FF'=

Dal reticolo (onde piane)

Fig. 18 Ognuno dei due raggi è in realtà un fascio parallelo che viene poi focalizzato su FU

Infatti

dx = f ⋅ dα (Fig. 18) e poiché lo specchio focalizza il fascio su FU, il rivelatore riceve simultaneamente tutta la luce che esce da FU. Se la sua apertura è Δx, la risoluzione massima sarà perciò ad essa proporzionale:

Δλ =

dxΔx=106cosα

knf Δx≈1 nm (17)

per k=1, n = 600/mm, f = 500 mm e Δx = 0,1 mm. Per aumentare il potere risolutivo pratico, oltre ad accrescere f costruendo monocromatori più grandi (ma allora aumentano le aberrazioni e le dimensioni dei reticoli) si può diminuire la x della fenditura di uscita FU. Tuttavia

(13)

• con

( )

Δx FI >

( )

Δx FU si crea un’immagine troppo grande che aumenta solo la stray light (luce diffusa bianca che può uscire da FU creando fondo spurio);

• poiché quindi

( )

Δx FI =

( )

Δx FU, diminuire

( )

Δx FU per aumentare λ Δ

λ equivale a diminuire la luce in FI e quindi il segnale;

• è necessario trovare un compromesso tra risoluzione e Rapporto segnale/fondo. Questo è influenzato dalla stray light e dall’efficienza del reticolo:

s/f= λ

λ a specchio uno

da riflessa energia

a diffratta energia

(nelle stesse condizioni).

Valori tipici: 50%-90%

Tuttavia, i monocromatori più recenti lavorano a reticolo fermo e FU tutta aperta perché il rivelatore è una CCD (Charge Coupled Device, vedi oltre) che in un solo shot registra l’intera figura di diffrazione I

(

α,β

)

In questo caso, nella fomula (17), Δx diventa la dimensione lineare del singolo pixel della CCD.

3.6) RETICOLI BLAZED

I reticoli blazed (blaze = tacca prodotta dall’ascia su un tronco) concentrano l’energia diffratta su un dato k, anziché distribuirla sui vari k. Il loro profilo è mostrato in Fig. 19:

ϕ

Fig. 19

Nella (14) cambia il contributo di singola fenditura, mentre il fattore derivante dall’interferenza delle N fenditure non cambia:

( ) ( )

( ) ( )

( )

( ) ( )

( )

( )

( )

!

"

$ #

%

&

β + λ α

π

!"

$ #

%

&

β + λ α

π

⋅ ϕ

− β + ϕ

− . α

/ 1 0 2 3

λ π

!"

$ #

%

&

ϕ

− β + ϕ

− λ α

π θ

= β α

sin sin

sin

sin sin

sin sin

sin

sin sin

sin

, d

Nd a

a I

I

2 2

2 2

2

0 (18)

(14)

Nella configurazione ottica di Littrow (Fig. 20):

Fig. 20 ϕ

= β

α per una data λ=λB Inoltre d=acosϕ.

Allora nell’intorno di λB si ha che β−ϕ=0 e che sin

(

αβ

) (

αβ

)

; così la (18) diventa:

I α,β

( )

=I0

sin2 πa

λ

(

α − ϕ

)

⎣ ⎢ ⎤

⎦ ⎥ πa

λ

⎝ ⎜ ⎞

⎠ ⎟

2

α − ϕ

( )

2

sin2 2πNd λ sinϕ

⎣ ⎢ ⎤

⎦ ⎥ sin2 2πd

λ sinϕ

⎣ ⎢ ⎤

⎦ ⎥

(19)

La condizione di interferenza ϕ= π λ

πd k

2 sin dà la relazione tra λB e ϕ:

k B

d

2 sinϕ= λ (20),

dove λB è la lunghezza d’onda di blaze di ordine k. Si parla di “reticolo blazed aλB”.

Dalla (20) segue che un reticolo blazed al primo ordine a λB lo è anche al secondo a λB 2, al terzo ordine a λB 3, ecc.

Naturalmente il raggio incidente deve giungere sotto β=ϕ e quello di uscita sotto α≅ϕ. L’effetto della (19) è di annullare tutti gli ordini eccetto il primo, concentrandovi l’energia disponibile e

(15)

Fig. 21

3.7) MONOCROMATORI PER RAGGI X

Poiché i raggi X hanno lunghezze d’onda

λ≈1 ÷ 0,1 nm, il reticolo del monocromatore è un cristallo di alta qualità, spesso di Si, in cui il segmento riflettente a è il diametro di un atomo e il passo d è la distanza fra gli atomi. Lo schema è mostrato nella Fig. 22. La focalizzazione del fascio può avvenire grazie al cristallo stesso, opportunamente curvo come nella fig. 22, e a fenditure poste sia davanti alla sorgente (l’anodo, che emette raggi X quando viene bombardato da un fascio di elettroni) sia davanti al rivelatore (detector a ionizzazione).

Il cristallo crea interferenza costruttiva nella direzione del campione (sample), per ogni λ, variando con la sua rotazione l’angolo di incidenza rispetto ai piani atomici del Si. Il campione a sua volta, se è un monocristallo, ruota creando sul rivelatore, in funzione del tempo, la figura di diffrazione per quella determinata λ. Questa geometria viene indicata come “diffrazione θ-2θ”.

(16)

Fig. 22

(17)

4) L’INTERFEROMETRO DI MICHELSON COME SPETTROMETRO

ZPD

x Lmax

0 x

ZPD

x Lmax

x Lmax

0 x

Fig. 23. A destra: A: Jacquinot stop, diaframma che limita la dimensione della sorgente vista dall’interferometro.

C: Beamsplitter, formato da una lamina separatrice di fascio (D) e da due supporti trasparenti all’IR (E, F) G: Specchio fisso

H: Specchio mobile (scanner), montanto un cuscinetto che permette lo spostamento lungo l’asse ottico. Il meccanismo di guida è il punto nevralgico dell’interferometro. Solo l’assenza di attrito permette alte prestazioni dell’interferometro.

I: Laser HeNe utilizzato per il campionamento dell’interferogramma.

L'interferometro di Michelson consiste in due specchi ortogonali, di cui uno è fisso e l'altro è mobile (chiamato spesso scanner), posti, inizialmente, alla stessa distanza L dal beamsplitter. Questo riflette parte della radiazione verso lo specchio fisso e trasmette la parte restante (nel caso ideale 50%) verso lo specchio mobile.

Il fascio policromatico proveniente dalla sorgente IR, dopo essere stato collimato in un fascio parallelo da uno specchio sferico, viene diviso in due fasci dal beamsplitter (BS, Fig. 23). I fasci separati compiono un cammino ottico la cui differente lunghezza 2x varia nel tempo, poi vengono ricombinati sul BS e successivamente focalizzati da un altro specchio sferico sul rivelatore. La differenza di cammino ottico tra i due raggi è causata dallo specchio mobile, che si sposta a velocità costante v di una quantità x dalla posizione L (0 della scala), a cui corrisponde una differenza di cammino ottico nulla (zero-path difference, ZPD).

I due fasci, emessi dalla stessa sorgente e quindi spazialmente coerenti, ricombinandosi interferiscono nel BS. Le variazioni di intensità del fascio risultante vengono misurate dal rivelatore, posto nel fuoco della radiazione, in funzione del tempo, e quindi della differenza di cammino ottico 2x. La modulazione dell’intensità della radiazione dipende dalla frequenza della radiazione stessa e dalla velocità con cui si sposta lo specchio mobile dell’interferometro.

L'insieme delle intensità raccolte per tutte le possibili differenze di cammino ottico registrate dal detector viene chiamato interferogramma (IGM). L'interferogramma contiene implicitamente tutte le informazioni, risolte in frequenza, della radiazione che giunge al rivelatore. Essendo in presenza di un fenomeno di interferenza l'intensità misurata dal rivelatore per un certo spostamento x non sarà pari alla somma delle intensità dei due fasci, ma dipenderà da x attraverso la funzione I(x) (interferogramma), la cui trasformata di Fourier è, come vedremo, lo spettro B(ω) della radiazione emessa.Il Michelson è quindi un analizzatore di spettro alternativo al monocromatore, rispetto al quale presenta almeno due vantaggi:

1) Vantaggio Jacquinot: aperture circolari, non fenditure (→più luminosità)

2) Vantaggio Fellget: tutte le frequenze arrivano simultaneamente sul detector; l’acquisizione è più rapida (quest’ultimo è però quasi annullato qualora si usi una CCD all’uscita dal monocromatore).

H

Source Detector

or sample δ

H

Source Detector

or sample δ

(18)

Sopra: Interferogramma della luce di un laser a He-Ne (632nm) che fa lo stesso percorso della radiazione luminosa all’interno dell’interferometro. L’interferogramma della sorgente viene registrato (sotto) ad ogni “zero crossing”

dell’interferogramma del laser. Si possono ottenere così circa fino a 30.000 valori per cm di cammino dello specchio Lo ZPD può essere marcato in due modi:

1. attraverso l’utilizzo di un’ottica supplementare che contiene una luce bianca messa in anticipo rispetto alla sorgente IR (metodo utilizzato in sistemi fino ai primi anni ‘90)

2. attraverso l’elettronica del sistema che memorizza la posizione del massimo dell’interferogramma, sfruttando l’elevata capacità di memoria dei personal computer.

4.1) INTERFEROGRAMMA E SPETTRO Sia E! !

( )

r, t . un’onda piana che incide sul beamsplitter BS posto in r!avente dipendenza temporale qualunque purché periodica. Sia

E! !

( )

r, t = 1

B1 2

( )

ω ⋅ ei(ωt−q⋅!r!)

−∞

+∞

(21)

il suo sviluppo di Fourier. L’intensità media incidente sul BS, se T è il periodo e il fascio proveniente da M2 ha un ritardo (>, =, <0), è allora:

I !

(

r,τ

)

= c

T

E! !

( )

r, t

2 +

E! ! r, t

( )

2

2

dt

−T 2 T 2

.

Sostituendo la (21) e ponendo

I0 = cT

E! !

( )

r, t E!

( )

!r, t dt

−T 2 T 2

. ,

si ottiene:

I

( )

τ = I0 4 +I0

4 + c

128 π3 T dt dω dω' B1 2

( )

ω B1 2

( )

ω' e

[

i ω −ω '( )teiω 'τ +ei ω ' −ω( )te−iω 'τ

]

−∞

+∞

−∞

+∞

−T 2 T 2

=

=I0

+ c

dω dω' δ ω

(

−ω'

)

B1 2

( )

ω B1 2

( )

ω' e

[

iω 'τ +e−iω 'τ

]

+∞

+∞

= (22)

(19)

( )

τ

I è l’interferogramma (IGM). La sua anti-trasformata fornisce lo spettro incognito B

( )

ω :

64 π2 T

c I τ

( )

I0 2

⎝ ⎜ ⎞

⎠ ⎟ ⋅ e−iω 'τ

−∞

+∞

= B ω

( )

dω e−iω 'τ

(

eiωτ+e−iωτ

)

=

−∞

+∞

−∞

+∞

=2π B ω

( )

dω δ ω − ω '

[ ( )

+δ ω

(

+ω '

) ]

−∞

+∞

=2π[B ω '

( )

+B −ω'

( )

]

Quindi, poiché lo spettro non fisico a ω<0 si scarta,

B

( )

ω = C

( )

τ cos

( )

ωτ dτ

−∞

Tuttavia a causa del cammino finito dello specchio

L il massimo ritardo è

τ0 =2L

c (2L perché la luce va e torna) e lo spettro reale è:

Br

( )

ω = C

( )

τ cos

( )

ωτ dτ

−τ0

τ0

dove

C

( )

τ = 32 π T

c I(τ) −I0 2

⎝ ⎜ ⎞

⎠ ⎟ e si sfrutta la simmetria rispetto a ZPD.

Può porsi allora:

Br

( )

ω = C

( )

τ G

( )

τ cos

( )

ωτ

−∞

+∞

(23),

dove G

( )

τ è una funzione a gradino definita da:

G

( )

τ = 1 −τ0 τ τ0 0 altrove

⎧⎨

⎩ .

Supponiamo ora che lo spettro sia costituito nel caso ideale (24) da una sola riga infinitamente stretta centrata a

ω0:

B

( )

ω δ ω

(

ω0

)

(24).

Ciò si verifica se nella (23)

C

( )

τ = Aeiω0τ. Perciò, sostituendo nella (23) B

( )

ω , si ottiene la trasformata di Fourier di una funzione a gradino, ovvero:

A e−iω0τ⋅ G

( )

τ eiωτ dτ

−∞

+∞

=A G

( )

τ ei(ω−ω0 dτ

−∞

+∞

=

=Asin(ω−ω00 / 2

(ω−ω00/ 2 =2AL c

sin 2π(σ−σ0)L 2π(σ−σ0)L

(24)

(20)

dove

σ è misurata in cm-1. Lo spettro allora non è più composto di una riga infinitamente stretta, bensì di una banda di larghezza

,

Δσ ≈ 1

2L. (25)

che ha oscillazioni alla base e diviene anche negativa. Questi effetti si correggono con un procedimento al calcolatore che si chiama apodizzazione, che consiste nell’aggiunta di funzioni

“smooth” nell’integrale (23) per correggere il gradino. A prezzo di un’ulteriore diminuzione del potere risolutivo si migliora così la linea di base.

Anche qui, σ Δ

σ determina il potere risolutivo teorico dell’interferometro.

Come si vede, esso migliora al crescere del cammino dello specchio L e di

σ 1

.

(21)

Sia d il diametro della pupilla.

Poiché la sorgente (cioè la pupilla P) non è puntiforme, il fascio collimato sullo specchio mobile ha una divergenza angolare (lo schema è semplificato, in realtà l’ottica è a specchi):

f 2

≅ d θ

Δ (26)

( )

2 2 2

f 8

d 2 x

x Δθ ≅

Δ ≅ (27)

Si dimostra che l’errore relativo (27) si traduce in:

( )

out

( ) { ( )

2

}

out I sinc x

I τ → τ ⋅ πσ Δθ (28),

che tende a zero per

( )

2

x 1

θ Δ

≈ σ , “accorciando” virtualmente il cammino L:

( )

2

2 eff 2

d f 4 L 1

L =σ

θ Δ

≅ σ

→ (29).

Il potere risolutivo pratico dell’interferometro risulta allora:

( )

2

2 eff 2

eff d

f 8 L 2

2 R

P =

θ

≅ Δ σ

% ≅

&

( ' )

* σ Δ

= σ .

. (30).

(22)

Anche qui, per aumentare il potere risolutivo bisogna costruire ottiche di più lunga focale e/o stringere la pupilla, perdendo luminosità.

300

200

100

0 100 200 300 400 500 600

!!(cm-1)

600

400

200

0

T = 10K T = 100K T = 200K T = 270K T = 300K T = 400K T = 500K

a)

-1-1 "!"#cm) b)

E $!c

E // c

Conducibilità ottica dei fononi di una ferrite (LuFeO3) ottenuta da misure di riflettività nel lontano IR con un interferometro di Michelson. In a), lo sdoppiamento del fonone a 500 cm-1 indica una

transizione di fase strutturale tra 300 e 400 K.

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