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GESTIONE FAUNISTICA E CACCIA, UNA OPPORTUNITÀ PER IL GOVERNO EQUILIBRATO DELL’AMBIENTE

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Academic year: 2021

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GESTIONE FAUNISTICA E CACCIA, UNA OPPORTUNITÀ PER IL GOVERNO EQUILIBRATO DELL’AMBIENTE

È maturata diffusamente e trasversalmente, negli ultimi anni, la consapevolezza che la gestione faunistica, di cui la caccia è componente fondamentale, sia fra gli elementi indispensabili per politiche di governo del territorio che si pongano la finalità di conserva- re le risorse naturali nella prospettiva che il consesso umano possa continuarne l’utilizzo nel tempo.

Nelle situazioni maggiormente avanzate e più attente agli equilibri dei sistemi naturali sono stati conseguiti alcuni risultati positivi, anche grazie a normative di settore (ambientale e faunistico/venatorio in particolare) che tramite la destinazione differenziata del territorio hanno esteso le superfici sottoposte alla gestione, sia con le «aree protette»

sia con gli ambiti per la «caccia programmata».

Restano tuttavia ostacoli, di carattere culturale e politico, che impediscono di consi- derare definitivamente la gestione faunistica e la caccia occasioni ed opportunità per tute- la e produzione di ambiente e fauna, fattori di supporto allo sviluppo dell’economia rura- le, strumenti utili (in talune circostanze insostituibili) per la conservazione e il ripristino di equilibri scaduti.

Tali ostacoli, contribuendo a mantenere un artificioso dualismo fra zone di prote- zione e zone di fruizione, indeboliscono pesantemente le potenzialità vanificandone tal- volta del tutto gli effetti: soltanto una gestione effettivamente unitaria del territorio, infatti, è in grado di dare risposte soddisfacenti nel campo della gestione faunistica.

Nel corso degli ultimi decenni l’attività venatoria ha conosciuto trasformazioni profonde. Da atto di appropriazione di risorse naturali libere ad atto di gestione di cui il prelievo è solo una parte.

Cogliere la portata di questa evoluzione e favorire il coinvolgimento pieno del mondo della caccia nella gestione dell’ambiente naturale è nell’interesse generale della società.

Parole chiave: gestione faunistica; caccia.

Key words: hunting management; hunting.

Che la gestione faunistica e la caccia possono essere un’opportunità importante per il governo equilibrato dell’ambiente, è un’affermazione che in un qualsiasi dibattito tra addetti ai lavori trova diffusa condivisione.

Se al «possono essere» sostituiamo «sono», probabilmente il coro dei

(*) Consigliere regionale Federcaccia Toscana.

– L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments 64 (2): 115-120, 2009

© 2009 Accademia Italiana di Scienze Forestali doi: 10.4129/ifm.2009.2.06

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consensi si assottiglia ed iniziano i distinguo, i «lo sarebbero se» ed i

«potrebbero esserlo ma», con richiamo alle evoluzioni che la caccia dovreb- be conoscere per acquisire a tutti gli effetti il titolo di «opportunità».

Non intendo certo negare che la caccia abbia margini anche ampi per fare passi avanti di qualità, tuttavia la trasformazione determinante, da atto di puro prelievo ad attività di gestione, c’è stata, non solo nelle disposizioni normative ma anche – in realtà come la nostra Toscana – nei fatti.

Bisogna invece chiedersi se la portata di questa trasformazione sia o no stata colta pienamente e se si sta o meno utilizzando al meglio la «risor- sa» caccia nell’interesse generale della società ad una gestione razionale del- l’ambiente naturale.

Appare evidente che permangono ostacoli di varia natura, anche cul- turali e politici.

Sono ostacoli socialmente e politicamente trasversali che riguardano componenti venatorie, settori del mondo ambientalista, istituzioni (tante Regioni in gravissimo ritardo nell’attuazione della 157/92) e che fanno dell’Italia, fra l’altro, un caso particolare in Europa.

Due vicende, recenti e connesse nella sostanza, rendono bene l’idea: la Guida Interpretativa della Direttiva 79/409 e la decretazione sui criteri minimi nelle Zone di Protezione Speciale.

Mentre l’Europa con la Guida (condivisa da mondo venatorio e ambientalista comunitario, come testimonia l’accordo Face-Bird Life Inter- national) riconosce una caccia matura, la sua funzione positiva, il suo essere parte dell’insieme delle attività di gestione ambientale che contri- buiscono alla conservazione della natura e alla difesa della biodiversità, riconosce che l’utilizzo sostenibile delle risorse rinnovabili è condizione per la loro conservazione e che la caccia è pienamente compatibile con la aree di tutela e protezione della 79/409 e della Direttiva Habitat; mentre in Europa la Rete Natura 2000, con le ZPS e le altre aree che la compon- gono, è vissuta dai cacciatori per primi come una grande opportunità ed i cacciatori sono fra i protagonisti della sua gestione in quanto l’attività venatoria non è «ideologicamente» esclusa; in Italia permane un dualismo artificioso fra fruizione e protezione, dualismo che ha fatto anche del provvedimento sulle ZPS un’occasione mancata, con il testo finale modifi- cato grazie alla mobilitazione di associazioni e Regioni ma con un percor- so che era partito dal tentativo palese di riproporre su tutte le aree inte- ressate le misure di salvaguardia della 394/91 sui parchi, con il divieto di caccia in primo luogo.

Il quadro non è naturalmente composto soltanto di considerazioni

negative. Diciamo – e la caratteristica non è purtroppo esclusivo patrimo-

nio del comparto che oggi ci occupa – che prevalgono visioni ed interessi

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particolari, attenzioni corporative, malintese fedeltà a schieramenti o grup- pi che impediscono alla politica di cogliere tempestivamente e promuovere le novità positive.

Mi piace citare pochi brani di un documento sottoscritto quasi un anno fa da Legambiente, Arcicaccia e Federcaccia della Toscana.

Si tratta del «Manifesto della Caccia: la gestione conservativa degli ambienti naturali e della fauna selvatica»:

«Vanno rimossi ostacoli che hanno rallentato il percorso ed impedito che le potenzialità del nuovo quadro si dispiegassero compiutamente: fra gli ostacoli, i ritardi di molte Regioni, la non integrazione della programmazio- ne faunistica con le politiche complessive di governo del territorio, la sepa- ratezza che permane con la gestione delle aree protette.

Il territorio è un fatto unitario il cui governo ha bisogno di un approc- cio razionale che riconosca nella conservazione della natura e nella utilizza- zione sostenibile delle sue risorse l’obbiettivo unificante.

Nel contesto della sostenibilità trovano sintesi le esigenze etiche, eco- nomiche, di tutela e dell’insieme delle attività sociali, culturali, ricreative dell’uomo, compresa la caccia pianificata su basi scientifiche.

Avuto pieno riguardo delle diverse destinazioni e finalità e sottoli- neando la funzione peculiare e preziosa delle aree protette, occorre recupe- rare coordinamento e armonizzazione dei programmi e delle gestioni, pro- muovendo forme per la compartecipazione suddetta anche nella gestione delle aree protette…».

Per quanto ci riguarda questa è la logica su cui andare avanti, tradu- cendo questa impostazione nella normativa e nella pratica quotidiana di governo del territorio.

Vorrei fare qualche accenno a tematiche «calde», nel senso dell’attua- lità e dell’importanza.

Accenni che, ritengo, ben testimoniano del confine sottile fra «proble- ma» ed «opportunità» e di quanto pesi il tipo di approccio che si sceglie.

Lo scenario faunistico è assai cambiato negli ultimi decenni. Se prima dell’esplosione del fenomeno ungulati poteva essere comprensibile che, almeno nel linguaggio corrente, qualcuno usasse «protezione» quasi come sinonimo di «conservazione» visto che il problema, o la sua percezione, era più che altro la consistenza a rischio di alcune specie (anche, ma non solo, di interesse venatorio), oggi non può essere così.

Oggi la questione della gestione degli equilibri faunistici – interspecifi- ci, intraspecifici, con l’agricoltura, con i boschi – è diventata un’esigenza.

Parlando, per non generalizzare, della Toscana, non c’è più solo il tanto citato cinghiale, ci sono i caprioli, i daini, i cervi.

Le cifre emerse dai dati elaborati per la Conferenza della Caccia in

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preparazione parlano di decine e centinaia di migliaia di capi abbattuti, con stime di presenza correlate.

La questione è ormai all’ordine del giorno ad ogni tavolo che veda presenti i rappresentanti degli agricoltori.

I danni risarciti sono solo una parte di quelli reali, anche perché il danno non può misurarsi solo in termini di prodotto non raccolto ma inci- de ben più profondamente, per le conseguenze durature di una eventuale assenza sul mercato ad esempio.

Per una zona ricca di cinghiali come l’area del Chianti è stato calcola- to che quantificando il danno in un quintale d’uva ad ettaro (calcolo evi- dentemente per difetto) si dovrebbe risarcire per solo prodotto perduto una somma di alcuni milioni di euro l’anno.

E non ci sono solo i danni alle colture. Sono a rischio i boschi e sono a rischio le specie selvatiche con meno difese o più legate ad habitat particolari.

Il patrimonio faunistico complessivamente inteso è indubbiamente cresciuto negli ultimi decenni, anche grazie ai parchi ed alle aree protette, ma non la sua diversità.

Il «dualismo», la separatezza della gestione di cui sopra è fra le cause delle mancate soluzioni del problema.

Non è ovviamente la sola, tuttavia questa è evidente e su di essa è pos- sibile incidere , pur che vi sia la volontà politica, da subito: occorre però iniziare con l’abbattere gli steccati che, di fatto o di diritto, sottraggono alla gestione faunistica porzioni estese di territorio che, diventate serbatoio di squilibri, esportano i medesimi anche nelle aree circostanti, e gli altri stec- cati che limitano o addirittura impediscono l’intervento dei cacciatori in quel territorio.

Non rivendichiamo la «caccia nei parchi». Diciamo però che il mante- nimento delle densità faunistiche ottimali è un imperativo, che la gestione non può avere aree franche e che è quantomeno incongruo che gli interven- ti di controllo, compresi gli abbattimenti, in tanti parchi siano svolti dai dipendenti degli Enti o dai corpi di vigilanza (personale pagato con i soldi dei contribuenti che avrebbe ben altre funzioni cui assolvere) quando cac- ciatori con tutte le esperienze e qualifiche sarebbero ben disponibili, pure con beneficio per le casse dell’area protetta.

Detto delle emergenze e della necessità di gestire con attori e modalità opportuni, bisogna però nel contempo proporsi di agire sulle cause: gestio- ne faunistica è sicuramente interventi di controllo delle popolazioni e delle specie, ma prima è progettazione e gestione del territorio e degli ambienti in modo da determinare le condizioni più adatte alla diversità ed alla ric- chezza faunistica.

È questa la partita, sia detto per inciso, su cui far convergere gli sforzi

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e per la quale caccia e gestione faunistica rappresentano una grande oppor- tunità: in termini di occasione, di disponibilità di risorse umane ed econo- miche, anche, mi sia permesso, di capacità e propensioni.

Non entro nel merito di aspetti che altri hanno trattato o sanno tratta- re con ben altra cognizione, tuttavia è un fatto che il contenimento anche radicale del cinghiale, da solo, non porta automaticamente all’occupazione del territorio da parte di altre specie se non si creano e non si mantengono le condizioni adeguate.

Non dico una novità se affermo, in linea col tema della giornata di stu- dio, che la legislazione in materia di boschi tiene in poco o nessun conto la funzione faunistica ed anche le disposizioni della Legge regionale non affondano in questo senso più di tanto.

In una Regione come la Toscana, con le aree boscate tanta parte del territorio, la gestione del bosco ha rilevanza basilare in ottica faunistica.

Esiste un problema di risorse, ma anche di idee, progetti, volontà di realizzarli.

Si è aperta qualche prospettiva nuova con il Piano di Sviluppo Rurale e con le misure ed i bandi in pubblicazione o che saranno pubblicati fra poco, con possibilità di finanziamenti non irrilevanti.

Il mondo venatorio più attento, per quanto mi riguarda la Federcaccia Toscana, sta cercando di trovare spazi in questo percorso, lavorando per far inserire nei bandi – sia quelli relativi a misure che riguardano il comparto più strettamente agricolo sia quelli sulle foreste – i riferimenti possibili alla funzione faunistica: fauna e caccia opportunità e motivazione per muovere investimenti di risorse comunitarie nell’interesse generale.

Ma è indispensabile tradurre le aspirazioni in programmi e progetti che sollecitino i soggetti interessati e destinatari delle misure: in mancanza rischiano di non essere molti quelli che presenteranno le domande.

C’è un altro impegno del mondo venatorio che cito qui perché diventi obbiettivo comune di quanti si occupano di ambienti e fauna: rivendicare la restituzione alle Regioni, come definito dalla Legge Finanziaria del 2001 rimasta inapplicata nella parte in cui il provvedimento doveva andare a regime, del 50% dei proventi derivanti dalle tasse di concessione governati- va sulla caccia.

Si tratta per la Toscana di 9-10 milioni di euro all’anno dal 2004 in poi. Fondi da destinare prioritariamente a piani mirati di miglioramento ambientale, di finanziamento alle aziende agricole o forestali che realizzano progetti per la fauna, alla ricostituzione e mantenimento di habitat in crisi, agli ATC per qualificare la gestione.

Una opportunità per la gestione faunistica e la caccia, certo, ma nel-

l’interesse dell’ambiente e delle comunità.

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Ho cercato di tratteggiare, solo con qualche esempio, lo scenario e la parte che i cacciatori ritengono di poterci recitare. Che questa parte, che definiamo di coprotagonisti della gestione faunistica e non solo di praticanti della caccia, si traduca compiutamente in opportunità per il governo equili- brato dell’ambiente non dipende soltanto da noi: l’auspicio è la convergen- za delle volontà e disponibilità di tutti.

SUMMARY

Hunting and hunting management, an opportunity for a balanced environmental policy

In the last years awareness on hunting management importance has increased. In particular, hunting is considered an essential element in territorial policies aimed at conserving natural resources, with the perspective that human agreement could favour its use over time.

Some positive results have been reached in those situations that have provided for natural system’s equilibrium, also thanks to sectorial regulations (environmental and hunting related in particular) that improved surfaces subject to management, both through protected areas and ambits for planned hunting.

Cultural and political obstacles still remain, and prevent from considering hunting and hunting management as opportunities for protection and production of environment and fauna, and also as supporting factors to rural economy.

These obstacles contribute to maintain a dualism between protection zones and fruition zones, and heavily weaken potentialities, thus making efforts fruitless: only a joint territorial management, infact, is able to give satisfying answers in the field of hunting management.

Over the last decades hunting activity has deeply changed, shifting from being an act of appropriation of free natural resources to a management act where use is only a component.

Understanding the importance of this evolution and promoting the hunting

sectors involvement in natural environment management are fundamental actions for

society.

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