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UOMO E AMBIENTE L’agricoltura e la salvaguardia ambientale nell’antico Egitto

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Academic year: 2021

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L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments 75 (5): 253-263, 2020

© 2020 Accademia Italiana di Scienze Forestali doi: 10.4129/ifm.2020.5.03

VITTORIOGUALDI (*) †

UOMO E AMBIENTE

L’agricoltura e la salvaguardia ambientale nell’antico Egitto

(*) For. Rest. Med. S.r.l., spin off dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.

Alla fine della Preistoria fiorirono molteplici civiltà in Asia Sud-occidentale, più precisamente in Mesopo- tamia e sulla fascia costiera siriana, libanese e palestinese. Si trattò degli imperi dei Sumeri, degli Assiri e dei Babilonesi, così come degli Ittiti e delle città-stato dei Fenici.

Anche in Africa Nord-orientale sorse una importante civiltà, quella degli antichi Egizi, che, come le altre appena specificate, usufruì delle acque di un fiume.

Questo saggio si riferisce alla pratica dell’agricoltura, attuata dagli antichi Egizi sulle sponde e sul delta del Fiume Nilo, annualmente ricoperte da benefiche coltri di limo, conseguenti alle ricorrenti alluvioni provocate da quel fiume.

L’agricoltura egizia conservò in modo adeguato le macchie-foreste spontanee, riservate al prelievo del legno, impiegato nella costruzione dei mobili e dei sarcofagi, così come nella realizzazione di opere edili.

La salvaguardia ambientale degli antichi Egizi interessò anche le macchie riservate alla raccolta del Papiro, impiegato nell’allestimento di materiale da scrittura, nella costruzione di barche e nell’esercizio della caccia agli Uccelli acquatici.

Le modalità esecutive, evidenziate per l’agricoltura e la salvaguardia ambientale, denotano che la civiltà considerata si caratterizzò di aspetti molto avanzati, specialmente durante il Nuovo Regno.

Parole chiave: Uomo e ambiente; agricoltura; salvaguardia ambientale; antico Egitto.

Key words: Man and environment; agriculture; environmental protection; Ancient Egypt.

Citazione: Gualdi V., 2020 - Uomo e ambiente. L’agricoltura e la salvaguardia ambientale nell’antico Egitto.

L’Italia Forestale e Montana; 75 (5): 253-263. https://doi.org/10.4129/ifm.2020.5.03

1. INTRODUZIONE

L’agricoltura, comprensiva dell’allevamento del bestiame, iniziò a essere pra- ticata nell’antico Egitto qualche millennio dopo il principio dell’Olocene1.

Si trattò dell’impianto e coltivazione di:

alberate da frutto, per alimentazione, spremitura e vinificazione;

orti di specie varie;

1 L’Olocene, ancora in corso, fece seguito al Pleistocene superiore 10.300 anni B.P. La data, del tutto convenzio- nale, corrisponde alla completa scomparsa dei ghiacci wurmiani dall’Europa settentrionale.

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piantagioni di specie da fibra, per cordatura e tessitura;

prati falciabili, per produzione di fieno, occorrente all’allevamento del bestiame;

seminativi di cereali.

Le attività agricole delineate interessarono entrambe le fasce spondali e l’in- tero delta del Fiume Nilo, le une e l’altro annualmente sommersi dalle sue acque limacciose.

Al riguardo si precisa, che le stesse attività vennero praticate salvaguardando le molteplici espressioni della vegetazione boschiva, rappresentate dalla macchia- foresta2 e dalla macchia3, rispettivamente riservate al prelievo del legno e all’eserci- zio della caccia.

2. LE ATTIVITÀ AGRICOLE

L’antico Egitto si caratterizzò per millenni di peculiari aspetti corologici ed eco- logici, conseguenti alla presenza accennata nell’ampio bacino del Fiume Nilo di:

due fasce spondali, di contenuta larghezza, estese fra il 24° parallelo Nord, a valle della cateratta4 di Assuan, e il 30°;

un articolato e complesso sistema deltizio, ricco di paludi e stagni d’acqua salmastra, a mezzo del quale le acque fluenti raggiungevano, come avviene ancora oggi, il Mare Mediterraneo.

L’intero bacino del Fiume Nilo era affiancato da due vasti deserti.

Si trattava del Deserto orientale, caratterizzato dalla presenza di alti rilievi mon- tuosi ed esteso fino al Mar Rosso, e del Deserto occidentale, costellato di numerose depressioni, occupate da oasi e stagni d’acqua salmastra, ed esteso fino alla Libia.

L’interesse degli antichi Egizi per il bacino del Fiume Nilo risale (Grimal, 1998) a circa 47.000 anni B.P., quando essi iniziarono a gravitare sulla sua lunga valle, conservando la consuetudine di cacciare nelle savane5 pre-desertiche e de- sertiche l’Asino selvatico, la Gazzella dorcade e l’Uro.

Quegli antichi Egizi variarono così la loro alimentazione, aggiungendo a quanto ottenuto con la caccia i prodotti della pesca, praticata con l’impiego di ami e arpioni, ricavati da ossa di animali.

2 La macchia-foresta è l’unità fisionomica della vegetazione boschiva, composta da uno strato arboreo, non affatto denso, di origine spontanea o derivata da impianto, che ne domina un altro arborescente, frequen- temente spontaneo.

3 La macchia è l’unità fisionomica della vegetazione boschiva, costituita dal solo strato arborescente, gene- ralmente spontaneo. La stessa macchia, se alterata da intense e prolungate azioni antropiche, quale l’incendio, il pascolo smodato e il taglio irrazionale, degrada a gariga.

4 La cateratta è l’insieme delle sporgenze rocciose, che si formano in alcuni tratti degli alvei dei fiumi, in corrispondenza di loro restringimenti, ove le acque fluenti scorrono più velocemente di quanto avviene in quelli più ampi.

5 La savana è l’unità fisionomica della vegetazione arbustiva ed erbacea, frequentemente dominata da alberi isolati o riuniti in gruppi, delle regioni aride pre-desertiche e desertiche.

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A 12.000 anni B.P. risalgono (Grimal, l.c.) nell’antico Egitto le raccolte proto- agricole delle messi di Orzo selvatico6 (Hordeum spontaneum K. Koch).

Il passaggio dei cacciatori-raccoglitori, nomadi, ad agricoltori-allevatori, stanziali, avvenne (Cavalli-Sforza, 1996) nell’antico Egitto fra i 9.000 e gli 8.500 anni B.P.

Le attività agricole di studio si differenziarono (Cimmino, 1998) durante l’anno, come qui di seguito specificato:

nel quadrimestre marzo-giugno, gli agricoltori provvedevano al raccolto e si- stemazione dei prodotti ottenuti, in attesa delle inondazioni;

nel quadrimestre luglio-ottobre, gli stessi agricoltori sospendevano ogni atti- vità, perché i terreni delle fasce spondali e del sistema deltizio del Fiume Nilo venivano sommersi dalle acque alluvionali;

nel quadrimestre novembre-febbraio, ritiratesi le acque dai terreni interessati, gli stessi agricoltori riportavano (Cimmino, l.c.) su di essi i confini delle pro- prietà, formando sui loro vertici dei piccoli cumuli di terra, con il valido aiuto di esperti agrimensori e l’impiego di dettagliate mappe catastali. Quindi gli stessi terreni, ricoperti da spesse coltri di limo, sabbia e sostanza organica, venivano accuratamente livellati, eliminando ogni depressione e gibbosità. Le attività del quadrimestre in esame venivano completate (Cimmino, l.c.) con l’apertura di canali d’irrigazione, seguita da piantagioni o semine e lavorazioni del terreno, non di rado rimescolato da suini.

Le attività agricole delineate occuparono (Cimmino, l.c.) una consistente parte della popolazione egizia, a far tempo dal periodo pre-dinastico, per effetto della pianificazione statale accuratamente predisposta e attuata.

Le alberate da frutto, per alimentazione e vinificazione, erano composte (Cimmino, l.c.) da Carrubo7 (Ceratonia siliqua L.), Fico comune8 (Ficus carica L.),

6 L’Orzo selvatico, originario (Pignatti, 2017) dell’Asia Sud-occidentale, ove oggi infesta le messi di Orzo domestico (H. vulgare L. s.s.), è stato diffuso in molte regioni dell’area circum-mediterranea. All’attualità, lo stesso Orzo domestico, le cui prime coltivazioni risalgono (Pignatti, l.c.) a non meno di 13.000 anni B.P., viene impiegato in tutti i continenti, per l’alimentazione degli uomini e del bestiame da essi allevato.

7 Il Carrubo è un albero sempreverde, frequentemente longevo, che con l’Euphorbia arborescente (Euphor- bia dendroides L.) e l’Olivastro (Olea europaea L., var. sylvestris [Mill.] Lehr.) è (Pignatti, l.c.) una specie guida dell’Oleo-Ceratonion Br. - Bl. 1936, em. Rivas-Martinez 1975. All’Alleanza richiamata Braun-Blanquet (1951) ha attribuito l’unità floristica, riferita all’Oleo-Lentiscetum, osservata nei dintorni di Nizza, nella Provence-Alpes- Côte d’Azzur, unità amministrativa della Francia Sud-occidentale. Si trattava di una macchia-foresta, composta nello strato arboreo-arborescente e in quello arbustivo da Ranno lanterno (Rhamnus alaternus L.), Carrubo, Lentisco (Pistacia lentiscus L.), Olivastro, Quercia leccio (Quercus ilex L.), Ilatro sottile (Phillyrea angustifolia L.), Salsapariglia nostrana (Smilax aspera L.) e Alloro (Laurus nobilis L.), cui erano associate numerose specie erbacee, fra le quali si richiamano la Robbia selvatica (Rubia peregrina L.) e l’Asparago pungente (Asparagus acutifolia L.).

8 Il Fico comune è un albero semi-sempreverde, per il quale finora non sono state ancora accertate, né la provenienza, né la diffusione. L’una e l’altra, avvenute in epoca preistorica, furono seguite dalla naturaliz- zazione. All’attualità, la stessa specie occupa (Pignatti, l.c.), per quanto riguarda la parte meridionale della Penisola italica, una peculiare nicchia ecologica, nel contesto della vegetazione spontanea degli alvei dei fiumi e dei torrenti interessati, riferita al Rubo-Nerion oleandri (Biondi et al., 1996) e al Platanion orientalis (Brullo e Spampinato, 1997).

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Giuggiolo comune9 (Ziziphus sativa Gaertn.), Melograno10 (Punica granatum L.), Palma da datteri11 (Phoenix dactilifera L.), Sicomoro12 (Ficus sycomorus L.) e Vite comune13(Vitis vinifera L.).

Le alberate da frutto, per spremitura, erano costituite da Moringa14 (Moringa oleifera Lam.) e Olivo coltivato15 (Olea europaea L., var. europaea L.).

Gli orti erano destinati alla coltivazione di Cocurbitacee (cetrioli, zucche e zuc- chine), Liliacee (agli, cipolle e porri) e Leguminose (ceci, fagioli e lenticchie), le une e le altre molto esigenti d’acqua, che veniva somministrata, anche giornalmente, usufruendo di efficienti reti di canali di irrigazione o di capienti giare di terracotta, poi sostituite dagli shaduf16.

9 Il Giuggiolo comune è un albero o arbusto caducifoglio, coltivato (Pignatti, l.c.) per la produzione di frutti, che frequentemente si inselvatichisce.

10 Il Melograno è un alberello caducifoglio, proveniente dall’Asia centro-meridionale (monti dell’Himalaya) e dall’Asia Sud-occidentale (Mesopotamia), che è stato introdotto (Pignatti, l.c.) nell’area circum-mediter- ranea, in regioni occupate dalla Vite comune, per la produzione di frutti, la composizione di giardini e parchi e l’impianto di siepi, a protezione delle colture ortive, praticate sulle fasce costiere joniche e tirreniche della Penisola italica, investite da venti salsi.

11 La Palma da datteri, molto probabilmente originaria (Pignatti, l.c.) dell’Asia Sud-occidentale (Mesopota- mia), è stata diffusa in molte regioni dell’area circum-mediterranea a opera dei Fenici, prima, e degli Arabi, dopo. Al riguardo della denominazione della specie in esame, va precisato che la radice φοιν del termine φοινοσ (rosso porpora) della lingua greca antica, risalente a oltre 3.000 anni B.P., era presente anche in altri termini della stessa lingua. Si trattava di φοινιγμα (rossore), ϕοινικη (Fenicia, estesa sulla fascia costiera siriana, libanese e palestinese, comprensiva dei centri abitati di Arado, Biblo, Sidone e Tiro, città-stato dei Cananei), ϕοινικουσσα (Fenicussa una delle isole Eolie, oggi denominata Filicudi) e φοινιξ (araba fenice, leggendario Uccello con le piume rosseggianti, cetra punica e Palma da datteri).

12 Il Sicomoro è un albero sempreverde, originario dell’Asia Sud-occidentale (Yemen e Omar) e dell’Africa centro-meridionale. La stessa specie in epoca remota fu introdotta e coltivata per la produzione di frutti in Siria, Libano e Palestina, nonché in Egitto, dove il suo legno trovò impiego nell’allestimento di assortimenti legnosi, occorrenti alla costruzione di sarcofagi per i faraoni, i funzionari statali di grado elevato e i sacerdoti di rango superiore.

13 La Vite comune è una liana caducifoglia, originaria (Pignatti l.c.) dell’Asia Sud-occidentale (monti del Cau- caso, del Tauro e degli Zagros), che fu introdotta in epoca remota in molte regioni dell’area circum-mediterra- nea, dalle quali è stata poi diffusa nell’Europa centrale e nelle Americhe. La stessa specie fu ottenuta (Pignatti, l.c.) con l’ibridazione di ceppi di Vite selvatica (Vitis vinifera L. subsp. sylvestris [Gmel.] Hegi). Antiche testimo- nianze della coltivazione della specie in esame, ritrovate in Asia Sud-occidentale (Kurdistan), risalgono a 6 000÷5.000 anni B.P. All’attualità non pochi elementi inselvatichiti di Vite comune si vanno diffondendo (Pi- gnatti, l.c.) in numerose espressioni europee della vegetazione riparia, dominata da Frassini, Olmi e Ontani.

14 La Moringa è un alberello sempreverde, originario dell’Asia centro-meridionale (monti dell’Himalaya), che fu diffusa in tutte le fasce tropicali del pianeta, anche se siccitose, per la produzione di foglie, eduli e ricche di proteine, sali minerali e vitamine, di fiori, anch’essi eduli, e di semi, dai quali si estrae un ottimo olio, il cui sapore ricorda quello del Ravanello comune (Raphanus sativus L.). La specie in esame ha recente- mente acquisito una peculiare valenza, perché la farina, ottenuta con la molitura dei suoi semi, ha manife- stato la capacità di catturare i batteri e le impurità dell’acqua consumata dall’uomo.

15 L’Olivo coltivato è un albero sempreverde, diffuso in molte regioni dell’area circum-mediterranea, che deriverebbe (Pignatti, l.c.) dall’ibridazione di alcune subsp. di Olea, affini tra loro e rappresentate da O.

laperrinei, dell’Africa settentrionale (monti del Deserto del Sahara), O. cuspidata, dell’Africa orientale, e O.

ferruginea, dell’Asia Sud-occidentale. Da detta ibridazione si sarebbero formate (Pignatti, l.c.) prima l’Oliva- stro, presente nella Penisola italica sin dal Pliocene, e dopo l’Olivo coltivato, diffuso in ordine temporale in Asia Sud-occidentale, Europa meridionale e Africa settentrionale.

16 Lo shaduf, ancora oggi impiegato in molte regioni dell’area circum-mediterranea, fu introdotto dalla Siria nell’antico Egitto, durante il Nuovo Regno fra i 1.550 e i 1.069 anni a.C. Si tratta di un robusto supporto ligneo, conficcato nel terreno o fissato ai muri a secco nei pressi di cisterne d’acqua, sul quale oscilla una lunga pertica lignea, dotata all’estremità superiore di un capiente recipiente per l’acqua e a quella inferiore di un contrappeso, costituito da una grossa pietra.

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Le piantagioni di specie da fibra, per cordatura, impiegata in attività edili, estrat- tive, fluviali e marittime, interessarono la Canapa comune17 (Cannabis sativa L.), a differenza di quelle di specie da fibra, per tessitura, che riguardarono il Cotone asiatico18 (Gossypium herbaceum L.) e il Lino comune19 (Linum usitatissimum L.).

Gli steli delle erbe dei prati venivano tagliati (Cimmino, l.c.) con l’impiego di falcetti di legno ricurvi e dotati di microliti di selce, a imitazione delle mascelle inferiori degli asini, comprensive delle dentature, che precedettero nel tempo gli stessi falcetti nelle operazioni di mietitura e sfalcio.

I cereali più frequentemente coltivati nei seminativi dell’antico Egitto erano (Bresciani, 2000) il Grano tenero20 (Triticum aestivum L., subsp. aestivum L.) e quello duro21 (T. turgidum L. subsp. durum [Desf.] Husn.), l’Orzo domestico e la Spelta22 (T. aestivum L. subsp. spelta [L.] Thell).

La ricorrenza annuale delle alluvioni, provocate dalle piene del Fiume Nilo, si è protratta fino all’epoca moderna. Durante l’epoca successiva, quella contem- poranea, sono state realizzate nella valle dello stesso corso d’acqua imponenti opere idrauliche, finalizzate a formare ampi invasi, capaci di contenere anche le sue portate di massima piena.

3. LA SALVAGUARDIA AMBIENTALE

La pratica dell’agricoltura, comprensiva dell’allevamento del bestiame, si svi- luppò nell’antico Egitto salvaguardando, come accennato nell’Introduzione, nu- merose macchie-foreste e macchie, rispettivamente riservate al prelievo del legno e all’esercizio della caccia agli Uccelli acquatici.

La consistenza nell’antico Egitto delle macchie-foreste, di origine spontanea, si ridusse nel tempo, per effetto di eccessivi e frequenti tagli boschivi, praticati per il prelievo di legna da ardere o carbonizzare.

Si resero così indispensabili azioni di salvaguardia delle macchie-foreste, rappre- sentate dal divieto per chiunque di abbattere alberi di qualsiasi specie. Solo i fa- raoni e i loro visir potevano fare eseguire quei tagli, come fece (Leospo, 2001) il faraone Hatshepsut, durante il Nuovo Regno. Quel faraone fece abbattere un gran numero di alberi di Sicomoro, dai cui fusti furono tratti gli assortimenti legnosi impiegati nella costruzione di grandi barche per il trasporto di obelischi dalla prima cateratta, quella di Assuan, fino a Karnak, distante circa 250 km più a valle.

17 La Canapa comune è (Pignatti, l.c.) una specie annuale coltivata per l’estrazione di fibre tessili. La colti- vazione della stessa specie avviene, per quanto riguarda la Penisola italica, in Romagna e Campania.

18 Il Cotone asiatico è (Pignatti, l.c.) un’altra specie erbacea annuale, anch’essa coltivata per le fibre. La coltivazione della stessa specie, per quanto attiene alla Penisola italica, riguarda la parte meridionale, com- prensiva della Sicilia, ove sporadicamente si inselvatichisce.

19 Il Lino coltivato è (Pignatti, l.c.) un’altra specie erbacea annuale, impiegata per le sue fibre.

20 Il Grano tenero è (Pignatti, l.c.) un’altra specie erbacea annuale, ormai coltivata in tutti i continenti.

21 Il Grano duro è (Pignatti, l.c.) un’altra specie erbacea annuale, oggi coltivata specialmente nel Mezzo- giorno peninsulare italiano e nelle isole circostanti.

22 La Spelta è (Pignatti, l.c.) un’altra specie annuale, oggi coltivata in varie regioni montane dell’area circum- mediterranea.

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Le macchie-foreste più volte richiamate erano composte da specie dei Generi qui di seguito specificati:

Acacia, fra le Leguminose, il cui legno duro e pesante, ma dotato di elevata resi- stenza meccanica, trovava (Leospo, l.c.) impiego nelle costruzioni edili e na- vali, in quelle dei carri da guerra23 e dei sarcofagi, nonché nell’allestimento di particolari assortimenti legnosi, impiegati come cavicchi, chiavistelli e giun- zioni, capaci di resistere anche a elevate sollecitazioni. Da alcune di dette spe- cie si traeva (Leospo, l.c.) una secrezione, la gomma arabica, impiegata come legante nelle pitture;

Ficus, fra le Moracee, già considerato per quanto riguarda il Sicomoro, il cui legno, facilmente lavorabile e resistente, veniva impiegato (Leospo, l.c.) nella costruzione di mobili;

Phoenix, fra le Monocotiledoni, il cui legno periferico duro e compatto, ma di difficoltosa lavorazione, era riservato (Leospo, l.c.) alla costruzione di sem- plici coperture e suppellettili;

Tamarix, fra le Tamaricacee, il cui legno, frequentemente soggetto a deforma- zioni durante le stagionature, veniva usato (Leospo, l.c.) nell’allestimento di piccoli assortimenti legnosi, impiegati nella costruzione di oggetti di uso quo- tidiano;

Zizyfus, fra le Ramnacee, il cui legno duro e pesante, ma dotato di elevata resi- stenza meccanica, era riservato (Leospo, l.c.) all’allestimento di particolari as- sortimenti legnosi, impiegati nella costruzione di grandi ruote, per il solleva- mento dell’acqua d’irrigazione.

Si fa osservare che l’impiego del legno, tratto nell’antico Egitto dai fusti degli alberi abbattuti nelle macchie-foreste, non riusciva affatto a soddisfare le esigenze costruttive dell’epoca, riferite al legno di pregio di aghifille meso-mediterranee e mon- tano-mediterranee, rispettivamente rappresentate da specie dei Generi Cupressus e Ce- drus, assenti in Egitto.

Ciò comportò per l’antico Egitto la definizione e l’attuazione di una accorta politica estera, incentrata (Leospo, l.c.) sul massimo impiego possibile del legno

23 I carri da guerra furono costruiti (Curto, 1973) per la prima volta dai Sumeri, che li dotarono di quattro ruote piene di legno, adeguate all’elevato peso delle loro strutture. Gli stessi carri, trainati da asini, risulta- rono poco funzionali e molto lenti, specialmente sui terreni caratterizzati dalla presenza di significative acclività e asperità. Ben altre modalità costruttive furono riservate ai carri da guerra dagli antichi Egizi, i quali, in occasione della guerra agli Hyksos, che avevano occupato la regione del delta del Fiume Nilo, alleggerirono quelle strutture, adeguandole al trasporto di due soli militari, un conducente combattente e uno scudiero. I nuovi carri, destinati al primo attacco ed eventualmente all’inseguimento, furono dotati di:

una cassa relativamente piccola, il cui fondo veniva realizzato con l’impiego di paglia intrecciata; due ruote con quattro o sei raggi di legno e cerchiatura in ferro; un timone collegato a un giogo poggiante sui garresi di due agili cavalli. Si trattò (Curto, l.c.) di opere di elevata ebanisteria, risultate molto funzionali e veloci, che propiziarono gli esiti di molte battaglie, fra le quali si ricorda quella di Kadesh, avvenuta nel 1.296 a.C.

Nell’occasione, il faraone Ramesse II, salito al trono nel 1.301 a.C., decise (Curto, l.c.) di muovere guerra agli Ittiti nella valle del Fiume Oronte, ove si scontrarono le forze egizie, composte da 20.000 fanti e 400 carristi, che operavano su 200 carri, e quelle ittite, costituite da 8.000 fanti e 10.500 carristi, che usufruivano di 3.500 carri. Lo scontro, che si concluse con la vittoria, né degli Egizi, né degli Ittiti, provocò l’inizio del crollo dell’impero dei secondi.

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prelevato dalle macchie-foreste nazionali, da una parte, e sull’importazione delle ec- cedenze, dall’altra.

Si trattò di attività svolte dai Fenici di varie città-stato, in particolare di Biblo, relativamente vicine ai monti del Libano e dell’Anti-Libano, sui cui versanti si estendevano immense foreste, formate da alberi di specie dei Generi Abies, Cedrus e Cupressus.

A Biblo, stanti le pressanti richieste di legno di pregio, si formarono delle vere e proprie “compagnie”, formate da boscaioli, che praticavano i tagli boschivi, da carpentieri, che allestivano gli assortimenti legnosi richiesti, e da trasportatori, che con l’impiego di buoi trasferivano gli assortimenti legnosi allestiti o interi tronchi dalle foreste montane al porto della città-stato richiamata, ove lo stesso legno veniva caricato su adeguate imbarcazioni, dirette verso numerosi paesi del Mare Mediterraneo orientale, come l’Egitto.

Le richieste di legno, che provenivano dalla Mesopotamia, erano esaudite (Moscati, 1996) con il trasporto via terra del legno fino al corso del Fiume Eu- frate, lungo il quale lo stesso legno veniva fluitato fino alle destinazioni definitive.

Quanto finora specificato è contenuto in una iscrizione di Nabucodonosor, re d’Assiria, che affermò:

Con la forza di Nabu e Marduk, miei signori, armai le mie truppe per una spedizione nel Libano … Ciò che nessun re precedente aveva fatto, io lo feci: spaccai alte montagne, tagliai blocchi di pietra dai monti, aprii vie di passaggio, approntai strade per il trasporto dei cedri. Feci galleggiare sul canale Arakhtu, come fossero delle canne del fiume, e portai davanti a Marduk, il re, grossi cedri, alti e forti, dalla bellezza preziosa, dall’aspetto imponente, ricco prodotto del Libano.

Il testo riportato, sicuramente elogiativo, come tanti altri dei sovrani del tempo, è stato tratto (Moscati, l.c.) da uno studio di Langdon (1912).

Anche Salomone, re d’Israele, chiese e ottenne (Moscati, l.c.) da Hiram, re della città-stato di Tiro, il legno di alberi di specie dei Generi Abies, Cedrus e Pinus, nonché la prestazione, risultata proficua, di carpentieri e operai edili, impiegati nella costruzione del tempio di Gerusalemme. La frase, qui di seguito riportata, della narrazione biblica, evidenzia (Moscati, l.c.) anche i buoni rapporti esistenti fra i due sovrani. Hiram, infatti, precisò che:

Ho sentito la tua ambasciata. Io soddisferò ogni tuo desiderio in legnami di abete e di cedro. I miei operai li caleranno dal Libano al mare, ed io li metterò in zattere sul mare fino al luogo che mi indicherai.

L’impiego di legno pregiato, proveniente dalle foreste del Libano e dell’Anti- Libano, interessò (Moscati, l.c.) anche l’Assiria, come dimostra l’iscrizione ritro- vata a Balawat, nella quale Assurnasirpal II, altro re d’Assiria, sostenne che:

Marciai fino al Monte Libano e tagliai tronchi di cedro, cipresso e ginepro;

con i tronchi di cedro feci il tetto di questo tempio, feci di cedro i battenti delle porte e li ricoprii con una lamina di bronzo…

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Per le forniture di legno assicurate dai Fenici e per i prelievi autorizzati dello stesso legno, i Fenici ricevevano in cambio Grano, Orzo domestico e Spelta, oppure olio e vino, prodotti dai paesi, che importavano il legno.

In alcuni casi i Fenici richiesero in cambio del legno da fornire, oltre che ar- gento e oro, anche avorio, pavoni e scimmie, oppure stagno, rame, vasi di bronzo, vestiti di lana o lino e legno di Bosso (Buxus sempervirens L.) o di Ebano (Dyospiros ebenum J. Koenig), nonché pelli e zanne di elefanti.

Quanto finora esplicitato, al riguardo dei Fenici, è completato dalla delinea- zione della evenienza qui di seguito descritta.

Gli stessi Fenici si espansero, come è noto, anche in Africa settentrionale, ove fondarono Cartagine nell’attuale Tunisia, non molto distante dall’Algeria e dal Marocco, i cui monti erano ricoperti, come oggi, da importanti foreste di Cedro dell’Atlante (Cedrus atlantica [Endl.] Manetti), dalle quali i Punici trassero il legno, che loro occorreva per eseguire lavori edili, probabilmente rimasti ineguagliati.

La salvaguardia ambientale interessò nell’antico Egitto, come accennato nell’Introduzione, anche le macchie di Papiro24 (Cyperus papyrus L.).

Gli antichi Egizi estraevano dai fusti di quella Cyperacea il midollo bianco e spugnoso, che veniva ridotto in strisce sottili, poi sovrapposte le une alle altre e ripetutamente bagnate e pressate. I “telai” così ottenuti erano adeguatamente raschiati, ottenendo superfici levigate, consone alla scrittura.

Quei “telai”, incollati gli uni agli altri consentivano di allestire veri e propri rotoli, detti in latino volumina.

L’importanza assunta dal materiale da scrittura specificato provocò azioni di tutela anche a favore delle macchie di Papiro, nelle quali gli antichi Egizi pratica- vano anche la caccia agli Uccelli acquatici, con l’impiego di armi da getto parti- colari, del tipo boomerang, o di reti.

Alle cacce partecipavano anche i gatti, impiegati per il riporto degli Uccelli abbattuti.

4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Quanto esplicitato nei capitoli precedenti è stato tratto dai saggi e dagli studi consultati, richiamati nella Bibliografia citata. Si tratta di lavori eseguiti tenendo conto, in modo diretto o indiretto, di raffigurazioni espresse nei dipinti realizzati

24 Il Papiro è una specie perenne, divenuta (Pignatti, l.c.) emblematica per la fascia equatoriale africana. La stessa specie fu diffusamente impiegata (Pignatti, l.c.) a Creta e in Egitto, a far tempo dal V÷IV millennio B.P., nell’alimentazione umana, nell’allestimento di materiali combustibili e nella costruzione di imbarca- zioni, nonché nella confezione di rotoli da scrittura, con la quale è stata diffusa l’antica cultura egizia, fenicia e mesopotamica. L’antico nome fenicio del Papiro, biblos, è derivato da quello della città-stato omonima, nella quale veniva organizzata la sua esportazione in numerose regioni dell’area circum-mediterranea. Dal nome della specie in esame sono derivati quello francese papier, l’altro inglese paper, l’altro ancora spagnolo papel e il tedesco papier, tutti riferiti alla carta. La specie di studio è stata coltivata (Pignatti, l.c.) nel passato anche nella Penisola italica, più precisamente in Calabria, da dove è scomparsa nel tempo, e in Sicilia, nella quale è oggi presente la subsp. papyrus nei pressi della sorgente Ciane, vicina a Siracusa, diversa dalla subsp.

niliacus, diffusa sulla fascia costiera siriana, libanese e palestinese, e in Egitto.

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nelle tombe dei faraoni, dei funzionari e dei tecnici più importanti e dei sacerdoti di rango elevato, così come sulle tavolette25, sulle coppe di bronzo e sulle lamine di avorio.

Qui di seguito vengono per brevità delineate solo le più significative raffigu- razioni riportate sui dipinti dei templi e delle tombe, richiamate da Bresciani (l.c.).

Per l’agricoltura si evidenziano le scene riferite:

all’aratura e alla semina, raffigurate nel dipinto della tomba di Ramesses III, della XX dinastia, localizzata a Tebe;

alla mietitura e alla spigolatura, raffigurate nel dipinto della tomba di Sen- negem, della XIX dinastia, localizzata a Tebe;

al meritato riposo di mietitori all’ombra di alberi frondosi, raffigurato nel di- pinto della tomba di Menna, della XVIII dinastia, localizzata a Tebe;

alla raccolta di Lino comune, raffigurata nel dipinto della tomba di Sennegem, localizzata a Tebe;

all’attraversamento di un canale di irrigazione da parte di una mandria di bo- vini, raffigurato nel dipinto della tomba di Ti, della V dinastia, localizzata a Saqqara;

alla raccolta di frutti di un albero di Fico comune, raffigurata nel dipinto della tomba di Khnumhotep, del Medio Regno, localizzata a Beni Hassan;

alla vendemmia, seguita dalla pigiatura dell’uva, dal travaso del mosto e dal suo trasporto a destinazione, raffigurati nel dipinto della tomba di Chaemua- set, della XVIII dinastia, localizzata a Tebe;

alla collezione di animali e piante esotici, raffigurata nel disegno della tomba di Tuthmosi III, della XVIII dinastia, localizzata a Karnak;

alla festa in giardino, dotato di alberate di Melograno e pergolati di Vite co- mune, raffigurata nel dipinto della tomba di Neferhotep, della XVIII dinastia, localizzata a Tebe;

all’allevamento di api e alla raccolta di miele, raffigurate nel dipinto della tomba di Pabasa, della XXVI dinastia, localizzata a Tebe;

alla macellazione di bovini, raffigurata nel dipinto della tomba di Mereruka, della VI dinastia, localizzata a Saqqara;

all’essiccazione di carni bovine, raffigurata nel dipinto della tomba di Antefiker, del Medio Regno, localizzata a Tebe;

alla lavorazione di fibre di Lino comune, seguita dalla mazzolatura, dalla fila- tura e dalla tessitura, raffigurate nei dipinti di varie tombe, del Medio Regno, localizzate a Beni Hassan.

Fra i dettagliati e minuziosi particolari delle raffigurazioni richiamate, si evi- denziano quelli del dipinto della tomba, localizzata a Tebe, in cui una giovane contadina è intenta a togliere una spina dal piede di una collega di lavoro.

25 Le tavolette o tavolozze, di ardesia o bronzo, avevano forma bi-trapezoidale allungata. Su di esse venivano riportate, con incisioni o rilievi, molteplici raffigurazioni, relative all’agricoltura, all’artigianato, alla caccia e alla pesca, nonché alla guerra.

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Per le attività venatorie e di pesca, si richiamano le scene riferite:

alla caccia effettuata con armi da getto in una macchia di Papiro, in cui si affol- lano, anche per nidificare, molte specie di Uccelli acquatici, raffigurati nel di- pinto della tomba di Menna, localizzata a Tebe;

alla caccia eseguita con reti in un’altra macchia di Papiro, raffigurata nel dipinto della tomba di Dedi, della XVIII dinastia, localizzata a Tebe;

alla caccia praticata con archi e frecce in una zona desertica, raffigurata nel disegno della tomba di Khnumhotep, localizzata a Beni Hassan;

alla pesca con lenze e ami effettuata in un corso d’acqua fluente o stagnante, raffigurata nella tomba di Ti, localizzata a Saqqara.

Per l’artigianato, si ricordano le scene riferite:

alla realizzazione di statue lignee, poi dipinte con vivaci colori, raffigurata nel dipinto della tomba di Ibi, della XXVI dinastia, localizzata a Tebe;

alla confezione di sandali, raffigurata in un dipinto di una tomba tebana;

alla politura di colonne lignee, raffigurata nel dipinto di un’altra tomba tebana;

alla realizzazione al tornio di vasi di terracotta, raffigurata nel dipinto della tomba di Baqet, del Nuovo Regno, localizzata a Beni Hassan.

Per la guerra si è ritenuto sufficiente fare riferimento alle sole scene della bat- taglia di Kadesh, fra l’esercito egizio e quello ittita. Si tratta di una raffigurazione grandiosa, della lunghezza di ben 17 m, eseguita sulle pareti del tempio rupestre di Ramesses II, della XIX dinastia, localizzato ad Abu Simbel, nella quale sono riportati, non solo i castelli e le rocche degli Ittiti, ma anche gli stagni alimentati dal Fiume Oronte in occasione delle sue piene.

SUMMARY Man and environment:

Agriculture and environmental protection in ancient Egypt

At the end of Prehistory, many civilizations were flourishing in south-western Asia, both in Mesopotamia and on the coastline of Sirya, Lebanon and Palestine. These were the empires of the Sumerians, Assyrians and Babylonians, as well as the Hittites and the Phoenician city-states.

The ancient Egyptian civilization was also developing in north-eastern Africa which, like the others specified above, made use of the waters of a river.

This essay examines the agricultural practices carried out by the ancient Egyptians on the banks and delta of the Nile, which annually deposited beneficial layers of silt during flooding.

Egyptian agriculture adequately preserved the natural forest-maquis by reserving it for the harvesting of wood, which was then used for making furniture and sarcophagi, as well as for their building works.

The ancient Egyptians also protected the environment around stands of Papyrus, which was used for making writing materials, in boat building and in the hunting of water birds.

The methods which they used in agricultural practice and environmental protection highlight the advanced nature of their civilization, especially during the New Kingdom era.

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