2/12/2019 MARCO.ZOLLI@SNS.IT
JOHN STUART MILL – UTILITARISMO E LIBERTÀ
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Mi ritrovai in uno stato di depressione nervosa, quale tutti occasionalmente possono aver provato, e non sentivo alcune interesse per la gioia e per gli eccitamenti del piacere: uno di quegli stati d'animo in cui ciò che era piacevole in altri momenti diventa insipido o indifferente … In una tale condizione spirituale mi capitò di pormi direttamente la domanda: "supponi che tutti gli obiettivi della tua vita vengano realizzati e tutti i cambiamenti nelle istruzioni e opinioni ai quali tu aspiri possano essere effettuati proprio in questo istante: sarebbe questa una grande gioia e felicità per te?" E la voce irreprimibile della mia autocoscienza rispose inequivocabilmente: "no!". A questo punto sentii mancarmi il cuore.
L'intero fondamento su cui era costituita la mia vita crollava.
Sono felici solamente quelli che si pongono obiettivi diversi dalla loro felicità personale: cioè la felicità degli altri, il progresso dell'umanità, perfino qualche arte, o occupazione perseguiti non come mezzi ma come fini ideali in se stessi.
Aspirando in tal modo a qualche altra cosa trovano la felicità lungo la strada.
Autobiografia, Stuart Mill
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Una morale fondata su concezioni larghe e sagge del bene di tutti – che non sacrificasse il singolo alla collettività e la collettività al singolo, ma attribuisse al dovere da un lato, e alla libertà e spontaneità dall’altro il rispettivo campo d'azione – trarrebbe il proprio potere: per le nature superiori dalla simpatia, benevolenza e passione per un'eccellenza ideale; per le nature inferiori, dagli stessi sentimenti, incrementati al massimo, con l'aggiunta di un sentimento ausiliare, la vergogna. Questa morale sublime non godrebbe di alcun ascendente connesso a una qualsiasi forma di ricompensa; la ricompensa a cui si potrebbe tendere, e il pensiero della quale potrebbe costituire una consolazione nelle sofferenze e un sostegno nei momenti di debolezza, non sarebbe costituita dalla problematica esistenza di una vita futura, ma dall’approvazione, in questa stessa vita, di coloro che rispettiamo, e idealmente da quella di tutti gli uomini, vivi o morti, che ammiriamo e veneriamo. Infatti, il pensiero che i nostri genitori o i nostri amici defunti approverebbero la nostra condotta costituisce un motivo quasi altrettanto efficace quanto l'approvazione effettiva di quelli ancora in vita.
L'idea che Socrate, o Howard, o Washington, o Marc'Aurelio o Cristo ci approverebbero, o l'idea che stiamo compiendo la nostra parte animati dallo stesso spirito che animò quei grandi, ha operato sugli spiriti migliori come un forte incentivo a comportarsi secondo i loro sentimenti e convinzioni più elevati. Il dare a questi sentimenti il nome di morale, ad esclusione di ogni altro appellativo, mi sembra troppo poco. Essi costituiscono una vera religione: per la quale, come per altre religioni, le opere buone esteriori (cioè il significato preponderante della parola "morale") formano solo una parte, e sono in verità piuttosto i frutti della religione che non la religione stessa. L'essenza della religione sta nel dirigere con forza e serietà le emozioni e i desideri verso un oggetto ideale, riconosciuto della massima eccellenza e di importanza al di sopra di ogni desiderio egoistico. A questa condizione la Religione dell'Umanità adempie in grado così eminente, e in senso così elevato, come vi adempiono nelle loro manifestazioni migliori le religioni che si richiamano al sovrannaturale e assai più di quanto esse facciano nelle altre manifestazioni. Si potrebbe aggiungere ancora molto su quest'argomento; si è detto però abbastanza per convincere tutte le persone in
grado di distinguere fra le capacità intrinseche dell'umana natura e le forme in cui queste capacità sono state storicamente sviluppate, che il senso di solidarietà con il genere umano e un sentimento profondo per il bene generale possono venir educati in sentimenti e principi capaci di adempiere ad ogni importante funzione della religione e portarne cosi giustamente il nome. Voglio ancora affermare che questa nuova religione non soltanto è in grado di adempiere bene alle funzioni ora accennate ma le assolverebbe assai meglio di qualsiasi forma di sovrannaturalismo. Non soltanto essa ha diritto di venir chiamata religione: ma è una religione migliore di tutte quelle che ne portano abitualmente il nome.
Sull'utilità della religione, Stuart Mill
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Mancando un principio primo accettato da tutti, l'etica, invece che fungere da guida, è diventata piuttosto una consacrazione dei sentimenti effettivamente provati dagli uomini; malgrado ciò, siccome i sentimenti umani, di approvazione o di avversione che siano, vengono in gran parte influenzati dagli effetti che supponiamo le cose abbiano sulla nostra felicità; il principio di utilità o, come da ultimo lo ha chiamato Bentham, il principio della massima felicità, ha avuto un ruolo notevole nella formazione delle dottrine morali, anche per coloro che più sprezzantemente respingono la sua autorità.
Utilitarismo, I, Stuart Mill
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[ … ] Le argomentazione utilitariste sono indispensabili a tutti i sostenitori di una morale a priori, se appena avvertono la necessità di argomentare. [ … ] Quest'uomo straordinario [Kant], il cui sistema di pensiero rimarrà a lungo una delle pietre miliari nella storia della speculazione filosofica, nel trattato ora citato [Metafisica dei Costumi] formula in effetti un primo principio universale come origine e fondamento dell'obbligazione morale; e cioè: «Agisci in modo tale che la massima delle tue azioni possa essere adottata come legge da tutti gli essere razionali». Ma quando passa a dedurre da questa massima uno qualsiasi dei doveri effettivi della moralità, ebbene allora, è quasi grottesco, non riesce neanche a dimostrare che se tutti gli esseri razionali adottassero delle regole di condotta le più atrocemente immorali, ci sarebbe una qualche contraddizione, una qualche impossibilità logica (per non dire fisica). Tutto ciò che riesce a dimostrare è che, in una simile ipotesi, le conseguenze sarebbero tali che nessuno sceglierebbe di esporvisi. [ … ] Le questioni che riguardano i fini ultimi non ammettono prove dirette. Per poter provare che una certa cosa è buona, bisogna dimostrare che essa è un mezzo per ottenere qualcos'altro che viene accettato come buono senza alcuna prova.
Utilitarismo, I, Stuart Mill
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L'imperativo categorico è dunque uno solo, e precisamente questo: agisci soltanto secondo quella massima per mezzo della quale puoi insieme volere che essa divenga una legge universale. Poiché l'universalità della legge secondo cui accadono effetti costituisce ciò che propriamente si chiama natura nel senso più generale (secondo la forma), ossia l'esistenza delle cose in quanto è determinata secondo leggi universali, allora l'imperativo universale del dovere potrebbe anche suonare così: agisci come se la massima della tua azione dovesse diventare per mezzo della tua volontà una legge universale della natura. [ … ] Un altro si vede pressato dal bisogno a prendere in prestito del denaro. Egli sa bene che non potrà
restituirIo, ma vede anche che non gli verrà prestato nulla se non promette fermamente di restituirlo entro un certo tempo. Egli ha voglia di fare una tale promessa, ma ha ancora abbastanza coscienza da chiedersi: non è illecito e contrario al dovere trarsi fuori da uno stato di bisogno in questo modo? Posto che decidesse così, la massima della sua azione suonerebbe: quando credo di essere in strettezze di denaro, ne voglio chiedere in prestito, e promettere di restituirIo anche se ciò non accadrà mai. Ora, questo principio dell'amore di sé, o della propria convenienza, può certo ben accordarsi con l'intero mio futuro benessere, ma sorge qui la domanda: sarebbe giusto? Trasformo allora la pretesa dell’amore di sé in una legge universale e pongo cosi la domanda: come andrebbe se la mia massima divenisse una legge universale? Qui vedo subito che essa non potrebbe valere mai da legge universale della natura e accordarsi con sé stessa, ma che invece dovrebbe necessariamente contraddirsi. Infatti, l'universalità di una legge per cui ognuno, quando ritenesse di trovarsi nel bisogno, potesse promettere quel che gli aggrada con il proposito di non mantenerIo, renderebbe impossibile il promettere stesso e il fine che con esso si potrebbe ottenere, poiché nessuno crederebbe a ciò che gli viene promesso, ma piuttosto riderebbe di ogni simile dichiarazione come di un vano pretesto.
Fondazione della metafisica dei costumi, Kant
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La dottrina che accetta l'utilità o principio della massima felicità come fondamento della morale sostiene che le azioni sono moralmente corrette nella misura in cui tendono a procurare la felicità, moralmente scorrette se tendono a produrre il contrario della felicità. Per felicità si intende il piacere e l'assenza di dolore e la privazione di piacere. Per dare una visione chiara del parametro morale proposto da questa teoria, bisognerebbe però aggiungere molto di più: in particolare, quali cose rientrino nelle idee di dolore e di piacere, e fino a che punto invece la questione venga lasciata aperta. Ma queste spiegazioni supplementari non toccano la teoria della vita sui cui si fonda la teoria utilitarista della moralità: e cioè, che il piacere e la liberazione dal dolore siano le uniche cose desiderabili come fini; e che tutte le cose desiderabili (che nello schema utilitarista sono tante quante in tutti gli altri) sono desiderabili o per il piacere insito in esse o come mezzo per promuovere il piacere e prevenire il dolore.
Utilitarismo, II, Stuart Mill
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Affermare che la felicità è il fine e lo scopo della moralità non significa che non si debba tracciare una strada per raggiungere quella meta, o che non si debba raccomandare, alle persone in viaggio per quella destinazione. di prendere una direzione piuttosto che un'altra.
Utilitarismo, II, Stuart Mill
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Ora, è chiaramente impossibile che, alla base di una società di esseri umani, ci sia altro che la necessità di tenere in conto gli interessi di tutti, eccezion fatta per la relazione fra padrone e schiavo. Una società di eguali può esistere solo con l'intesa che tutti debbano egualmente badare agli interessi di tutti. E dal momento che in qualsiasi stadio di civiltà ognuno ha degli eguali tranne il monarca assoluto, ognuno è obbligato a vivere con qualcun altro sulla base di questa intesa; a ogni epoca assistiamo a qualche passo in avanti, verso uno stato di cose in cui sarà impossibile per chiunque vivere stabilmente insieme a
chicchessia, se non su questa base. Così, ci riesce sempre più difficile immaginare come possibile una situazione di totale noncuranza per gli interessi altrui. È una necessità, per l'uomo, pensare di essere almeno tale da astenersi dalle azioni più gravemente nocive, di essere uno che vive combattendole costantemente. Cooperare con gli altri e proporre alle nostre azioni il fine (quanto meno temporaneo) dell’interesse collettivo anziché personale sono cose familiari a tutti noi. Finché cooperiamo, le nostre finalità si identificano con quelle degli altri;
e, almeno temporaneamente, sentiamo che gli interessi degli altri sono i nostri stessi interessi. Ogni consolidamento dei vincoli sociali e ogni sviluppo salutare della società, non soltanto rafforzano l'interesse di ognuno a tenere effettivamente in conto il benessere altrui nel proprio agire, ma ci conducono anche a identificare sempre più i nostri sentimenti con il bene degli altri, o almeno con una sempre maggior considerazione concreta per il bene altrui. Quasi istintivamente, l'uomo arriva ad accorgersi di essere uno che ovviamente presta attenzione agli altri. Il bene altrui diventa per noi qualcosa di cui naturalmente e necessariamente dobbiamo badare, proprio come a qualsiasi altra condizione fisica della nostra esistenza. [ … ] Chi riconosce la morale utilitarista, proverà in sé il sentimento che costituisce la sua forza vincolante senza neppure aver bisogno di attendere quelle influenze sociali che riescono a far sentire la sua obbligatorietà agli esseri umani in generale. In quello stato relativamente arretrato del progresso umano nel quale oggi viviamo, una persona non può davvero sentire, nella sua pienezza, quella simpatia con tutti i suoi simili che renderebbe impossibile qualsiasi vera discordanza fra gli uomini sulle direttive generali della loro condotta di vita; ma già una persona in cui si sia appena un po' sviluppato il sentimento sociale non riuscirà a considerare il resto dei suoi simili come dei rivali in lotta con lui per la conquista della felicità, rivali di cui dovrebbe desiderare la disfatta, per riuscire a realizzare le proprie aspirazioni.
Utilitarismo, III, Stuart Mill
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Nella regola d'oro di Gesù di Nazareth possiamo leggere tutto lo spirito dell'etica utilitarista. Fare agli altri quel che si vorrebbe gli altri facessero a noi, e amare il prossimo come sé stessi, costituiscono la perfezione ideale della morale utilitarista.
Utilitarismo, II, Stuart Mill
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"Utilità" è un termine astratto. Esso esprime la capacità e la tendenza di una cosa a preservarci da qualche male o a procurarci del bene. "Male" significa pena, dolore o causa di dolori. "Bene" è gioia o fonte di piaceri. È conforme all'utilità o all'interesse dell'individuo tutto quanto tende ad aumentare la somma totale del suo benessere. Ciò che è conforme all'utilità o all'interesse di una comunità, è quanto tende ad aumentare la somma totale del benessere degli individui che la compongono.
Introduzione ai principi della morale e della legislazione, Bentham
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Grazie alla sua intelligenza superiore, a anche se prescindiamo dalla più vasta portata della sua simpatia, un essere umano è capace di cogliere una comunione di interessi fra sé e la società umana di cui fa parte; e quindi, qualsiasi comportamento possa minacciare la sicurezza della società nel suo complesso è una minaccia anche per lui, e risveglia il suo istinto di autodifesa (se di istinto si
tratta). Questa stessa intelligenza superiore, congiunta alla capacità di sentimenti simpatetici verso gli altri esseri umani in generale, rende l'uomo capace di legarsi saldamente all'idea collettiva della propria tribù, della patria, dell'umanità: così saldamente, che qualsiasi azione nociva per loro risveglia il suo istinto di simpatia e lo spinge a opporlesi. Il sentimento della giustizia, quindi, se consideriamo quella sua componente che consiste nel desiderio di punire è, a mio avviso il sentimento naturale di rivalsa o vendetta che l'intelletto e la simpatia hanno collegato con quelle offese, vale a dire con quei danni arrecatici, che ci feriscono tramite la società in generale o in una con essa. [ … ] Quando Kant (come già si è osservato) propone come principio fondamentale della morale: «Agisci in modo tale che la massima delle tue azioni possa essere adottata come legge da tutti gli esseri razionali», riconosce in pratica che nella mente di chi agisce, nel momento in cui prende consapevolmente una decisione sulla moralità o meno di un'azione, dev'esserci l'interesse dell'umanità nel suo complesso, o quantomeno dell'umanità senza distinzioni discriminanti. [ … ] E, a mio avviso, il sentimento della giustizia è quel certo desiderio, proprio della natura animale, di respingere o ritorcere un torto o un danno inflitto a noi o a coloro verso cui abbiamo sentimenti simpatetici: desiderio esteso fino a includere tutti gli esseri umani, grazie alla nostra capacità di ampliare la portata della nostra simpatia e di concepire il nostro interesse personale in una forma intelligente.
Utilitarismo, V, Stuart Mill
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L'essere razionale deve sempre considerare sé stesso come legislatore in un regno dei fini possibile attraverso la libertà della volontà, che lo sia poi come membro o come capo. Non può però pretendere il posto di quest'ultimo soltanto grazie alla massima della sua volontà, bensì soltanto in quanto sia un essere del tutto indipendente, dotato di un potere adeguato alla volontà senza bisogno e senza limitazione. La moralità consiste dunque nel riferimento di ogni azione alla legislazione per mezzo della quale, soltanto, è possibile un regno dei fini. Questa legislazione deve però trovarsi in ogni essere razionale e deve poter sorgere dalla sua volontà, ed il suo principio è dunque: non compiere alcuna azione secondo altra massima se non in modo che con tale massima possa anche sussistere una legge universale, e dunque solo in modo che la volontà, attraverso la propria massima, possa insieme considerare sé stessa come universalmente legislatrice.
Se ora, le massime non sono già necessariamente concordi per loro natura con questo principio oggettivo degli esseri razionali in quanto universalmente legislatori, allora la necessità dell’azione secondo quel principio si chiama costrizione pratica, ossia dovere. Il dovere, nel regno dei fini, non riguarda il capo, ma ogni suo membro, e propriamente tutti in egual misura.
Fondazione della metafisica dei costumi, Kant
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Fra i pensatori politici del Continente, sono solo delle brillanti eccezioni quei pochi che considerano ammissibile limitare le possibilità d'azione di un governo, a meno che non si tratti di un governo che a loro avviso non meriti proprio di esistere. [ … ] Con l'andar del tempo, tuttavia, una repubblica democratica arrivò fino ad occupare una parte cospicua della superficie del pianeta, e a farsi riconoscere come uno dei membri più potenti nella comunità delle nazioni; il governo elettivo, il governo responsabile, venne a essere sottoposto a quel tipo di osservazione e di critica che vigilano su ogni grande evento. Ci si accorse che locuzioni come «autogoverno» e «potere del popolo su sé stesso» non
corrispondono alla realtà effettiva delle cose. Il «popolo» che esercita il potere non è sempre quello stesso popolo sul quale il potere viene esercitato; e l’«auto governo» non è il governo di ognuno su sé stesso, ma quello che su ognuno hanno tutti gli altri. Inoltre, volontà del popolo significa in pratica la volontà della parte più numerosa e più attiva del popolo: la maggioranza, ossia coloro che sono riusciti a farsi accettare come maggioranza; ne consegue quindi la possibilità che il popolo desideri effettivamente opprimere una parte dei propri componenti:
contro questo abuso di potere, non meno che contro qualsiasi abuso, occorre prendere delle precauzioni. Pertanto, porre dei limiti al potere del governo sugli individui è qualcosa che non perde affatto la sua importanza quando i detentori del potere siano regolarmente responsabili verso la comunità, cioè verso il partito più forte in seno a essa. Questo modo di vedere le cose non ha trovato difficoltà ad affermarsi, in quando soddisfaceva sia l'intelligenza dei pensatori sia le tendenze di quelle importanti classi della società europea che hanno nella democrazia un avversario ai loro reali o presunti interessi; e ormai, quindi. la
«tirannia della maggioranza» è annoverata in genere, nel pensiero politico, fra quei mali contro i quali bisogna che la società stia bene in guardia.
Sulla libertà, Stuart Mill
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Io considero empia e detestabile questa massima: che in materia di governo la maggioranza di un popolo ha il diritto di far tutto; tuttavia pongo nella volontà della maggioranza l'origine di tutti i poteri. Sono forse in contraddizione con me stesso? Esiste una legge generale che è stata fatta. o perlomeno adottata, non solo dalla maggioranza di questo o quel popolo, ma dalla maggioranza di tutti gli uomini. Questa legge è la giustizia. Una maggioranza è come una giuria incaricata di rappresentare tutta la società e applicare la giustizia che è la sua legge. La giuria rappresenta la società; deve essa avere più potere della società stessa di cui applica le leggi? Quando dunque io rifiuto di obbedire ad una legge ingiusta, non nego affatto alla maggioranza il diritto di comandare: soltanto mi appello non più alla sovranità del popolo ma a quella del genere umano. [ … ] ciò che io rimprovero di più al governo democratico, come è stato organizzato negli Stati Uniti, non è, come molti credono in Europa, la debolezza, ma al contrario la sua forza irresistibile. Quello che più mi ripugna in America, non è l'estrema libertà, ma la scarsa garanzia che vi è contro la tirannide. Quando negli Stati Uniti un uomo o un partito soffre di qualche ingiustizia, a chi volete che si rivolga? All'opinione pubblica? È essa che forma la maggioranza. AI corpo legislativo? Esso rappresenta la maggioranza e le obbedisce ciecamente. AI potere esecutivo? Esso è nominato dalla maggioranza ed è un suo strumento passivo.
Alla forza pubblica? La forza pubblica non è altro che la maggioranza sotto le armi. Alla giuria? La giuria è la maggioranza rivestita del diritto di pronunciare sentenze: i giudici stessi, in alcuni stati, sono eletti dalla maggioranza. Per quanto la misura che vi colpisce sia iniqua o irragionevole, bisogna che vi sottomettiate.
La Democrazia in America, Tocqueville
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L'idea di una democrazia razionale non è che il popolo si governi da solo, ma che abbia la certezza di un buon governo. Questa sicurezza non la può avere senza altro mezzo che quello di tenere nelle sue mani l'ultimo controllo. Se rinuncia a questo, si concede alla tirannide. [ … ] Ma nel governo, come in ogni altra cosa, il pericolo è che, per timore che questo possa fare tutto ciò che vuole,
quello possa voler fare più di ciò che risiede nel suo ultimo interesse. L'interesse del popolo è di scegliere per loro governanti le persone più capaci ed istruite che si possano trovare, e avendo fatto ciò, consentir loro di esercitare liberamente la loro conoscenza e capacità per il bene del popolo, o con il minor controllo possibile [ … ]. Una democrazia così amministrata riunirebbe tutte le migliori qualità mai possedute da qualsiasi governo. Non solo sarebbero buoni i suoi fini, ma i suoi mezzi sarebbero così ben scelti così come la saggezza dell’età [dei rappresentanti] consentirebbe; e l’onnipotenza della maggioranza sarebbe esercitata attraverso l'azione e la discrezione di un'illuminata minoranza, responsabile, in ultima istanza, di fronte alla maggioranza. [ … ] la sostituzione della delegazione con la rappresentanza è pertanto l'unico e solo pericolo della democrazia.
Sulla democrazia in America di Tocqueville (I), Stuart Mill
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Le opinioni degli elettori non vanno mai accantonate, anche se il deputato è provvisto di un grande ingegno e un nobile carattere. La deferenza degli elettori verso la superiorità intellettuale del deputato non deve spingersi fino all'annullamento di se stessi, alla cancellazione di ogni opinione personale.
Quando le differenze di vedute non riguardano i fondamenti della politica, l'elettore dovrebbe ammettere che l'opinione di un uomo d'ingegno è certamente superiore alla sua. Egli quindi deve sentirsi nell'errore al punto da dover rinunciare alle proprie vedute. Rinunciare alle proprie opinioni su questioni non essenziali ha comunque il vantaggio assai grande di lasciare agire una persona di genio in condizioni che il semplice cittadino non è in grado di valutare. La persona di ingegno non deve accettare un compromesso con l'elettore che lo induce a sacrificare la sua opinione su punti dirimenti, altrimenti verrebbe meno alla sua missione, al suo dovere. La persona competente non deve mai abbandonare una opinione solo perché contro ha la maggioranza. Deve portare il suo sostegno pieno a opinioni difficili. Una persona onesta e intelligente dovrebbe rivendicare una completa libertà d'azione e respingere qualsiasi condizionamento.
Gli elettori hanno però il diritto di conoscere come il deputato intenderà agire nell'espletamento dei suoi pubblici doveri. AI rappresentante spetta provare dinanzi agli elettori la sua attitudine a ricoprire l'incarico. Elettori ragionevoli non daranno eccessiva importanza alla possibile discrepanza di vedute.
Considerazioni sul governo rappresentativo, Stuart Mill
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Scopo di questo saggio è quello di affermare un principio molto semplice, in grado di sovrintendere totalmente ai rapporti di coercizione e controllo, sia che gli strumenti usati siano quelli della forza fisica, sotto forma di sanzioni legali, oppure quelli della coercizione morale dell’opinione pubblica. Il principio è questo:
il solo e unico fine che autorizzi l'umanità, individualmente o collettivamente a interferire con la libertà di azione di uno qualunque dei suoi membri, è quello di proteggere sé stessa. L'unico scopo che autorizzi l'esercizio del potere nei confronti di un qualsiasi membro di una comunità civile contro la sua volontà, è quello di evitare un danno agli altri. [ … ] Nella condotta di chiunque, l'unico aspetto soggetto alla competenza della società è quel tanto che riguarda gli altri.
Per ciò che riguarda lui e lui solo, la sua indipendenza è, di diritto, assoluta. Su sé stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l'individuo è sovrano.
Sulla libertà, Stuart Mill
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Ecco: io contesto che il popolo abbia il diritto di esercitare questa coercizione, non importa se in proprio o tramite il governo. È quel potere in sé a essere illegittimo. Il migliore dei governi non ne ha maggior titolo di quanto ne abbia il peggiore. Quando lo si esercita in accordo con l'opinione pubblica, è altrettanto nocivo, se non più nocivo, di quando lo si esercita in contrasto con essa.
Quand'anche l'intera umanità, a eccezione di una sola persona, avesse una certa opinione, e quell'unica persona ne avesse una opposta, non per questo l'umanità potrebbe metterla a tacere: non avrebbe maggiori giustificazioni di quante ne avrebbe quell'unica persona per mettere a tacere l'umanità, avendone il potere.
[ … ] Ridurre al silenzio l'espressione di un'opinione è un male particolare, perché deruba la specie umana: deruba tanto i posteri come la generazione attuale, deruba chi dissente da quell'opinione ancor più di coloro che la condividono. Se l'opinione è giusta, li si priva dell'occasione di scambiare l'errore con la verità, se è sbagliata, perdono un beneficio quasi altrettanto grande, e cioè quella percezione più chiara, quell'impronta più viva della verità, che abbiamo quando ci si scontra con l'errore.
Sulla libertà, Stuart Mill
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Anzi, il detto che la verità trionfa sempre sulla persecuzione è una di quelle amabili bugie che gli uomini continuano a ripetersi, l'uno appresso all'altro, fino a quando diventano dei luoghi comuni, contrari però a tutta la nostra esperienza.
La storia brulica di casi di verità stroncate dalla persecuzione: se proprio non distrutte per sempre, quantomeno ricacciate indietro per secoli. Per limitarci alle sole opinioni religiose: la Riforma esplose almeno venti volte prima di Lutero e fu sempre soffocata. Arnaldo da Brescia fu stroncato e così Fra Dolcino, Savonarola fu stroncato. Furono stroncati gli Albigesi, i Valdesi, i Lollardi, gli Hussiti. Anche dopo i tempi di Lutero, la persecuzione, ovunque sia continuata, ha sempre trionfato. Il Protestantesimo è stato sradicato in Spagna, in Italia, nelle Fiandre, nell'Impero austriaco, e sarebbe accaduto lo stesso anche in Inghilterra, molto probabilmente, se fosse rimasta in vita la regina Maria o fosse morta la regina Elisabetta. La persecuzione ha sempre vinto, tranne quando gli eretici hanno formato un partito troppo forte per poter essere efficacemente perseguitato.
Nessuna persona ragionevole può davvero dubitare che il Cristianesimo avrebbe potuto essere estirpato dall'Impero Romano. Si diffuse e si impose perché le persecuzioni furono solo sporadiche, di breve durata, e distanziate da lunghe pause di proselitismo quasi indisturbato. È solo ozioso sentimentalismo pensare che la verità, come tale, abbia insito in sé il potere di superare vittoriosa il carcere o il rogo, potere che sarebbe invece negato all’errore.
Sulla libertà, Stuart Mill
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Così come è utile che vi siano opinioni diverse, frnché la condizione umana resta imperfetta, altrettanto utile è che si sperimentino diversi tipi di vita, che si dia libero spazio alla diversità dei caratteri purché non arrechino danno agli altri, e che si lasci alla pratica il compito di saggiare il valore dei diversi modi di vivere, dato che ognuno di noi può metterli personalmente alla prova quando vuole. In breve, è auspicabile che l'individualità possa sempre affermarsi, in tutto ciò che non riguarda direttamente gli altri. Se a dettare le regole di condotta non è il carattere specifico di ognuno ma le tradizioni o le consuetudini degli altri, viene a mancare qualcosa che non è solo uno degli ingredienti principali della felicità
umana, ma anche il più importante ingrediente del progresso individuale e sociale.
Sulla libertà, Stuart Mill
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Affinché la natura di ogni essere umano abbia l'opportunità di entrare in gioco, è indispensabile che alle diverse persone sia consentito condurre vite diverse.
Nella misura in cui un'epoca ha offerto quest'ampia elasticità, quell’epoca è rimasta impressa nel ricordo dei posteri. Neanche il dispotismo riesce più a produrre i suoi effetti peggiori, se sotto il dispotismo sopravvive l'individualità; e tutto ciò che stritola l'individualità è dispotismo, o come altro lo si voglia chiamare, sia che pretenda di compiere la volontà di Dio, o di eseguire gli ordini degli uomini. [ … ] L'individualità si identifica con lo sviluppo, e che solo coltivando l'individualità otteniamo o possiamo ottenere degli esseri umani nella pienezza del loro sviluppo.
Sulla libertà, Stuart Mill
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Nessuno negherà che l'originalità sia un prezioso nelle cose umane. C'è sempre bisogno di persone che non solo scoprano nuove verità, e ci indichino il momento in cui non sono più vere le verità di un tempo, ma che inoltre instaurino nuovi schemi di comportamento, diano l'esempio di una condotta più illuminata, di una vita più piena di sapore e di senso: nessuno potrà davvero negarlo, a meno di non credere che il mondo abbia già raggiunto la perfezione in tutti i suoi aspetti e i suoi modi di essere. Vero è che non tutti sono ugualmente in grado di rendere simili benefici: rispetto all'intera umanità, non sono poche le persone i cui nuovi esperimenti di vita riescano a produrre, se adottati anche dagli altri, un miglioramento della prassi consolidata. Ma queste rare persone sono il sale della terra; senza di loro, la vita umana diventerebbe una pozza stagnante. Sono loro che introducono novità buone prima sconosciute; e sono loro che tengono in vita ciò che di buono si conosceva già. Se anche non ci fosse assolutamente nulla di nuovo da realizzare, forse che l'intelletto umano non resterebbe un cosa indispensabile? [ … ] Le persone di genio, è vero, sono e probabilmente saranno sempre una piccola minoranza; ma perché ce ne siano è necessario preservare l'humus in cui possono nascere. Il genio può respirare liberamente solo in un'atmosfera di libertà. Una persona di genio, ex vi termini, è un individuo che è più individuo di qualsiasi altro – e, di conseguenza, è meno adatto a calarsi senza danno in uno di quei pochi stampini che la società fornisce ai suoi membri perché si risparmino la fatica di forgiare da sé il proprio carattere.
Sulla libertà, Stuart Mill