il Corriere della IB
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ALLA SCOPERTA DEL NOSTRO TERRITORIO
8. 7. YOUR TITLE HERE
Scuola secondaria di primo grado “Don Cesare Scala” – Peri di Dolcè (VR)
Numero unico – Giugno 2016
Giulia, Nohaila, Nicole, Sabrine, De- nise, Sabrina, Vanessa, Rebecca, Amira, Luca, Francesco, Irene, Nasim
Noi!
Mercoledì 30 settembre siamo andati a scuola contenti: quel giorno c’era la prima gita dell’anno, che coinvolgeva noi della I B ma anche i ragazzi della I A. Ci hanno accompagnati le professoresse Cecilia Brugnoli, Cristina Sorio e Daniela Vesentini; con loro c’era anche una guida storico-naturalistica di nome Virginia Cristini. Ad aspettarci abbiamo trovato il pullmino giallo del trasporto scolastico.
Tutti assieme, siamo dunque partiti per la nostra avventura.
La prima tappa è stata la località Servasa, appena prima di Brentino, dove abbiamo visitato quello che apparentemente era un banale campo di vigne di proprietà di un nostro compagno di scuola. In realtà, guardando bene, lì si possono osservare le fondamenta di una specie di “domus” romana: una “mansio”. Essa era una stazione di sosta, un po’ come un albergo, in cui i viandanti di passaggio per la Val d’Adige si fermavano insieme ai loro cavalli: qui riposavano, mangiavano e si lavavano. Infatti sono ancora oggi visibili delle
“canalette” di scolo dell’acqua, che veniva attinta dall’Adige e dalle sorgenti.
Il paesaggio dell’epoca era molto diverso da quello di oggi perché il fiume non era ben arginato e quindi straripava diventando una palude. In essa gli abitanti del luogo pescavano (non solo pesci ma anche anatre, rane e tartarughe).
Oggi tutto è cambiato. La “mansio” è stata scoperta proprio durante un grosso intervento sul paesaggio, cioè la costruzione dell’autostrada A22 cosiddetta “del Brennero”; per salvarla hanno edificato un ponte in cemento armato, acciaio e asfalto. Lì sotto ci siamo sentiti un po’ “schiacciati” e anche un po’ inquietati. E pensare che ai tempi della strada romana, la “Claudia Augusta”, gli unici materiali utilizzati dovevano essere i sassi e la ghiaia!
Dalla posizione in cui ci trovavamo potevamo osservare, parzialmente scavato nella roccia della montagna, il santuario della Madonna della Corona con la sua lunghissima scalinata. Esso è stato fondato dai monaci di San Zeno (a Verona) nell’XI secolo, che si stabilirono là sopra sopravvivendo con le poche verdure che crescevano nel loro orto e con ciò che offrivano le poche greggi di capre e pecore. Il significato del nome “Corona” deriva dalla forma delle montagne circostanti, che sono disposte come un semicerchio.
La Val d’Adige presenta molte “rientranze” come questa; nella preistoria infatti era occupata da un ghiacciaio che avanzava modellandola lentamente. È infatti una valle a “U”.
Dopo questa tappa, il nostro silenzioso ma gentile autista di nome Giuseppe ci ha portati a Canale, dopo Preabocco. Durante il percorso la guida ci ha spiegato che il leccio cresce proprio qui e non altrove: è un albero tipico della zona mediterranea e ha bisogno di un clima tiepido (proprio quello della nostra valle).
Quando siamo arrivati a Canale abbiamo seguito un sentiero che sbucava sui “liscioni”, che sono delle rocce calcaree modellate e scavate sempre dal ghiacciaio. Qui abbiamo visto delle incisioni rupestri risalenti al Neolitico: un omino stilizzato e, poco distante, la figura di un cacciatore e quella di una donna (la Dea Madre).
Sia salendo che scendendo abbiamo trovato parecchi ciclamini rosa e profumati; inoltre abbiamo scoperto un’erba chiamata santoreggia, punteggiata di fiorellini bianchi, che era usata dai Romani per insaporire le carni.
Siamo dunque andati, sempre con il pullman, su una collina nei pressi di Caprino Veronese dove abbiamo fatto merenda e abbiamo giocato a “prendi e scappa” con la palla. È stato un bel momento perché siamo stati tutti in compagnia ridendo, schiamazzando e chiacchierando; qualcuno di noi ha perseguitato le professoresse facendo loro mille domande e raccontando molti aneddoti.
Poco dopo la guida ci ha spiegato che ci trovavamo in un posto speciale perché da lì potevamo vedere tutto l’anfiteatro morenico:
quando la lingua del ghiacciaio, durante la sua discesa a valle, è stata bloccata dalla “Chiusa” si è come “addormentata” e ha depositato intorno a sé i detriti (sabbia, ghiaia, ciottoli) ammonticchiandoli e creando delle colline.
Una decina di minuti più tardi siamo scesi da un ripido scivolo d’erba per vedere la famosa “poltrona di Napoleone”: una roccia, sempre di origine glaciale, a forma di trono. Qui ci siamo divertiti a provarla, a turno.
Tornando indietro, la guida ci ha mostrato un’erba che sembrava un batuffolo di cotone e che in passato serviva a imbottire i materassi delle bambole: lo scòtano. Poi ci siamo diretti verso Rivoli, dove abbiamo osservato in lontananza il paesaggio e il Monte Rocca su cui sorgeva un castello medievale (oggi ci sono soltanto “quattro sassi” e solo gli archeologi esperti riescono a vedere qualcosa di più…).In tutte le epoche la Val d’Adige è stata sfruttata come passaggio dall’Italia all’Europa e viceversa. Molti eserciti stranieri sono passati proprio di qui. Ecco perché nel Medioevo furono edificati dei castelli anche a scopo difensivo, in posizione soprelevata rispetto alla valle, e poi in epoca moderna delle fortificazioni.Siamo infine ritornati sul pullman e abbiamo raggiunto l’ultima meta: la Chiusa di Ceraino, che era una dogana in cui bloccavano le navi di passaggio sull’Adige per rifornimenti e controlli. L’Adige era navigabile, fino a un secolo fa; anzi, era una vera e propria “autostrada d’acqua” dove transitavano legname, pietre eccetera.Oggigiorno, a Ceraino, prima che venisse edificato il forte, c’era un castello medievale di cui oggi possiamo osservare solo le fondamenta e una scalinata di pietra. Nel Medioevo la Val d’Adige era controllata dai Castelbarco e dagli Scaligeri, due importanti famiglie nobili. Gli Scaligeri sono ricordati oggi anche per essere coloro che hanno ospitato Dante Alighieri per almeno sette anni, agli inizi del Trecento; qui a Verona Dante ha scritto buona parte del “Paradiso” (la terza cantica della “Divina Commedia”).
Il forte è costruito con mattoni di argilla cotti nella fornace di Volargne.
Verso mezzogiorno abbiamo fatto ritorno a scuola e, per strada, abbiamo cantato tutti assieme le sigle dei cartoni animati e la hit “Da Roma a Bangkok” di Baby K e Giusy Ferrè.
È stata una bellissima giornata che speriamo si ripeta ancora entro l’anno scolastico.
Periodico semiserio a uscita aperiodica, curato dalla famigerata classe IB
e distribuito esclusivamente ad amici e famigliari.
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Se fosse un luogo sarebbe il mare.
Se fosse un cibo sarebbe una pizza.
SE FOSSE…
Attività di arte e immagine Sabrina Ennouni
Se fosse un luogo sarebbe il lago di Garda.
Se fosse un animale sarebbe un criceto.
Se fosse un cibo
sarebbe un panino.
Se fosse fosse uno sport sarebbe la ginnastica
artistica.
Se fosse un oggetto sarebbe un
braccialetto.
Se fosse un colore sarebbe il blu.
Se fosse una linea sarebbe ondulata.
Se fosse
un’emozione sarebbe la felicità.
È un’alunna di seconda.
Chi è?
Vengo da montagne alte e dal freddo e dalla brezza fresca della neve sciolta.
Vengo da una stirpe nobile e una povera: una a cavallo e l’altra nei campi ; una che mangiava tutto il giorno e l’altra che faceva un pasto solo.
Vengo da una famiglia di quattro persone, compresa una peste...
ma io sarò sempre il suo fratellone. C’è mia madre, dolce come il pane;
poi c’è mio papà spiritoso e simpaticone... ma un po’ severo.
Vengo da un foglio bianco su cui inizia una storia:
comica, d’avventura o chissà quale... quella che verrà.
DA DOVE VENGO?
Luca Spillari
Se fosse un animale sarebbe un gatto.
Se fosse uno sport sarebbe la danza.
Se fosse un oggetto sarebbe un braccialetto.
Se fosse una linea sarebbe una retta.
Se fosse un colore sarebbe il blu.
È un’alunna di prima.
Chi è?
1. Non fare cose disgustose in pubblico:
non scaccolarti, non toglierti lo sporco da sotto le unghie, non starnutire il moccio addosso agli altri.
2. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio: con i vecchi amici, abituati alle delusioni.
COME SOPRAVVIVERE ALLA PRIMA MEDIA.
10 INDISPENSABILI TRUCCHETTI
Rebecca Isacchini Nasim Zouhir
Giulia Aldrighetti
Vengo dalla prima B, una classe divertente ma tante volte casinista.
Vengo da una classe altruista e gioiosa.
Vengo dai giorni d’inverno passati a studiare
e ad ascoltare i miei nuovi insegnanti allegri
con tanta voglia di fare.
Vengo da una classe volubile, che in questi pochi mesi ha attraversato molti litigi.
VENGO DALLA IB
SE FOSSE…
Attività di arte e immagine Francesco Zanoni
3. Alcuni adulti, a scuola, possono rivelarsi minacciosi:
mantieni sempre la calma.
4. Fa più chiasso che puoi. È
superdivertente!
5. Non fare il perfettino.
6. Evita le figuracce in pubblico, altrimenti i più grandi ti
prenderanno in giro tutto l’anno.
7. Non girare con gente troppo strana.
8. I primi giorni di
scuola, cerca di passare inosservato.
9. Riconosci i tuoi amici: sono quelli che contano davvero.
10. Non fare arrabbiare i più grandi, a meno che tu non abbia dei sassi a portata di mano! J
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”Dove dormono i bambini profughi”? Fotoreportage del National Geographic
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Chi governa oggi in Siria?
Oggi in Siria governa Bashar al-Assad, il figlio di Hafiz al-Assad. Quindi la famiglia al-Assad è al potere da quasi quarantacinque anni. Noi ci siamo fatti quest’idea: la Siria è una repubblica democratica, come l’Italia, ma i suoi rappresentanti politici sono sempre gli stessi… come se fossero dei re!
Da quanto tempo dura la guerra in Siria?
La guerra in Siria dura da quattro anni, ma è una zona esposta fin dalla sua nascita ai conflitti. Infatti nel suo sottosuolo si trovano dei giacimenti di petrolio o, comunque, attraverso le sue strade vengono trasportati grandi quantità di petrolio estratto negli Stati vicini. Tutte le potenze occidentali (soprattutto Francia e Regno Unito) in passato hanno cercato di occupare la Siria.
Perché c’è una guerra, in Siria?
In Siria c’è una guerra difficile da spiegare. Ci proviamo comunque: la famiglia al-Assad è musulmana di fede sciita, mentre la maggior parte della popolazione è sunnita. Questo è già un motivo di conflitto. Inoltre, quando il grande movimento della
“Primavera Araba” – che nel 2011 chiedeva più democrazia in tutti i Paesi arabi – è arrivato anche in Siria, Bashar al-Assad l’ha soffocato nel sangue. A quel punto il Paese è precipitato nel caos: i musulmani più democratici si sono coalizzati con la popolazione sunnita. Essi sono stati quindi sostenuti dagli Stati Uniti ma anche dai fanatici religiosi, come l’Isis, che vogliono salire al potere.
Che cos’è l’Isis? È corretto chiamarlo così?
L’Isis è un gruppo di persone dotato di armi. Molti di loro sono ex-militari che hanno combattuto in Iraq, oppure giovani occidentali di origine araba accomunati dalla fede religiosa. Tutti loro si dichiarano infatti musulmani, attenti seguaci del Corano. “Isis” significa “Stato Islamico di Iraq e Siria”. Sarebbe meglio chiamarlo Is, cioè soltanto “Stato Islamico”. Nei paesi arabi viene chiamato, con un certo disprezzo, “Daesh”, che suona un po’ come “colui che semina conflitti”: la maggioranza dei musulmani, infatti, dice che l’Isis… di islamico non ha proprio niente!
Quando nasce e quale territorio occupa?
Nasce fra il 2011 e il 2013, proprio durante le rivoluzioni che chiedevano più democrazia. Ovviamente, le persone che facevano la rivoluzione non erano d’accordo con loro! Occupa i territori di Siria e Iraq, anche per approfittare delle riserve di petrolio.
Perché terrorizzano la popolazione? Che cosa vogliono ottenere?
L’Isis terrorizza i civili perché vogliono dimostrare di fare sul serio. Vogliono farli sentire insicuri e vulnerabili. Attraverso l’obbedienza di tutti, vogliono ottenere più potere.
Anche i musulmani sono colpiti da atti di terrorismo? Tanto o poco?
L’Isis, proprio perché ha in mente un altro tipo di Islam rispetto a quello a cui siamo abituati, uccide soprattutto i musulmani di Iraq, Nigeria e Afghanistan. I Paesi più pericolosi sono proprio questi tre, insieme a Siria e Pakistan. Solo nel 2015 i morti fra i musulmani sono stati circa ventitremila, contro i circa quattrocento in Occidente.
Che cos’è successo il 7 gennaio 2015 a Parigi?
Quel giorno la sede del giornale satirico (cioè umoristico, che vuol far ridere) “Charlie Hebdo” è stata presa di mira da un commando di terroristi dell’Isis. Il giornale era colpevole, secondo loro, di aver offeso il profeta Maometto attraverso delle vignette. Sono morte dodici persone fra giornalisti, disegnatori e poliziotti.
Che cos’è successo il 13 novembre 2015, sempre a Parigi?
Tre squadre di attentatori hanno attaccato diverse zone della città: due ristoranti, i marciapiedi di alcuni quartieri, lo stadio, il teatro Bataclan (in cui si svolgeva un concerto rock), due McDonald, una pizzeria. Nel teatro si è svolta la scena più crudele:
qui sono morti ben ottantanove ragazzi che si trovavano lì “soltanto” per divertirsi. L’Isis evidentemente non ama il divertimento…
Come ha reagito il mondo?
Con molta tristezza. Un taxista musulmano di New York ha raccontato a un giornalista di sentirsi molto preoccupato: egli ha paura infatti di perdere clienti soltanto per il fatto di essere musulmano e quindi considerato colpevole delle atrocità commesse in nome del Corano.
Qual è l’identikit del terrorista? Come fare a riconoscerlo?
In realtà è difficile riconoscere un terrorista, perché non sono tutti uguali. Per esempio, Abdelhamid Abaaoud, ritenuto uno degli ideatori della strage di Parigi, aveva soltanto ventisette anni ed era già stato più volte in Siria o in Iraq a fare addestramento. Il padre non era d’accordo con lui e la sorella era stupita del suo entusiasmo religioso, visto che non andava mai in moschea…In compenso, sembra che non ci sia alcuna relazione fra gli sbarchi di profughi e il terrorismo.
E quindi?
Quindi tutti noi dobbiamo imparare una cultura di pace, sia che siamo musulmani, sia che siamo cristiani o di altra (ma anche di nessuna) religione. Alla fine chi ci rimette sono sempre i soliti: bambini, anziani, uomini e donne indifesi. La violenza e la guerra non lasciano mai nulla di buono. A nessuno. E dobbiamo anche ricordarci che spesso i profughi scappano proprio dalla guerra:
secondo Andrea Mergelletti, esperto di geopolitica e consulente per la difesa, non sono loro i nemici da combattere.
Che cosa sta succedendo nel mondo?
Vogliamo solo pace!
Le nostre domande (con tanto di risposta) dopo i fatti di Parigi
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2) Non essere sgarbati.
3) Aspettare di conoscere molto bene una persona prema di giudicarla.
4) Non dire falsità sugli altri.
5) Non offendere gli altri.
6) Non fare dispetti con questa scusa: “Ma era solo uno scherzo”.
7) Non coalizzarsi in grup- po contro qualcuno, esclu- dendolo.
8) Non picchiare, spingere eccetera.
DIRITTI / DOVERI:
DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA E IO, DA DOVE VENGO?
Giulia Aldrighetti
Vengo da una famiglia che mangiava polenta e che lavorava la terra. I miei nonni erano contadini e trascorrevano i pomeriggi nel campo.
Vengo da un altopiano infossato in una catena montuosa e dai produttori di formaggio d’Asiago.
Vengo dai giorni passati con gli amici all’aria aperta, a guardare le api e le farfalle posarsi sui fiori.
Vengo dai giorni all’asilo trascorsi a giocare con gli amici, a dormire e a far disperare le suore di Belluno.
Vengo dai quaderni della mia maestra Manuela, gentile e comprensiva, e da un’altra maestra in sintonia con il suo cognome.
Vengo dalla mia prima vacanza in Tunisia, dai giorni passati con il mio amico nano dal nome sconosciuto.
Vengo dai pomeriggi vissuti con i miei migliori amici, passando il tempo a fare gli schiocchi e a divertirci.
Vengo dal mio primo giorno di scuola media, impiegato a conoscere i miei nuovi professori.
Vengo dai laboratori con i miei compagni, che sono serviti a divertirci e a lasciarci esprimere tutto quello che ci veniva in mente su pezzi di carta.
Che cosa desideriamo dagli altri?
Che cosa vorremmo che gli altri non ci fa- cessero?
E noi? Come siamo con gli altri?
Giunti a quel punto dove la strada si dirama, sono andato da lei esclamando: "Ciao, dove stai andando?”. E lei mi ha risposto: “Da mia nonna a portarle il cibo che mi ha dato la mamma”. Ho ribattuto: “Ma lo sai che se prendi quella strada là arrivi più velocemente a destinazione?”. Al che mi ha detto: “Grazie mille, lo farò. Ciao!”.
In realtà, quella strada era la più lunga. Io ho preso la più corta, invece, per arrivare prima.
Alla fine della strada ho trovato una casetta, ho aperto la porta e ho sentito una voce chiamare: “Cappuccetto Rosso, sei tu?”. Visto che non me l’aspettavo, ho mangiato la nonna. È che sono stato preso dal panico. Mi sono messo i suoi abiti per fingere di essere lei.
Appena entrata, Cappuccetto Rosso mi ha fatto un sacco domande sul mio aspetto fisico.
Alla fine, mi ha rivolto la domanda fatale: “Perché hai quei denti, così grossi e affilati?”. Io, sempre più nervoso, l’ho aggredita: “Per masticarti meglio!”. E così me la sono mangiata.
Tutto questo per il cesto che trasportava e che io volevo papparmi comodamente seduto in un posticino un po’ più accogliente del bosco, che è un posto pieno di spifferi.
E alla fine il cesto non l’ho neanche mangiato, perché ero proprio pieno.
LA PAROLA AL LUPO
QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA Nasim Zouhir
Io in realtà, non volevo farle del male. Ma, purtroppo, le cose non sono andate come avevo previsto all’inizio.
Dovete sapere, infatti, che io volevo solo il suo cestino. Adesso vi dico quello che volevo fare.
Ero come al solito a caccia e, a un certo punto, ho sentito la voce di una ragazzina. Mi sono avvicinato a un cespuglio, mi sono acquattato e ho sbirciato nei paraggi. Passava una bambina vestita di rosso con il cappuccio in testa: camminava felice, saltando e canticchiando. Mi sono accorto che teneva in mano un cesto e allora ho iniziato a pensare a che cosa ci potesse essere, lì dentro. Per prima cosa mi è venuto in mente il cibo, perché avevo “una fame da lupo”, e così l’ho seguita.
Mentre la seguivo, però, ho pensato: se sta portando del cibo a qualcuno, chi è questo qualcuno? E dove si trova?
I NOSTRI DIRITTI
1) Essere presi in conside- razioni dagli altri, sentirsi importanti.
2) Essere trattati con genti- lezza.
3) Avere uno o più amici fidati.
4) Stare in una classe dove è possibile imparare cose nuove.
I NOSTRI DOVERI 1) Non mettersi sempre in mostra.
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A Verona: il Museo Africano e le strade della città
Nicole Beltrame
che hanno sempre una ruolo importantissimo. La guida a quel punto ci ha detto che avremmo potuto fare delle foto e
quindi abbiamo
cominciato a girovagare per tutte le stanze. Siamo andati a fare merenda e poi a disegnare delle maschere tutte colorate su dei grandi pezzi di cartone: anche le professoresse hanno disegnato con noi e si sono divertite molto.
Siamo quindi andati a mangiare e, una volta finito, abbiamo fatto un giro per la città. La professoressa Brugnoli ci ha raccontato la storia di Verona e noi abbiamo preso appunti. La via Postumia era una
lunghissima via
perpendicolare al Ponte Pietra: andava da Genova ad Aquileia attraversando tutta la pianura padana e venne edificata nel 148 a.C. Nel 49 a.C. Verona divenne una città romana. Nel 1892 ci fu un’importante piena dell’Adige, che però non distrusse il ponte. Esso fu bombardato, invece, nel 1945 e dunque ricostruito
interamente nel
dopoguerra. Nel 1630 ci fu una terribile epidemia di peste e morirono moltissime persone: alla fine del ponte, prima di svoltare verso
tutta di pietra. Il Campidoglio, in Piazza Erbe, era un luogo di culto dedicato a Giove;
la torre dei Lamberti serviva a chiamare a raccolta i cittadini ricchi per il consiglio comunale e la Domus Mercatorum serviva per gli scambi mercantili. Nel 1117 c’è stato un terremoto devastante che fece crollare addirittura l’ala esterna dell’Arena. Nel 1136 Verona diventò un Comune libero: prima, invece, faceva parte del Sacro Romano Impero.
Verona restò comunale per più di un secolo e poi, dal 1236 al 1259, divenne città-Stato, in possesso di Ezzelino da Romano. Quindi finì nelle mani di una potente signoria, quella degli Scaligeri: le loro tombe, tutte slanciate e arzigogolate, si chiamano “Arche Scaligere”.
Infine abbiamo fatto un giro per i negozi, abbiamo comprato tante cosette carine e poi siamo saliti sul pullman per tornare a scuola, dove c’erano i nostri genitori ad aspettarci.
Il diciotto novembre
siamo arrivati a scuola e da lì, con le professoresse Cecilia Brugnoli, Mariagrazia Palazzolo, Cristina Sorio e Daniela Vesentini, ci siamo diretti al pullman che ci aspettava fuori.
Abbiamo viaggiato fino a Verona e, una volta
scesi, abbiamo
camminato fino al Museo Africano. Dopo essere entrati, ci hanno fatto riporre gli zaini in due grandi scatoloni e, poi, una guida ci ha fatto sedere per terra, perché così poteva spiegarci e farci vedere delle cose:
abbiamo parlato del ciclo della vita nell’Africa sub-sahariana (la parte centrale e meridionale del continente), che è molto diverso da come noi lo intendiamo. Nella prima sala c’erano dei pettini di legno che mi sono piaciuti. In seguito ci siamo recati nella parte dedicata alle maschere, che hanno una funzione molto particolare: sono travestimenti sacri che accompagnano le feste più importanti, compresi i funerali, o che hanno poteri magici, come quello di rendere più abbondante il raccolto nei campi. Poi abbiamo visitato la stanza dei dipinti e dei tamburi,
il vescovado, abbiamo visto l’iscrizione di uno speziale (un farmacista)
sul muro, che
prometteva guarigione grazie all’olio estratto dagli scorpioni. Poi abbiamo sostato davanti al Duomo, che è chiamato anche “chiesa cattedrale” perché
“cattedra” o sede del vescovo. Sotto le sue fondamenta hanno trovato una chiesa risalente addirittura al IV secolo! Il patrono di Verona è San Zeno.
Vicino al Duomo c’è la Biblioteca Capitolare, dove un tempo i libri venivano ricopiati a mano dai monaci.
Anch’essa andò distrutta nel 1945 e ricostruita in seguito: la seconda guerra mondiale ha lasciato molte tracce di distruzione. La chiesa di Sant’Anastasia è un classico esempio di architettura gotica, successiva al Duomo che invece è romanico.
Verona ha due vie che si incrociano: il Cardo e il
Decumano, che
s’incrociano nel “Foro”, oggi Piazza Erbe, dove si possono trovare molti resti romani. Verona era difesa da una cinta di mura con quattro porte
principali: da
Sant’Anastasia possiamo
osservare Porta Borsari,
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VENITE A MARRAKECH!
Nohaila Belkonsou
Un giorno d’estate io e la mia famiglia abbiamo fatto una gita speciale. Il sole abbronzava le spalle della folla immensa, che girava e girava attorno ai giardini Menara di Marrakech con il sorriso stampato in faccia.
La gita è stata organizzata dai miei genitori. In quei giorni non uscivo molto, visto che loro due erano molti occupati:
non passavo molto tempo con loro e per questo hanno deciso di farmi una sorpresa.
Quando siamo arrivati nei pressi dei giardini, si vedevano i cammelli. I miei volevano che mi lasciassi fotografare con uno di loro… ma io avevo paura, cosi hanno rinunciato!
Dopo un po’ ho visto una grandissima porta; al suo interno c’era una specie di piazza. Ai suoi lati c’erano degli alberi fioriti. Ancora più in fondo alla piazza, c’era una specie di casa. E lì di fronte c’era una grande vasca piena di pesci variopinti.
È un posto meraviglioso, pieno di colori e di luce: andateci, non ve ne pentirete!
I miei compagni di classe sono molto simpatici, anche perché li conosco da tanto tempo. Il loro carattere è buono: sono tutti molto gentili, generosi, ti aiutano quando ne hai bisogno, ti stanno accanto e soprattutto ti fanno divertire e sorridere in ogni momento. Per quest’anno scolastico mi aspetto di trovarmi nuovi amici, di stare bene con loro e di imparare nuove cose… Io desidero che durante l’anno tutto vada bene, sia con gli amici, sia con la scuola: mi auguro di essere promossa!
Spero tanto di intraprendere nuove attività belle e divertenti e di andare d’accordo con le professoresse e con i professori. Vorrei continuare a star bene con i miei compagni:
ecco il mio desiderio più grande.
PICCOLE CITAZIONI a cura della prof
CHE COSA SPERAVO (UN ANNO FA)
Vanessa GicaPIC
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Noi ragazzi della prima B, assieme alla classe prima A, il dodici aprile siamo andati in gita (l’ultima dell’anno, purtroppo). Le professoresse Zandonella, Vesentini e Sorio ci hanno accompagnati. La professoressa Brugnoli, che invece era a casa con l’influenza, ci ha preparati nei giorni precedenti con delle lezioni dedicate ai castelli. L’uscita didattica, infatti, ci avrebbe fornito un sacco di informazioni sulla storia del passato: il suo scopo era quello di farci capire come si viveva nell’Alto Medioevo (cioè dopo l’anno Mille), visto che tutte e due le classi stavano studiando proprio questo periodo. Essa si è svolta in parte a San Michele all’Adige e in parte al castello di Avio.
Alle 8,30 siamo partiti da scuola: il nostro mezzo di trasporto era un bel pullman di colore viola.
La prima tappa era il museo. Quando siamo arrivati abbiamo depositato i nostri zaini dentro ad alcune casse di legno, abbiamo preso il quaderno degli appunti e una penna per scrivere. Siamo andati nella stanza accanto e Stefania e Nadia, le nostre guide, si sono presentate; quindi ci hanno mostrato un plastico che rappresentava la Val di Ledro. All’interno del paese c’erano le piantagioni di grano. La posizione dell’abitato, infatti, era strategica: il fiume era importante perché veniva sfruttato per il lavoro dei mulini. Anche il bosco, una volta, era molto importante perché veniva sfruttato per la legna da ardere. Sulla sommità della montagna vi era una malga, del cui pascolo il bestiame approfittava.
A questo punto le guide ci hanno divisi in due gruppi: la prima B è rimasta con Stefania e la prima A con Nadia.
L’agricoltura nel Trentino era molto praticata, infatti il prato era utilizzato per la fienagione.
Stefania ci ha proposto un gioco: dovevamo indovinare che cosa conteneva una scatola, usando solo il tatto. Nessuno è riuscito a indovinare che oggetto fosse, ma siamo riusciti a indovinare i materiali che lo costituivano: un osso e del ferro. Era un portacote, cioè un corno di bue, dotato di un gancio di ferro da attaccare alla cintura. La cote era una pietra che serviva per limare la falce, usata per la fienagione (falce fienale). La portacote doveva contenere, oltre alla cote, anche un goccio d’acqua per lubrificarla.
Poi, siamo passati alla preparazione del campo: prima di essere coltivato, esso doveva essere arato. Ecco che allora si doveva usare l’aratro, trainato dal bue. La punta che incideva il solco nella terra si chiamava vomere. Stefania, a questo punto, ci ha proposto un altro gioco: anche questa volta abbiamo indovinato soltanto il materiale (di nuovo il ferro!) ma non l’attrezzo. Si trattava di un ferro da bue, simile al più celebre ferro di cavallo: esso veniva applicato sotto lo zoccolo del bue e serviva a non far scivolare l’animale; per posizionarlo correttamente si doveva usare una macchina chiamata travaglio.
Dopo aver arato si doveva erpicare con un attrezzo chiamato, appunto, erpice (i primi erano tutti fatti con il legno). Dopodiché si doveva procedere con la semina; in Trentino si seminavano orzo, segale, grano saraceno, avena e frumento. Il frumento, in realtà, era raro e utilizzato solo in occasione dei matrimoni o quando si stava male, perché rendeva il pane più morbido. Inoltre in Trentino c’è troppo freddo: il frumento cresce meglio in zone più calde.
Quando il prodotto era maturo veniva falciato e portato a casa per la serbiatura: veniva cioè pulito e poi asciugato. Per pulirlo si utilizzava un attrezzo di nome crivello. Esso era un cesto in cui si riponevano i semi, che venivano quindi lanciati in aria: le bucce volavano in aria e si disperdevano, mentre il seme a questo punto “raffinato” precipitava di nuovo nel cesto. Un modo più semplice era quello di usare il mulinello da grano, cioè un attrezzo circolare che veniva fatto girare: in questo modo la buccia volava via, cadendo in un apposito buco. Per asciugare i semi si usava il correggiato.
Un altro prodotto seminato spesso era il mais, col quale poi si otteneva la polenta.
Nel museo c’era anche una vasca che conteneva una pianta di cavalo, una di cappuccio e una di prezzemolo, coltivate da tutti i contadini. Le persone piantavano, nei propri orti, anche le erbe aromatiche perché allontanavano gli insetti.
Stefania ci ha sorpresi con un nuovo gioco: questa volta dovevamo indovinare le piante aromatiche usando soltanto l’olfatto. Alla fine abbiamo scoperto che erano lavanda, limone, salvia e menta.
Il mulino era un edificio che si trovava presso il fiume, dotato di una ruota esterna che girava grazie alla forza impressa dall’acqua. Certi mulini avevano due ruote: una per sbucciare l’orzo (mulazza) e l’altra per fare la farina.
La malga, in montagna, era composta dallo stallo, dalla casera e dal pascolo. Lo stallo serviva per ospitare gli animali durante la notte e quando c’era brutto tempo. La casera era la stanza in cui si fabbricavano i latticini. Per fare il burro si dovevano mungere le vacche: il loro latte era quindi conservato nel mastello di sfioramento per una notte intera. Poi, col mestolo si prendeva la panna affiorata in superficie, la si spostava all’interno di una zangola e la si sbatteva. Essa, in questo modo, diventava burro. Con il latte rimasto si faceva il formaggio.
Dopodiché, usando proprio i semi, abbiamo svolto un laboratorio creativo. Quindi abbiamo pranzato e giocato tutti assieme. Ci siamo infine diretti al castello di Avio.
Dopo una lunga passeggiata in salita, verso le 15:30 siamo arrivati all’antico edificio. La nostra nuova guida si chiamava Dario. La prima tappa è stata la casa delle guardie, che una volta non era affrescata come oggi. Nel XIII secolo, con i Castelbarchi, il castello raggiunse il suo splendore.
Il percorso delle mura era diviso in settori, per agevolare il raggiungimento della torre di guardia da parte del popolo, in caso d’assedio. Ritagliate in mezzo alle mura, a merlo, c’erano delle fenditoie. La cucina era distanziata rispetto al corpo centrale del palazzo per evitare gli incendi. Dopo, siamo saliti sulla torre di guardia per contemplarne la cupola variopinta.
Verso le 18:00, dopo aver fatto merenda, siamo rientrati a Peri.
Questa gita ci è piaciuta molto e la consigliamo a chiunque non abbia già visitato questi luoghi.
L ’ULTIMA GITA
Giulia Aldrighetti e Nicole Beltrame
8
Aldilà a confronto
Rebecca Isacchini Sabrine Benrami
PARADISO
Sono morta ieri. Non pensavo che sarei sopravvissuta a un evento così traumatico e invece eccomi qui: in Paradiso. Mi sono appena alzata dalla mia nuvoletta personale…
ho dormito proprio comoda. Subito, ho avvertito una sensazione strana alla schiena.
Mi sono girata e, con sorpresa, ho notato che avevo le ali. Erano molto soffici, bianche e fatte di piume. Nelle nuvolette vicino alla mia ho osservato i miei amici (quelli che se ne sono volati quassù con me, dopo quella tragica fatalità) che si stavano si stavano stiracchiando. Certi si erano già alzati. Ci siamo salutati con un abbraccio e poi abbiamo cominciato a sorvolare il Paradiso.
Abbiamo visto molti ragazzi e io e le mie amiche siamo rimaste un po’ deluse dal loro abbigliamento: indossavano solo indumenti bianchi. Siamo andate un po’ a zonzo e poi abbiamo pranzato. C’era un posticino interessante che si chiamava “Arcobaleno”: la sua terrazza guardava giù, sotto le nuvole, e a ogni persona che si affacciava permetteva di vedere la propria casa.
Dopo pranzo siamo entrati in un negozio di scarpe. C’erano tantissimi sandali e io ne ho preso un paio: erano alti, bianchi, bellissimi e comodissimi. Mi sono messa anche una gonnellina e una maglietta, entrambe bianche.
Abbiamo fatto un giro fino alla nuvola centrale, dove dicevano che abitasse Dio in persona. Per festeggiare questa splendida giornata abbiamo mangiato lo zucchero filato che distribuivano nel baretto lì a fianco.
Bellissimo, questo Paradiso!
JANNA (IL GIARDINO)
Sono morta ieri. Non pensavo che sarei sopra- vissuta a un evento così traumatico, e invece mi sono svegliata davanti a un portone avvol- to dalle nuvole. È uscito Allah e mi ha fatto delle domande come queste: “Qual è la tua religione?” o “Qual è il tuo dio?”. Ho risposto a tutte. Dopo, lui ha guardato se portavo con me qualche peccato, ma non ne ha trovati, forse perché tre anni fa sono andata in pelle- grinaggio a La Mecca. Poi Allah mi ha aperto la porta e sono entrata. C’erano tutte le ricchez- ze immaginabili! Ognuno aveva una casa tutta sua e, lì dentro, abitavano alcune delle perso- ne che avevo amato di più. I miei amici mi hanno spiegato tutte le novità. Mi sono diver- tita e ho capito che cosa avrei fatto da qui all’eternità. Ogni venerdì si mangiano cous- cous e tante altre cose buone. Ci sono delle scuole per i bambini in cui si va a pregare e a imparare l’arabo, che è molto difficile. Ora devo pregare di mattina, pomeriggio e sera.
Potrò anche andare da Allah a chiedergli alcu- ne cose e lui mi accontenterà. Se mi sono comportata sempre bene e ho pregato con costanza, riceverò quello che più desidero, per esempio mia mamma o i miei famigliari. Prima di entrare dalla porta avevo paura di andare all’inferno… ma sono invece eccomi qui! Mi piace molto, questo posto. È bellissimissimo!
9
WONDER
Wonder è un romanzo che abbiamo letto questa primavera, in piccola parte in
classe e in buona parte a casa. I ragazzi hanno discusso periodicamente i contenuti del libro: gli elementi più apprezzati, i dubbi e le intuizioni sono stati condivisi e analizzati alla lavagna. Nel complesso, Wonder è piaciuto. Le domande finali che sono emerse dalle discussione suonano più o meno così: perché qualche volta vogliamo stare con i gruppi “che contano” quando in realtà i veri amici sono spesso altrove? Perché sopravvalutiamo la ricchezza o la bellezza esteriore, quando le qualità di una persona sono altre? Perché ci fermiamo alle apparenze, quando dietro di esse ci sono mondi interi che aspettano solo di essere scoperti? Perché qualche volta siamo così spaventati dalla “diversità”, quando in realtà siamo tutti molto più simili di quanto sembra? Wonder è il primo romanzo di Raquel J. Palacio, è stato pubblicato in Italia nel 2013 da Giunti e costa 12 euro. Quella che segue è la trama raccontata da Nicole Beltrame.
VIVERE È AMARE
Vivere è
parlare di sé, non essere timidi, fregarsene delle persone che ti odiano o ti ignorano…
Questo libro parla di un bambino di nome August, che tutti chiamano Auggie. Lui ha una deformità al volto molto evidente (la sindrome di Treacher Collins). A undici anni Auggie, che fino a quel momento è stato istruito a casa dalla mamma, deve cominciare ad andare a scuola ed è preoccupato che lo prendano in giro.
Appena arriva a scuola si sente un po’ in imbarazzo, perché tutti lo fissano. Ci sono però delle persone che diventano presto sue amiche. August ha una sorella di nome Via (Olivia) che a un certo punto litiga con le sue amiche (Ella e Miranda) e poi si fidanza con un ragazzo di nome Justin, che poi aiuta un amico di Auggie (Jack) ad affrontare due bulli. Auggie ha anche una cagnolina di nome Daisy, ma un giorno lei muore e Auggie è molto triste. Quando Auggie va in gita, alla fine dell’anno scolastico, incontra dei bulli di terza media che gli fanno perdere gli apparecchi acustici, ma i suoi amici – anche quelli che non riteneva tali – lo aiutano. Quando arriva a casa scopre che i suoi genitori hanno preso un nuovo cucciolo di cane e lui decide di chiamarlo
“Orso”. Il giorno dopo, Auggie e Via restano a casa da scuola per giocare con Orso e si divertono molto perché, viste tutte le cose capitate nel corso di quest’anno straordinario, è da tanto che non giocano insieme.
Alla fine della scuola tutti sono amici di Auggie e finalmente “ignorano” la sua faccia.
Vivere è creare legami,
raccontare segreti alle amiche,
condividere il meglio assieme, non litigare (quasi) mai.
Vivere è amare, stare bene con le persone, divertirsi con loro,
ogni giorno.
Vivere è essere felici,
anche quando tutto va male, e oltrepassare gli insulti.
Nicole Beltrame
ATTENZIONE!
In questo giornalino mancano dei pezzi e delle firme importanti.
I nostri PC, infatti, sono stati infettati da VIRUS malefici.
L’anno prossimo ci faremo furbi e li sconfiggeremo con potentissime ARMI.