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Siamo uomini o caporali?

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Academic year: 2022

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Giugno 2012 - Anno VI Numero 4

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M

igliaia di schiavi invisi- bili sfruttati ogni giorno in Italia. In particolare nel sud, ma da qualche tempo anche nelle regioni del nord. Sono i braccianti agricoli (per lo più donne), vittima del sistema de- nominato “caporalato”.

All’interno le interviste a Mimmo Stasi, segretario pro- vinciale della Flai Cgil di Ta- ranto, e ad Assunta Urselli, una donna che a lungo è stata vit- tima del caporalato e che ora aiuta le altre braccianti ad usci- re dallo stato di sfruttamento.

C APORALATO – I nuovi schiavi della criminalità economica

Siamo uomini o … caporali?

Viaggio nella triste realtà dello sfruttamento dei braccianti in agricoltura nel meridione Violenze e vessazioni: intervista ad una donna che ha perso il bimbo che aveva in grembo

SPORT Annamaria

Quaranta, la … bellezza

del volley.

Intervista alla giocatrice del

Bergamo

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I

NTERVISTAA

N

IZAR

: dalla Tunisia a Manduria alla ricerca della libertà

Il viaggio della speranza, oltre ogni speranza

La rivolta in Tunisia contro Ben Alì, l’arrivo in Italia di migliaia di migranti, la loro accoglienza e il fenomeno del razzismo nel nostro Paese

La satira e la censura:

l’opinione del vignettista de La Gazzetta del

Mezzogiorno Nico Pillinini

Se l’usura ti usura…

Ogni anno 50 aziende, in Italia, chiudono a causa degli usurai La storia di un commerciante di Sava

PAGINA 2

Paolo De Vizzi, quando il mare aiuta a… vincere le barriere architettoniche

S S S

S S

ebbene siano trascorsi anni dall’inizio della cosiddetta “rivoluzione digi- tale”, sembra che solo ora la scuola si stia incamminando in quella direzione; meglio tardi che mai!

L’ultima notizia è quella che riguarda gli esami di sta- to e i cambiamenti che vi sono stati introdotti, dalle tracce telematiche alla Commissio- ne Web.

La “rivoluzione digitale”, e il web 2.0 in particolare, hanno modificato completa- mente il nostro modo di ac- cedere alle informazioni e alla conoscenza: gli utenti di internet sono sempre meno passivi fruitori di un servi- zio e sempre più coprodut- tori del sistema informativo.

La conoscenza sta diventan- do un’informazione da comu- nicare, condividere, creare e ricreare. È un processo co- stantemente in fieri, mai dato una volta per tutte. In una società ormai così digitaliz- zata, diventa dunque essen- ziale poter accedere alla co- noscenza ed essere capaci di generarne di nuova, svilup- pare l’Intelligenza Connet- tiva di Derrick de Kerckhove passando per l’Intelligenza Collettiva di Pierre Levy.

Se la scuola vuole conti- nuare a svolgere il proprio ruolo formativo, non può prescindere dal reinventarsi, ripensando innanzi tutto la didattica in funzione degli alunni, ormai “nativi digita- li”. Il metodo formativo deve essere modulato su di loro e sulla loro esperienza della realtà; sarebbe anacronistico continuare a proporre un in- segnamento lineare, che ab- bia come esclusivo riferimen- to il testo scritto. La mult- imedialità e l’ipertesto, ai quali i nostri studenti sono così abituati, vanno inseriti tra gli strumenti didattici e sfruttati per le potenzialità che offrono, prima fra tutte l’infinita varietà dei percorsi che l’utente può consapevol- mente costruire.

Così, la lezione non la

“fa” solo il professore, ma la classe nel suo complesso, attraverso l’apporto di ogni singolo studente e i mezzi che la tecnologia può mette- re a disposizione di insegnanti e alunni: LIM, ebook, App e, perché no, giochi. L’inse- gnamento, inteso come in- formazione, non si esaurisce in classe e si svincola dalla sacralità del testo, riportan- do al centro dell’attenzione lo studente, considerato non un “vaso da riempire”, ma un talento di cui favorire la crescita e le potenzialità.

Scomodando Svetonio potremmo dire a Noi della Scuola: festina lente……

Non sarà semplice per noi

“tardivi” o, al più, “immi- grati digitali”, ma ci proveremo.

Alessandro Pagano p.s.: ringrazio la mia ghostwriter, quasi nativa digitale

Rivoluzione digitale a scuola…

Festina lente

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Legalità

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LL LL

’’’’’usura è un male anti-

co che da sempre ac- compagna la storia dell’uo- mo. Consiste nello sfrutta- re il bisogno di denaro di un altro individuo per pro- cacciarsi un forte guada- gno illecito.

Alla base di un rappor- to usuraio c’è, da una par- te, la necessità di denaro e, dall’altra, un’offerta che può apparire come un’im- mediata possibile soluzio- ne per chi si trova in diffi- coltà. Ciò che pesa in modo decisivo sul rapporto fra usurato e usuraio è la con- vinzione della vittima di non avere comunque alter- native alla propria situazio- ne: solo l’usuraio, al mo- mento del bisogno, lo ha

“aiutato”; e anche se man mano gli toglie il patrimo- nio e la serenità, l’usuraio può, comunque, “dargli”

ancora qualcosa. Si inne- sca così una spirale perver- sa che soltanto la vittima può spezzare, denuncian- do l’usuraio. In questo modo l’usurato riacquista la propria indipendenza. E ricomincia a vivere.

L’usura è diffusa in tut- ta Italia, anche se il fenome- no risulta più marcato nel Mezzogiorno. Ciò indica il numero di denunce presen- tate all’autorità giudiziaria che, tuttavia, non dà una

S

ergio, uomo coraggio- so vittima di estorsio- ne.

Sergio Pichierri è un co- mune cittadino, ha una mo- glie e tre figli e ha un’offici- na, dove svolge la mansio- ne di fabbro. Già nell’anno 2001 fu vittima di un’attività fraudolenta perpetrata a suo carico da tale M. S., a causa della quale ha dovuto anche subire il pigno-

ramento di un proprio immo- bile.

Ancora, nel 2001 Sergio fu vittima di gravi atti di estorsio- ne da parte di C.F., già pregiu- dicato e arre- stato per esse- re uno dei prin- cipali protago- nisti della crimi- nalità organiz- zata nello spac- cio di droga. C.

F. si recò nel- l’officina del si- gnor Sergio,

chiedendo un posto di lavo- ro. Egli dapprima accettò ma, in seguito, il suo estorsore cominciò a chiedergli gros- se somme di denaro, addirit- tura minacciandolo.

Sergio si fece forza e non pagò, tanto che il suo estorsore gli bruciò il camion da lavoro. Ma oltre il danno arrivò la beffa, perché F. C.

ha promosso contro Sergio una controversia di lavoro, asserendo di aver lavorato alle sue dipendenze. Al ter- mine del contenzioso il Tribunale ha addirittura rico- nosciuto le ragioni dell’e- storsore, che aveva portato a testimoniare sua moglie e suo cognato. Ciò ha fatto sì che Sergio abbia pagare una somma di denaro pari a 17.000 euro, oltre al pignora- mento del suo immobile.

Nel 2005 il signor Sergio fu ancora vittima di estorsio- ne da parte di D.S., perso- naggio noto alle forze del- l’ordine. Sergio ancora una volta si armò di coraggio e decise di denunciare, anche se la paura che accompagna- va e accompagna tutt’ora i suoi giorni è talmente gran- de da non poter essere de- scritta. È stato supportato tantissimo dal Marescial- lo Quaranta della Caserma dei C.C di Sava, che l’ha gui- dato nella fase più critica:

quella di far sapere a tutti ciò che gli era capitato.

Una volta superato que- sto primo ostacolo, è come se avesse ripreso in mano la sua vita. Ha iniziato, infatti, a denunciare tutti, qualsiasi tipo di ingiustizia subita, par- tendo dall’avvocato F.C., di- fensore di M.C., in quanto, pur essendo Sergio dispo- sto a pagare sia all’avvoca- to che al suo aguzzino quan- to a loro esattamente dovu- to, si trovò dinnanzi al rifiu- to dell’avvocato a ricevere i

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a pratica dell’usura consiste nel forni- re prestiti a tassi di interes- se considerati illegali. Non sempre visto come nemico, l’usuraio inizialmente è co- lui che può dare un aiuto economico.

Difatti, partendo da un modico prestito, lo strozzi- no arriva a richiedere una somma elevata dovuta al- l’incremento degli interes- si. In effetti, per definire un tasso, ci si basa sulla nor- mativa del 1996, che stabi- liva il limite oltre il quale l’interesse è definito usu- raio.

Si può trattare di una fi- gura singola ma è stimato che tale giro di affari pos- sa essere controllato dal crimine organizzato. Le persone “vittime” di stroz- zini, arrivano a vendere le proprietà; si tratta di una

Se l’usura ti usura…

Viaggio in una piaga sociale: ogni anno 50 aziende, in Italia, chiudono a causa degli usurai e, dal 2009 al 2011, 240.00 commercianti hanno perso la propria attività. Eppure si stenta a denunciare il reato

misura attendibile della reale entità del problema.

La maggior parte dei casi di usura continua a rimanere sommersa. Anzi, negli ultimi anni il numero delle denunce risulta addirittura in diminu- zione. Questo fenomeno si spiega non tanto con la “pau- ra” di chi subisce l’usura: ne- gli stessi anni, il numero di de- nunce per estorsione, rivolte quasi sempre a esponenti della criminalità organizzata (e quin- di più rischiose per il denun- ciante dal punto di vista della sicurezza personale), è au- mentato. Anche l’esperienza dimostra che chi ha deciso di denunciare l’usuraio, solo molto raramente ha subito conseguenze per la propria sicurezza personale: quando violenza c’è stata, si è avuta quasi sempre all’interno del rapporto d’usura.

Dell’usura e dell’evoluzio- ne di questo reato abbiamo discusso a scuola, ospitando il comandante della Compa- gnia dei Carabinieri di Mandu- ria, il capitano Luigi Mazzotta, il comandante della Stazione dei Carabinieri di Sava, il mar.

Edoardo Quaranta, il referente per la provincia di Taranto dell’associazione “Codici”, che si occupa di fornire assi- stenza alle vittime dell’usura, Alessandro Scapati, e un im- prenditore di Sava, Sergio Pi- chierri, che anni fa cadde nel- le maglie dell’usura.

«L’usura non è più quella di 10 o di 20 anni fa, quando

esisteva il “cravattaro” (si chia- mava così proprio perché i suoi prestiti, come una cravatta, tendono a stringere al collo la vittima), che, fingendosi ami- co di coloro che vivevano mo- menti di difficoltà economica, prestava del denaro» ha affer- mato il cap. Mazzotta. «Inizial- mente i tassi d’interesse sem- brano affrontabili, poi, via via, tendono a “strozzare” la vitti- ma. Oggi ci sono organizzazio- ni malavitose che riciclano in questa attività cri-minosa ca- pitali non puliti».

In tempi di crisi del credito, infatti, vince chi dispone di li- quidità, di moneta pronta e so- nante. Liquidità che manca agli Stati e che manca alle banche, liquidità che invece la mafia possiede in grandi quantità. La crisi allora diventa un’oppor- tunità per Cosa nostra, Camor- ra e ‘Ndrangheta. Le organiz- zazioni criminali si trovano nel- la posizione avvantaggiata di chi può prestare soldi in un momento in cui nessuno lo fa, e quindi nella condizione di poter ricattare imprese anche molto grosse.

C’è poi un’altra figura nuo- va che lucra.

«Sono emersi, in alcuni ca- si, alcune figure che possiamo definire come dei “mediatori usurari”: loro apprendono no- tizie dagli istituti bancari su im- prenditori in difficoltà econo- mica e offrono questi nomi agli usurai, che poi provvedono a contattarli» ha aggiunto l’av- vocato Scapati.

Il capitano Mazzotta si è soffermato sulle disposizioni legislative in vigore e sulle tec- niche di investigazione (con- sigliando, comunque, sempre e comunque la denuncia alle forze dell’ordine). Il rappresen- tante di “Codici” ha rimarcato anche il ruolo delle agenzie di credito al consumo, alcune delle quali erogano prestiti a tassi che rasentano quelli de- gli usurai.

Intanto ogni giorno 50 a- ziende in Italia chiudono per colpa degli usurai e nel 2010 si sono persi 130 mila posti di la- voro, mentre nel triennio com- preso tra il 2009 e il 2011 alme- no 240 mila piccoli commercian- ti hanno cessato la propria at- tività.

Una vera e piaga sociale, insomma, che deve essere com- battuta anche affinando le leg- gi e inasprendo le pene.

La difficoltà di accesso al credito spinge molti imprenditori a cadere nella rete degli usurai

violenza psicologia che può diventare a volte fisica. I prov- vedimenti affinché il proble- ma sia risolto, non sono suffi- cientemente adeguati, visto che c’è una certa ritrosia nel denunciare il reato.

Poiché la banca pone sbar- ramenti per l’accesso al credi- to, a causa della mancanza di garanzie di pagamento, a ca- dere nella “trappola” di uno strozzino possono essere an- che imprenditori, professioni- sti o giocatori d’azzardo compulsivi.

Difficoltà economiche e commerciali, possono porta- re a decisioni tragiche; infatti si registrano tanti suicidi, do- vuti sicuramente all’impossi- bilità di reperire denaro per far fronte alla crisi economica, il che fa sì che la gente cada nelle mani dello strozzino.

Chiedendo un prestito ad un usuraio si firma una sorta

di condanna! Gli interessi pat- tuiti diventano troppo elevati, sebbene il prestito iniziale sia modesto.

Sono stati raccolti, da un progetto stanziato dallo Stato, fondi che permettevano di aiu- tare le vittime dell’usura; si trat- ta di circa 1558 milioni di euro, detti “fondi antiusura”, che non sono però usati in manie- ra corretta.

Anche le banche sono, a volte, coinvolte in questa pratica. In questo caso si parla di anatocismo ban- cario, dovuto alla produ- zione di “interessi su in- teressi”.

In Italia, l’usura è per- seguibile penalmente at- traverso leggi e codici, non riusciamo però a li- berarci da questo insi- stente problema, e questo perché purtroppo chi è soggetto all’usura ha ti-

more di denunciare i suoi usu- rai per paura di subire soprusi maggiori.

Senza delle denunce, però, non sarà mai possibile debel- lare questo fenomeno per cer- care di garantire una maggiore serenità alle generazioni futu- re; è per questo motivo che bi- sogna intervenire da subito e stroncare questo male.

Piergiorgio Mingolla Priscilla Tatullo

La testimonianza – A scuola l’intervento di Sergio Pichierri,

un piccolo imprenditore di Sava vittima degli usurai

soldi, senza un motivo ben preciso. Sergio si è trovato così nella condizione di ve- dere il proprio immobile messo all’asta.

In seguito è venuto a galla ciò che effettivamen- te era la verità: l’avvocato F.C. non accettava il dena- ro che gli spettava perchè voleva tentare di imposses- sarsi dell’immobile di Ser-

gio, cercando di partecipa- re all’asta attraverso un prestanome. Sergio, sco- perto l’inganno, è riuscito a far bloccare l’asta.

Nella sua storia di ingiu- stizie è coinvolto, quindi, anche un noto avvocato.

Ma in quel momento, tutti coloro che fino ad allora l’avevano supportato, fan- no un passo indietro.

Il signor Sergio non perde la speranza: dal- l’onorevole Mantovano, in cerca di una soluzione. Ad- dirittura si reca a Napoli da Tano Grasso, presidente di un’associazione anti rac- ket, poichè qui in Puglia pochi sembrano essere propensi ad aiutarlo dav- vero.

Sergio subisce il preci- pitare di queste vicende, accumulando stress e squi- librio psico-fisico, che con- tribuiscono a far diminuire consistentemente le pro- prie forze per lavorare, tan- to da dover fare ricorso a psico-farmaci, alle cure e alle verifiche della commis- sione medica ospedaliera di Taranto per l’eventuale ac- certamento di una vera e propria invalidità. La dia- gnosi è stata: disturbo af- fettivo misto, disturbo post traumatico da stress.

È stata inoltre riconosciu- ta una percentuale di inva- lidità permanente pari al 15% e un danno biologico pari al 10%.

Questa è la storia, non ancora terminata, di un uomo semplice, che, come tanti altri è vittima di estor- sione e che si ritrova in bi- lico, nelle mani della legge.

La cosa più importante da fare è quella di denunciare e non aver paura, anche se in certi casi prende il sopravvento.

Alessandra D’Oria L’imprenditore Sergio Pichierri Luigi Mazzotta

comandante della Compagnia dei Carabinieri di Manduria Alessandro Scapati

rappresentante dell’associazione

“Codici”

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Taranto e a Brindisi si muore. Per la diossi- na. Non ci sono più dubbi.

Neonati, bambini, mamme.

Commercianti, avvocati, me- dici. Studenti, operai e tanta tanta gente comune. Taran- to non ce la fa più.

Per comprendere meglio la realtà di queste province abbiamo intervistato il dott.

Emilio Gianicolo, ricercatore all’istituto di Fisiologia Cli- nica del Cnr. Il dott. Giani- colo è il perito nominato da- gli allevatori di Taranto che hanno dovuto subire l’ab- battimento delle proprie pe- core che avevano brucato erba contaminata. Inoltre, in- sieme ad altri colleghi, ha monitorato le malformazioni ai neonati di Brindisi: sono superiori del 18% rispetto alla media europea e addirit- tura del 68% relativamente alle sole malformazioni cardiovascolari.

Aria, acqua e alimenti in- quinati comportano rischi per la salute dell’uomo. La realtà è così allarmante?

Quale tipo di inquinamento è il più pericoloso?

«Purtroppo lo è» ci ri- sponde il dott. Gianicolo.

«Vari studi su aria, acqua e ambiente hanno fornito ele- menti che informano l’uomo sul rischio del continuo in- quinamento sul territorio;

inoltre l’inquinamento del- l’aria è il più rischioso di tut-

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uando si entra nella città di Taranto, non si può rimanere indifferen- ti. Una nuvola nera ti tra- volge, il colore del cielo è cambiato. E’ grigio e inve- ce anche solo 10 anni fa non lo era.

C’è qualcosa che non va, e ora tutti, finalmente, se ne stanno accorgendo.

Ai balconi sono appesi striscioni, anche se i bal- coni hanno cambiato co- lore. Persino i palazzi più colorati sono diventati rossastri. Quelle tinte ma- ledette del veleno.

Anche le pecore sono malate. Devono essere abbattute, per forza, sono malate.

Ci chiediamo: poiché gli uomini bevono il latte del- le pecore, mangiano la car- ne di animali al pascolo nella provincia e soprat- tutto respirano diossina, presto dovranno avere la stessa sorte delle pecore.

Gli impianti industriali che sono stati costruiti at- torno sono più grandi del- la città stessa di Taranto.

Un problema che esiste da 30-40 anni, ma che ora sta diventando drammatico.

La situazione sta degene- rando, i bambini ne soffro- no, le mamme hanno la diossina nel latte. Una so- stanza si accumula nel tempo, e a Taranto ce n’è per 9 chili, il triplo di Seveso per intenderci (la città intossicata nel 1976).

Non è molto diversa la situazione di Brindisi, al- tra città costretta a convi- vere con industrie che ne- gli anni hanno inquinato l’ambiente.

Allarmante il risultato di un recente studio sui neonati: quelli nati malfor- mati sono il 18% in più della media europea. Se si limita il dato alle sole mal- formazioni cardiovasco- lari, ebbene, le malforma- zioni dei neonati di Brin- disi sono del 68% supe- riori alla media europea.

Ci chiediamo come sia possibile che nessuna isti- tuzione competente pren- da una posizione decisa per arginare l’inquinamen- to di una terra bellissima, che avrebbe potuto esse- re ricca sfruttando le bel- lezze storiche e ambientali che Dio ha voluto donar- ci.

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n quarto delle nostre malattie è causato dall’inquinamento ambien- tale ed esse si potrebbero evitare vivendo in un am- biente più salutare.

Secondo alcuni studiosi, l’inquinamento dell’aria è quello più pericoloso per la nostra salute, ma non solo, visto che assumiamo quan- tità elevate di diossina prin- cipalmente dal cibo che mangiamo.

Grazie al potenziamento delle strutture di controllo, si è giunti ad ottenere una legge anti-diossina, che og- gi ci ha portato a registrare più bassi livelli di emissio- ne delle diossine che si pos- sano registrare in Europa.

Lo studio epidemiologi- co delle popolazioni ha messo in risalto come l’in- quinamento ambientale sia la causa di molte neoplasie (tumori).

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bienten am- pulito è fondamen- tale per la salute e il benessere umano.

T u t t a - via, le inte- razioni tra l’ambiente e la salute umana so- no estrema- mente com-

plesse e difficili da valutare.

Il rapporto con l’ambiente è una delle determinanti fondamentali dello stato di salute della popolazione uma- na. E’ necessario comprendere quali sono gli elementi da tenere in considerazione, da un punto di vista epidemiologico, al fine di individuare il fattore di rischio circa la diffusione delle malattie su un dato territorio.

La salute è in definitiva il risultato armonico di un’or- chestra, “composta” da: Corredo genetico, Disagio so- cio-economico, Servizi sanitari, Salubrità dei luoghi di vita e di lavoro, Stili di vita.

L’ambiente, tuttavia, è l’insieme dei fattori esterni a un organismo che ne influenzano la vita.

La parola “ambiente” rimanda nello stesso tempo a

“ciò che circonda” e a “ciò che è circondato”.

Da anni, le province di Taranto e Brindisi si caratteriz- zano per molti record negativi.

Nelle due città capoluogo sono presenti attività indu- striali con altissimo impatto ambientale (centrali a carbo- ne a Brindisi, Ilva ed idrocarburi a Taranto) che probabil- mente hanno contribuito a fare di questi territori le aree con la maggiore incidenza di tumori dovuti a fattori am- bientali.

Queste centrali, nonostante tutto, possono cercare di salvare il nostro ambiente?

Inchiesta sull’inquinamento esistente nelle province salentine di Taranto e Brindisi

Non si respira più in queste due città pugliesi O, meglio, quello che si respira fa morire…

Se fossi una pecora, verrei abbattuto?

ti, perché, ad esempio, l’acqua dell’Acquedotto Pugliese è meglio controllata rispetto al- l’aria, che trasporta polveri in- visibili che, se aspirate, pos- sono provocare tumori. Da notare, però, che il numero di tumori al Sud è minore rispetto al Nord, anche se la differenza tra le due aree geaografiche va assottigliandosi sempre più».

Lei è il perito nominato da- gli allevatori tarantini che hanno subito l’abbattimento delle loro pecore a causa del- l’inquinamento. Crede che il problema sia circoscritto so- lamente alle pecore o anche alla gente di Taranto, che a contatto per tanti anni con la diossina, ha nel proprio san- gue uguali sostanze cancero- gene? Cosa provoca agli or- gani del corpo?

«Dai dati raccolti, il proble- ma riguarda in particolare gli animali che pascolavano nei terreni vicino all’Ilva, nei quali è presente ancora oggi la dios- sina e sui quali, oggi, natural- mente, non pascolano più. Non si può escludere che latte e carne derivanti da animali che hanno brucato erba di prati in cui si è depositata la diossina possano arrivare sulle nostre tavole. Ingerendo quegli ali- menti si provocherebbero dei danni agli organi, come sarcomi ai tessuti molli, cancri e tumori».

Perché solo nel 2008 la legge regionale sui limiti del-

le sostanze inquinanti è stata adeguata a quella europea?

«E’ stata adeguata anche grazie alle pressioni degli ambientalisti e degli operai stessi».

Gli ambientalisti sostengo- no che chiudendo l’Ilva ci sa- rebbe la possibilità di creare lavoro per tutti gli operai bonificando le aree. Si potrà arrivare alla chiusura dell’Ilva? Lei ritiene che chiu- dendola si possa realmente bo- nificare il territorio?

«Per la chiusura si dovrà aspettare la decisione della Procura di Taranto, che dovrà pronunciarsi sulla denuncia a carico dei dirigenti dell’Ilva (è stato ipotizzato l’omicidio colposo e il disastro ambien-

tale). Anche se si chiudesse oggi, un grave danno al terri- torio è stato già arrecato.

Ma si può e si deve recupe- rare per i giovani, che rivendi- cano aria pulita e posti di lavo- ro.

Le bonifiche di cui si ha bi- sogno devono essere finanzia- te con ingenti investimenti».

Il disastro ambientale di Ta- ranto è causato dalle mancate assunzioni delle precauzioni.

Secondo lei, qualcuno paghe- rà il conto per i danni genera- ti?

«Purtroppo, molto spesso, la Giustizia si fa carico di pro- blemi che dovrebbero essere risolti da altri settori, come la politica per esempio. Ma se parliamo di giustizia dovremo

aspettare la decisione della procura di Taranto al riguar- do».

Quali misure di preven- zione primaria si possono adottare per arginare l’in- quinamento?

«Si può imporre all’ope- ratore (inquinatore poten- ziale) di adottare le misure preventive idonee.

Adottando queste ed altre misure di precauzione e rispettando la natura, si potrà ripristinare quasi del tutto il terreno pugliese, creando così una terra in cui i nostri nipoti potranno vivere senza il timore di morire a causa dei guasti causati nel passato».

Gabriel Durante

Quando respirare è un’eutanasia

I dati sulle mortalità da tumore nei vari quartieri di Taranto: il picco nel quartiere Tamburi, attiguo all’Ilva

Infatti, è stato chiarito che essi sono dovuti a fattori chi- mici e biologici esterni all’es- sere umano che si potrebbero modificare rendendo più salu- bri l’acqua e l’aria.

I bambini di età inferiore ad un anno risultano maggiormen- te coinvolti.

Sta soprattutto alle le nuo- ve generazioni rivendicare il di- ritto di un ambiente sano, co- stringendo la politica a fornire la soluzione necessaria per ab- battere l’inquinamento prodot- to da grandi aziende come Ilva, la centrale Enel ed altre presen- ti sul territorio, che hanno una grande influenza sul piano economico e politico.

Infatti, due siti pugliesi mol- to studiati per la presenza di un notevole inquinamento sono Brindisi e Taranto per il tasso di mortalità elevato do- vuto alla presenza di alcune grandi industrie che sono la causa prevalente di tumori al-

l’apparato respiratorio e al sistema circolatorio.

Nella tabella sottostante mettiamo a confronto i vari quartieri di Taranto e le cau- se di morte inerenti alla cit- tà, notiamo che i quartieri più colpiti sono Tamburi (molto vicino alla sede dell’Ilva) e Paolo VI che, pur essendo lontano, è ugual- mente raggiunto da queste polveri che fuoriescono dalle ciminiere e rendono le persone schiave delle ma- lattie.

Notiamo che il tasso più alto di mortalità delle don- ne si verifica presso il quar- tiere Tamburi a causa di ele- vate ischemie al cuore, mentre per gli uomini il tas- so più alto di mortalità av- viene a causa di malattie al- l’apparato respiratore e si verifica maggiormente nel quartiere Paolo VI.

Barbara Fanuli

E’ proprio impossibile la convivenza fra le grandi industrie e le città?

Ambiente e salute

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Migranti in Italia

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izar è un giovane di trent’anni che, do- po aver partecipato atti- vamente alla rivoluzione contro il regime dittatoria- le di Ben Alì, è riuscito ad arrivare in Italia in cerca di quella libertà persona- le che nel suo Paese non aveva mai avuto.

Il tema principale del dialogo con lui è stato la discriminazione.

È molto facile riscon- trare episodi di razzismo sui migranti, che in realtà non possono difendersi non parlando bene la no- stra lingua.

Nizar ne ha saputi iden- tificare soltanto due, per- ché fortunatamente da quando è qui ha sempre avuto a che fare con per- sone rispettose della di- gnità altrui, a differenza di un esponente delle forze dell’ordine, per esempio, che all’interno del “cam- po profughi” di Manduria ha chiamato tutti gli im- migrati “animali” solo per- ché nella confusione non riuscivano a restare in fila.

Questa sorta di razzi- smo e discriminazione non è fatta soltanto nei confronti degli extraco- munitari ma anche nei confronti dei disabili, nei confronti di chi ha orien- tamenti omosessuali.

La cosa più strana è quell’odio-razzismo che si crea anche tra gli italia- ni stessi.

Alessandra D’Oria

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izar è un giovane uomo giunto in Italia dopo la guerra con il dittatore Ben Alì.

Proviene dalla Tunisia, proprio dal centro della capitale dove faceva il commerciante. Nizar, insieme alla mediatrice cultu- rale Nahed Amdouni (che gen- tilmente si è prestata come in- terprete), ha accettato il nostro invito a scuola per discutere delle cause e degli effetti della migrazione dei popoli.

Cosa ha infatti spinto Nizar, insieme a tanti altri come lui, a lasciare la sua vita, i suoi cari e la sua patria?

Il problema principale è prettamente economico: in Tu- nisia gli stipendi sono molto bassi e la vita costa molto, c’è gente che non ha nulla da mangiare.

Ma questo non è tutto: an- che se la Tunisia è una delle nazioni più avanzate dell’Afri- ca e Tunisi sia una città così moderna, con Ben Alì vigeva una sorta di regime del terrore:

la stampa, sottoposta al con- trollo del regime, distorceva la realtà, la polizia aveva il diritto di “menare” la gente senza un valido motivo, chi si ribellava veniva carcerato per almeno vent’anni senza possibilità di vedere i propri familiari.

Tutto cambia con la rivolta della scorsa primavera, quan- do si è avuto il coraggio di lot- tare per la democrazia e la li- bertà. La causa scatenante del- la guerra, la goccia che ha fat-

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anduria fu scelta, lo scor- so anno, come sede di un grande campo per accoglie- re molte migliaia di extraco- munitari in fuga dall’Africa.

Sull’opportunità di ospitare questa gente in una tendopo- li, peraltro impiantata in un’a- rea (un ex campo di aviazione della Seconda Guerra Mondia- le) senza neppure un albero, alla vigilia della calda estate (stagione in cui le temperature raggiungono picchi molto alti), si è discusso a lungo.

Della permanenza nel cam- po di accoglienza di Manduria abbiamo parlato anche con Nizar, il ragazzo tunisino che da un anno è in Italia. Ci ha rivelato che le condizioni di vita erano insostenibili e che spesso le forze dell’ordine consigliavano ai ragazzi appe- na arrivati di fuggire anche pri- ma di aver ottenuto i permessi.

Le condizioni igienico sani- tarie erano pessime; inoltre, che non vi era controllo né ri- spetto di coloro che vivevano lì. Alcune donne venivano fat- te prostituire sotto gli occhi delle forze dell’ordine, che spesso rimanevano ferme di fronte a questi soprusi.

Dall’intervista sono quindi emersi i gravi problemi che ri- guardano non solo la Tunisia, ma purtroppo anche la nostra Italia, che lo scorso anno fu l’unica nazione europea co- stretta a farsi carico dell’onda- ta di migliaia di extracomunitari.

Resta come consolazione la lodevole accoglienza riserva- ta dalla comunità di Manduria a questi ragazzi.

Priscilla Tatullo

Il viaggio della speranza, oltre ogni speranza

La rivolta in Tunisia contro Ben Alì, l’arrivo in Italia di migliaia di migranti e il fenomeno del razzismo nel nostro Paese

I tunisini e la discriminazione:

la storia di Nizar

to traboccare il vaso è stato Mohamed Bouaziz, un giova- ne diplomato di 26 anni che si è dato fuoco a Sidi Bouzid per protestare contro la polizia che gli aveva sequestrato il chio- sco di frutta e verdura, l’unica fonte di sostentamento per lui e per la sua numerosa famiglia.

Internet ha giocato un ruo- lo importante in questa vicen- da perché, diffondendo la no- tizia in tutta la Tunisia, ha per- messo uno scatto d’orgoglio all’intera popolazione, chiusa mentalmente e influenzata an- che dalla religione.

Anche i blogger hanno svolto un importante ruolo, ri- prendendo con le telecamere gli scontri nelle città: le cari- che della polizia, le gomme bruciate, i morti frantumando così l’immagine di una Tunisia che canta e che danza. Da allo- ra è iniziato il lungo calvario per la Tunisia: disordini, rivol- te, bambini uccisi senza moti- vo, interi quartieri chiusi per impedire l’entrata e l’uscita di persone, addirittura “apparen- ti” ambulanze, in realtà conte- nevano cecchini pronti a spa- rare sul popolo.

Tutti questi fattori hanno portato Nizar a lasciare la sua Tunisi e ad affrontare il

“fatidico” viaggio della speran- za, che a lui è costato ben 750 euro: andare in Europa “legal- mente” non è facile come può sembrare, la prassi è troppo lunga e complicata per chi vuo-

le evadere immediatamente da quell’inferno.

Nizar ci ha raccontato che il suo viaggio non è stato molto semplice: inizialmente è stata sbagliata rotta, dopo di che ha dovuto affrontare un viaggio di ben trenta ore in mare aper- to incontrando anche la piog- gia e la tempesta.

Fortunatamente la nave è ar- rivata a destinazione e nessu- no dei trentasette passeggeri è morto: arrivati a Lampedusa però gli uomini, vengono in- formati di una triste notizia: l’im- barcazione che era partita dopo di loro, su cui c’erano ben ot- tanta uomini, purtroppo non era arrivata a destinazione.

Nizar sosta per nove giorni a Lampedusa, per poi essere trasferito negli accampamenti di Manduria.

Ora Nizar vive una vita come tutti gli altri: fa il cuoco presso una casa-famiglia e pri- ma ancora frequentava un cor- so serale per prendere il diplo- ma di scuola media inferiore.

Per il futuro si augura solo che ci sia tranquillità, non ha grandi progetti perché dopo vent’anni di dittatura è diffici- le capire cosa sia la libertà.

Ma cosa provoca la migra- zione di migliaia di persone in altre Nazioni?

Oggi il fenomeno dell’immi- grazione ha come protagonisti specialmente coloro che pro- vengono dall’America Latina, dall’Africa e dall’India, tutti paesi colonizzati dagli europei, che per secoli sono stati sfrut- tati per le loro risorse.

Intere famiglie, spinte dalla fame e dalla povertà, sono ogni giorno costrette ad intrapren- dere lunghi viaggi per poi sbar- care sulle nostre coste.

In Italia abbiamo paura del diverso; non lo conosciamo, quindi abbiamo paura che ci possa derubare, che ci possa stuprare, che ci possa togliere il lavoro, le nostre amicizie o il nostro partner. Ma, non si par- la altro che di luoghi comuni!

E’ importante conoscere gente diversa da noi; “diver- sa”, ma solo perché con una storia diversa.

In questo modo è possibile arricchirsi di esperienze, è pos- sibile crescere, è possibile mi- gliorare!

Le società aperte sono so- cietà avanti e moderne perché hanno saputo creare delle nuo- ve regole per vivere in equili- brio con gente diversa, che si scambia diversità culturali. Le razze si mischiano in tutto il mondo, basta guardare come procede la storia.

È anche vero che l’inseri- mento nella società per gli extracomunitari non è poi così facile. Questo continuo flusso d’immigrati crea allo Stato ita- liano gravi problematiche; in- fatti, è impossibile ospitare tut- ta questa gente nei centri di ac- coglienza, soprattutto perché ciò comporta dei costi notevo- li per mantenerla e, poi, per rim- patriarla.

La più grande preoccupa- zione è rappresentata dal fatto che la maggior parte di questi immigrati sono clandestini e vivono in umilianti condizioni.

Nei “migliori” dei casi, que- sta gente viene ingaggiata per fare i lavori più faticosi e peri- colosi, ad esempio assistenza agli anziani, per le pulizie, o nelle campagne e nelle fabbri-

che, dove sopportano si- tuazioni quasi di schiavi- tù. Purtroppo, vengono considerate delle braccia da sfruttare finché servo- no, piuttosto che delle persone.

Nei casi peggiori, suc- cede che ci sono le orga- nizzazioni criminali che su- bito ne approfittano e of- frono loro dei lavori ille- gali, come il contrabban- do di sigarette, lo spaccio di droga, mentre le donne vengono immesse nella fitta rete della prostituzio- ne.

Negli ultimi anni, il go- verno ha fatto una sorta di accordo con la Libia, in modo tale da fornirle i mez- zi necessari per la sorve- glianza sulle coste. D’al- tro canto, la Libia dovreb- be inasprire le sanzioni per coloro che abbiano inten- zione di tentare l’immigra- zione clandestina.

Questo ha rappresen- tato un punto di partenza per la lotta ai trafficanti di clandestina, che è servito a infliggere un duro colpo soprattutto a quelle orga- nizzazioni criminali che in- tascano soldi con il traffi- co di esseri umani..

Esseri umani che, più volte è stato dimostrato, sono stati violentati, mal- trattati o accusati ingiusta- mente.

Ma, allora, altro che im- magine all’estero dell’ita- liano pieno di sentimento!

Appunto, l’italiano non si sarà mica dimenti- cato che, nell’800 e nel

‘900, era proprio lui che migrava verso le Ameri- che, del Sud e del Nord, verso l’Australia, (oltre che verso altri paesi euro- pei), in cerca di migliori condizioni di vita?

E, ancora, non avrà mica dimenticato quella parte della storia in cui era lui che veniva discrimina- to, umiliato ed emargi- nato? Beh, la storia si ri- pete, anche se non ne sia- mo i protagonisti, e non per forza deve essere vali- do il detto “occhio per oc- chio, dente per dente!”

Federica Ligorio Marianna Scaglioso

Dopo l’arrivo a Lampedusa, migliaia di migranti africani furono trasferiti, lo scorso anno, nella tendopoli di Manduria

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a povertà o i sistemi di governo basati sulla dittatura sono la causa prin- cipale del fenomeno dell’im- migrazione, che negli ultimi anni ha assunto l’aspetto di una piaga, costringendo in- tere popolazioni a lasciare il proprio Paese per cercare altrove quel benessere che è impossibile trovare a casa propria.

Non c’è telegiornale che quotidianamente non dia notizia di sbarchi clandesti- ni al largo delle coste sici- liane. La meta preferita è Lampedusa, ma gli scafisti sono arrivati fino alle coste ragusane e a Porto Empedo- cle. Per questa gente, pur- troppo, non c’è altra possi- bilità di scelta: fuggire di- venta una scelta obbligata.

Interi nuclei familiari intra- prendono viaggi che si tra- sformano in un’odissea a causa delle vie di fuga, tut- te altamente rischiose, pur di fuggire da un Paese che non offre più prospettive né garanzie di vita.

L’Italia e il razzismo: nel nostro Paese, che dovrebbe essere aperto agli scambi culturali, prolifera l’insofferenza verso gli extracomunitari

L’Italia, nonostante la posi- zione geografica che dovreb- be favorire l’apertura e lo scam- bio con altre culture, è consi- derato uno dei Paesi fra i più razzisti d’Europa. Il razzismo è uno dei temi più infuocati de- gli ultimi anni, poiché esso sembra aver attecchito in ogni comunità sotto le più svariate sembianze.

Il razzismo accentua gli istin- ti xenofobi e rende intolleranti nei confronti della “diversità”, di qualsiasi tipo. Quella tra una persona e l’altra, come l’appar- tenenza a ceti sociali diversi, religione, cultura, condizioni economiche, fede politica: le discriminanti in ambito sociale sono pressoché infinite. Pro- babilmente è la mancanza di abitudine a convivere con gente di altre razze a far diven- tare i cittadini Italiani o di altre nazioni razzisti, ma il futuro sembra riservarci una società sempre più cosmopolita. Do- vremo, quindi, abituarci, in un modo o nell’altro, a considera- re il colore della pelle delle per- sone con la medesima natura-

lezza con cui ne osserviamo il colore dei capelli.

Penso ad esempio che non sia il razzismo, inteso nel sen- so puro del termine, cioè odio incondizionato verso una raz- za, ciò che impedisce la convi- venza o il matrimonio tra neri e bianchi in Italia, quanto, inve- ce, il timore che una simile unio- ne possa incontrare infinite difficoltà in una società che ideologicamente è ancora molta retrograda.

L’Italia si vanta di essere un paese antirazzista, ma allora i matrimoni misti dove sono? E perché si fa di tutto per creare difficoltà agli extracomunitari, anziché cercare di inserirli nel nostro capiente sistema nel modo meno doloroso possibi- le? In definitiva, non credo che i cittadini italiani siano razzisti, credo siano gente esasperata che, pagando regolarmente le tasse, si vede invasa nella sua quotidianità e riceva zero ser- vizi. E’ questo quadro che fa- vorisce l’insofferenza verso gli extracomunitari.

Marika Milizia

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Caporalato

Migliaia di lavoratori in nero, senza alcun diritto, sfruttati e per molte donne c’è anche la violenza fisica

La storia di Assunta, che ha perso il bambino che aveva in grembo mentre lavorava per i “caporali”

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igliaia di schiavi in- visibili sfruttati ogni giorno in Italia. In partico- lare nel sud, ma da qualche tempo anche nelle regioni del nord. Sono i braccianti agricoli (per lo più donne), vittime del sistema denomi- nato “caporalato”.

All’interno del laborato- rio di giornalismo della no- stra scuola, abbiamo avu- to la possibilità di intervi- stare Mimmo Stasi, segre- tario provinciale della Flai Cgil, e Assunta Urselli, una donna che a lungo è stata vittima del caporalato e che ora aiuta le altre braccianti ad uscire dallo stato di sfruttamento. A loro abbia- mo rivolto alcune doman-

de.

Come avviene il reclutamen- to dei braccianti agricoli?

«Attraverso le conoscenze individuali, il caposquadra si preoccupa di contattare i lavo- ratori; i caporali possono an- che essere donne, che si dimo- strano peggiori per cattiveria e ricatto».

Come mai vi sono più don- ne rispetto agli uomini?

«È un fatto oggettivo che le donne che lavorano in agri- coltura sono di più rispetto agli uomini. Per le donne non si trat- ta di una scelta, ma di una ne- cessità derivante dall’esigen- za di contribuire al reddito del- la famiglia. Le donne costano poi meno rispetto agli uomini e di particolare importanza nel lavoro agricolo sono anche le loro mani, qualificate in questo settore essendo molto più piccole e sottili».

Come si svolge la giornata lavorativa di un bracciante agrico- lo che è alle dipenden- ze di un caporale?

«Il pullman passa e prende le persone. Strada facendo i lavoratori vengono lasciati in posti spesso molto lontani ri- spetto alla meta da raggiunge-

Caporalato, i nuovi schiavi della criminalità economica

Intervista al segretario della Flai Cgil di Taranto, Mimmo Stasi, e alla bracciante Assunta Urselli

re; non sanno con chi hanno a che fare e neanche il nome e il cognome del titolare dell’azien- da agricola in cui lavorano. Si alzano alle 3 del mattino, de- vono sottostare a qualsiasi tipo di ricatto; non c’è acqua pota- bile e molte volte le donne la- sciano a casa i propri figli più piccoli a quelli più grandi.

Queste persone sono emarginate, senza una vita so- ciale perché alle 20,30 sono co- strette ad andare a letto e ad alzarsi presto per recarsi al la- voro».

Abbiamo letto che a volte i braccianti, in particolare le donne, sono anche oggetto di violenza. Però le denunce sono pochissime. Si ha paura di perdere il lavoro?

«Non si fanno denunce, perché, poi, è la donna che fi- nisce per essere messa sotto processo. Una bracciante ha avuto tanti problemi per aver denunciato i suoi aguzzini: ha dovuto subire una serie di vio- lenze anche psicologiche. Le braccianti devono essere an- che attente al loro modo di scendere dal pullman: se, ad esempio, è un po’ più … disin- volto, è un messaggio di dispo- nibilità al caporale e deve poi esaudire ogni suo desiderio. In questo settore la competenza non è valorizzata: il caporale

sceglie sempre le persone più deboli, come le donne, che pur di sopravvivere sono costret- te ad accettare richieste squal- lide».

Ci ha molto colpito lo sfrut- tamento e la violenza che su- biscono le donne, senza che ci sia nessuno che rie- sca a difenderle. In questo modo, la don- na perde la sua digni- tà ed entra in un tun- nel di disperazione.

Abbiamo avuto la te- stimonianza diretta di Assunta che, dati gli orari massacranti e le condizioni igieniche precarie, ha perso il bambino che porta- va in grembo. Questa forma di violenza segna una donna per sempre e non deve essere per- messa dallo stato.

La nostra grande risorsa che dovrebbe essere sfruttata è la nostra terra e non i nostri braccianti che, al contrario, do- vrebbero essere trattati come tutti i lavoratori che hanno dei bisogni, delle necessità e dei diritti, oltre a dei doveri.

Gabriel Durante Priscilla Tatullo Arianna Vinci

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n fenomeno che attanaglia l’Italia da alcuni decenni è quello del caporalato.

Parliamo di un fenomeno che può essere considerato malavitoso in quanto colui che viene chiamato “Caporale”

è un uomo che il mattino presto si reca nelle piazze del paese per cercare manodopera, e condurla nei campi a svol- gere lavori agricoli. Questi “Caporali” pretendono molto spesso una percentuale che varia dal 50% al 60% della paga del lavoratore.

Inizialmente lo scopo di queste persone era quello di guadagnare con il trasporto, ma col passare del tempo i Caporali iniziarono a pretendere che una parte della paga degli operai fosse destinata a loro.

Ora diciamo che questa attività illecita è molto più orga- nizzata. Il Caporale passa per i centri del paese di solito con un pulmino per raggruppare gli operai e per trasportarli nei campi in cui devono lavorare. Si parla di pulmini con una capienza di 9 posti e che molto spesso vengono riempiti da quasi il triplo di persone. Il reclutamento dei braccianti agri- coli avviene per “conoscenza”: vengono organizzati i gruppi, ogni gruppo ha un “caposquadra” che avvisa i propri com- pagni quando c’è bisogno di operai per andare a lavorare.

Le condizioni igieniche non sono adeguate ed è previ- sta in tutta la giornata una sola pausa.

Queste madri, queste mogli conducono una vita fatta di lavoro: si alzano alle tre del mattino per andare a lavorare, svolgono il loro lavoro in dei campi (molto spesso in luoghi poco attrezzati alla presenza di persone), tornano a casa nel tardo pomeriggio per avere giusto il tempo di fare la spesa e di stare un po’ con la propria famiglia.

Per gli extracomunitari la situazione sembra essere addi- rittura peggiore, visto che la loro giornata di lavoro può concludersi perfino alle otto di sera. Le differenze si ritro- vano anche nel compenso: difatti, per i braccianti italiani si aggira intorno alle 50 euro, mentre per gli stranieri, la retri- buzione sembra esser di circa la metà

Lo Stato ha recentemente introdotto una norma giudiziaria che prevede fino a otto anni di carcere per colo- ro che sfruttano i lavoratori in modo sistematico e violento.

Come al solito, però, i buoni propositi non sempre si tra- sformano in lotta efficace.

La nuova legge, infatti, non sembra intimorire troppo gli sfruttatori, anche perchè il nuovo reato non è facile da configurare e, quindi, da punire

Antonio Antonucci Mattia Desantis Rosanna Erario Piergiorgio Mingolla

Ecco la giornata di lavoro di una bracciante vittima dello sfruttamento del “caporale”

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el tempo, specialmen- te in seguito al boom economico e alle innovazio- ni tecnologiche delle attrez- zature agricole, si è registra- to un aumento strettamente crescente dell’impiego fem- minile in agricoltura.

Oggi le donne si misura- no non solo con l’agricoltu- ra tradizionale, ma anche con attività multifunzionali connesse al settore agrico- lo.

Infatti, sempre più spes- so, sono protagoniste d’ini- ziative culturali e turistiche, come ad esempio la promo- zione di prodotti tipici nazio- nali, quali il vino o l’olio e, per di più, è da considerare che oltre un terzo degli agriturismi italiani è gestito proprio da imprenditrici don- ne.

Nelle assunzioni come braccianti, poi, la scelta ri- cade sulla donna prima di tutto per la necessità che ha di integrare i redditi della fa- miglia.

La donna nell’impresa agricola è, quindi, anche il frutto di una scelta cultura- le, perché c’è bisogno di un confronto diretto con i con-

La donna nel comparto agricolo: non solo bracciante sfruttata, ma anche manager disinvolta e capace in imprese agroturistiche

sumatori e, si sa, le donne han- no la tendenza innata del sa- per accogliere, del saper con- siderare la cucina, le prepara- zioni alimentari, le lavorazioni artigianali legate alla vita del- l’antica azienda contadina.

Le donne sono spesso cu- stodi di pratiche e di conoscen- ze tradizionali che, se da un lato vanno salvaguardate e va- lorizzate, dall’altro richiedono di essere integrate con le evo- luzioni della ricerca moderna.

Con il progresso della scienza e della tecnologia non dovrebbe essere per nulla dif- ficile avere strumenti e mezzi innovativi che permettano alle donne di operare nei migliori dei modi.

Eppure, nonostante le don- ne contribuiscano attivamen- te allo sviluppo dell’economia, esse partecipano in modo mar- ginale ai processi decisionali e sono più esposte degli uomini alla povertà e al sottosvilup- po.

Le donne rurali affrontano ogni giorno una serie di osta- coli e minacce, a seguito della globalizzazione, dell’incremen- to demografico e del cambia- mento climatico.

Esse, oltre ad essere espo-

ste agli stessi rischi de- gli uomini, sono sogget- te a pericoli legati soprat- tutto alla salute riprodut- tiva.

Quando sono in sta- to di gravidanza o in fase di allattamento, è neces- sario identificare deter- minati rischi, ossia la movimentazione manuale, le posizioni faticose, l’esposizio- ne a sostanze chimiche o a malattie infettive, come quelle trasmesse da animali e provo- cate da muffe e polveri organi- che.

In caso contrario, si hanno delle gravi conseguenze sulla fecondità, sull’aumento degli aborti spontanei o sulle mal- formazioni dei bambini sin dal- la nascita.

Perciò, un imprenditore agri- colo, in quanto datore di lavo- ro, è totalmente responsabile della sicurezza e della salute dei suoi dipendenti, quindi deve cercare in tutti i modi di miglio- rare la sicurezza dei macchina- ri con dispositivi adeguati.

Ad ogni modo, il dipenden- te ha il diritto di essere infor- mato su tutti i rischi inerenti al suo lavoro e deve disporre dei mezzi di protezione e preven-

zione, come le mascherine o i guanti per difendersi dagli antiparassitari.

Se si vuole ancor di più migliorare il ruolo della donna rurale, è necessario favorire una rappresentan- za migliore fra uomini e donne nei livelli decisiona- li, occorre rafforzare le isti- tuzioni che favoriscono l’accesso e l’apprendimen- to delle tecnologie e anco- ra, è importante ricono- scerle il diritto alla terra, alla sua proprietà e all’ac- cesso al mercato e al credi- to.

Solo in questo modo ella potrà garantire con effica- cia la sua produttività nel campo agricolo e, in gene- rale, nel mondo del lavoro, allo stesso modo, se e me- glio, dell’uomo.

Federica Ligorio

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nche un film documentario per denunciare l’illegalità e il dilagare di condizioni di vita ai limiti dell’umano per i lavoratori agricoli di alcune zone della provincia di Taranto. Lo ha commissionato la Flai-Cgil di Taranto ed è stato realizzato da Maristella Maggiolini nel 2010. Si intitola “Mimma e Anni- bale” e fotografa, con cruda realtà, ogni passaggio di questa piaga sociale.

«Ogni giorno, nella sola provincia ionica di Taranto, 13.000 persone, per lo più braccianti, ma anche cassintegrati disoc- cupati e pensionati italiani, assieme a immigrati rumeni, pachistani, albanesi, nordafricani e a tante, tantissime donne italiane aspettano l’ingaggio agli angoli delle strade» afferma- no gli autori nel documentario. «E’ questo il mercato delle braccia in Italia».

Sfruttare persone in stato di bisogno per farle lavorare a nero, senza alcun diritto né orario, senza alcuna possibilità di contrattare le misere paghe: questo è il caporalato, una vec- chia forma di schiavismo che, anche a causa della profonda crisi economica, si sta espandendo in tutto il territorio italiano.

Nel documentario, gli autori intervistano molte delle donne (ma anche un lavoratore straniero), che vengono sfruttate e a volte violentate nei campi dai “caporali”.

Stefania Buccoliero

Un docu-film di denuncia prodotto nel 2010 dalla Flai-Cgil: si intitola “Mimma e Annibale”

Il segretario provinciale della Flai-Cgil Mimmo Stasi

Assunta Urselli vittima del caporalato

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volgere il ruolo del dirigente scolasti- co è a dir poco impegnati- vo se si considerano le molteplici responsabilità che egli deve assumersi.

Solitamente, ciò che ci si aspetta dal preside su- pera di gran lunga quelle che sono le sue possibili- tà d’intervenire e di agire, ecco perché si finisce con il lamentarsi e con il rima- nere delusi.

In realtà, contro i pro- blemi scolastici, dovuti in primo luogo al cattivo fun- zionamento del sistema, il preside può fare ben po- co!

Proprio partendo da questi presupposti, abbia- mo deciso di intervistare il nostro dirigente scola- stico, il dott. Alessandro Pagano, per capire meglio quali siano i compiti di un capo d’istituto.

Prima di intraprendere la carriera scolastica, do- po la laurea, il preside Pa- gano ha lavorato come re- sponsabile in un industria chimica. Proprio in questo periodo vince un concor- so per l’insegnamento e ottiene una cattedra. Ini- zia a insegnare nel 1985, poi nel 1990 viene nomi- nato vicepreside dell’isti- tuto agrario di Manduria, dove rimane in carica fino al 1997. In quell’anno, dopo la vincita di un altro concorso, diventa dirigen- te scolastico del nostro istituto.

«Essere dirigente vuol dire fare tante scelte, do- ver gestire e curare la par- te didattica, avere rappor- ti con 140 dipendenti, 700 alunni e le rispettive fami- glie, disporre di risorse economiche limitate, sen- za poter scegliere una pro- pria squadra di fiducia» ci risponde il preside Paga- no. «Questo lavoro impe- gna l’intera giornata, sia all’interno dell’istituzione ma spesso anche al di fuo- ri».

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migliori prodotti dei progetti Pon pugliesi premiati presso Reggia Domizia di Manduria all’interno del- l’iniziativa promossa dall’Itis – Lsa “Oreste Del Prete” di Sava.

Il concorso, rivolto a tutte le scuole della Puglia, ha per- messo agli studenti degli istituti, che vi hanno partecipato, di raccontare e presentare i progetti PON finanziati dall’Eu- ropa e realizzati nelle rispettive scuole.

I PON europei sono ormai uno strumento insostituibile per le scuole, poiché proprio dall’Europa sono stanziati dei fondi utili a sostenere e realizzare progetti di vario tipo tesi ad approfondire le competenze degli alunni.

L’ambiente accogliente di Reggia Domizia è stato lo sfon- do perfetto per gli studenti che hanno constatato quanto i lavori da loro realizzati e presentati al concorso siano stati apprezzati.

La giuria composta dal noto vignettista Nico Pillinini e dal docente di Scienze della comunicazione dell’Università Aldo Moro di Taranto, Pino Mellone, ha avuto l’arduo com- pito di individuare, tra i 38 lavori presentati, quelli che me- glio hanno raccontato e pubblicizzato i PON realizzati. La- vori che sono stato divisi in tre sezioni: scuola Primaria, scuola Secondaria di 1° grado e scuola Secondaria di 2°

grado.

Il dirigente scolastico del “Del Prete”, dott. Alessandro Pagano, ha accolto, oltre a diversi dirigenti scolastici e ad alcune autorità istituzionali (tra cui i due assessori della provincia di Taranto, Francesco Saverio Massaro, asses- sore alla Pubblica Istruzione e Università, e Giampiero Mancarelli assessore al Bilancio), numerosi studenti e do- centi provenienti da diverse parti della Puglia.

Per la scuola Primaria, il primo premio è stato assegnato al 3° circolo S. Giovanni Bosco di Bisceglie per il PON dal titolo “Cultura della legalità”; per le scuole Secondarie di 1° grado, il premio è stato assegnato all’istituto comprensi- vo 2° Polo di Casarano, per un PON dal titolo “Matemati- camente”; all’istituto di istruzione superiore Rosa Luxemburg di Acquaviva delle Fonti, per il racconto del PON “Lavoro anch’io”, è stato infine assegnato il premio per le scuole superiori di 2° grado.

L’ Itis tutto ha rivolto un caloroso ringraziamento ai di- versi sponsors che hanno contribuito allo svolgimento della manifestazione e che hanno provveduto a premiare le scuole vincitrici.

Nel corso della manifestazione sono state anche confe- rite a tre alunni dell’ “O. del Prete”, diplomatisi negli anni scorsi, tre borse di studio: una assegnata dalla Monte dei Paschi di Siena e le altre due dal dottor professor Antonio Aquilino, già dirigente scolastico dell’istituto.

La cerimonia è stata allietata da alcune esibizioni di can- to, musica e danza, di allievi della scuola ospite.

Il racconto dei PON partecipanti al concorso ha costitu- ito per gli allievi il modo più concreto per conoscere l’Euro- pa e sentirsene parte integrante.

Priscilla Tatullo

Viaggio all’interno del mondo scolastico: l’intervista al preside Pagano Funzioni, margini di manovra e responsabilità di una carica molto delicata

Come trova il rapporto tra dirigente e alunni?

«È molto difficile poter rita- gliare lo spazio da dedicare al- l’incontro con gli alunni, no- nostante tutte le buoni inten- zioni. Gli incontri che svolgo durante la mia giornata lavora- tiva sono più che altro dedica- ti ai problemi degli alunni. Rare volte c’è una bella notizia (come, ad esempio, un viaggio o una premiazione) alla base dell’incontro».

Quali sono le più diffuse problematiche all’interno del- la scuola italiana?

«Dal punto di vista di allie- vi e famiglie, la scuola rappre- senta uno dei pochi luoghi a cui la famiglia, sempre più im- pegnata con il lavoro, affida volentieri i propri figli e ciò comporta una maggiore re- sponsabilità per noi».

Ha progetti nuovi per noi?

«Ne ho tanti. Quello che ho in testa devo poi condividerlo con altri docenti che vogliono cimentarsi. Stiamo realizzando un progetto che ha a che fare con la valutazione, potrebbe vederci coinvolti come attori principali insieme ad altre scuo- le italiane. Ho grande interes- se per cercare di capire come rendere più interessanti le le-

zioni, non mi dispiacerebbe creare delle lezioni interattive digitali per coinvolgere meglio gli alunni e stimolarne l’impe- gno nello studio».

Quale messaggio vorrebbe lasciare a noi ragazzi?

«A quelli che stanno per la- sciare la scuola, vorrei dire di cercare di prepararsi in manie- ra solida per avere delle spe- ranze, bisogna avere delle illu- sioni per credere che sia pos- sibile ottenere dei buoni risul- tati e bisogna ogni tanto sna- turare la convinzione che il pri- mo non vale niente e che sia stato messo lì solo perché qual- cuno ce lo ha messo».

Ci descrive come si svolge la sua giornata “tipo” da diri- gente?

«Raggiungo la scuola tra le 7.30 e le 8.30; dopo aver di- spensato “buongiorno” a de- stra e a manca, mi reco nel mio ufficio dove di norma mi occu- po della posta ,che va da quel- la istituzionale a quella perso- nale. Poi mi aggiorno sulle no- tizie d’attualità attraverso Internet: di solito guardo i ti- toli delle notizie e apro quelle più interessanti. Una o due ore le dedico agli incontri con il personale di segreteria o con vari professori per risolvere

qualche questione importante;

poi dedico un po’ di tempo per leggere e firmare i documenti».

Quanto è importante un buon rapporto tra lei e i do- centi? E quello con i suoi col- laboratori d’istituto?

«È un rapporto di rispetto, non necessariamente ci dob- biamo amare o andare a cena insieme, ci deve essere soprat- tutto stima personale e profes- sionale; è fondamentale “viag- giare” sulla stessa lunghezza d’onda. Certo, penso che sia più facile interagire con qual- cuno piuttosto che con qualcun altro per ragioni carat- teriali; ritengo che ci debba essere un rapporto corretto e anche se si discute, non si do- vrebbe fare alla luce del sole ma privatamente».

Quando si presentano i vari problemi tra professori e pro- fessori, tra professori e alun- ni, tra istituto scolastico e ge- nitori, quale criterio guida le sue decisioni?

«Non bisogna mai prende- re delle decisioni d’istinto, bi- sogna ascoltare con molta at- tenzione e valutare bene le si- tuazioni. Se, ad esempio, un ra- gazzo manda a quel paese un professore, bisogna insegnar- gli a porgere le proprie scuse,

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9 maggio 2012. Una bomba esplode davan- ti all’istituto professionale

“Morvillo Falcone” di Brindisi. Un evento fatale che ha stroncato la vita di una giovane ragazza, Melissa Bassi. Una ra- gazza di appena 16 anni, che come ogni giorno si recava a scuola, ma in quel tragico sabato ha perso la vita, la speran- za e ogni suo sogno fu- turo.

Alcuni sui compagni sono rimasti gravemen- te feriti, a causa del fol- le gesto di un attenta- tore di 68 anni di Copertino (le cause pre- cise, al momento di stampare il giornale, non sono ancora note) dell’attentato sono an- cora incerte.

Tutta l’Italia ha pian-

Il folle attentato di Brindisi che è costato la vita a Melissa Bassi

Attaccare una scuola (un luogo in cui i ragazzi dovrebbero sentirsi al sicuro) è un atto meschino

to Melissa e i suoi giovani compagni feriti, tutti sperano che questi ragazzi riescano a superare questo terribile trau- ma cercando di riprendere la loro vita e di non lasciarsi spa- ventare da questo attacco.

Numerose manifestazioni sono state, infatti, celebrate per dimostrare il sostegno delle scuole di tutta Italia all’istitu- to di Brindisi e alle famiglie dei giovani ragazzi; per dimostra- re quanto la scuola sia unita e

solidale anche nel dolore più forte.

I pensieri degli alunni ven- gono espressi attraverso fra- si, cartelloni, dediche che in- citano tutti a non dimentica- re Melissa e ad aiutare le sue amiche. Il colpevole sapeva quello che faceva e punta- va a fare male. Attaccare una scuola, un posto dove i ra- gazzi dovrebbero sentirsi al sicuro è un gesto meschino che merita una dura punizio- ne.

Si è evitata la strage quel tragico sabato, ma per chi soffre la perdita di Melissa, figlia, compagna, amica la tragedia non è stata sfiora- ta. Così per le ragazze coin- volte che porteranno sem- pre sui loro corpi e nei loro cuori i segni di quel tragico giorno in cui le loro vite sono state stravolte.

Priscilla Tatullo

I migliori prodotti dei Pon pugliesi premiati su iniziativa della nostra scuola: ecco i vincitori

che non costano niente, pur di recuperare un bel rapporto e fare in modo che le cose pren- dano una giusta piega».

Siamo ormai a termine anno, qual è il bilancio di que- st’anno scolastico?

«Il bilancio si dovrebbe mi- surare in termini di successo e insuccesso» conclude il diri- gente Alessandro Pagano.

«Aspettare gli esami di Stato e i termini dei vari corsi di recupero è indi- spensabile per affermare il successo in termini di atti- vità didattica di quest’an- no».

Davide Dinoi Italia Leo Federica Ligorio Arianna Vinci

Noi e la Scuola

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