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Classificazione e nomenclatura dei tumori neuroendocrini dell ipofisi anteriore

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Academic year: 2022

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https://doi.org/10.1007/s40619-022-01039-y R A S S E G N A

Classificazione e nomenclatura dei tumori neuroendocrini dell’ipofisi anteriore

Federico Roncaroli1· Carmine Antonio Donofrio2,3

Accettato: 1 febbraio 2022

© The Author(s) 2022

Sommario

I tumori neuroendocrini dell’ipofisi anteriore rappresentano un gruppo eterogeneo di neoplasie con distinte caratteristiche cli- niche, microscopiche e immunofenotipiche. La classificazione codificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è basata sull’espressione degli ormoni e dei fattori di trascrizione adenoipofisari analizzati sul tessuto patologico con meto- diche di immunoistochimica. Tuttavia, recenti studi molecolari hanno portato alla luce i limiti dell’utilizzo di tali fattori di trascrizione per la classificazione di questi tumori. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una controversia sulla nomencla- tura dei tumori endocrini dell’adenoipofisi. Il club internazionale di patologia ipofisaria ha proposto di sostituire il termine

“adenoma” con tumore neuroendocrino dell’ipofisi anteriore. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha suc- cessivamente suggerito un modello classificativo che include i tumori dell’ipofisi anteriore nello spettro delle neoplasie neuroendocrine sistemiche. Queste proposte hanno condotto a una posizione della Pituitary Society culminata in un forum internazionale e in una posizione che raccomanda di mantenere il termine adenoma. La presente rassegna riassume i criteri di classificazione istopatologica dei tumori neuroendocrini dell’ipofisi anteriore, discute criticamente la diagnosi di alcuni tipi e sottotipi di tumore e presenta le controversie sulla definizione di tumore aggressivo e sulla scelta della nomenclatura.

Parole chiave Tumore neuroendocrino dell’ipofisi anteriore· Classificazione · Nomenclatura · Tumore ipofisario aggressivo

Introduzione

I tumori che originano dalle cellule endocrine dell’ipofisi anteriore rappresentano tra il 15 e il 20% delle neoplasie intra-craniche con un’incidenza, negli Stati Uniti, di circa 4,6/100.000 [1]. Il 60% circa dei tumori adenoipofisari cau- sa segni e sintomi dovuti all’eccesso di secrezione ormonale.

I tumori ipofisari non secernenti si presentano tipicamente con cefalea e/o segni e sintomi da compressione del pedun- colo ipofisario e/o delle vie ottiche. Le neoplasie dell’ipofisi anteriore non causano diabete insipido e solo raramente si

associano a sindrome da inappropriata secrezione di vaso- pressina. Inoltre, circa il 20% delle indagini neuroradiologi- che condotte per altri motivi rivela la presenza di tumori in- cidentali dell’ipofisi [2]. A seconda delle dimensioni, questi tumori vengono classificati come “micro” con un diametro massimo inferiore a 10 mm, “macro” con un diametro mas- simo maggiore di 10 mm e “giganti” se superano i 4 cm.

A seconda degli studi, dal 30 al 65% dei tumori dell’ipofisi anteriore invade i seni cavernosi e solo più raramente erodo- no il pavimento sellare con estensione all’interno del seno sfenoidale. L’estensione soprasellare assume rilevanza cli- nica quando il tumore arriva a comprimere il chiasma ottico, causando eminopsia bitemporale.

L’accurata classificazione dei tumori neuroendocrini del- l’ipofisi anteriore richiede un approccio multi-disciplinare derivante dall’integrazione del fenotipo clinico, del profi- lo biochimico, degli aspetti neuroradiologici e delle carat- teristiche microscopiche della lesione [3,4]. Questa revi- sione riassume i criteri patologici della classificazione e le recenti controversie sulla loro nomenclatura. Per una revi- sione dettagliata delle classificazioni funzionale, anatomi- ca e radiologica e per le forme familiari o nel contesto di Proposto da F. Trimarchi.



F. Roncaroli

federico.roncaroli@manchester.ac.uk

1 Geoffrey Jefferson Brain Research Centre, Division of Neuroscience & Experimental Psychology, The University of Manchester, Manchester, UK

2 Dipartimento di Neurochirurgia, ASST Cremona, Cremona, Italia

3 Divisione di Biologia e Genetica, Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale, Università degli Studi di Brescia, Brescia, Italia

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sindromi genetiche, si rimandano i lettori a pubblicazioni specifiche.

Definizione istopatologica dei tumori neuroendocrini dell’ipofisi anteriore

La classificazione istopatologica dei tumori neuroendocri- ni dell’ipofisi anteriore si basa sull’architettura del tumore, gli aspetti delle cellule neoplastiche, il profilo di espressio- ne degli ormoni ipofisari e dei fattori di trascrizione che re- golano le linee differenziative corticotropa, gonadotropa e somato/lacto/tireotropa delle cellule normali, nonché sulla valutazione dell’attività proliferativa. Le indagini molecola- ri stanno entrando nella pratica diagnostica e sono utili per un’ulteriore stratificazione dei tumori ma non sono ancora state validate in ambito diagnostico [3,4].

L’istopatologia

Per comprendere i principi di classificazione istologica dei tumori ipofisari e interpretare le diagnosi istologiche è ne- cessaria una breve introduzione sull’istopatologia [5].

Il termine “patologia” deriva dal Greco pathología e si- gnifica “studio delle malattie”. Più precisamente, la patolo- gia è la disciplina delle scienze mediche che studia le cause, lo sviluppo, le alterazioni funzionali e strutturali e la sto- ria naturale delle malattie. L’istopatologia rappresenta una branca della patologia che descrive e classifica le alterazioni dei tessuti identificate attraverso l’esame microscopico.

L’istopatologo è un clinico specializzato nell’osservazio- ne delle anomalie macroscopiche, microscopiche e ultra- strutturali dei tessuti, nella loro classificazione e nell’inte- grazione con il fenotipo clinico e l’aspetto radiologico. Lo studio delle caratteristiche microscopiche normali e pato- logiche si basa sull’analisi dell’architettura tissutale, della forma e delle proprietà tintoriali delle cellule, e sull’iden- tificazione di molecole nel tessuto per mezzo di metodiche di immunoistochimica. La diagnosi istologica rappresenta la valutazione più accurata possibile in relazione allo stato del- le conoscenze disponibili e all’accuratezza e sensibilità delle metodiche d’indagine. Ogni diagnosi è formulata per attri- buire un nome a una lesione e, quindi, per contribuire alla definizione del suo trattamento e della sua prognosi.

Le metodiche utilizzate per colorare i tessuti hanno tut- tavia limitazioni. Il tessuto viene fissato in formalina, disi- dratato in alcoli e xilene e immerso in paraffina. Ciascuno di questi passaggi può interferire con la conservazione del tessuto stesso. La qualità e la sensibilità delle colorazioni e le metodiche immunoistochimiche dipendono quindi dal- la conservazione delle molecole e dalla qualità dei reagenti utilizzati.

L’introduzione di nuove metodiche di indagine e il pro- gresso delle conoscenze che ne deriva condizionano la no- menclatura e stratificazione di questi tumori. In altre parole, le classificazioni cambiano con il progresso delle conoscen- ze e della tecnologia.

Cenni di storia

Le prime classificazioni dei tumori ipofisari si basavano sul- le caratteristiche tintoriali delle cellule neoplastiche con la colorazione ematossilina-eosina, la loro somiglianza con le cellule epiteliali dell’ipofisi anteriore normale e la correla- zione con il fenotipo clinico. I tumori ipofisari vennero co- sì inizialmente classificati in acidofili, associati ad acrome- galia, basofili, associati a malattia di Cushing, e cromofo- bi, associati a lesioni ormonalmente inattive. L’introduzio- ne della microscopia elettronica contribuì a una più accurata correlazione con il fenotipo clinico. L’identificazione dell’e- spressione ormonale all’esame immunoistochimico combi- nato con lo studio ultrastrutturale ha poi permesso la defini- zione di tipi e sottotipi tumorali tuttora in uso. La sensibilità degli anticorpi diretti verso gli ormoni ipofisari è migliorata nel corso degli anni, così come la qualità dei reagenti. Tutta- via, colorazioni tissutali aspecifiche hanno condotto a erro- nee interpretazioni delle caratteristiche patologiche tumora- li, interferendo nella loro classificazione. L’introduzione di anticorpi specifici per i fattori di trascrizione (FT) adenoipo- fisari ha migliorato l’accuratezza della diagnosi patologica [2,4].

La classificazione morfo-funzionale è riassunta nella Ta- bella 1. Una minoranza dei tumori adenoipofisari può es- sere difficile da classificare a causa delle caratteristiche microscopiche, dell’espressione di più ormoni o della co- espressione dei fattori di trascrizione. Gli oncocitomi costi- tuiscono una variante fenotipica caratterizzata dall’accumu- lo di mitocondri nel citoplasma e non devono essere con- siderati un’entità nosologica a sé stante. La maggior parte degli oncocitomi ipofisari appartengono, infatti, alla linea gonadotropa.

I fattori di trascrizione

I FT sono proteine che legano il DNA in siti specifici atti- vando o inibendo la trascrizione dell’RNA messaggero. Le metodiche di immunoistochimica evidenziano l’espressione di specifici FT nel nucleo delle cellule normali e tumorali.

La regolazione dei FT nelle cellule neoplastiche è dinami- ca, varia da tumore a tumore e può essere differente dalla regolazione nei tessuti normali. L’identificazione dei FT nei tessuti è influenzata dalla conservazione del tessuto stesso e dalla sensibilità degli anticorpi.

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Tabella 1 Lista schematica dei tipi e sottotipi di tumori adenoipofisa- ri raggruppati per linee differenziative. PRL, prolattina; GH , ormone della crescita; TSH, ormone tireostimolante; ACTH, ormone adrenocor-

ticotropo; FSH, ormone follicolo-stimolante; LH , ormone luteotropo;

SF1, fattore steroidogenico 1

Linea differenziativa

Tipo di tumore Sottotipo Immunofenotipo Fattore di

trascrizione

Linea PIT1 Lattotropo Densamente granulato PRL PIT1; recettore

estrogeno alfa

Sparsamente granulato PRL PIT1; recettore

estrogeno alfa

Somatotropo Densamente granulato PIT1

Sparsamente granulato PIT1

Mammosomatotropo

PIT1 immaturo GH/PRL/TSH

A cellule acidofile GH/PRL

Forme miste GH/PRL

Tireotropo TSH subunità beta PIT1

Subunità alfa

Linea TPIT Corticotropo Densamente granulato TPIT

Sparsamente granulato TPIT

Linea SF1 Gonadotropo FSH & LH subunità beta;

Subunità alfa

SF1, GATA3

Senza linea differenziativa Pluri-ormonale Tutte le possibili

combinazioni

Tutte le possibili combinazioni

A cellule nulle Nessuno Nessuno

Tumori multipli

Fig. 1 Le immagini rappresentano un tumore gonadotropo con aspetti oncocitari focali (asterisco) (a, ematossilina-eosina –×200); le cellule oncocitarie dimostrano intensa espressione nucleare nelle cellule cromofobe e debole o assente espressione di SF1 (asterisco) (b,

immunoperossidasi –×200);

l’espressione di GATA3 è mantenuta nelle due popolazioni (c, immunoperossidasi –×200)

Le conoscenze sulla regolazione dei FT nei tumori ipo- fisari umani sono ancora limitate. Non è infrequente osser- vare la perdita di espressione di SF1 in tumori gonadotro- pi, in particolare con aspetti oncocitari (Fig.1) o un’espres- sione debole e focale di TPIT in tumori corticotropi silen- ti. È anche possibile rilevare la co-espressione di FT come PIT1/SF1 e TPIT/SF1 in assenza degli ormoni normalmente derivanti da queste linee differenziative.

L’adenoipofisi origina dall’ectoderma orale, mentre la neuroipofisi dall’ectoderma neurale. L’organogenesi inizia durante la quarta settimana di gestazione con un ispessimen- to dell’ectoderma orale e la formazione della tasca di Rath- ke. Allo stesso tempo, la neuroipofisi si forma dal diencefa- lo ventrale. Le due strutture devono interagire per ottenere lo sviluppo completo della ghiandola. La tasca di Rathke si stacca dall’epitelio orale durante la sesta-ottava settimana e,

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Fig. 2 Questo esempio di tumore somatotropo silente è composto da acini e trabecole di cellule debolmente eosinofile (a, ematossilina-eosina –×200); le cellule neoplastiche dimostrano espressione nucleare di PIT1 (b, immunoperossidasi –×100);

alcune cellule esprimono SF1 (c, immunoperossidasi –×200) indicando una contemporanea differenziazione verso la linea gonadotropa

quindi, le cellule proliferano per formare il lobo anteriore.

Le cellule della parete posteriore della tasca di Rathke pro- liferano più lentamente, dando origine alle vestigia del lobo intermedio. La precisa coordinazione spazio-temporale e la regolazione dei segnali provenienti da entrambe le strutture è necessaria per lo sviluppo dell’ipofisi anteriore e la differen- ziazione delle popolazioni cellulari che producono ormoni [6,7].

I FT si dividono in fattori che regolano la formazione del primordio ipofisario e sono coinvolti nella sua formazio- ne e mantenimento, proteine che regolano lo sviluppo del- la tasca di Rathke e fattori che regolano la differenziazione cellulare [7].

La classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) pubblicata nel 2017 ha riaffermato l’impor- tanza dei FT che regolano la differenziazione terminale delle cellule dell’ipofisi anteriore. I tre FT principali sono PIT1 (POU1F1), TPIT (TBX19) e SF1 (NR5a1). Lo studio di espressione di GATA3 è molto utile nella diagnosi dei tumori gonadotropi.

Va sottolineato, però, che una diagnosi basata esclusiva- mente sui FT può essere fuorviante [2–4,8]. Un recente stu- dio di Neou e colleghi [9] ha fornito una descrizione geneti- ca ed epigenetica completa dei vari tipi e sottotipi dei tumo- ri neuroendocrini dell’ipofisi anteriore, tutti con un’accurata caratterizzazione clinica e patologica. Lo studio ha eviden- ziato la sovrapposizione delle linee differenziative e i limiti della corrente classificazione dimostrando, ad esempio, che il profilo molecolare dei tumori corticotropi silenti è simile ai tumori gonadotropi e l’espressione di SF1 in un gruppo di somatotropinomi che non presentano la mutazione GNAS (Fig.2). Lo studio di Neou e colleghi ha aperto nuovi oriz- zonti nell’interpretazione degli aspetti morfo-funzionali dei tumori neuroendocrini dell’ipofisi anteriore.

Studi precedenti hanno valutato FT essenziali alle prime fasi di sviluppo della ghiandola anteriore normale, quali PI- TX2 e SNAIL1, e correlato l’espressione con l’estensione

alle strutture parasellari e l’attività proliferativa, suggerendo che il livello di differenziazione delle cellule neoplastiche è rilevante per la prognosi [10].

Il concetto di tumore ipofisario a cellule nulle

La definizione originale di tumore ipofisario “a cellule nul- le” fu coniata da Kovacs e colleghi nel 1980 per descrivere neoplasie primitive dell’ipofisi anteriore che non esprime- vano ormoni ipofisari agli esami immunoistochimici né pre- sentavano granuli secretori alla microscopia elettronica [11].

Con questi criteri, circa il 20% dei tumori dell’adenoipofisi venivano diagnosticati come neoplasie a cellule nulle. Tut- tavia, dati sperimentali e l’introduzione nella pratica clinica dei FT hanno dimostrato che la maggioranza dei tumori a cellule nulle appartengono alla linea gonadotropa [4,12].

Il concetto di tumore a cellule nulle è stato rivisitato nella classificazione OMS del 2017. Questi tumori sono stati defi- niti immunonegativi per sottolineare il fatto che l’assenza di ormoni può dipendere da artefatti tecnici o dal limite delle metodiche immunoistochimiche.

La definizione corrente include l’assenza di ormoni e FT in un tumore ipofisario che dimostra l’evidenza di differen- ziazione epiteliale e neuroendocrina identificata con le co- lorazioni per citocheratina e cromogranina e/o sinaptofisina.

L’incidenza della diagnosi di tumori ipofisari a cellule nulle è circa dello 0,6% [2].

Gli autori di questa revisione suggeriscono un approc- cio critico alla diagnosi di tumore ipofisario a cellule nul- le e consigliano agli endocrinologi curanti di discutere il caso con il patologo di riferimento. In caso di tumori im- munonegativi per ormoni e fattori di trascrizione ipofisari è infatti cruciale che tumori non-neuroendocrini primitivi o metastatici dell’ipofisi vengano presi in considerazione nella diagnosi differenziale.

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Le neoplasie clinicamente silenti

Circa il 10% delle neoplasie endocrine dell’adenoipofisi esprimono uno o più ormoni e FT ma non causano una sin- drome da ipersecrezione endocrina. Tutte le neoplasie fun- zionanti hanno una controparte silente. I tumori clinicamen- te silenti si presentano con segni e sintomi da compressio- ne ma, occasionalmente, possono progredire in una forma funzionante. Può anche accadere che un tumore funzionan- te recidivi come tumore silente. Il gruppo dei tumori silenti include le neoplasie corticotrope, somatotrope, tireotrope e lattotrope. I tumori gonadotropi sono molto spesso clinica- mente inattivi ma non vengono convenzionalmente inclusi tra i tumori silenti [12].

Corticotropi silenti

I tumori corticotropi silenti non causano malattia di Cu- shing. Rappresentano il 3–6% dei tumori dell’adenoipofisi.

I veri silenti non alterano la normale dinamica del cortisolo, mentre altri sono associati a un incremento di ACTH e valo- ri anomali di cortisolo ma rimangono clinicamente inattivi.

Circa il 20–30% dei pazienti con corticotropi silenti presenta insufficienza surrenalica postoperatoria, indicando che que- sti tumori possono secernere sufficiente ACTH per soppri- mere la secrezione di ACTH delle cellule corticotrope nor- mali. I corticotropi-silenti si presentano di solito come “ma- cro” e spesso mostrano componenti cistiche ed emorragiche evidenti alla risonanza magnetica nelle sequenze T2-pesate.

Queste caratteristiche correlano con un’architettura micro- scopica pseudo-papillare. I tumori corticotropi silenti sono suddivisi in tipo 1 (densamente granulati) e tipo 2 (scarsa- mente granulati). I tumori di tipo 1 sono indistinguibili dai tumori che causano malattia di Cushing mentre i tipo 2 sono composti da cellule cromofobe, una minoranza delle quali esprime ACTH. La diagnosi istologica può essere difficile e si basa sulla localizzazione perinucleare delle citocheratine e sull’espressione di TPIT. Tuttavia, TPIT può essere debo- le e focale nei tipo 2. Alcuni corticotropi silenti esprimono GATA3. Sono stati descritti anche tumori silenti a cellule di Crooke.

Non è chiaro perché questi tumori non causino segni e sintomi da ipersecrezione di ACTH. È stata proposta una derivazione dalle cellule produttrici di proopiomelanocorti- na (POMC) nella pars intermedia; alcuni studi altri hanno dimostrato la produzione di ACTH ad alto peso molecolare, che potrebbe competere con il legame dell’ACTH normale al suo recettore. L’ipotesi più probabile è che ci sia accre- ditata suggerisce un difetto di processazione della POMC dovuto all’inattivazione dell’enzima pro-ormone convertasi 1/3 (PC1/3). È anche interessante come questi tumori possa- no evolvere e causare la malattia di Cushing dopo anni di at- tività. L’evidenza di un cambio di espressione di PC1/3 dalla

forma silente alla forma funzionante conferma la rilevanza patogenetica dell’inattivazione di PC1/3 [12].

I dati sul comportamento clinico dei tumori corticotropi silenti sono discordanti. Alcuni studi hanno suggerito un’in- cidenza di recidiva più elevata rispetto agli altri tipi di tumo- re che non esprimono ACTH e ai tumori gonadotropi clini- camente inattivi. Altri studi non hanno dimostrato una diffe- renza nella prognosi e nella risposta al trattamento postope- ratorio. Va detto che i criteri clinici e biochimici usati per la definizione di tumore corticotropo silente non sono sempre rigorosi, il che risulta nell’inclusione negli studi di tumori attivi ma con sindromi subcliniche.

Somatotropi silenti

Gli adenomi somatotropi silenti sono tumori immunoreat- tivi per GH che non causano acromegalia. Rappresentano circa il 2–4% di tutti i tumori adenoipofisari, sono più fre- quenti nelle donne e sono più spesso sparsamente granulati.

I livelli preoperatori di GH e IGF-1 sono di solito norma- li; di solito normali e solo raramente elevati. Il meccanismo associato alla loro ridotta capacità secretoria di GH è sco- nosciuto. Alcuni pazienti sviluppano acromegalia nel corso della malattia.

Tireotropi silenti

I tumori tireotropi rappresentano circa il 3,5% delle neo- plasie ipofisarie. La maggioranza sono clinicamente silenti.

Oltre il 50% presenta estensione extra-sellare e si manife- sta con segni e sintomi da compressione. Istologicamente, le forme silenti e le forme attive sono indistinguibili. I tu- mori endocrinologicamente attivi possono causare un iperti- roidismo lieve e possono, quindi, essere confusi con forme silenti. Il 30% circa può recidivare senza presentare aspet- ti istologici di aggressività. Come le forme attive, i tumori tireotropi silenti esprimono recettori per la somatostatina e rispondono al trattamento medico con analoghi.

Lattotropi silenti

I prolattinomi silenti sono rari, con una prevalenza dell’1,65% di tutti i tumori silenti. La maggior parte appar- tengono al sottotipo scarsamente granulato. Circa la metà dei tumori incidentali e asintomatici identificati negli studi autoptici esprimono prolattina.

Tumori pluri-ormonali e concetto di transdifferenziazione

I tumori pluri-ormonali sono considerati tumori immuno- reattivi per due o più ormoni che appartengono a linee

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Fig. 3 Esempio di tumore pluri-ormonale inattivo; l’immagine coro- nale T1-pesata senza mezzo di contrasto dimostra una lesione intra- e soprasellare senza estensione ai seni cavernosi (a); la neoplasia è com- posta da acini di cellule con citoplasma vacuolizzato (b, ematossilina- eosina – ×100; c, ematossilina-eosina – ×200); alcune le cellule

tumorali esprimono prolattina (d, immunoperossidasi –×100); l’e- spressione nucleare di PIT1 è ubiquitaria (e, immunoperossidasi –

×100); la maggioranza delle cellule neoplastiche si colorano per FSH subunità beta (f, immunoperossidasi –×100)

differenziative diverse, ad esempio GH/PIT1 e FSH/SF1 o ACTH/TPIT e FSH/SF1 (Fig.3). I criteri classificativi dei tumori pluri-ormonali sono ancora poco definiti e non c’è accordo sul numero minimo di cellule che esprimono diver- si ormoni e se la sola espressione di diversi FT sia sufficien- te a definire un tumore pluri-ormonale. Il gruppo europeo di patologia ipofisaria ha suggerito come cutoff il 10% di cellule positive, escludendo le cellule dell’ipofisi normale intrappolate nel tumore [3]. È anche importante che cellu- le dell’ipofisi normale intrappolate nel tumore non vengano considerate come evidenza di pluri-ormonalità. Se accura- tamente definiti, i tumori adenoipofisari pluri-ormonali so- no rari, rappresentando circa lo 0,5% di tutte le neoplasie dell’ipofisi anteriore.

Un accenno separato è necessario per i tumori PIT1 pluri- ormonali. Descritti originariamente come adenomi silenti di tipo III, i tumori pluri-ormonali che esprimono PIT1 sono neoplasie che dimostrano un’intensa espressione nucleare di PIT1. Le forme immature non necessariamente esprimono GH, PRL e TSH. La classificazione si basa sulle caratte- ristiche ultrastrutturali, come la presenza di sferoidi, sugli aspetti istologici e sull’immunofenotipo. Circa il 70% sono clinicamente silenti mentre il rimanente 30% causa incre- mento di GH, PRL e, occasionalmente, TSH. L’evidenza che i tumori pluri-ormonali PIT1 siano aggressivi non è conclu- siva. Studi più accurati su casistiche più numerose sono ne- cessari per chiarire ulteriormente la classificazione di queste neoplasie [4].

È interessante notare che le cellule normali dell’ipofi- si anteriore in condizioni fisiologiche e le cellule neopla- stiche possono transdifferenziare. In altre parole, le cellu- le della linea differenziativa PIT1 posso cambiare fenotipo

e passare dalla produzione di un ormone a un altro, così dimostrando la plasticità dell’adenoipofisi e sottolineando che le difficoltà classificative sono dovute a tale plasticità funzionale [2].

La definizione di tumore aggressivo

L’incidenza dei tumori ipofisari aggressivi è difficile da de- terminare ma è stimata intorno al 10% delle serie chirurgi- che. La definizione di tumore aggressivo deve integrare le caratteristiche cliniche e istologiche della lesione [13].

Il termine di “adenoma a comportamento clinico incer- to”, contratto in “adenoma atipico”, fu coniato nel 1997 [14]

per definire tumori invasivi e potenzialmente aggressivi. La definizione includeva la presenza di mitosi, un Ki-67 uguale o maggiore al 3% e la presenza di cellule neoplastiche con intensa espressione nucleare di p53. La definizione di ade- noma atipico è stata rimossa dalla classificazione OMS del 2017, adducendo la sua scarsa riproducibilità e ha scelto la definizione “tumore ad alto rischio”, senza però definire il ri- schio in relazione a invasione, istotipo e attività proliferativa [15].

Le linee guida della Società Europea di Endocrinologia definiscono i tumori aggressivi come neoplasie invasive, a rapida crescita e che non rispondono al trattamento medi- co, chirurgico e radioterapico e presentano recidive multiple [16]. La valutazione della velocità di crescita prima dell’in- tervento chirurgico è raramente documentata e non è chia- ramente definita dalle linee guida. L’invasione delle struttu- re parasellari è un importante fattore prognostico del tipo e

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sottotipo di tumore ma non è da sola sufficiente per definir- ne l’aggressività. L’inclusione dell’invasione in una classifi- cazione patologica dei tumori ipofisari rimane controversa, in quanto numerosi patologi sostengono che è problemati- co commentare le immagini di risonanza magnetica. Inol- tre, le prove di invasione possono raramente essere viste al microscopio.

Lo studio di Trouillas e collaboratori su una serie di ol- tre 400 tumori [4], validato successivamente da altri autori su un totale di quasi 2000 casi [4,14], ha dimostrato che la valutazione istologica è rilevante per la definizione di tumo- re aggressivo. Questa classificazione combina la presenza di invasione con la risonanza magnetica preoperatoria, la va- lutazione intraoperatoria e istologica, e l’attività proliferati- va riscontrata misurando l’attività mitotica (maggiore di 2 per 0,4 mm2) e i valori di Ki-67 (maggiore del 3%). Questo approccio include la p53; tuttavia, il suo valore prognosti- co non è stato confermato. I tumori sono stati classificati in cinque gradi: grado 1a (tumore non invasivo con attività pro- liferativa bassa), grado 1b (tumore non invasivo con attivi- tà proliferativa alta), grado 2a (tumore invasivo con attività proliferativa bassa), grado 2b (tumore invasivo con attività proliferativa alta) e grado 3 (tumore metastatico). Il rischio di recidiva e/o progressione dei tumori 2b è 12 volte supe- riore rispetto ai tumori di grado 1a, 8 anni dopo l’interven- to chirurgico. Il 10% dei tumori di grado 2b ha progredito con metastasi a distanza. Valori di Ki-67 uguali o superiori a 10% sono frequenti in tumori che disseminano a distanza.

La definizione di carcinoma richiede la presenza di meta- stasi nell’asse craniospinale e a distanza. La loro frequenza è di circa 0,1–0,4% dei tumori ipofisari. Tutti i carcinomi de- scritti finora sono evoluti da un tumore invasivo. I carcinomi a secrezione di prolattina e i corticotropi sono i più frequen- ti. Non esistono criteri istologici per diagnosticare un poten- ziale carcinoma ipofisario sui tumori primari, ma numerose mitosi e Ki-67 superiori al 10% dovrebbero allertare sulla possibilità di un possibile comportamento aggressivo.

Alcuni autori considerano alcuni tipi e sottotipi intrinse- camente aggressivi, come i prolattinomi nei maschi, i tumori della linea PIT1 prima definiti silenti di tipo 3, i tumori cor- ticotropi a cellule di Crooke, i tumori corticotropi silenti e i tumori lattotropi a cellule acidofile. A parte i prolattinomi nei giovani maschi, l’evidenza di una maggiore aggressività degli altri istotipi è ancora limitata e l’impatto prognosti- co dell’istotipo nel predire la risposta al trattamento non è ampiamente accettato [4]. Ad esempio, una recente meta- analisi non ha dimostrato un comportamento più aggressivo dei tumori corticotropi silenti nonostante il fatto che si pre- sentino come tumori grandi e invasivi [17]. Non ci sono pro- ve conclusive che i tumori a cellule di Crooke siano intrin- secamente più aggressivi. È pertanto consigliabile valutare gli aspetti clinici e radiologici prima di consigliare una ra- dioterapia postoperatoria unicamente sulla base del referto istologico [3,4].

Evoluzione della nomenclatura

Per decenni, i tumori endocrini dell’ipofisi anteriore sono stati definiti con il termine di “adenoma” con l’intenzione di enfatizzare il loro comportamento biologico benigno. L’u- so del termine adenoma è continuato nel tempo nonostante l’evidenza che i tumori ipofisari frequentemente invadono le strutture parasellari, nonostante la loro morbidità, l’inciden- za delle recidive e nonostante la disseminazione metastatica in rari casi.

Nel 2017, i membri del club internazionale di patolo- gia ipofisaria hanno proposto di sostituire il termine ade- noma con “tumore neuroendocrino dell’ipofisi” (pituitary neuroendocrine tumour, PitNET) [18]. Il cambio di nomen- clatura era inteso a sottolineare l’incongruenza tra il com- portamento dei tumori ipofisari e la definizione di adeno- ma, che indica un tumore ghiandolare benigno, non invasi- vo, che non causa effetti negativi al paziente. Il termine Pit- NET è stato supportato successivamente dal gruppo europeo di patologia ipofisaria. La scelta del termine “tumore” inve- ce di “neoplasia” fu giustificata dall’etimologia della paro- la stessa, che significa “tumefazione”, e dalla connotazione aspecifica del termine, che non implica alcuna accezione di benignità o aggressività [2, 18]. Era opinione dei patologi ipofisari che il termine PitNET rifletta più accuratamente la variabilità del comportamento clinico e biologico dei tumori ipofisari.

L’anno successivo, l’Agenzia Internazionale per la Ri- cerca sul Cancro ha pubblicato i risultati di un consensus di esperti [19] rivolto a unificare le terminologie e i criteri classificativi delle neoplasie neuroendocrine di tutto l’orga- nismo, pur tenendo conto delle differenze organo-specifiche dei criteri di classificazione, della biologia tumorale e dei fattori prognostici. La conclusione di questo consensus di esperti fu che il termine PitNET fosse più appropriato di ade- noma e che PitNET fosse in linea con l’idea di armonizzare la classificazione dei tumori neuroendocrini.

Molti endocrinologi e neurochirurghi hanno criticato il termine PitNET, sostenendo che la definizione di “tumore”

abbia una connotazione negativa che implica un comporta- mento clinico aggressivo, causando eccessiva preoccupazio- ne nei pazienti. Tale opinione non ha però considerato che

“adenoma”, in patologia, è per definizione una lesione che non invade e non recidiva.

Due anni circa dopo la proposta dei patologi ipofisari, la Pituitary Society ha contestato la scelta del termine PitNET e costituito un panel internazionale di esperti (Panomen) per la revisione della nomenclatura delle neoplasie adenoipofi- sarie. Il lavoro di Panomen è culminato in una pubblicazione che riassume i punti essenziali della controversia [20].

Panomen ha concluso che non ci sia ancora sufficien- te evidenza in favore dell’adozione del termine PitNET. I componenti del forum ammettono che una continua revisio- ne della nomenclatura sarà necessaria quando emergeranno

(8)

nuove evidenze. Allo stato attuale, il consensus di Panomen ha suggerito che PitNET implica una connotazione di tu- more aggressivo che può condizionare la percezione dei pa- zienti. Nell’opinione dei componenti di Panomen, il termi- ne PitNET non offre vantaggi sul termine “adenoma” nella definizione delle neoplasie endocrine dell’ipofisi anteriore e della loro stratificazione.

Allo stato attuale, la scelta della nomenclatura nell’atti- vità clinica rimane a discrezione di ognuno, purché il signi- ficato dei termini venga spiegato chiaramente ai pazienti.

Standardizzazione dei referti istopatologici

Il gruppo europeo di patologia ipofisaria e altri gruppi han- no recentemente proposto una standardizzazione dei referti istologici [3,21]. Questo gruppo suggerisce una prima valu- tazione dell’espressione degli ormoni ipofisari, seguita dalla valutazione dei FT, in particolare per tumori che non espri- mono ormoni, quelli che contengono solo isolate cellule po- sitive per un ormone e i casi che dimostrano espressione di due o più ormoni.

La reazione immunoistochimica per le citocheratine a basso peso molecolare è consigliata per la definizione dei sottotipi dei tumori somatotropi e la conferma della diagno- si di tumore corticotropo quando l’espressione dell’ACTH sia debole.

Per i tumori immunonegativi, la natura neuroendocrina della lesione deve essere confermata con le immunoreazio- ni per cromogranina A e sinaptofisina. Altri marcatori co- me TTF-1, proteina S100, neurofilamenti, serotonina sono utili per escludere tumori primitivi non-neuroendocrini del- la sella o metastasi sellari da tumori neuroendocrini di altre sedi.

Il referto deve tenere in considerazione la classificazione morfologica, l’immunoprofilo, l’indice di proliferazione e la stratificazione proposta dal gruppo francese.

In casi selezionati, indagini immunoistochimiche posso- no essere condotte per la valutazione di ARTX, menina e succinato deidrogenasi A e B. La colorazione immunoisto- chimica per AIP non è raccomandata per la scarsa specificità degli anticorpi.

Conclusione

In conclusione, gli autori di questa rassegna suggeriscono che la classificazione morfologica, molecolare e funzionale delle neoplasie ipofisarie umane è ancora incompleta. L’in- troduzione della valutazione su tessuto dei FT delle tre li- nee differenziative ha certamente migliorato l’accuratezza diagnostica ma ha anche rivelato la complessità funzionale dell’ipofisi anteriore e delle sue neoplasie e ha aperto nuovi orizzonti di studio.

Informazioni Supplementari La versione online contiene materia- le supplementare disponibile suhttps://doi.org/10.1007/s40619-022- 01039-y.

Dichiarazioni etiche

Conflitto di interesse Gli autori Federico Roncaroli e Carmine Antonio Donofrio dichiarano di non avere conflitti d’interesse.

Consenso informato Lo studio presentato in questo articolo non ha richiesto sperimentazione umana.

Studi sugli animali Gli autori di questo articolo non hanno eseguito studi sugli animali.

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