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Riconnessione a scala elettronica in un plasma turbolento

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Academic year: 2021

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Tesi di Laurea

Riconnessione elettronica in un

plasma turbolento

Candidato:

Relatore:

Giuseppe Arrò

Prof. Francesco Califano

(2)
(3)

1 Introduzione 5

2 Fisica del plasma 9

2.1 Modello cinetico per il plasma . . . 9

2.1.1 Collisioni nel plasma . . . 12

2.1.2 Sistema Vlasov-Maxwell . . . 13

2.2 Modello a più fluidi per il plasma . . . 14

2.3 Modello a singolo fluido per il plasma . . . 17

2.3.1 Approssimazione MHD per il plasma . . . 19

3 Riconnessione magnetica 27 3.1 Teorema di connessione . . . 27

3.2 Conservazione del flusso di campo magnetico . . . 29

3.3 Riconnessione e legge di Ohm . . . 30

3.4 Riconnessione resistiva . . . 32

3.4.1 Instabilità di tipo tearing . . . 33

3.4.2 Formazione e crescita delle isole magnetiche . . . 46

3.5 Riconnessione non collisionale . . . 50

3.5.1 Termine inerziale e flusso generalizzato . . . 51

3.5.2 Termine di Hall e riconnessione veloce . . . 53

3.5.3 Quadrupolo magnetico di Hall . . . 55

4 Turbolenza 67 4.1 Simmetrie e descrizione statistica della turbolenza . . . 68

4.2 Teoria di Kolmogorov K41 . . . 72

4.3 Intermittenza e modello β . . . 76

4.4 Estensioni del modello β . . . 78

4.5 Funzioni di struttura ed intermittenza . . . 80

5 Simulazione numerica 81 5.1 Modello Vlasov-Maxwell ibrido . . . 81

(4)

5.2 Geometria 2D-3V dimensionale . . . 85

5.3 Specifiche della simulazione e condizioni iniziali . . . 86

5.3.1 Perturbazioni iniziali del campo magnetico . . . 88

6 Risultati numerici 91 6.1 Strutture a piccola scala in turbolenza . . . 91

6.1.1 Formazione degli strati di corrente . . . 92

6.2 Analisi degli eventi di riconnessione . . . 96

6.2.1 Riconnessione in ambiente turbolento . . . 100

6.2.2 Riconnessione elettronica . . . 110

6.3 Proprietà statistiche della cascata turbolenta . . . 120

6.3.1 Intermittenza in un plasma turbolento . . . 121

(5)

Introduzione

Il problema della riconnessione magnetica in un plasma riguarda una grande varietà di fenomeni in cui la topologia delle linee di forza del campo magne-tico viene modificata [1]. Questi processi svolgono un ruolo di fondamentale importanza sia in situazioni di interesse astrofisico che nell’ambito dei plasmi di laboratorio in quanto una modifica della topologia del campo magnetico ha forti ripercussioni sulla traiettoria delle particelle presenti nel sistema e quindi sui fenomeni di trasporto. Inoltre, la transizione topologica da una configurazione magnetica ad un’altra comporta una diminuzione di energia magnetica e questo difetto energetico viene convertito in energia cinetica del plasma (le particelle vengono accelerate) o in energia interna (il plasma viene riscaldato).

La riconnessione magnetica viene spesso studiata in contesti semplificati, caratterizzati da geometrie e condizioni al contorno specifiche [1, 2]. Tuttavia, in linea di principio questi fenomeni possono verificarsi in svariati ambienti in cui si vengono a creare le condizioni dinamiche adatte. Per esempio, la riconnessione magnetica ha un ruolo molto importante nello sviluppo del-la dinamica turbolenta in un pdel-lasma, in particodel-lare per quanto concerne il trasporto dell’energia verso le piccole scale [3, 4, 5]. Inoltre, i fenomeni di riconnessione che hanno luogo in un ambiente turbolento non sono influen-zati da geometrie o condizioni al contorno particolari e quindi il loro studio permette di ottenere informazioni più generali riguardanti questi processi. Sistemi come il vento solare e la magnetosfera terrestre rappresentano un laboratorio naturale per lo studio dei fenomeni di riconnessione in ambiente turbolento, accessibile grazie a misure satellitari dirette.

Data la complessità del problema, non esiste ancora un modello teorico in grado di descrivere completamente il ruolo della riconnessione magnetica in un plasma turbolento e per tale ragione questo problema viene affrontato per mezzo di simulazioni numeriche che si basano su differenti modelli

(6)

rici. Tuttavia, anche questo approccio non è esente da limitazioni legate al costo computazionale richiesto per simulare l’evoluzione di un plasma in re-gime turbolento e per questo motivo lo studio numerico della turbolenza nel plasma riguarda spesso situazioni a dimensionalità ridotta e soggette a varie approssimazioni che rappresentano un buon compromesso tra le attuali capa-cità computazionali disponibili e gli aspetti fisici fondamentali dei fenomeni studiati.

In questo lavoro di tesi sono stati analizzati i risultati prodotti da due simulazioni di un plasma in regime turbolento effettuate per mezzo di un co-dice euleriano Vlasov-Maxwell ibrido (HVM) 2D-3V dimensionale che tratta gli elettroni come un fluido isotermo e gli ioni a livello cinetico [6]. La prima simulazione è stata realizzata allo scopo di studiare la dinamica turbolenta del plasma, facendo particolare attenzione al ruolo della riconnessione nello sviluppo della cascata turbolenta di energia dalle grandi scale fino a scale subioniche. Per questa ragione la simulazione è stata inizializzata utiliz-zando delle perturbazioni iniziali a scale molto più grandi delle scale dina-miche tipiche degli ioni. La seconda simulazione è stata invece realizzata in seguito a delle recenti misure effettuate dai satelliti della missione spa-ziale MMS nella magnetoguaina terrestre che hanno rivelato la presenza di fenomeni di riconnessione dalle caratteristiche inusuali in cui il processo è gestito esclusivamente dagli elettroni mentre gli ioni restano demagnetizzati [7]. Questi processi sono stati indicati con il nome di riconnessione elettro-nica ("electron-only reconnection events"). La dinamica di questi fenomeni è molto diversa dalla tipica modalità di riconnessione in cui sia gli elettroni sia gli ioni prendono parte al trasporto e alla diffusione delle linee di forza del campo magnetico. Da un punto di vista qualitativo, lo sviluppo di questi processi di riconnessione esclusivamente elettronica suggerisce la presenza di qualche meccanismo, per esempio una instabilità, in grado di provocare un accumulo di energia magnetica direttamente a scale confrontabili con le scale ioniche caratteristiche quali la lunghezza di pelle ionica o il raggio di Larmor ionico. Infatti, su queste scale gli ioni si disaccoppiano dal campo magnetico e la dinamica diventa essenzialmente elettronica. Per questa ragione la se-conda simulazione è stata inizializzata utilizzando delle perturbazioni iniziali di grande ampiezza a scale prossime a quelle ioniche. E’ stato osservato che in queste condizioni la dinamica turbolenta da vita a numerosi strati di cor-rente in cui si sviluppano fenomeni di riconnessione elettronica che mostrano le stesse caratteristiche degli eventi di riconnessione rivelati dai satelliti di MMS. Questi risultati sono stati confrontati con quelli ottenuti della prima simulazione, in cui la riconnessione procede nel modo canonico, allo scopo di individuare eventuali differenze nella cascata turbolenta dei due sistemi, dovute allo sviluppo di due diverse modalità di riconnessione.

(7)

ne alla fisica del plasma ed ai modelli utilizzati per descrivere il plasma in vari regimi dinamici. Nel capitolo 3 il problema della riconnessione viene presentato e discusso in dettaglio. Il capitolo 4 introduce alcuni concetti e strumenti utilizzati nello studio della turbolenza, in particolare le funzioni di struttura. Il capitolo 5 è dedicato alla descrizione del modello implementato nel codice numerico e nel capitolo 6 vengono presentati e discussi i risultati prodotti dalle due simulazioni considerate. Il capitolo finale costituisce un resoconto dei risultati ottenuti e dei possibili lavori futuri.

(8)
(9)

Fisica del plasma

Un plasma è sostanzialmente un sistema formato da un elevatissimo nume-ro di particelle cariche, le cui pnume-roprietà sono determinate dall’interazione elettromagnetica tra i suoi costituenti.

Nella maggior parte dei casi è possibile trattare il plasma come un sistema classico, assunzione valida se la lunghezza d’onda di De Broglie delle particelle è molto minore della distanza media tra esse rm= n−

1

3, in cui n è la densità

di particelle.

2.1

Modello cinetico per il plasma

La descrizione esatta della dinamica del plasma può essere fornita risolven-do le equazioni del moto per ogni particella che lo compone, insieme alle equazioni di Maxwell che descrivono l’evoluzione dei campi elettromagnetici generati dalle particelle stesse. Ovviamente, avendo a che fare con un nume-ro enorme di particelle, questo pnume-roblema non può essere affnume-rontato nemmeno utilizzando i più potenti supercalcolatori disponibili e perciò è necessario ri-correre ad una descrizione statistica in cui lo stato del sistema è specificato da una distribuzione di probabilità che dipende dalle coordinate spaziali, dal-le velocità di tutte dal-le particeldal-le e dal tempo. Per un sistema formato da N particelle tale distribuzione viene indicata con F (r1, ..., rN, v1, ..., vN, t).

L’equazione di evoluzione per F può essere ricavata a partire da due semplici e ragionevoli ipotesi. La prima è che l’evoluzione del sistema conservi il numero di particelle, ovvero che a ogni istante l’integrale normalizzato di F sull’intero spazio delle fasi sia sempre pari a 1, la seconda consiste nell’assumere che il sistema sia Hamiltoniano, ovvero che la dinamica delle particelle rispetti le equazioni di Hamilton. Utilizzando la prima ipotesi è possibile ricavare un’equazione di continuità per F nello spazio delle fasi

(10)

mentre la seconda implica che i volumi nello spazio delle fasi si conservino durante l’evoluzione del sistema (risultato noto con il nome di Teorema di Liouville [8]) e mettendo assieme questi due risultati si ottiene l’equazione di evoluzione per la funzione di distribuzione [9]:

dF dt = ∂F ∂t + N X i=1  vi· ∂F ∂xi + aTi · ∂F ∂vi  = 0 (2.1)

nota con il nome di equazione di Liouville in cui aTi rappresenta l’accele-razione totale dell’i-esima particella e comprende sia il contributo dovuto all’interazione con le altre particelle che un eventuale contributo dovuto alla presenza di campi esterni.

Pur avendo optato per una descrizione statistica del sistema, l’equazione 2.1 resta comunque impossibile da risolvere in quanto dipende da un numero elevatissimo di variabili (tutte le coordinate e le velocità delle N particelle) e quindi occorre semplificare ulteriormente il problema. Per fare questo, si ricorre ad una descrizione ridotta in cui si considera soltanto la funzione di distribuzione per una particella, indicata con fα(1)(x, v, t), definita come

l’integrale della funzione di distribuzione per N particelle sulle posizioni e sulle velocità delle restanti N −1 particelle:

fα(1)(x, v, t) = V Z

dx2...dxNdv2...dvNF (r1, ..., rN, v1, ..., vN, t) (2.2)

in cui α indica la specie della particella, ovvero se è un elettrone o uno ione di qualsiasi tipo, mentre V indica il volume del sistema.

Integrando l’equazione di Liouville sui gradi di libertà di N −1 particelle e sfruttando il fatto che F si annulla agli estremi del dominio di integrazione (altrimenti non sarebbe normalizzabile) è possibile ottenere l’equazione di evoluzione per la funzione di distribuzione ad una particella fα(1)(x, v, t):

∂fα(1) ∂t + vα· ∂fα(1) ∂xα + aextα ·∂f (1) α ∂vα +X β ¯ nβ Z dxβdvβaαβ· ∂fαβ(2) ∂vα = 0 (2.3)

in cui β è un secondo indice di specie, ¯nβ è la densità numerica media di

particelle di specie β (pari al rapporto tra il numero di particelle di quella specie e il volume totale del sistema), aextα è l’accelerazione della particella di specie α dovuta ai campi esterni, aαβ è l’accelerazione della particella di specie

(11)

αβ α β α β

è la funzione di distribuzione per due particelle, definita come l’integrale di F sui gradi di libertà di N −2 particelle:

fαβ(2)(xα, xβ, vα, vβ, t) = V2

Z

dx3...dxNdv3...dvNF (r1, ..., rN, v1, ..., vN, t)

(2.4) L’equazione 2.3 permette di calcolare fα(1) solamente se si conosce fαβ(2)

e per tale motivo occorre un’altra equazione per quest’ultima funzione di distribuzione che a sua volta dipenderà dalla funzione di distribuzione a tre particelle e così via.

Affrontare il problema in questi termini non costituisce un passo avanti ri-spetto al risolvere l’equazione 2.1 e per giungere ad una descrizione che possa rivelarsi più utile dal punto di vista analitico e numerico occorre introdurre una relazione di chiusura per l’equazione 2.3, ovvero una relazione che leghi fα(1) ad fαβ(2) e che permetta di considerare solamente l’equazione 2.3 per la

funzione di distribuzione ad una particella.

Per stabilire un legame tra fα(1) ed fαβ(2), bisogna introdurre la funzione di

correlazione per due particelle Pαβ(xα, xβ, vα, vβ, t), definita dalla relazione:

fαβ(2)(xα, xβ, vα, vβ, t) = fα(1)(xα, vα, t)f (1)

β (xβ, vβ, t)[1 + Pαβ(xα, xβ, vα, vβ, t)]

(2.5) Utilizzando questa relazione nell’equazione 2.3 si ottiene:

∂fα(1) ∂t + vα· ∂fα(1) ∂xα + aextα · ∂f (1) α ∂vα +X β ¯ nβ Z dxβdvβf (1) β aαβ· ∂fα(1) ∂vα = = −X β ¯ nβ Z dxβdvβaαβ · ∂ ∂vα [fα(1)fβ(1)Pαβ] (2.6)

in cui il terzo addendo al primo membro può essere riscritto come: " X β Z dxβdvβn¯βf (1) β aαβ # · ∂f (1) α ∂vα = haαβi · ∂fα(1) ∂vα (2.7)

(12)

con haαβi che rappresenta l’accelerazione media della particella α dovuta

all’interazione con tutte le altre particelle del sistema.

Indicando con aα = haαβi + aextα l’accelerazione totale della particella di

specie α, l’equazione 2.6 diventa:

∂fα(1) ∂t +vα· ∂fα(1) ∂xα +aα· ∂fα(1) ∂vα = −X β ¯ nβ Z dxβdvβaαβ· ∂ ∂vα [fα(1)fβ(1)Pαβ] (2.8)

Il termine al secondo membro dell’equazione 2.8 rappresenta la variazione di fα(1) dovuta alle collisioni binarie tra i costituenti del plasma in quanto è

legato proprio a Pαβ che indica la correlazione tra due particelle, la quale

è non nulla nel momento in cui esse interagiscono mentre è pari a zero in assenza di interazioni ed in tal caso la dinamica di una non viene influen-zata dalla dinamica dell’altra (se Pαβ = 0 le particelle sono statisticamente

indipendenti come è possibile osservare dalla relazione 2.5). Per tale ragione questo termine viene indicato con il nome di integrale collisionale.

2.1.1

Collisioni nel plasma

A differenza dell’equazione di Liouville, l’equazione 2.8 può essere risolta in opportune condizioni ma presenta ancora una forte difficoltà relativa al fatto che occorre conoscere Pαβ per poter calcolare f

(1) α .

Nel caso di un plasma è possibile dimostrare [9] che, almeno in equilibrio termodinamico, Pαβ è dell’ordine del parametro di plasma g, una quantità

adimensionale che fornisce un gran numero di informazioni riguardanti il sistema, definito come:

g = 1 nλ3 D ∼ νc ωpe (2.9)

in cui n è la densità numerica media di particelle nel sistema, λD =

q

T 4πe2n

è la lunghezza di Debye (dove T è la temperatura del plasma ed e la carica dell’elettrone) che rappresenta la distanza tipica entro cui il potenziale elet-trico di una carica è schermato dalla presenza delle cariche vicine, ωpe =

vth,e

λD

è la frequenza di plasma elettronica (in cui vth,e =

q

T

me è la velocità termica

degli elettroni ed me è la loro massa) e νc= ne

4 T32m 1 2 e è la frequenza di collisione tra i costituenti del sistema.

(13)

frequenza di collisione νcè molto minore della frequenza di plasma elettronica

ωpe (il cui inverso indica la scala dei tempi caratteristica di molti fenomeni

che avvengono nel sistema), ovvero che il numero di particelle nella sfera di Debye, dato da nλ3

D, è molto elevato (cioè la carica delle singole particelle

è ben schermata dalle altre). Per questo motivo, nella maggior parte dei casi le collisioni binarie non sono importanti nel determinare le proprietà del plasma sulla scala dei tempi di gran parte dei fenomeni caratteristici che lo riguardano.

E’ quindi possibile trascurare l’integrale collisionale nell’equazione 2.8 che perciò diventa: ∂fα(1) ∂t + vα· ∂fα(1) ∂xα + aα· ∂fα(1) ∂vα = 0 (2.10)

nota come equazione di Vlasov.

2.1.2

Sistema Vlasov-Maxwell

Le interazioni tra i costituenti del plasma sono di natura elettromagnetica ed escludendo forze esterne di altra natura (per esempio forze gravitazionali), l’accelerazione della particella di specie α può essere scritta come:

aα = qα mα  E + 1 cvα∧ B  (2.11)

in cui qα ed mα sono rispettivamente la carica e la massa della particella di

specie α mentre E e B sono i campi elettrico e magnetico medi generati dalle particelle presenti nel plasma (più l’eventuale contributo di campi esterni).

A questo punto è possibile fornire una descrizione completa della dinamica del plasma, nel limite non collisionale, risolvendo le equazioni di Vlasov asso-ciate alle varie specie presenti nel sistema, insieme alle equazioni di Maxwell per il campo elettromagnetico. Il set di equazioni ottenuto in questo modo prende il nome di sistema Vlasov-Maxwell:

∂fα ∂t + v · ∂fα ∂x + qα mα  E + 1 cv ∧ B  · ∂fα ∂v = 0 (2.12)

(14)

∇ · E = 4πρq = 4π X α qαn¯α Z d3vfα (2.13) ∇ · B = 0 (2.14) ∇ ∧ E = −1 c ∂B ∂t (2.15) ∇ ∧ B = 1 c ∂E ∂t + 4π c J = 1 c ∂E ∂t + 4π c X α qαn¯α Z d3vvfα (2.16)

in cui ρq è la densità di carica totale del sistema e J è la densità di corrente

di carica elettrica.

E’ bene ricordare che queste equazioni descrivono correttamente il com-portamento del plasma solo nel limite non collisionale e per tale ragione sono valide solo su scale molto piccole rispetto al libero cammino medio delle par-ticelle (altrimenti subentrano le collisioni) e più grandi della lunghezza di Debye λD, al di sotto della quale le singole cariche non sono più ben

scher-mate dalle cariche compagne e le interazioni binarie cominciano a diventare importanti.

2.2

Modello a più fluidi per il plasma

Utilizzando la funzione di distribuzione a una particella è possibile ottenere delle grandezze medie macroscopiche che sono legate ai vari momenti di fα

calcolati rispetto alla velocità microscopica v.

La densità di particelle di specie α, indicata con nα(x, t), è legata al

momento di ordine zero di fα ed è definita come:

nα(x, t) = ¯nα

Z

d3vfα(x, v, t) (2.17)

Le densità di massa e di carica relative alla specie α si ottengono a partire da nαe valgono rispettivamente ρm,α= mαnαe ρq,α= qαnαed infine, le densità

di massa e carica totali si ottengono sommando ρm,αe ρq,α su tutte le specie:

ρm = X α ρm,α, ρq = X α ρq,α (2.18)

(15)

α

di ordine uno di fα ed è definita come:

uα(x, t) = hviα = R d3vvf α(x, v, t) R d3vf α(x, v, t) (2.19) La densità di corrente elettrica relativa alla specie α si ottiene a partire da nα e da uα e vale Jα= qαnαuα ed infine, la densità di corrente elettrica

complessiva vale J =P

α

Jα.

I momenti di ordine due e superiori della funzione di distribuzione corri-spondono ad altre grandezze macroscopiche quali il tensore di pressione, la densità di energia interna ed il flusso di calore.

E’ possibile descrivere la dinamica del plasma utilizzando queste grandez-ze macroscopiche anzichè fα e le equazioni di evoluzione per questi campi si

ottengono dai momenti dell’equazione di Vlasov calcolati rispetto a v. Dal momento di ordine zero dell’equazione di Vlasov moltiplicata per ¯nα

si ottiene l’equazione di continuità: ∂nα

∂t + ∇·(nαuα) = 0 (2.20)

che esprime la conservazione del numero di particelle di specie α. Moltipli-cando l’equazione 2.20 una volta per mα ed una volta per qα si ottengono le

equazioni di continuità rispettivamente per la massa e per la carica elettrica relative alla specie α.

Calcolando il momento di ordine uno dell’equazione di Vlasov moltiplicata per mαn¯α si ottiene: ∂ ∂t(ρm,αuα) + ∇ · (ρm,αuαuα) = −∇ · Pα+ ρq,α  E + 1 cuα∧ B  (2.21)

che rappresenta l’equazione per la densità di momento ρm,αuα delle particelle

di specie α, in cui Pα è il tensore di pressione relativo alla specie α, definito

come:

Pα(x, t) = ρm,αhwwiα = mα¯nα

Z

d3vwwfα(x, v, t) (2.22)

con w = v−uαche indica le fluttuazioni della velocità microscopica v rispetto

alla velocità media uα della specie α (ed ha ovviamente media nulla hwiα =

(16)

Le equazioni 2.20 e 2.21 sono formalmente identiche alle equazioni della fluidodinamica e per tale motivo vengono dette equazioni fluide anche se occorre precisare che c’è una differenza concettuale fondamentale tra i due set di equazioni. Infatti, le equazioni della fluidodinamica vengono ricavate partendo dal concetto di volumetto fluido il quale mantiene la propria identità grazie alle collisioni che in un gas o in un liquido sono molto frequenti mentre nel caso del plasma non è stato necessario ricorrere al volumetto fluido che in assenza di collisioni non è sempre ben definito.

Nello schema fluido, il plasma è descritto dal seguente set di equazioni [9]

∂nα ∂t + ∇ · (nαuα) = 0 (2.23) ∂ ∂t(ρm,αuα) + ∇ · (ρm,αuαuα) = −∇ · Pα+ ρq,α  E +1 cuα∧ B  (2.24) ∇ · E = 4πρq = 4π X α qαnα (2.25) ∇ · B = 0 (2.26) ∇ ∧ E = −1 c ∂B ∂t (2.27) ∇ ∧ B = 1 c ∂E ∂t + 4π c J = 1 c ∂E ∂t + 4π c X α qαnαuα (2.28)

al quale occorre associare delle condizioni di chiusura per le varie pressioni Pα, ovvero delle relazioni che leghino la pressione alla densità di particelle.

La scelta di una chiusura adeguata è il punto più delicato di una trattazione fluida.

Il sistema di equazioni appena ricavato è adatto a descrivere il plasma nel-lo stesso intervalnel-lo di scale spaziali in cui è valido il sistema Vlasov-Maxwell, tuttavia, avendo integrato su v, non vengono conservate le informazioni ri-guardanti lo stato del sistema nello spazio delle velocità microscopiche e per tale ragione il modello fluido non è in grado di descrivere fenomeni quali lo smorzamento di Landau delle onde che si propagano nel plasma (che si realiz-za nel momento in cui alcune particelle si muovono ad una velocità dell’ordine

(17)

trico praticamente stazionario che le accelera o decelera e ciò da vita ad un trasferimento di energia dall’onda alla particella) e alcune instabilità (dette microinstabilità) legate alla particolare forma della funzione di distribuzio-ne delle velocità delle particelle. In altre parole, utilizzare il modello fluido equivale ad analizzare soltanto il moto medio delle particelle, trascurando la varietà di velocità microscopiche. Per tale ragione questo modello si rivela particolarmente adatto a descrivere i cosiddetti plasmi freddi, ovvero plasmi in cui la distribuzione di velocità delle particelle è molto concentrata attorno al valore medio uα.

2.3

Modello a singolo fluido per il plasma

Esistono due metodi per descrivere il plasma a livello macroscopico, uno è l’approccio a più fluidi, presentato nella sezione precedente, in cui le varie specie che si trovano nel sistema vengono trattate come fluidi differenti che interagiscono attraverso il campo elettromagnetico generato da tutte le ca-riche, e l’altro è l’approccio a singolo fluido, in cui tutte le specie vengono trattate come un solo fluido per il quale vengono definite delle grandezze macroscopiche complessive che lo descrivono [9].

Per questioni pratiche da ora in poi verrà considerato il caso in cui il plasma contiene solo due specie di particelle, gli elettroni, la cui massa viene indicata con me e dotati di carica −e, ed una sola specie ionica di massa mi

e carica +e.

Le densità di massa e carica per il singolo fluido sono già state definite nella sezione precedente e valgono:

ρm = X α ρm,α= X α mαnα (2.29) ρq = X α ρq,α= X α qαnα (2.30)

La velocità di singolo fluido è definita come la velocità del centro di massa del sistema a più fluidi e vale:

u = P α mαnαuα P α mαnα (2.31)

(18)

e la corrente elettrica complessiva, anch’essa già definita nella sezione prece-dente, vale: J =X α Jα = X α qαnαuα (2.32)

Infine, occorre introdurre delle pressioni parziali ¯Pαper le varie specie che

sono definite dalla relazione: ¯

Pα = mαnαh(v − u)(v − u)iα (2.33)

e la pressione totale che è pari a P =P

α

¯ Pα.

A questo punto, moltiplicando l’equazione di continuità 2.20 una volta per mα ed una volta per qα corrispondenti e sommando sulle specie si ottengono

le equazioni di continuità per la massa totale e per la carica totale del sistema:

∂ρm

∂t + ∇ · (ρmu) = 0 (2.34)

∂ρq

∂t + ∇ · J = 0 (2.35)

L’equazione del moto per il singolo fluido si ricava sommando le equazioni del moto 2.21 per le varie specie e facendo ricorso alle definizioni 2.22 e 2.33. In questo modo si ottiene:

∂t(ρmu) + ∇ · (ρmuu) = −∇ · P + ρqE + 1

c(J ∧ B) (2.36) Infine, l’equazione che descrive l’evoluzione di J si ricava moltiplicando le equazioni del moto 2.21 per il rapporto qα/mα corrispondente e sommando

su tutte le specie, così da ottenere: ∂J ∂t + ∇ · (uJ + Ju − ρquu) −  1 me + 1 mi  e2ρ m c(mi+ me) (u ∧ B) + − me mi − mi me  e c(mi+ me) (J ∧ B) −X α  q2 αnα mα  E+ − e me ∇ · ¯Pe+ e mi ∇ · ¯Pi = 0 (2.37)

(19)

la variazione di J al campo elettrico E ed è valida nel limite non collisionale. E’ possibile includere nel modello gli effetti dovuti alle collisioni aggiun-gendo al secondo membro dell’equazione 2.37 un termine lineare nella den-sità di corrente, pari a −νcJ, che approssima il contributo derivante

dal-l’integrale collisionale e diventa trascurabile nel limite di bassa collisionalità (νc << wpe).

Le equazioni 2.34, 2.35, 2.36 e 2.37, unite alle equazioni di Maxwell e a una relazione di chiusura per la pressione totale P , forniscono la descrizione del plasma nel contesto del modello a singolo fluido.

Occorre precisare che la descrizione a singolo fluido è valida nello stesso intervallo di scale spaziali del modello a due fluidi (dato che le equazioni per il singolo fluido si ricavano semplicemente sommando le equazioni a più fluidi, senza introdurre alcuna approssimazione legata a particolari scale) e anch’essa non conserva le informazioni relative alle velocità microscopiche delle particelle. Inoltre, essendo passati ad un modello ad un solo fluido, le informazioni relative alla dinamica separata delle varie specie non sono più evidenti in modo esplicito (per esempio il singolo fluido potrebbe non risentire degli effetti del campo elettrico se ρq = 0, a differenza dei vari fluidi

di specie diversa che continuano a sentire gli effetti di E in quanto possiedono una densità di carica ρq,α non nulla).

2.3.1

Approssimazione MHD per il plasma

Il modello a singolo fluido si presta bene a descrivere molti fenomeni ma-croscopici che caratterizzano il plasma e che avvengono su scale spaziali L e scale temporali T tali da giustificare l’utilizzo di alcune approssimazioni che semplificano notevolmente la trattazione.

Una prima, semplice, approssimazione riguarda il rapporto tra la massa degli elettroni e la massa degli ioni presenti nel plasma per le quali in genere si ha che me/mi << 1 (condizione che non dipende dalle scale spaziali e

temporali in gioco).

La seconda approssimazione, indicata con il nome di quasi-neutralità, consiste nell’assumere che il plasma sia neutro non solo globalmente ma anche localmente, ovvero che la densità di carica ρq sia nulla in ogni punto del

plasma ed in ogni istante. Per un plasma composto soltanto da elettroni e ioni con carica +e questa approssimazione implica:

(20)

(per ioni con carica Ze la condizione diventa ne' Zni). Utilizzando ρq = 0

nell’equazione di continuità 2.35 si ottiene anche ∇·J = 0.

E’ corretto assumere la quasi-neutralità per il plasma nel momento in cui le grandezze che lo caratterizzano variano su una scala spaziale L molto maggiore della lunghezza di Debye λD e ciò equivale a dire che il fenomeno

studiato avviene su scale per le quali ogni carica è ben schermata dalle cariche vicine e per tale motivo il sistema appare neutro su tali scale.

Utilizzando la condizione me << mi e la quasi-neutralità ni ' ne= n, la

densità di massa, la velocità di singolo fluido e la densità di corrente elettrica diventano: ρm = mini+ mene' n(mi+ me) ' nmi (2.39) u = meneue+ miniui mini+ mene ' meue+ miui mi+ me ' ui+ me mi ue (2.40) J = −eneue+ eniui ' en(ui− ue) (2.41)

e di conseguenza la massa e la velocità del singolo fluido sono determinate in maggior misura dal contributo ionico mentre la corrente elettrica è de-terminata soprattutto dal contributo elettronico dato che generalmente ue è

superiore a ui.

Un’altra approssimazione riguarda la scala di velocità dei fenomeni stu-diati e consiste nell’assumere che la velocità caratteristica del plasma, in-dicata con U = L/T , sia molto minore della velocità della luce c. Ana-lizzando l’equazione di Faraday e l’equazione di Ampere-Maxwell in questa approssimazione si ottengono le seguenti disuguaglianze:

∇ ∧ E = −1 c ∂B ∂t → |E| L ∼ |B| cT → |E| |B| ∼ U c << 1 (2.42) ∇ ∧ B = 1 c ∂E ∂t + 4π c J → |∇ ∧ B| 1c∂E∂t ∼ |B| L cT |E| ∼ |B| |E| c U ∼ c2 U2 >> 1 (2.43) di cui la 2.42 indica che |B| >> |E| se U << c mentre la 2.43 suggerisce che

(21)

di spostamento può essere trascurato nell’equazione di Ampere-Maxwell che diventa quindi:

∇ ∧ B = 4π

c J (2.44)

Nell’ottica delle approssimazioni appena discusse, anche l’equazione del moto 2.36 subisce delle modifiche e confrontando il termine di forza legato al campo elettrico con quello legato al campo magnetico si ottiene:

|ρqE| 1c(J ∧ B) ∼ ρq|E| c |J| |B| (2.45)

in cui ρq e J sono legate ad E e B dall’equazione di Gauss e dall’equazione

di Ampere 2.44 da cui si ha:

∇ · E = 4πρq → ρq∼ |E| L (2.46) ∇ ∧ B = 4π c J → |J| ∼ c |B| L (2.47)

e così la relazione 2.45 diventa:

|ρqE| 1c(J ∧ B) ∼ ρq|E| c |J| |B| ∼ |E|2 L cL c |B|2 ∼ |E|2 |B|2 ∼ U2 c2 << 1 (2.48)

il che vuol dire che il termine di forza legato al campo elettrico è trascurabile rispetto al termine legato al campo magnetico.

Un’altra approssimazione che viene adottata molto spesso nell’ambito della teoria a singolo fluido consiste nel supporre che la pressione totale P sia isotropa in modo tale da poterla sostituire con uno scalare ed in questo modo il termine di forza di pressione presente nell’equazione 2.36 diventa ∇ · P ' ∇P . Questa assunzione è accettabile se il sistema è vicino all’equilibrio termodinamico, caso in cui le collisioni contribuiscono a rendere la pressione isotropa, ma nel limite non collisionale non è detto che sia sempre valida, anche se spesso si rivela una buona scelta che porta a risultati che sono in accordo con i dati sperimentali e la causa di ciò risiede nella presenza di altri effetti di piccola scala che rendono la pressione isotropa anche in assenza di collisioni.

(22)

Alla luce delle approssimazioni introdotte, anche l’equazione di Ohm ge-neralizzata subisce delle modifiche e considerando mi >> me e ni ' ne= n,

l’equazione 2.37 diventa: ∂J ∂t + ∇ · (uJ + Ju − ρquu) − e2n mec (u ∧ B) + e mec (J ∧ B) + − e 2n me E − e me ∇ · ¯Pe= −νcJ (2.49)

in cui è presente, al secondo membro, l’eventuale termine legato alle collisioni. Occorre precisare che il termine legato alla pressione ionica che si trova nel-l’equazione 2.37 è proporzionale a 1/mi. In genere la massa ionica è migliaia

di volte superiore alla massa elettronica e quindi, per rendere confrontabile il termine di pressione ionica con il termine di pressione elettronica, il gradiente di pressione ionica dovrebbe essere migliaia di volte superiore al gradiente di pressione elettronica, eventualità che si verifica molto difficilmente e per tale ragione è lecito trascurare il termine di pressione ionica.

L’equazione 2.49 può essere riscritta nella forma:

E + 1 c(u ∧ B) = me ne2  ∂J ∂t + ∇ · (uJ + Ju − ρquu)  + + 1 enc(J ∧ B) − 1 en∇ · ¯Pe+ ηJ (2.50)

in cui, dei termini al secondo membro, il primo, quello racchiuso tra perentesi quadre, viene detto termine di inerzia elettronica, il secondo è detto termine di Hall e l’ultimo è il termine resistivo che deriva dalle collisioni e in cui η = (νcme)/(e2n) rappresenta la resistività del plasma.

Confrontando i vari termini dell’equazione 2.50, è possibile verificare che i due termini al primo membro sono dello stesso ordine mentre per i termini al secondo membro si hanno i seguenti ordinamenti:

neme2∂J∂t 1c(u ∧ B) ∼ neme2∇ · (uJ) 1c(u ∧ B) ∼ neme2∇ · (Ju) 1c(u ∧ B) ∼ d 2 e L2 (2.51)

(23)

ne 1c(u ∧ B) ∼ D L2 (2.52) enc1 (J ∧ B) 1c(u ∧ B) ∼ di L (2.53) 1 en∇ · ¯Pe 1c(u ∧ B) ∼ βdi L (2.54) |ηJ| 1 c(u ∧ B) ∼ ηc 2 U L ∼ S −1 (2.55)

in cui λD è la lunghezza di Debye, de=ωcpe e di=ωc

pi sono rispettivamente

la lunghezza di pelle elettronica e ionica (dove ωpi =

q

4πne2

mi è la frequenza

di plasma ionica), β è il rapporto tra la pressione cinetica P e la pressione magnetica B2/8π ed S = (U L)/(ηc2) è detto numero di Lundquist ed indica

l’importanza dei termini ideali della legge di Ohm (quelli al primo membro dell’equazione 2.50) rispetto al termine resistivo ηJ.

Utilizzando la teoria a singolo fluido per descrivere fenomeni che avven-gono su una scala caratteristica L che sia molto maggiore delle scale caratte-ristiche de, di e λD, stando agli ordinamenti 2.51-2.55, è possibile trascurare

nella legge di Ohm il termine di Hall, i termini inerziali ed anche il termine di pressione elettronica se il parametro β non assume un valore troppo elevato. Infine, il termine resistivo è trascurabile se S >> 1, caso che si verifica quasi sempre dato che η assume un valore generalmente molto piccolo essendo le-gato alla frequenza di collisione νc. Perciò, su scale sufficientemente grandi,

la legge di Ohm 2.50 si riduce all’equazione:

E + 1

c(u ∧ B) = 0 (2.56)

nota come legge di Ohm ideale.

A questo punto, mettendo assieme le varie approssimazioni sopra elencate, il set di equazioni che descrive il plasma su scala spaziale L e temporale T sufficientemente grandi, per velocità molto minori della velocità della luce e nel limite non collisionale, diventa:

(24)

∂ρm ∂t + ∇ · (ρmu) = 0 (2.57) ∂ ∂t(ρmu) + ∇ · (ρmuu) = −∇P + 1 c(J ∧ B) (2.58) E + 1 c(u ∧ B) = 0 (2.59) ∇ · B = 0 (2.60) ∇ ∧ B = 4π c J (2.61) ∇ ∧ E = −1 c ∂B ∂t (2.62)

dal quale è possibile eliminare E e J utilizzando la legge di Ohm ideale nella legge di Faraday e l’equazione di Ampere nell’equazione del moto ed in questo modo si ottengono le equazioni:

∂ρm ∂t + ∇ · (ρmu) = 0 (2.63) ∂ ∂t(ρmu) + ∇ · (ρmuu) = −∇P + 1 4π[(∇ ∧ B) ∧ B] (2.64) ∇ · B = 0 (2.65) ∂B ∂t = ∇ ∧ (u ∧ B) (2.66)

che, unite ad una condizione di chiusura per la pressione, costituiscono il modello magnetoidrodinamico ideale (modello MHD ideale) per il plasma [9].

La condizione di chiusura tipicamente utilizzata è quella politropica che consiste nell’assumere una relazione tra pressione e densità di massa del ti-po P ρ−γm = cost in cui γ è detto indice politropico ed è legato al numero

(25)

f

tipi di chiusura politropica largamente utilizzati sono la chiusura isoterma, in cui γ = 1, e quella adiabatica, in cui γ = 53. La chiusura isoterma è ac-cettabile nei casi in cui la velocità caratteristica del sistema è molto minore della velocità termica delle particelle che costituiscono il plasma e ciò signi-fica che il trasporto di calore (che dipende dalla velocità termica) procede su scale temporali molto minori del tempo di evoluzione caratteristico del sistema e quindi la temperatura del plasma può essere considerata costante. Per quanto riguarda la chiusura adiabatica, essa è accettabile nei casi in cui la velocità caratteristica del sistema è molto maggiore della velocità termica delle particelle che costituiscono il plasma e ciò significa che il trasporto di calore procede su scale temporali molto maggiori del tempo di evoluzione ca-ratteristico del sistema e quindi l’entropia del plasma può essere considerata costante.

(26)
(27)

Riconnessione magnetica

Pur essendo un modello ottenuto a partire da alcune approssimazioni che ne limitano significativamente il campo di applicabilità, la teoria MHD descrive un’ampia rosa di fenomeni caratteristici del plasma ed in particolare permette di evidenziare in modo piuttosto semplice il fenomeno della connessione tra il plasma e le linee di forza del campo magnetico.

3.1

Teorema di connessione

Per comprendere in cosa consiste il fenomeno della connessione tra plasma e campo magnetico, si considerino due elementi fluidi di plasma distanziati da un passo infinitesimo δr. Se all’istante iniziale t = 0 i due volumetti si trovano sulla stessa linea di forza di campo magnetico allora il vettore δr sarà parallelo a B, ovvero δr ∧ B = 0. Occorre capire in quali condizioni essi continueranno ad essere collegati da una linea di campo, richiesta che dal punto di vista analitico si traduce nell’individuare i casi in cui la derivata rispetto al tempo del prodotto vettoriale δr ∧ B è nulla.

La derivata rispetto al tempo di δr ∧ B vale:

d dt(δr ∧ B) = d dt(δr) ∧ B + δr ∧ dB dt (3.1)

in cui, indicando con r1 ed r2 = r1+ δr le posizioni dei due elementi fluidi:

(28)

d

dt(δr) = d

dt(r2− r1) = u(r2, t) − u(r1, t) = (δr · ∇)u (3.2) dB dt = ∂B ∂t + (u · ∇)B (3.3) così 3.1 diventa: d dt(δr ∧ B) = (δr · ∇)u ∧ B + δr ∧ ∂B ∂t + δr ∧ (u · ∇)B (3.4) Se la dinamica del plasma è descritta dal modello MHD ideale allora si può sostituire ∂B/∂t con l’equazione di Faraday ideale 2.66 e così 3.4 diventa:

d

dt(δr ∧ B) = (δr · ∇)u ∧ B + δr ∧ [∇ ∧ (u ∧ B)] + δr ∧ (u · ∇)B = = (δr · ∇)u ∧ B + δr ∧ (B · ∇)u − δr ∧ B(∇ · u) − δr ∧ (u · ∇)B+

+ δr ∧ (u · ∇)B = (δr · ∇)u ∧ B + δr ∧ (B · ∇)u − δr ∧ B(∇ · u)

(3.5)

Dato che B ed δr sono paralleli a t = 0 allora δr ∧ B(∇ · u) = 0 ed introducendo il versore b che ha la stessa direzione di B e δr si ha:

d

dt(δr ∧ B) = (δr · ∇)u ∧ B + δr ∧ (B · ∇)u = |B| |δr| [(b · ∇)u ∧ b + b ∧ (b · ∇)u] = 0

(3.6)

Quindi, per un plasma descritto dal modello MHD ideale, la quantità δr ∧ B è costante nel tempo. Perciò se δr ∧ B = 0 a t = 0 allora continuerà ad essere nullo anche agli istanti successivi, cioè se due elementi fluidi sono collegati da una linea di forza di campo magnetico a t = 0 allora continueranno ad esserlo anche ad istanti successivi. E’ in questo che si concretizza la connessione tra plasma e linee di forza del campo magnetico.

Questo risultato, noto come teorema di connessione, implica che le linee di forza del campo magnetico non possono spezzarsi. Infatti, se a un certo istante t0 una linea si spezzasse, due volumetti fluidi che a t < t0 si trovavano

(29)

si ritroverebbe su due linee di campo differenti per t > t0, quelle generate

dalla rottura stessa.

Il fatto che le linee di forza del campo magnetico non possano spezzarsi e riconnettersi ha conseguenze molto importanti in quanto implica che qualsiasi struttura formata da queste linee di campo mantiene la propria topologia (non può rompersi o bucarsi) e per tale motivo la transizione verso alcune configurazioni di campo magnetico, ad esempio a più bassa energia, è vietata.

3.2

Conservazione del flusso di campo

magne-tico

Un’altra importante proprietà di un plasma descritto dal modello MHD ideale riguarda il fatto che il flusso di campo magnetico calcolato attraverso una superficie aperta il cui contorno è composto da elementi fluidi di plasma è costante nel tempo [10].

Per dimostrare questo risultato occorre calcolare la derivata rispetto al tempo del flusso di campo magnetico φ che vale:

dφ dt = d dt Z S(t) dS · B  (3.7)

in cui il dominio di integrazione S(t) è costituito da una superficie aperta che ha come contorno γ(t) una curva chiusa che si muove con lo stesso campo di velocità u del plasma (perciò è come se fosse composta da volumetti fluidi di plasma).

Calcolare la derivata 3.7 significa valutare la differenza tra il flusso ag-giornato φ(t + dt) e il flusso precedente φ(t) e questa differenza contiene due contributi, uno dovuto al fatto che il campo magnetico varia nel tempo ed uno dovuto al fatto che anche il dominio di integrazione non è costante da-to che la superficie S(t) si muove. Una importante proprietà di un campo solenoidale (come B) è che, scelto un contorno γ, il flusso di tale campo ha sempre lo stesso valore qualsiasi sia la superficie che ha γ per contorno e per tale ragione è possibile scegliere come superficie aggiornata S(t + dt) quella data dalla somma della vecchia superficie S(t) più la superficie δS generata dallo spostamento udt di ogni tratto dr della vecchia superficie che contribuisce creando la superficie infinitesima d(δS) = udt ∧ dr e così la 3.7 diventa:

(30)

dφ dt = d dt Z S(t) dS · B  = Z S(t) dS · ∂B ∂t + Z S(t) d(δS) dt · B = = Z S(t) dS · ∂B ∂t + Z γ(t) (u ∧ dr) · B (3.8)

in cui il primo termine è il contributo dovuto alla variazione esplicita di B nel tempo quando il dominio di integrazione è fermo mentre il secondo termine rappresenta la variazione del flusso dovuta allo spostamento della superficie di integrazione (causato dal moto del plasma).

Se la dinamica del plasma è descritta dal modello MHD ideale allora si può utilizzare l’equazione di Faraday ideale 2.66 per sostituire ∂B/∂t nell’equazione 3.8 che, utilizzando il teorema di Stokes, diventa:

dφ dt = Z S(t) dS · ∂B ∂t + Z γ(t) (u ∧ dr) · B = Z S(t) dS · ∇ ∧ (u ∧ B) + + Z γ(t) (u ∧ dr) · B = Z γ(t) dr · (u ∧ B) + Z γ(t) (u ∧ dr) · B = 0 (3.9)

Quindi, per un plasma descritto dal modello MHD ideale, il flusso di cam-po magnetico attraverso una superficie che ha un contorno costituito da volumetti fluidi di plasma si conserva nel tempo.

Questo risultato è un’altra conseguenza del fenomeno di connessione tra plasma e linee di forza del campo magnetico perchè è come se tali linee di campo fossero ancorate ai volumetti fluidi che costituiscono la superficie di integrazione e per tale motivo il flusso rimane costante.

3.3

Riconnessione e legge di Ohm

Sia il teorema di connessione che quello di conservazione del flusso di campo magnetico sono stati dimostrati facendo ricorso alla legge di Faraday ideale che a sua volta deriva dalla legge di Ohm ideale. Pertanto, il concetto di connessione tra plasma e linee di forza del campo magnetico è valido solo nel momento in cui la dinamica del plasma è ben descritta dalla legge di Ohm ideale la quale è valida solamente se le grandezze fisiche che caratterizzano il

(31)

stato discusso nella sezione 2.3.1.

Esistono numerosissime situazioni di grande interesse in cui, nonostante il regime sia quello di basse frequenze e grandi lunghezze d’onda, la legge di Ohm ideale viene violata a livello locale e con essa anche il teorema di con-nessione smette di essere valido localmente. In altre parole la concon-nessione tra plasma e linee di forza del campo magnetico viene rotta solo in alcune regio-ni (estremamente "piccole") del sistema e ciò implica che la topologia delle linee di campo può essere modificata, permettendo così la transizione verso nuove configurazioni magnetiche, transizione altrimenti vietata dalla legge di Ohm ideale. Il problema della riconnessione magnetica riguarda proprio tut-ta questut-ta varietà di fenomeni in cui la transizione tra diversi stut-tati magnetici del plasma viene permessa esclusivamente da una violazione della legge di Ohm ideale che cessa di essere valida in alcune regioni molto localizzate del sistema.

Per comprendere meglio in quali condizioni si verifica il fenomeno della riconnessione, si consideri una situazione in cui due regioni di plasma, ini-zialmente separate, entrano in contatto. Se il plasma di ciascuna regione è connesso alla linee di forza del campo magnetico della regione corrispondente allora essi non si mescolano ma si viene a creare una superficie di contatto che separa i due sistemi. In generale, la componente del campo magnetico tangente alla superficie di separazione è diversa sia in modulo che in dire-zione ai due lati della superficie stessa e questa discontinuità nel valore di B tangente da vita ad un sottile strato di corrente che scorre tra le due masse di plasma a contatto (la formazione dello strato di corrente è descritta dall’e-quazione di Ampere). Questo strato di corrente superficiale rappresenta una regione di piccolissimo spessore dentro il quale si vengono a creare forti gran-dienti, dovuti al fatto che le grandezze che caratterizzano il sistema variano apprezzabilmente attraverso la superficie di contatto tra i due plasmi. In altre parole, all’interno dello strato di corrente si creano scale spaziali molto più piccole rispetto al resto del sistema, più piccole di quelle su cui è valido il modello MHD ideale e per tale ragione alcuni dei termini non ideali della legge di Ohm possono diventare non trascurabili. Di conseguenza, la legge di Ohm ideale e il teorema di connessione che ne deriva cessano di essere validi localmente e quindi le linee di forza del campo magnetico possono rompersi all’interno dello strato di corrente per poi riconnettersi.

Perciò la riconnessione magnetica è un fenomeno estremamente localizza-to che però ha conseguenze globali sulla dinamica del sistema (a causa della rottura e riconnessione delle linee di forza, la topologia globale del campo magnetico varia).

(32)

dina-mica del plasma, non soltanto riguardanti la topologia del campo magnetico ma anche gli scambi di energia che avvengono nel sistema. Prima di tutto, il campo magnetico costituisce una sorta di linea guida per le traiettorie delle particelle ed un cambiamento nella topologia globale delle linee di campo comporta la modifica di queste traiettorie e ciò ha delle conseguenze sui fe-nomeni di trasporto. Inoltre, lo stato a cui il sistema giunge in seguito alla riconnessione ha energia magnetica più bassa rispetto allo stato di partenza e questo difetto di energia viene convertito in energia cinetica delle particelle (che quindi vengono accelerate) e in energia interna del plasma (ovvero il plasma viene scaldato).

Sotto certi aspetti, il fenomeno della riconnessione magnetica è simile al caso in cui un elastico viene allungato o una corda di chitarra viene piegata fino ad accumulare molta energia potenziale. Se l’elastico o la corda si rom-pono in un punto, l’energia potenziale accumulata viene liberata e convertita in energia cinetica dei due lembi di corda o di elastico che si piegano e si arric-ciano per minimizzare l’energia potenziale. Anche in questo caso un effetto locale, il taglio, ha conseguenze globali, il cambiamento della forma dell’ela-stico e della corda. Allo stesso modo, le linee di forza del campo magnetico si spostano e si piegano seguendo la dinamica del plasma al quale sono connesse e se la connessione viene spezzata in qualche punto, la topologia globale del campo magnetico subisce modifiche importanti.

3.4

Riconnessione resistiva

Si parla di riconnessione resistiva in riferimento a tutti quei fenomeni in cui la legge di Ohm ideale cessa di essere valida a causa della presenza del solo termine resistivo ηJ.

In questo caso è possibile continuare a descrivere il plasma utilizzando la teoria a singolo fluido e ricorrendo al set di equazioni 2.57-2.62 (accompagnate da una appropriata relazione di chiusura) in cui la legge di Ohm ideale 2.59 va sostituita con la legge di Ohm resistiva:

E +1

c(u ∧ B) = ηJ (3.10)

Eliminando J ed E utilizzando la legge di Ohm resistiva nella legge di Faraday e la legge di Ampere nell’equazione del moto e nella legge di Ohm resistiva si ottiene il seguente set di equazioni:

(33)

∂ρ ∂t + ∇ · (ρu) = 0 (3.11) ∂ ∂t(ρu) + ∇ · (ρuu) = −∇P + 1 4π[(∇ ∧ B) ∧ B] (3.12) ∇ · B = 0 (3.13) ∂B ∂t = ∇ ∧ (u ∧ B) + c2 4πη∆B (3.14)

in cui la densità di massa ρm è stata indicata con ρ per semplicità. Le

precedenti equazioni, unite ad una condizione di chiusura per la pressione P , costituiscono il modello MHD resistivo.

L’introduzione di una resistività finità η rende instabili alcuni stati di equilibro descritti dalla MHD ideale ed il fenomeno della riconnessione ma-gnetica può svilupparsi proprio a partire da queste instabilità resistive. Per esempio, utilizzando il modello MHD resistivo per analizzare la stabilità dello strato di corrente che si forma tra due regione di plasma ideale a contatto si può evidenziare la presenza di tre tipi di instabilità non descritte dalla MHD ideale [11], note come gravitational interchange instability che ha luogo in presenza di un campo gravitazionale esterno, rippling mode instability che si verifica se la resistività del plasma non è omogenea, e tearing mode instabi-lity in cui si assume resistività omogenea e assenza di campi gravitazionali esterni.

Di queste tre instabilità verrà analizzata soltanto quella di tipo tearing che ha il pregio di essere la più semplice da trattare analiticamente e al tempo stesso permette di introdurre la tecnica matematica del raccordo asintotico che viene utilizzata per affrontare qualsiasi problema di riconnessione.

3.4.1

Instabilità di tipo tearing

Si consideri un plasma in uno stato di equilibrio in cui il campo di velocità u0

è nullo ovunque, la densità ρ0 è costante e il campo magnetico B0, parallelo

all’asse y, si inverte rapidamente al passaggio dal piano x = 0, rispetto al quale è dispari, per poi assumere un valore approssimativamente costante per |x| >> 0. Questa rapida inversione del campo magnetico è associata ad uno strato di corrente superficiale Jz∼ ∂By/∂x, diretto lungo z e localizzato

(34)

configurazione è illustrata in figura 3.1 e rappresenta la situazione discussa nella sezione 3.3 in cui due regioni di plasma contenenti campi magnetici orientati in modo differente entrano in contatto e danno vita ad uno strato di corrente che scorre sulla superficie di separazione tra i due sistemi.

Dal punto di vista del modello MHD ideale, la configurazione di equilibrio appena descritta è stabile rispetto a piccole perturbazioni ed occorre capire se essa rimane tale anche nel caso in cui gli effetti legati alla resistività del plasma cessano di essere trascurabili.

La stabilità di uno stato di equilibrio del plasma può essere studiata fa-cendo ricorso ad una tecnica che consiste nel sovrapporre delle piccole pertur-bazioni alle grandezze di equilibrio che caratterizzano il sistema. Indicando genericamente con f una delle grandezze in questione, questo metodo consiste nello scrivere f come somma di un termine di ordine zero f0 che rappresenta

il valore medio, in questo caso di equilibrio, della grandezza presa in consi-derazione, e di un termine di ordine superiore f1 che rappresenta la piccola

perturbazione. I termini di ordine zero si assumono indipendenti dal tem-po. Sostituendo f = f0+ f1 nelle equazioni che descrivono la dinamica del

sistema ed eguagliando tutti i termini al primo ordine in f1, avendo assunto

|f0|  |f1|, si ottiene un nuovo set di equazioni che descrivono l’evoluzione

delle perturbazioni. Ovviamente, l’ordine zero delle equazioni rappresenta l’equilibrio del sistema. Questa tecnica matematica viene spesso indicata come metodo della linearizzazione delle equazioni differenziali in quanto per-mette di trascurare i termini non lineari presenti nelle equazioni prese in considerazione.

L’evoluzione nel tempo delle perturbazioni si ottiene risolvendo il set di equazioni linearizzate e possono verificarsi tre casi. Nel primo caso, la per-turbazione ha un andamento periodico nel tempo e rappresenta un’onda che si propaga sovrapposta allo stato di equilibrio del plasma; nel secondo ca-so, la perturbazione decresce nel tempo fino a scomparire; nell’ultimo caca-so, la perturbazione cresce nel tempo finchè il sistema comincia ad allontanar-si dallo stato di equilibrio originario. E’ proprio in quest’ultima allontanar-situazione che la configurazione di equilibrio del plasma si rivela instabile rispetto alle perturbazioni presenti nel sistema.

Occorre ricordare che le soluzioni delle equazioni differenziali ottenute ricorrendo al metodo della linearizzazione sono valide soltanto se i termini che rappresentano le perturbazioni sono molto più piccoli dei termini di ordine zero che rappresentano le grandezze di equilibrio, altrimenti non sarebbe corretto trascurare i termini di ordine superiore al primo nelle perturbazioni. Pertanto, è chiaro che nel descrivere l’evoluzione di una instabilità che si sviluppa nel plasma bisogna distinguere due fasi. La prima, detta fase lineare, in cui la perturbazione, pur crescendo in ampiezza, rimane comunque molto

(35)

Figura 3.1: Campo magnetico di equilibrio nell’instabilità di tipo tearing [2].

più piccola rispetto alle grandezze di equilibrio e per tale motivo è possibile descrivere il sistema utilizzando le equazioni linearizzate. La seconda, detta fase non lineare, in cui la perturbazione ha raggiunto un’ampiezza abbastanza grande da rendere i termini non lineari delle equazioni non trascurabili ed in questo caso bisogna affrontare il problema utilizzando altri metodi.

Prima di linearizzare le equazioni che descrivono il plasma, occorre in-trodurre una chiusura per il set di equazioni utilizzate. Nel caso del tearing mode si utilizza solitamente la condizione di incomprimibilità che consiste nell’assumere che la densità del sistema rimanga costante durante la sua evo-luzione. In questo modo, ponendo ρ = costante, l’equazione di continuità 3.11 si riduce alla condizione:

∇ · u = 0 (3.15)

E’ ragionevole assumere l’incomprimibilità nel momento in cui la velocità caratteristica del sistema U = L/T è molto minore della velocità delle onde comprimibili che si propagano nel plasma [12]. Da un punto di vista qualita-tivo ciò equivale a dire che le onde di pressione riescono ad omogeneizzare le fluttuazioni di densità in un tempo molto minore del tempo caratteristico di evoluzione del sistema e perciò la densità del plasma può essere considerata costante.

E’ importante notare che in generale le perturbazioni incomprimibili sono le più instabili in quanto il sistema non spende energia in lavoro di compres-sione o dilatazione e perciò le instabilità crescono più rapidamente. Si noti

(36)

anche che assumere ∇ · u = 0 non equivale a dire che il plasma non può essere compresso ma significa andare a studiare solo quei fenomeni che nella loro evoluzione non comprimono il sistema.

A questo punto è possibile procedere alla linearizzazione delle equazioni del modello MHD resistivo [2] scrivendo il campo magnetico B ed il campo di velocità del plasma u come la somma di una quantità di equilibrio e di una piccola pertubazione:

B = B0+ B1, u = u0+ u1

in cui si assume una velocità di equilibrio nulla, u0 = 0, ed un campo

magne-tico di equilibrio dato da B0 = (0, B0(x), 0). Assumendo valida la condizione

di incomprimibilità, il set di equazioni che descrivono il sistema è composto dalle equazioni 3.13 e 3.15, dall’equazione di Faraday resistiva 3.14 e dall’e-quazione del moto 3.12, di cui si considera il rotore in modo da eliminare il gradiente di pressione. Procedendo con il metodo della linearizzazione si ottiene il seguente sistema di equazioni:

∇ · u1 = 0 (3.16) ∇ · B1 = 0 (3.17) ∂B1 ∂t = (B0 · ∇)u1− (u1· ∇)B0+ c2 4πη∆B1 (3.18) ρ∂ ∂t(∇ ∧ u1) = 1 4π∇ ∧ [(B0· ∇)B1 + (B1· ∇)B0] (3.19) Considerando delle perturbazioni che si propagano in direzione y con forma funzionale del tipo:

f1(x, y, t) = ˜f (x)e(iky+γt) (3.20)

la componente x dell’equazione 3.18 e la componente z dell’equazion 3.19 diventano: γBx= ikB0ux+ c2 4πη(∂ 2 x− k 2)B x (3.21) ργ(∂xuy − ikux) = 1 4πik∂x(B0By) + ∂x(Bx∂xB0) + k 2B 0Bx  (3.22)

(37)

mentre le equazioni 3.16 e 3.17 diventano:

∂xux+ ikuy = 0 (3.23)

∂xBx+ ikBy = 0 (3.24)

in cui Bx, By, ux e uy sono le componenti x e y di B1 ed u1 ed il simbolo ∂x

indica la derivata parziale rispetto ad x.

Utilizzando le equazioni 3.23 e 3.24 per eliminare By e uy dall’equazione

3.22 si ottiene: ργ(∂x2− k2)u x = ik 4πB0  ∂x2− k2B 00 0 B0  Bx (3.25)

in cui B000 indica la derivata seconda di B0 rispetto ad x.

A questo punto risulta conveniente riscrivere le equazioni 3.21 e 3.25 in forma adimensionale introducendo alcune lunghezze e tempi caratteristici e i nuovi campi φ, ψ ed f : cA= B √ 4πρ, τA= L cA , τR= 4πL2 c2η , S = τR τA ˆ γ = γτA, x =ˆ x L, ˆ k = kL (3.26) φ = ikux γ , ψ = Bx B , f = B0 B

in cui B è l’intensità caratteristica del campo magnetico, L è la lunghezza caratteristica del sistema (in genere rappresenta la lunghezza scala degli stra-ti di corrente all’interno del quale la scala caratterisstra-tica delle fluttuazioni è molto più piccola a causa della formazione di forti gradienti), τA e τR sono

rispettivamente il tempo di Alfven (caratteristico dei fenomeni MHD idea-li) ed il tempo resistivo che caratterizza la diffusione del campo magnetico nel plasma dovuta al termine resistivo presente nella legge di Faraday 3.14, mentre S è il numero di Lundquist.

(38)

ˆ γ(ψ − φf ) = 1 S(∂ 2 ˆ x− ˆk 2 (3.27) ˆ γ2(∂x2ˆ− ˆk2)φ = −ˆk2f  ∂x2ˆ− ˆk2− f 00 f  ψ (3.28)

che una volta risolte forniscono il tasso di crescita γ dell’instabilità di tipo tearing. Si noti che i termini resistivi (accompagnati dal fattore 1/S) sono legati alle derivate di ordine più alto.

La tecnica che si utilizza per risolvere questo set di equazioni consiste nell’individuare due regioni, una lontana dal piano x = 0, detta zona esterna, in cui le grandezze che caratterizzano il plasma variano su una scala spaziale L sufficientemente grande da poter descrivere il sistema utilizzando il modello MHD ideale, ed una regione vicina al piano x = 0, detta zona interna o regione di diffusione, in cui, a causa della presenza di forti gradienti, gli effetti resistivi non sono trascurabili ed il plasma è descritto dal modello MHD resistivo. Dopo aver risolto separatamente le equazioni 3.27 e 3.28 nella zona interna e nella zona esterna le due soluzioni trovate vanno raccordate nella regione in un cui le due zone si sovrappongono, in modo da ricavare una soluzione valida in tutto il dominio. Questo tecnica risolutiva è nota con il nome di raccordo asintotico e viene utilizzata per affrontare problemi descritti da equazioni differenziali in cui il termine che contiene la derivata di ordine massimo è legato ad un coefficiente così piccolo da rendere il termine in questione trascurabile quasi in tutto il sistema tranne che in alcune regioni in cui si hanno forti gradienti [13] (è il caso del termine resistivo presente nell’equazione di Faraday 3.14 che diventa non trascurabile solo dentro lo strato di corrente).

Per capire in che modo le equazioni 3.27 e 3.28 vanno modificate per essere adattate alla zona esterna ed alla zona interna, occorre introdurre un ordinamento temporale secondo il quale l’instabilità di tipo tearing cresce in un tempo caratteristico γ−1, intermedio tra il tempo di Alfven τAed il tempo

resistivo τR, cioè:

τA<< γ−1 << τR → ˆγ << 1 << ˆγS (3.29)

Tale assunzione si rivela ragionevole in quanto equivale a dire che l’instabi-lità è più lenta della dinamica tipica del sistema (caratterizzata dalla scala temporale τA) ma è comunque molto più rapida dei fenomeni resistivi che

(39)

R R

elevati sia nei plasmi spaziali che in quelli di laboratorio da fusione.

Per quanto riguarda l’ordinamento delle scale spaziali bisogna introdurre la lunghezza caratteristica δ (e la sua controparte adimensionale ˆδ = δ/L) che rappresenta la scala di variazione delle grandezze fisiche all’interno dello strato di corrente ed è ovviamente molto minore della lunghezza caratteri-stica L associata alla zona esterna. Infine, si considerano delle perturbazioni caratterizzate da una lunghezza d’onda k−1 dell’ordine di L in quanto gene-ralmente i modi con lunghezza d’onda più grande sono quelli più instabili, ovvero presentano il tasso di crescita γ più elevato e perciò contribuiscono maggiormente allo sviluppo dell’instabilità di tipo tearing (la bontà di questa ipotesi può essere verificata a posteriori analizzando la dipendenza del tasso di crescita γ dal vettore d’onda k).

A questo punto si può procedere cominciando con il trovare una forma approssimata per le equazioni 3.27 e 3.28 che sia valida fuori dello strato di corrente, ovvero nella zona in cui il plasma è descritto dal modello MHD ideale. Per fare ciò, occorre notare che nella regione esterna si ha ∂x ∼ L−1 e

quindi ∂xˆ ∼ 1 ed allo stesso modo ˆk ∼ 1 (in quanto per ipotesi si considerano

perturbazioni con k−1 ∼ L). Confrontando i termini al primo membro con quelli al secondo membro dell’equazione 3.27 ed utilizzando l’ordinamento temporale 3.29 si ottiene: ˆ γ(ψ − φf ) 1 S(∂ 2 ˆ x− ˆk2)ψ ∼ S ˆγ >> 1 (3.30)

e perciò i termini al secondo membro sono trascurabili nella regione esterna e l’equazione 3.27 si riduce a:

ψ = φf (3.31)

Allo stesso modo, confrontando i termini al primo membro con quelli al secondo membro dell’equazione 3.28 ed utilizzando l’ordinamento temporale 3.29 si ottiene: ˆ γ2(∂x2ˆ− ˆk2)φ ˆ k2f2 ˆ x− ˆk2− f00 f  ψ ∼ ˆγ2 << 1 (3.32)

Quindi i termini al primo membro sono trascurabili nella regione esterna e l’equazione 3.28 si riduce a:

(40)

 ∂ˆx2− ˆk2− f 00 f  ψ = 0 (3.33)

Per quanto riguarda la regione interna allo strato di corrente, ovvero quella in cui il plasma è descritto dal modello MHD resistivo, si assume ∂x ∼ δ−1 e quindi ∂ˆx ∼ ˆδ−1 >> 1 (dato che δ << L) mentre ˆk ∼ 1. Dato

che il campo magnetico di equilibrio è dispari in x, sia f che f00 sono nulli in x = 0 ed espandendo in serie f (ˆx) dentro lo strato di corrente si ottiene f (ˆx) ' f (0) + ˆxf0(0) ' ˆxf0(0). In questo modo si ha:

(∂x2ˆ− ˆk2) ∼ ∂x2ˆ,  ∂ˆx2− ˆk2− f 00 f  ∼ ∂x2ˆ (3.34)

Nella zona interna allo strato di corrente le equazioni 3.27 e 3.28 si riducono a: ˆ γ(ψ − ˆxf0(0)φ) = 1 S∂ 2 ˆ xψ (3.35) ˆ γ2∂x2ˆφ = −ˆk2xfˆ 0(0)∂x2ˆψ (3.36) che possono essere riscritte operando le sostituzioni

φ → f0(0)φ, γ →ˆ ˆγ ˆ

kf0(0), S → Sˆkf

0

(0) (3.37)

da cui si ottengono le seguenti equazioni:

ˆ γ(ψ − ˆxφ) = 1 S∂ 2 ˆ xψ (3.38) ˆ γ2∂ˆx2φ = −ˆx∂x2ˆψ (3.39) A questo punto si può procedere risolvendo le equazioni esterne 3.31 e 3.33, e quelle interne 3.38 e 3.39, per poi raccordare le soluzioni nella regione in cui la zona interna e quella esterna si sovrappongono. Questa regione di sovrapposizione corrisponde al limite ˆx → 0 (cioè regioni che si avvicinano allo strato di corrente) per la soluzione esterna ed al limite ˆx/ˆδ → ∞ (cioè

(41)

di δ) per la soluzione interna.

Le equazioni della zona esterna vanno risolte utilizzando come condizioni al contorno il fatto che le perturbazioni φ e ψ siano nulle per ˆx → ±∞ e che Bx, e quindi ψ, sia continuo sui bordi dello strato di corrente (condizioni

imposta dalle equazioni di Maxwell). Tuttavia non è possibile imporre anche una condizione sulla derivata prima ai bordi dello strato di corrente che quindi può risultare discontinua. Tale discontinuità viene indicata e misurata introducendo il parametro ∆0 definito come:

∆0 = 1 ψ ∂ψ ∂ ˆx x=0ˆ + ˆ x=0− (3.40) che rappresenta la discontinuità nella derivata logaritmica di ψ. Il parametro ∆0 riveste un ruolo di fondamentale importanza nell’ambito della riconnes-sione in quanto è legato al tasso di crescita γ dell’instabilità di tipo tearing. In particolare, come verrà mostrato più avanti, se ∆0 = 0 anche γ = 0. Per risolvere in modo esatto le equazioni esterne occorre conoscere f (ˆx) (e quindi B0) ma in mancanza di questa informazione è comunque possibile

ot-tenere una forma approssimata per i campi ψ e φ che sia valida nella zona di sovrapposizione, cioè nel limite ˆx → 0, che è quanto serve per effettuare il raccordo asintotico. Per fare ciò, occorre notare che le equazioni esterne 3.31 e 3.33 sono simmetriche per inversione dell’asse ˆx e per tale motivo le soluzioni ψ e φ potranno essere scritte come somma di una funzione pari e di una dispari. Nel caso dell’instabilità di tipo tearing, la perturbazione ψ deve essere pari per poter avere un modo instabile in quanto se fosse dispari allora ∆0 sarebbe nullo (la derivata di una funzione dispari è pari e quindi la derivata di ψ per ˆx = 0+ sarebbe uguale a quella valutata in ˆx = 0). Per

tale ragione, ricorrendo all’equazione 3.31 e notando che f (ˆx) è dispari per ipotesi (in quanto il campo magnetico di equilibrio B0 è stato scelto dispari

in x), la perturbazione φ deve essere dispari in ˆx. Quindi, espandendo in serie ψ attorno a ˆx = 0 e tenendo conto della sua parità, è possibile ottenere la soluzione esterna approssimata:

ψ ' ψ(0)  1 + ∆ 0 2 |ˆx|  (3.41) valida vicino allo strato di corrente, mentre, utilizzando l’equazione 3.31 e l’espansione f (ˆx) ' ˆxf0(0), si ottiene: φ = ψ ˆ xf0 (0) → φ = ψ ˆ x ' ψ(0)  1 ˆ x + sgn(ˆx) ∆0 2  (3.42)

(42)

in cui sgn(ˆx) è la funzione segno che vale +1 per ˆx > 0 e −1 per ˆx < 0 ed è stata effettuata la sostituzione φ → φf0(0).

Adesso bisogna calcolare le soluzioni interne allo strato di corrente e per fare ciò risulta conveniente considerare la trasformata di Fourier delle equazioni 3.38 e 3.39. Definendo le trasformate di ψ e φ come:

ˆ ψ(p) = Z dˆx e−iˆxpS 1 3 ψ(ˆx) → ψ(ˆx) = S 1 3 2π Z dp eiˆxpS 1 3 ˆ ψ(p) (3.43) ˆ φ(p) = Z dˆx e−iˆxpS 1 3 φ(ˆx) → φ(ˆx) = S 1 3 2π Z dp eiˆxpS 1 3 ˆ φ(p) si ottengono le seguenti equazioni [2]:

ˆ γ ψ −ˆ i S13 d ˆφ dp ! = − 1 S13 p2ψˆ (3.44) −ˆγ2p2φ =ˆ i S13 d dp  p2ψˆ (3.45)

Introducendo il parametro Q = ˆγS13 ed eliminando ˆψ tra le due equazioni

si arriva a: d dp p2 p2+ Q d ˆφ dp ! − Qp2φ = 0ˆ (3.46)

che va risolta scegliendo come condizione al contorno il fatto che ˆφ(p) si annul-li per p → ±∞ (condizione necessaria per poter effettuare l’antitrasformata di Fourier) ed assumendo che Q << 1, condizione che corrisponde a studiare delle perturbazioni instabili che crescono in modo relativamente lento (in se-guito verrà mostrato che questa assunzione corrisponde all’approssimazione constant-ψ).

Non è facile calcolare la soluzione esatta dell’equazione 3.46 ma è possibile ottenere in modo relativamente semplice una soluzione approssimata che sia valida nella regione di sovrapposizione tra la zona interna e la zona esterna allo strato di corrente, cioè nel limite ˆx/ˆδ → ∞. Per fare ciò, occorre notare che per ˆx/ˆδ → ∞ si è vicini alla zona ideale in cui i gradienti delle grandezze che caratterizzano il plasma sono piccoli e gradienti piccoli corrispondono a

(43)

cercare una soluzione per ˆx/ˆδ → ∞ nello spazio reale equivale a cercare una soluzione per p → 0 nello spazio di Fourier.

Un secondo problema da affrontare nel risolvere l’equazione 3.46 riguarda il fatto che le condizioni al contorno sono imposte per p → ±∞ e bisogna trovare il modo di trasportarle sulla soluzione valida per p → 0. A tal fine, si usa un metodo simile al raccordo asintotico che consiste nel trovare una soluzione valida per p grandi che rispetti le condizioni al contorno e una soluzione valida per p piccole per poi raccordare queste due soluzioni in un intervallo di valori di p in cui sono valide entrambe.

Nel limite p >> Q12 (cioè per p grandi) l’equazione 3.46 si riduce a:

d2

dp2φ − Qpˆ

2φ = 0ˆ (3.47)

nota come equazione di Weber, che ha per soluzione una funzione speciale detta "funzione parabolica del cilindro" che si annulla per p → ±∞ (soddisfa le condizioni al contorno) ed è indicata come ˆφ(p) = U (0,√2 Q14 p). La forma

esplicita di questa funzione nel limite p Q14  1 è:

ˆ φ ' A  1 − 2Γ(3/4) Γ(1/4)Q 1 4p  (3.48) che è valida nell’intervallo Q12  p  Q−

1

4 (si noti che questo ordinamento

è possibile solo se Q << 1) e in cui A è una costante di integrazione mentre Γ(n) è la funzione gamma di Eulero.

Adesso bisogna tornare all’equazione 3.46 che nel limite Q14p << 1

diven-ta: d dp p2 p2+ Q d ˆφ dp ! = 0 (3.49) la cui soluzione è: ˆ φ = B  p − Q p  + C (3.50)

che nel limite p >> Q12 si riduce a:

ˆ

φ ' Bp + C (3.51)

in cui B e C sono costanti di integrazione che possono essere valutate notando che sia la soluzione 3.48 che la 3.51 sono valide nello stesso intervallo di valori di p, cioè per Q12 << p << Q−

1

4, e pertanto devono essere uguali, così facendo

si ha:

B = −2AΓ(3/4) Γ(1/4)Q

1

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