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al controllo sull’utilizzo e la circolazione di armi, ma anche l’interpretazione di

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1 INTRODUZIONE

Negli Stati Uniti il problema della violenza causata da armi da fuoco appartenenti a privati cittadini sale pressoché ogni anno agli onori delle cronache internazionali con episodi sconcertanti – risale a solo un anno fa la strage di Orlando in Florida, 12 Giugno 2016 – e costituisce un allarmante problema sociale e politico di affatto semplice soluzione.

In apertura del mio lavoro di tesi ho ritenuto opportuno offrire una

panoramica sul complesso dibattito che riguarda non solo la legislazione in merito

al controllo sull’utilizzo e la circolazione di armi, ma anche l’interpretazione di

quello che, nella costituzione americana, costituisce la base giuridica del diritto a

essere armati: il Secondo Emendamento contenuto nel Bill of Rights del 1791. Gli

studi storici e giuridici che si occupano di indagare questa parte di costituzione

hanno prodotto almeno tre indirizzi interpretativi: uno “collettivista”, che vede

nell’emendamento una prerogativa dei singoli stati creare milizie e inquadrarvi un

corpo armato di cittadini; uno “individualista” che scava nelle fondamenta

giuridiche risalenti al Bill of Rights inglese del 1689 per dimostrare che il

Secondo Emendamento costituirebbe, fin dalle sue origini, un diritto individuale

di ogni cittadino a “tenere e portare le armi” per propria autodifesa; infine, esiste

un’altra corrente interpretativa detta “civic rights school” che tende a superare le

visioni precedenti, ponendo una forte connessione tra il diritto individuale a

possedere armi da utilizzare, però, non per pura difesa personale, ma nel contesto

di una “milizia ben organizzata”. Ad oggi è prevalsa giuridicamente una lettura

individualista del Secondo Emendamento, affermata, nel 2008, in una sentenza

(2)

2 della Corte Suprema, District of Columbia vs. Heller. 1 Questa vittoria dell’indirizzo individualista può essere connessa con una svolta che avviene dalla seconda metà del XX secolo e che riguarda soprattutto l’universo politico conservatore.

Negli anni Settanta acquista consenso tra le fila conservatrici la visione del Secondo Emendamento come diritto individuale dei privati cittadini a possedere armi per la propria sicurezza personale, facendosi dunque rappresentante dei cosiddetti gun rights e contrapponendosi alle misure di gun control promosse nel decennio precedente in seguito ai disordini sociali e agli assassinii di J.F.

Kennedy, Malcom X, Martin Luther King e di Bob Kennedy. Parallelamente, nella National Rifle Association, organizzazione promotrice delle armi e del loro utilizzo tra i cittadini statunitensi, avviene lo stesso cambio di rotta. Se in un primo momento l’agency dell’organizzazione è indirizzata a favore del law and order, a metà anni Settanta, in concomitanza dell’ascesa politica di Ronald

Reagan e della svolta neoliberista in Occidente, comincia anch’essa a porsi a difesa dei gun rights, sposando l’interpretazione individualista del Secondo Emendamento: lo stato federale non deve porre alcuna restrizione sul possesso di armi private per scopi legittimi - tra cui l’ autodifesa e la protezione della proprietà privata - . Da questo punto di vista, nessuna interferenza federale può essere ammessa quando si tratta di garantire al cittadino la possibilità di provvedere autonomamente alla propria sicurezza.

1

Siegel, R.B. Dead or Alive: Originalism as Popular Constitutionalism in Heller, Harward Law

Review No 191, 2008-2009

(3)

3 In passato le armi hanno rappresentato per i padri fondatori il mezzo necessario per liberarsi dal potere tirannico della corona inglese e che, dunque, apparterebbero a una “tradizione di libertà” che non tollera intrusioni statali sulla vita dell’individuo privato, la cui sicurezza è direttamente consegnata nelle sue mani. Si tratta di una visione complessiva che considera le armi da fuoco come un elemento chiave della storia americana, un vero e proprio tratto culturale distintivo. In effetti, le armi rappresentano per molti cittadini (e cittadine) l’emblema della lotta per l’indipendenza e della frontiera, il mezzo attraverso il quale fu possibile l’espansione verso Ovest nel XIX secolo. Tuttavia, l’idea che le armi costituiscano un elemento culturale imprescindibile e immutabile nella storia degli Stati Uniti è, nell’analisi storica odierna, oggetto di dubbio. 2

Le ricerche sulla “gun culture” si sono inoltre arricchite di chiavi interpretative che hanno permesso di indagare questo frangente attraverso la lente del gender. In questa sede, mi sono infatti occupata di seguire il percorso storico delle donne nella “gun culture”, senza affatto esaurire la complessità e la vastità di questa tematica. Al contrario, molte altre indagini potrebbero essere fatte in questo ambito (ad esempio, esplorare le possibili connessioni della “gun culture” con le questioni della comunità afroamericana). Alcuni studiosi (Squires, Kohn) mettono in evidenza come la cultura delle armi che si nutra dell’idealizzazione delle figure rivoluzionarie, dei padri fondatori e dei pionieri, almeno in apparenza, non sembra lasciare spazio per la celebrazione di modelli femminili capaci di determinare le sorti individuali e nazionali.

2

Bellesiles, M.A. Arming America. The Origin of a National Gun Culture, Alfred A. Knopf, New

York, 2000

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4 Dal mio punto di vista, è tuttavia poco esaustiva l’idea di una “gun culture” come appannaggio di un’unica categoria di soggetti che, alla fine del XVIII secolo, acquistano automaticamente cittadinanza formale e sostanziale, vale a dire, cittadini maschi e bianchi. A ben vedere esistono, fin dal XVII e XVIII secolo, numerose narrazioni di soggetti femminili armati e che continuano a essere rappresentati successivamente, fino a essere inglobati nella cultura di massa del XX secolo. Se in alcune fasi e in alcuni contesti la rappresentazione della donna armata tende a mettere in crisi gli stereotipi legati ai ruoli di genere, in altri tale figura è utilizzata, al contrario, per ristabilire una “normatività”, caricando il soggetto, seppur munito di un’arma letale, di qualità “femminili” familiari e rassicuranti. 3

Nel secondo capitolo ho ripercorso la storia della National Rifle Association, esplorando le modalità in cui l’organizzazione si rende portatrice della “gun culture” e rappresentante dei gun rights. L’assunto per cui la National Rifle Association - l’ambiente più rappresentativo della “gun culture” e anche il più intriso di miti “machisti” e individualisti (Stroud, Melzer, Eitches) – riuscirebbe a inquadrare con fatica al suo interno il pubblico femminile necessita, a mio avviso, di un’integrazione. Negli ultimi decenni del Novecento, infatti, le donne hanno assunto all’interno dell’organizzazione un certo peso politico, schierandosi a difesa dei gun rights, divenendo dunque parte attiva della comunità dei gun owners e guadagnando visibilità politica in opposizione ai tentatavi attuati dal

governo federale di porre regolamentazioni.

3

Browder, L. Her Best Shot. Women and guns in America, University of North Carolina Press,

2006

(5)

5 All’inizio degli anni Novanta, la National Rifle Association comincia a interessarsi proprio alle cittadine americane in possesso di armi per scopi personali o che manifestano l’intenzione di acquistarne una, e mette in atto una strategia di allargamento della propria membership, fondando un programma specifico dedicato all’autodifesa armata denominato Refuse to Be a Victim. Trovo che questo passaggio possa essere messo in relazione con l’apertura, tra fine anni Ottanta e inizio anni Novanta, di un discorso “post-femminista” che ingloba al suo interno la logica di strenua affermazione del diritto individuale di portare le armi, connettendola ai temi dell’emancipazione e dell’autodeterminazione. 4 La pistola costituirebbe per le donne un potente mezzo di autodifesa da aggressioni sessuali, un elemento chiave che farebbe la differenza in ogni situazione a rischio e che vanificherebbe la maggiore forza dell’aggressore portando il soggetto femminile armato in una situazione di parità. 5

Al fine di esplorare più a fondo questo punto di vista, nel capitolo finale mi sono occupata dell'analisi contenutistica di una rivista dedicata alle donne e alle armi da fuoco, Women and Guns: The World’s First Firearms Publication for Women. Si tratta di un periodico bimensile fondato nel 1989, esemplificativo di un

certo modo di declinare l’identità femminile armata e, per questo, oggetto delle analisi precedenti della studiosa Laura Browder che si riferisce per lo più ai numeri relativi al decennio 1990-2000 che non sono, ad oggi, di facile reperimento sul web. Nondimeno, la più immediata disponibilità delle riviste

4

Wolf, N., Fire with fire, the new female power and how it will change the 21th century, Chatto &

Windus Limited, London, 1993

5

Quigley, P. Armed & Female, S. Martin’s Paperbacks, New York, 1989

(6)

6 relative al decennio successivo (2005-2015) hanno reso possibile una ricerca di prima mano sul materiale di questo periodo.

Se, dunque, in passato il soggetto femminile munito di pistola costituisce dal punto di vista storico-culturale una figura talvolta “ibrida”, cioè capace di entrare in conflitto con le codificazioni dei ruoli di genere (Browder), in questo contesto assistiamo, invece, alla riproposizione di un modello che si vuole sì autonomo nella difesa di se stesso e della propria casa da un'aggressione esterna, ma che non sembra sconvolgere una normatività bianca ed eterosessuale: le protagoniste indiscusse di questa rivista risultano essere, donne bianche, di mezz'età, madri singole o sposate con uomini. Più significativamente, ad essere celebrato in Women and Guns è il senso di responsabilità individuale che queste donne

dimostrano di avere nella decisione di armarsi per proteggere se stesse, la famiglia e la loro propria abitazione. C'è poi l'idea che l'aggressione sessuale sia, nella maggior parte dei casi, agita da un soggetto maschile, “criminale”, esterno alla propria cerchia familiare: questo fa sì che in Women and Guns la dinamica di aggressione venga fortemente individualizzata, facendo risaltare un soggetto femminile armato trionfante, che riesce a prevalere sul proprio aggressore grazie alle sue abilità con la pistola.

Nell’osservare questi materiali e mettendoli in relazione al contesto di

riferimento di molte donne che coltivano l’interesse per le armi (National Rifle

Association) mi è sembrato di riscontrare alcuni denominatori comuni non

estranei, peraltro, a quelle correnti “post-femministe” di cui ho accennato sopra: in

primo luogo, il “mito individualista” costruito intorno alla storia e

all’interpretazione del Secondo Emendamento, reso emblema del diritto alla

(7)

7 difesa personale, slegato della sua componente “statale”; secondo, una sfiducia significativa nei confronti di misure legislative di gun control prese a livello federale e delle forze dell’ordine, ritenute incapaci di garantire, da sole, la sicurezza dei cittadini (e cittadine); terzo, una visione “moralizzata” del problema della gun violence in cui una comunità di individui armati e rispettosi della legge – a cui si lede un diritto individuale nel momento in cui si tenta di porre restrizioni e regolamentazioni - si contrappone ai criminali, bad guys, la minaccia esterna alla proprietà e all’incolumità contro la quale è necessario non farsi trovare impreparati.

Questo si traduce, in Women and Guns, in una visione della violenza di genere slegata da considerazioni più ampie sulle manifestazioni della misoginia e del patriarcato in ambito pubblico e privato, e in un’ossessiva ripetizione di un leit motiv: con la pistola, se si è in grado di usarla, decade qualunque disparità fisica e,

conseguentemente, il pericolo di sopraffazione. Una donna, se responsabile, è consapevole di questa opportunità ed è perfettamente in grado di scegliere di armarsi, rifiutandosi di essere una “vittima” e neutralizzando in modo esclusivo e individualistico il pericolo rappresentato da un’intrusione illegittima di un malintenzionato nel proprio ambito privato e di un’eventuale aggressione sessuale. I bad guys non troveranno queste donne impreparate, le quali potranno liberarsi dalla minaccia di stupro solo scegliendo l’opzione dell’autodifesa e rinunciando a qualsiasi tipo di dipendenza e dai falsi miti legati alla loro intrinseca

“natura” pacifica e materna. La contrapposizione tra gun rights e gun control, ha

prodotto due impianti discorsivi contrapposti nell’ambito dell’impegno politico

delle cittadine americane a favore della regolamentazione o, al contrario, del

(8)

8 diritto di essere armate. La Million Mom March del 2000 6 , in modo analogo ai movimenti suffragisti, ha fatto uso di uno schema ch declina l’impegno politico

“femminile” in base al ruolo di cura della donna, utilizzato per incrementare l’impatto delle rivendicazioni sociali, educative e di impegno per la pace. Nel caso della Million Mom March, la retorica maternalistica è utilizzata per sfidare il potere della National Rifle Associaton e una cultura delle armi considerata prevalentemente maschile, corresponsabile del problema della gun violence. 7 Analizzando i contenuti di Women and Guns, mi è parso di riscontrare lo stesso

“appello alla maternità”, seppur adoperato in modo diverso: se da parte delle sostenitrici del gun control è il senso di protezione “disarmato” e pacifico a essere messo in gioco, qui troviamo esaltato l’istinto protettivo di difendere la prole, compito che ogni madre responsabile sa di poter assolvere al meglio se capace di utilizzare un’arma e non avere alcun timore di usarla. A mio parere, dunque, le donne in questo tipo di contenuti faticano, in realtà, a mettere in discussione l’ordine oppressivo e la sopraffazione violenta, per divenire, piuttosto, il “braccio

6

Marcia che si tenne il 14 Maggio 2000 a Washington D.C. in seguito ad eclatanti stragi degli anni precedenti, tra cui il massacro alla Columbine High School (Colorado) il 20 Aprile 1999. La manifestazione aveva lo scopo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul problema dell gun violence e chiedere a livello governativo misure più efficaci di gun control.

7

<<The maternal frame highlights women’s role as mothers, nurtures, and caregivers, as well as

their differences from men, in calling them to action. This frame is rooted in maternalism, the

belief that women have biological – and perhaps psychological – differences from men that justify

the distinct social roles that have been constructed around those differences. Women’s proclivity

toward care-giving has been used to justify their political engagement on behalf of issues including

public education, children’s healthcare, mothers’ pensions, and women’s suffrage. (...) Dees-

Thomases calculated that explicit appeals to women’s biological and social roles as mothers would

mobilize women in a frontal assault on the powerful U.S. gun lobby and its Congressional

supporters. Thus, the organization that Dees-Thomases and other created utilized narratives and

visual symbols of maternalism, emphasizing women’s difference from men. The maternalist

rhetoric was not merely emotional; it contained a deeper critique of men’s domination of politics

and of the largely men’s gun culture>>. Goss ,K. A., Heaney, M.T., Disarmed: The Missing

Movement for Gun Control in America, Princeton University Press, Princeton (NJ), 2006, pp.29-

35

(9)

9 femminile armato” a servizio della domesticità. È, in realtà, proprio del

“maternalismo” che le autrici di Women and Guns sembrano fare fatica a liberarsi.

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