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Fanno parte dell’immunità innata la cute, le mucose, il riflesso della tosse, il pH, il sistema del complemento, la febbre ecc

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INDRODUZIONE 1. Generalità sulla patogenesi delle malattie allergiche.

1.1 Il sistema immunitario

Il sistema immunitario è un dispositivo di sorveglianza che l’organismo ha sviluppato per difendersi dalle innumerevoli aggressioni del mondo esterno (Williams et al, 1992).

L’immunità si può funzionalmente dividere in due sistemi:

 Sistema immunitario naturale (aspecifico)

 Sistema immunitario acquisito (specifico)

Sistema immunitario naturale (aspecifico);

L’immunità naturale rappresenta l’insieme dei meccanismi di difesa presenti sin dalla nascita e che sono immediatamente disponibili all’incontro con l’antigene (Ag). L'Ag è una qualsiasi sostanza, non appartenente all’organismo, capace di reagire con i prodotti del sistema immunitario (SI). Il sistema naturale agisce come prima linea difensiva contro agenti infettivi e comprende risposte aspecifiche, esterne ed interne, per difendere l’integrità biologica dell’organismo (Gaetner e Hiatt, 2002). Fanno parte dell’immunità innata la cute, le mucose, il riflesso della tosse, il pH, il sistema del complemento, la febbre ecc. Tutti questi elementi sono in grado sia di danneggiare direttamente i microrganismi che di potenziare l’efficacia della risposta immune verso di essi.

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Sistema immunitario acquisito (specifico);

Rappresenta l’insieme di meccanismi di difesa che sono indotti o stimolati dal contatto con l’Ag ed è specifica solo per esso. Il contatto iniziale con l’antigene estraneo (immunizzazione) attiva una cascata di eventi che conducono all’attivazione dei linfociti e alla sintesi di proteine che possiedono capacità specifiche verso l’Ag. In virtù di questo l’individuo acquisisce la capacità di riconoscere e resistere ad un successivo attacco da parte delle stesso agente. Il sistema immunitario acquisito è quindi specifico e presenta varie caratteristiche ovvero la diversità (repertorio linfocitario), la memoria ed il riconoscimento fra self (costituenti dell’organismo) e non self (estranei all’organismo).

L’immunità acquisita può essere ulteriormente suddivisa in: umorale e cellulo- mediata.

 Immunità umorale (mediata da anticorpi):

E’ un immunità mediata da anticorpi (Ab, Antibody) prodotti dai linfociti B.

Questi in seguito al legame dell’Ag a specifiche immunoglobuline (Ig) di membrana ACP (Antigen Presenting Cell, cellule presentanti l’antigene) producono Ab. Una volta che l’Ag si lega al suo recettore, il linfocita B riceve segnali di attivazione che danno inizio alla produzione di Ig. Il legame fra Ag ed Ab permette la formazione del complesso Ag-Ab determinando così l’attivazione del complemento che ha il compito finale di fagocitare e lisare le sostanze che hanno indotto la risposta immunitaria.

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 Cellulo-mediata (mediata da linfociti T):

E’ un immunità mediata dai linfociti T, che si localizzano direttamente sul sito di deposizione dell’Ag.

Ci sono due principali popolazioni di linfociti T: i linfociti T helper (Th) ed i e linfociti T citotossici (TC). I primi esprimono sulla membrana la molecola CD4 ed hanno la funzione di facilitare la produzione di Ab, mentre i secondi esprimono sulla membrana la molecola CD8 ed hanno attività “suppressor”, ovvero contraria a quella dei linfociti TH, limitando la produzione anticorpale da parte dei linfociti B.

Il sistema immunitario aspecifico è composto da macromolecole presenti normalmente nel sangue: i macrofagi, le cellule natural killer (NK) ed il complemento. Il ruolo di queste macromolecole è l’eliminazione delle cellule tumorali e delle cellule infettate.

Il sistema immunitario specifico ha, invece, il compito di eliminare specificamente l’agente patogeno reagendo, non solo contro una particolare componente antigenica dello stesso, ma anche proteggendo l’organismo da una successiva esposizione all’antigene. Le cellule impegnate sia nella risposta aspecifica sia in quella specifica comunicano fra loro tramite le citochine, le quali sono molecole segnale rilasciate dall’organismo dopo il contatto con sostanze estranee.

Le attuali conoscenze sui meccanismi che influenzano la differenziazione dei linfociti T in effettori Thl o Th2 suggeriscono che anche piccole dosi di determinati antigeni, come quelli generati dalle secrezioni/escrezione degli

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Molti dei meccanismi cellulari e molecolari responsabili della sintesi di immunoglobuline di classe E (IgE) sono stati identificati. La sintesi di questa classe Ig da parte dei linfociti B dipende dalla funzione helper di cellule T allergene-specifiche capaci di secernere interleuchina 4 (IL-4) ed eventualmente IL-13, senza o con minima produzione di IFN-γ (interferone). Sebbene IL-4 ed IL-13 siano il primo segnale che dà inizio alla commutazione da IgM ad IgE ed alla trascrizione del gene Cε, è necessario un secondo segnale costituito dall'interazione di membrana fra CD40 (su linfociti B) e CD40L (sui linfociti Th attivati) affinchè un mRNA maturo di Cε venga trascritto e vengano così prodotte le IgE (Fig. 1.1).

Figura 1.1. Risposta aspecifica.

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In occasione della risposta primaria ad un allergene da parte di un linfocita T, il meccanismo di presentazione dell’antigene deve necessariamente verificarsi a livello delle strutture linfatiche satelliti alle vie di ingresso dell'allergene, luogo in cui migrano anche le APC che captano l'allergene. Una volta che la risposta T ha prodotto cellule Th2 allergene-specifiche di tipo memoria, l'attivazione cellulare T nel corso di risposte secondarie prevede un minor numero di requisiti co-stimolatori e pertanto anche cellule non T, quali i mastociti ed i basofili che sono in grado di aiutare i linfociti B a produrre IgE. Questa funzione helper svolta a livello delle mucose da queste cellule infiammatorie è resa possibile dal fatto che entrambe possono esprimere, dopo attivazione, sia CD40L che IL- 4/IL-13.

1.2 Cenni sulle allergie

Negli ultimi 50 anni si è riscontrato un aumento della manifestazioni allergiche soprattutto nei paesi industrializzati. Dalle statistiche si evince che in Paesi come USA, Australia, Nuova Zelanda almeno il 20% dei soggetti è affetto da una patologia allergica respiratoria; in Italia i soggetti allergici sono tra il 10 e il 20% della popolazione, ma probabilmente questa cifra è sottostimata a causa della scarsa raccolta di dati.

Le prime segnalazioni di allergie risalgono addirittura agli Egizi, ma la ricerca in allergologia comincia nell’800 sugli animali. Nei primi anni del ‘900 venne dimostrato per la prima volta il fenomeno dell’anafilassi nell’animale. Nel corso del ventesimo secolo la ricerca si indirizza sia verso la comprensione dei

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allergeni, cercando di capire cosa siano e perché provochino tali reazioni abnormi. Nei primi anni ’50 vengono eseguiti i primi studi sulle citochine. La scoperta più importante dell’ultimo ventennio va attribuita al Prof. Romagnani, (Romagnani, 2000) che individuò differenze nell’ambito dei linfociti tra i soggetti sani e quelli che sviluppano allergie.

Con il termine allergia si definiscono delle risposte anormali del sistema immunitario nei confronti di una o più sostanze che normalmente non sono dannose per gli individui. Le manifestazioni allergiche, ad oggi, vengono inquadrate in una definizione un po’ più ampia, che è quella di ipersensibilità.

1.2.1 Reazioni di ipersensibilità immediata

L’ipersensibilità immediata è una reazione abnorme del nostro organismo e del sistema immunitario che causa sintomi e segni riproducibili tutte le volte che il soggetto viene a contatto con una determinata sostanza (che può essere un allergene inalato, ingerito, ecc.) che nei soggetti sani non provoca alcuna reazione (Wagner et al, 1999).

Le reazioni sono scatenate dall'interazione di un antigene con anticorpi specifici di classe IgE legati per il frammento Fc ai recettori FcεRI espressi sulla membrana dei mastociti, dei granulociti basofili e dei granulociti eosinofili attivati.

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a) Mastociti:

Originano dal midollo osseo, sono presenti in tutti i tessuti connettivi: nella cute, nel tratto gastrointestinale, nell’apparato respiratorio.

La loro attivazione avviene dopo la formazione del legame tra allergeni e due IgE. Questa interazione provoca una modificazione della conformazione delle IgE con conseguente degranulazione mastocitaria e successiva liberazione di mediatori chimici. I mastociti presentano nel citoplasma numerosi granuli nel citoplasma che contengono sostanze diverse come eparina, istamina, fattore chemiotattico neutrofilo eosinofilo e proteasi neutre. La liberazione dell’istamina è legata alla concentrazione dell’allergene specifico ed incrementa con l’aumento delle concentrazione di quest’ultimo.

b) Granulociti basofili:

Originano da cellule staminali presenti nel midollo osseo, fegato fetale, cordone ombelicale. Si trovano nel sangue circolante e solo in corso di flogosi nei tessuti. I basofili sintetizzano solo istamina ed alcune idrolasi.

I mediatori chimici rilasciati da queste cellule hanno un ruolo importante nella flogosi allergica e molti di questi intervengono immediatamente dopo pochi minuti dal rilascio.

c) Granulociti eosinofili:

(<3% dei leucociti) contengono granuli primari e secondari e possiedono sulla membrana plasmatica recettori ad alta affinità per le IgE. L’attivazione degli eosinofili è indotta da citochine come IL-5, IL-2, IL-3 e da mediatori prodotti

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l’attivazione della proliferazione cellulare, differenziazione, attivazione e degranulazione (Teixeira et al.,1995).

A seguito della sensibilizzazione, i pazienti allergici producono stabilmente alti livelli di IgE specifiche per l'allergene, mentre i livelli di anticorpi IgG risultano essere bassi sia negli allergici, che negli individui non allergici (Niederberger et al 2002). I sintomi appaiono entro pochi minuti dal contatto con l'antigene (fase immediata) ed hanno una durata piuttosto limitata, ma, in rapporto alla sensibilità individuale ed alla carica antigenica, i sintomi possono ripresentarsi a distanza di alcune ore (reazione tardiva) (Fig 1.2.).

La reazione immediata è riferibile all'azione dei mediatori chimici preformati contenuti nei granuli dei mastociti e dei basofili, mentre la reazione di fase tardiva è dovuta a mediatori mastocitari neosintetizzati ed alle conseguenze di un processo flogistico sostenuto da linfociti T ed eosinofili reclutati ad infiltrare l'organo bersaglio. L'esposizione prolungata all'antigene favorisce il consolidamento dell'infiltrato flogistico, l'innesco di meccanismi di auto- mantenimento della flogosi, l'iper-reattività aspecifica e più tardivamente un rimodellamento anatomo-funzionale delle strutture tessutali interessate. Dopo questo processo, i linfociti T allergene-specifici formano un pool di linfociti T della memoria a lunga vita in grado di rispondere a successivi contatti con l'allergene (Chakir et al, 2000).

Le cellule della memoria si trovano nella cute e nel sangue periferico degli individui sensibilizzati (Van Ree et al, 2000).

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1.2.2 Meccanismi di ipersensibilità: basi immunologiche e molecolari

All'inizio degli anni '50 Coombs e Gell realizzarono il primo tentativo di classificazione dei possibili meccanismi di ipersensibilità e distinsero quattro tipi di immunoreazioni, potenzialmente responsabili di danno anatomo-clinico:

1. Ipersensibilità di Tipo I (reazioni IgE- mediata):

Caratterizzata da una reazione allergica, sensibilità immediata o anafilassi (asma, febbre da fieno, eczema) che si presenta subito dopo il contatto con l’Ag.

L’induzione delle reazioni di tipi I avviene in tre tappe sequenziali:

Figura 1.2. Schema della risposta allergica; fase precoce e tardiva.

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 sensibilizzazione e risposta primaria con produzione di Ab specifici di classe IgE;

 riesposizione all'antigene con legame a ponte (cross-linking) delle IgE specifiche sulla membrana di mastociti/basofili e liberazione di mediatori chimici (Fig. 1.3)

 formazione di un focolaio flogistico per migrazione trans-endoteliale di linfociti T ed eosinofili attivati.

E' noto che le IgE si legano, per mezzo di un recettore ad alta affinità (FcεRI), a basofili e mastociti (Turcich et al, 1993). Il legame a ponte tra allergene e le IgE poste su recettori contigui induce il rilascio di mediatori dell'infiammazione (istamina, leucotrieni), responsabili della comparsa, entro pochi minuti, dei sintomi immediati associati, ad esempio, al quadro clinico di rinite, congiuntivite e asma (Fig. 1.4).

Figura 1.3. Schema della risposta immunitaria di I tipo.

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Le IgE aumentano, inoltre, l'espressione dei recettori a bassa affinità, FcεRII sulla superficie di basofili e mastociti, contribuendo ad amplificare la reazione allergica.

2. Ipersensibilità di Tipo II (reazione mediata da anticorpi citotossici):

In queste reazioni gli Ab sono liberi nel siero, mentre l’Ag è adeso sulla superficie di determinate cellule, quale componente della stessa membrana cellulare. Quando gli Ab di classe IgM o IgG reagiscono con l’Ag cellulari con azione citotossica viene attivato il complemento che determina la lisi della cellula (Fig.1.5).

Figura 1.4. Rilascio dei mediatori chimici nell’ipersensibilità di tipo I.

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3. Ipersensibilità di Tipo III (da immunocomplessi):

In questo caso gli Ab sono liberi, circolanti e vengono definiti precipitine.

Appartengono alla categoria dell’IgG. Gli Ag e Ab formano immunocomplessi che precipitano sulle pareti vascolari e che sono in grado di fissare il complemento. In seguito si verifica un aggregazione piastrinica e leucocitaria con liberazione di enzimi che determinano lesioni tissutali.

Figura 1.5. Reazione di tipo II con attivazione del complemento porta all’amplificazione della risposta

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4. Ipersensibilità di Tipo VI (cellulo-mediata):

Differisce dagli altri tre tipi di reazione in quanto non è causata dagli Ab, ma dalle cellule immunocompetenti (linfociti, macrofagi) che possiedono specifici recettori nei confronti degli Ag. Questi possono essere tessuti estranei o piccole sostanze che una volta unitesi alla membrana cellulare, possono funzionare come antigeni.

Questo tipo di reazioni cellulo-mediate vengono denominate reazioni di ipersensibilità di tipo ritardato, dal momento che, in generale, si verificano 12- 48 ore dopo l’esposizione all’Ag (Fig. 1.6).

Figura 1.6. Rappresentazione schematica della risposta immunitaria di tipo IV.

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2. Le Immunoglobuline

2.1 Le immunoglobuline

Le immunoglobuline (Ig) sono proteine globulari del siero. Presentano una struttura simmetrica costituita da due catene pesanti (H, heavy) di circa 400 aminoacidi e da due catene leggere (L, light) di circa 200 aminoacidi (Fig. 2.1).

Queste due catene sono legate da ponti disolfuro (S-S) e da legami non covalenti (Davies et al, 1983).

Nella parte N-ternimale, ogni molecola possiede due porzioni, detti siti anticorpali, ai quali si lega l’antigene, questa porzione è nota con il nome Fab (Fragment antigen binding, frammento che lega l’antigene), mentre

Figura 2.1. Struttura tridimensionale degli anticorpi.

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l’altro frammento è il frammento cristallizzabile o Fc che non lega l’antigene ma conferisce ai diversi anticorpi alcune attività biologiche importanti quali:

 Fissazione del complemento;

 Passaggio transplacentare;

 Legame con molecole.

Le catene immunoglobuline presentano ripiegamenti ad ansa (loop) che formano domini o regioni con diverse funzioni biologiche, che possono essere suddivise in costanti (C) e variabili (V) (Fig. 2.2).

Le funzioni biologiche di un immunoglobulina dipendono dalle proprietà della regione C, che risulta identica per gli anticorpi di tutte le specificità nell’ambito di una data classe.

Figura 2.2. Struttura delle immunoglobuline

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Uno dei maggiori problemi incontrati nello studio delle immunoglobuline è stato quello di capire come tante differenti specificità possono essere generate nella regione variabile dell’Ig. All’interno di queste regioni si collocano delle zone ad altissima variabilità che partecipano al legame con l’antigene e formano una regione complementare all’epitopo antigenico, per questo motivo le regioni iper-variabili sono chiamate CDR (regioni che determinano complementarietà).

Le Ig umane comprendono 5 classi. Ogni classe di Ig presenta una struttura chimica e con un ruolo biologico ben preciso.

1. Immunoglobuline di classe G (IgG):

Le IgG costituiscono la principale componente immunoglobulinica del siero, circa il 75-80% delle Ig circolanti. Sono prodotte durante la risposta secondaria ed hanno attività antibatterica, antivirale e antiprotozoaria.

Il frammento Fc di questa classe di Ig svolge diverse funzioni quali:

 Passaggio attraverso la placenta, consentendo il trasferimento dello stato immune dalla madre al feto;

 Attivazione del complemento;

 Neutralizzazione delle tossine (tetanica e botulinica);

 Attivazione macrofagi;

 Opsonizzazione e fagocitosi degli agenti infettivi;

 Citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente (ADCC, Antibody Dependent, Cell Mediated Cytotoxicity).

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Le IgG svolgono un ruolo importante nella difesa dalle infezioni, legandosi ai macrofagi e ai leucociti permettendo loro di individuare efficacemente il bersaglio da fagocitare. Inoltre sono capaci di legarsi al complemento scatenando un’efficace cascata di reazioni biochimiche, che si concludono con l’uccisione del microrganismo.

2. Immunoglobuline di classe A (IgA):

Le IgA rappresentano, per concentrazione, la seconda classe di Ig circolanti, circa il 15-20%, mentre sono la classe predominante nelle secrezioni (latte, saliva, lacrime, secrezioni nasali e del tubo digerente).

Nel siero si trovano principalmente sotto forma di monomeri, mentre nelle secrezioni e nelle mucose in forma di dimeri, costituite da due molecole di IgA legate insieme. Le IgA rappresentano un importante mezzo di difesa contro le infezioni locali, stimolano la reazione del complemento solo attraverso una via di attivazione alternativa. Intervengono nella risposta immunitaria secondaria.

3. Immunoglobuline di classe M (IgM):

Le IgM costituiscono circa il 5-10% delle Ig circolanti. Possono trovarsi sia in forma monomerica, presenti sulla membrana dei linfociti B maturi per legare l’antigene specifico, sia in forma pentamerica, presenti nel siero. Sono i primi anticorpi ad essere sintetizzati una volta venuti a contatto un nuovo antigene, costituiscono quindi la risposta immunitaria primaria. Stimolano la reazione del complemento, come le IgG, ma non passano attraverso la barriera placentare ed è sufficiente una sola molecola di IgM legata all’antigene per attivare la cascata

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4. Immunoglobuline di classe D (IgD):

Le IgD costituiscono appena l’1% delle Ig circolanti. Sono presenti sulla membrana dei linfociti B maturi, dove legano l’antigene per cui sono specifiche ed inducono l’attivazione della cellula. Per questo è stato ipotizzato che le IgD agiscano da recettori cellulari di superficie nei confronti degli antigeni permettendo il differenziamento del linfocita B in plasmacellula e successiva sintesi di anticorpi.

5. Immunoglobuline di classe E (IgE):

Le IgE chiamate anche anticorpi reaginici, sono presenti in concentrazioni estremamente basse circa lo 0,0003% delle Ig circolanti. Questo valore si riscontra nei soggetti normali, mentre in soggetti atopici le concentrazioni aumentano fino a 20 volte. Hanno un emivita di 2 giorni. Le basse concentrazioni nel siero di queste IgE sono dovute in parte sia alla bassa produzione, sia alla particolare capacità del frammento Fc di legarsi con altissima affinità ai recettori (Fcε) presenti sui mastociti e basofili. Una volta legate a tali recettori, le IgE possono rimanere legate a queste cellule per settimane o mesi. L’antigene si lega quindi al frammento Fab delle IgE legate a queste cellule, causandone l’aggregazione sulla membrana e la conseguente attivazione cellulare con rilascio dei granuli che contengono l’istamina, eparina, leucotrieni e altri composti attivi che scatenano le reazioni di ipersensibilità mediata. Agiscono come recettori per gli antigeni innescando reazioni di tipo I°.

La produzione di IgE, da parte dei linfociti B, è controllata dai linfociti T classe- specifici e antigene-specifici, mediante fattori solubili prodotti dagli stessi

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linfociti T, in cooperazione con i macrofagi. Nei soggetti allergici è stata ipotizzata l’esistenza di un deficit dei linfociti T soppressori IgE specifici.

2.2 Recettori per le Immunoglobuline

Questi recettori appartengono alla famiglia delle immunoglobuline, non sono in grado di riconoscere direttamente l’Ag ma sono in grado di interagire con la porzione costante delle Ig. La loro interazione con il ligando regola la risposta biologica delle cellula su cui il recettore è espresso (attivazione o inibizione).

Sono specifici per le diverse classi di Ig e possono essere suddivisi in:

 recettori ad alta affinità (FcεRI);

 recettori a bassa affinità (FcεRII).

Possono essere individuate due classi funzionali di recettori:

1. recettori che permettono il trasporto delle Ig attraverso tessuti epiteliali:

 FcRn neonatal Fc Receptor Recettori per IgG;

 PIgR Polymeric Immunoglobulin Receptor Recettori per IgA e IgM.

2. recettori presenti su cellule effetrici del sistema immunitario:

 FcγR Recettori per IgG;

 FcαR Recettori per IgA;

 FcεR Recettori per IgE;

 Fcα/µR Recettori per IgA e IgM.

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2.2.1 Recettori ad alta affinità (FcεεεεRI)

Sono strutture che hanno affinità per le IgE monomeriche e sono localizzati sulla membrana di mastociti, dei granulociti basofili, sulla superficie delle cellule dendritiche, delle cellule di Langherans, della cute e sulla superficie di membrana di granulociti eosinofili e monociti.

I recettori ad alta affinità hanno una struttura tetramerica, costituita da quattro catene polipeptidiche, una α, β ed un dimero di due catene γ identiche, legate

fra loro da ponti disolfuro. È la catena α che lega le IgE anche dopo la dissociazione dalle altre catene.

2.2.2 Recettori ad bassa affinità (FcεεεεRII)

Sono strutture che appartengono alla superfamiglia delle lectine epatiche. Sono localizzati sulla membrana dei mastociti, basofili e su vari elementi cellulari quali le sottopopolazioni di piastrine e macrofagi. Queste recettori, denominati anche CD23, sono caratterizzati da un affinità molto bassa per le IgE, rispetto a quella dei recettori FcεRI, ed interagiscono con regioni molecolari diverse.

La percentuale dei recettori FcεRII è solitamente minima nei soggetti normali, mentre aumenta dopo l’esposizione con gli allergeni specifici, soprattutto in soggetti allergici. Questi recettori amplificano la risposta IgE (Williams et al, 1992).

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3. Anisakis

3.1 Anisakidosi

L’Anisakidosi è una parassitosi che può colpire l’uomo ed è causata nematodi, appartenenti alla famiglia degli Anisakidae, composta da quattro generi:

Anisakis simplex, Pseudoteranova, Contracaecum e Hysterothylacium.

Nel 1988 un gruppo di studiosi ha standardizzato una nomenclatura classificando in 3 diversi termini la malattia:

 Anisakidosi: malattia causata da un membro della famiglia degli Anisakidae;

 Anisachiasi: malattia causata da membri del genere Anisakis;

 Pseudoterranovosis: malattia causata da membri del genere Pseudoterranova.

I primi tre generi sono responsabili di zoonosi, ovvero di malattie infettive o parassitarie che possono essere trasmesse all'uomo sia direttamente (contatto con la pelle, peli, uova, sangue o secrezioni) che indirettamente (tramite altri organismi vettori o ingestione di alimenti infetti), mentre il genere Hysterothylacium non è patogeno, data la termolabilità del parassita (muore alla temperatura di 30°C).

La specie che risulta più coinvolta nelle infestazioni umane è l’Anisakis Simplex (Yu J.R. et al, 2001). Questo è un parassita che si trova, allo stadio adulto, nell'intestino di mammiferi marini e come ospite intermedio, nel suo

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nasello. Gli adulti di Anisakis si trovano nella cavità celomatica dei pesci (area del pesce dove sono contenute le viscere che vengono asportate per il consumo), sono visibili ad occhio nudo, essendo lunghi, a seconda della specie da 1 a 2 cm, sono molto sottili, tanto da ricordare capelli di colore bianco lattescente (Fig.

3.1).

Figura 3.1. Anisakis Simplex.

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3.2 Epidemiologia

Il continuo sviluppo, il progressivo miglioramento dello stile di vita e delle tecnologie, hanno determinato un aumento della frequenza dei rapporti fra le diverse popolazioni, causando modifiche nell’alimentazione. Secondo alcuni studiosi questa sarebbe la ragione dell’incremento di casi di infezione da Anisakis simplex che negli anni ‘80 si registrò negli Stati Uniti.

Oggi le cause che hanno portato a questo incremento possono essere riassunte così:

(i) presenza e distribuzione in tutto il mondo dell’Anisakis, proveniente sia da Oceani che da mari;

(ii) movimenti migratori e globalizzazione con il conseguente aumento di consumo di piatti esotici;

(iii) l'utilizzo di strumenti di cottura sempre più veloce ed una maggior tendenza a non cuocere troppo il cibo;

(iv) Il riconoscimento dei benefici della dieta mediterranea (caratterizzata in parte dal consumo di pesce) per evitare malattie cardiovascolari.

Quindi le modifiche dei gusti alimentari e dell’eterogeneità razziale hanno portato ad un aumento del consumo dei prodotti tipici stranieri.

L’utilizzo del pesce crudo risulta essere una pratica molto diffusa nella cucina italiana, soprattutto nel Sud, ma negli ultimi anni si è assistito ad un ulteriore incremento grazie all’esportazione e all’introduzione nel nostro paese di molti

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tipici olandesi quali trota affumicata o salata, sono considerati piatti ad altro rischio di intossicazioni e infezioni causate sia da batteri patogeni sia da altri parassiti. Infatti, la preparazione di questi piatti coinvolge alcuni metodi quali la salatura, la stagionatura, la marinatura, l’affumicatura, che sono utili per la sterilizzazione di molti patogeni di origine alimentare, ma non sono utili per eliminare l’Anisakis (Sakanari et al, 1989). L’uomo, infatti, può essere ospite intermedio per questi parassiti, causando malattie debilitanti e avviando, in alcuni casi, ad ipersensibilità immunitaria (Kliks, 1986).

Nel 2008 la World Health Organization (WHO) ha stimato che più di un miliardo di persone nel mondo sono infettate da una o più specie di parassiti nematodi gastrointestinali, che causano una vasta gamma di condizioni patologiche che spaziano dal lieve al letale.

Per questo motivo la FDA (Food and Drug Administrator) ha elaborato delle linee guida di conservazione e cottura (Tab. 1.1) predisposte a garantire la devitalizzazione dei parassiti.

Per evitare cibi contaminati è consigliato:

 L’uso di alte temperature (60°C) per almeno 1 minuto durante la cottura;

 Riscaldamento a 74°C per almeno 15 secondi al microonde;

 Congelamento a temperature inferiori a 20°C per almeno 48h (tab.1)

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Questi elaborati sono stati pubblicati in seguito a vari studi epidemiologici effettuati negli Stati Uniti, sia con A. simplex sia con Pseudoterranova, dove fu riscontrato che questi parassiti riescono a sopravvivere se sottoposti a brevi periodi di congelamento.

Nel 1992, una circolare del Ministero della Sanità, in vigore tutt’oggi, obbliga a chi somministra il pesce crudo o in salamoia (condimenti che non hanno alcun effetto sul parassita) ad utilizzare pesce congelato o a sottoporre a congelamento

TEMPERATURA

TEMPO di ESPOSIZIONE

+70°C 1”

+50°C 15’

+45°C 78’

-35°C 15 ore

-20°c 24-48 ore

-10°C > 7 giorni

AFFUMICATURA SOPRAVVIVENZA

+28°C 87,5%

+40°C 14,4%

+60°C Devitalizzazione

totale

Tabella 1.1. Tabella elaborata dal FDA che presenta le varie modalità di devitalizzazione dei parassiti Anisakis.

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Il primo caso d’infezione da un membro della famiglia Anisakidae fu segnalato più di 50 anni fa in Olanda. Van Thiel notò infatti la presenza del nematode marino nelle feci di un paziente affetto da dolori addominali acuti.

Successivamente il nematode venne identificato come Anisakis e la parassitosi umana venne chiamata Anisakidosi (Van Thiel, 1962). Kasuya descrisse questa infezione come una patologia di confine tra infezioni parassitarie e allergie, definendola gastro-allergia da Anisakis (Kasuya et al 1989, 1990). Da allora, la maggior parte delle infezioni sono state descritte da autori giapponesi (Ishikura et al, 1993), riflettendo il consumo frequente di pesce crudo in questo paese.

Alcuni studi epidemiologici hanno però constatato che esiste una differenza nella prevalenza della condizione provocata dall’A.simplex fra le popolazioni giapponesi e quelle cinesi, nonostante il consumo di pesce crudo sia comune in entrambe le popolazioni. Questa differenza venne spiegata dal fatto che in Cina il pesce crudo viene mangiato alla fine dei pasti, quando lo stomaco è pieno, mentre altri suggerirono che poteva essere attribuita all’utilizzo di particolari condimenti vegetali che sarebbero in grado di uccidere la larva (stadioL3) (Sakanari et al, 1989).

Successivamente vennero descritti altri casi in Asia (Korea), Europa (Olanda, Francia, Inghilterra, Spagna, Germania, Italia), Africa (Egitto), America, Canada e Nuova Zelanda. Negli Stati Uniti la maggioranza dei casi di Anisakidosi sono causati dall’ingestione di salmone del Pacifico (Deardorff, et al, 1990), mentre in Europa Occidentale la principale specie coinvolta nell’infezione parassitaria è l’aringa (Verhamme et al, 1988), in Spagna la maggior parte dei casi sono correlati al consumo di alici marinate (Alonso- Gomez et al, 2004).

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3.3 Ciclo biologico

Le specie di Anisakis svolgono il loro ciclo biologico in ambiente marino. Le uova vengono rilasciate in acqua, attraverso le feci dei mammiferi marini, dove si sviluppano i vari stadi larvali (L1-L3) (Valls et al, 2005). Subito dopo la schiusa vengono ingeriti dai primi ospiti intermedi (stadio larvale L2), di solito i piccoli crostacei che costituiscono il krill. Il krill a sua volta viene ingerito dal secondo ospite intermedio, o paratenico (cioè in cui il parassita non può svilupparsi e crescere), che è il pesce. A questo punto si sviluppa l'ultimo stadio larvale (L3) che può passare direttamente al suo ospite definitivo (mammiferi marini), per il completamento del suo ciclo biologico (L4), oppure può trovarsi in un altro ospite, definito per questo accidentale (nel quale il parassita non evolve a successivi stadi di sviluppo), che può essere l'uomo se quest'ultimo si ciba di pesce crudo o poco cotto che abbia al suo interno la larva di Anisakis (Fig. 3.2).

L3 L3-larva L1-L2-L3

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3.4. Meccanismo di infezione dell’Anisakis Simplex

Al fine di invadere la mucosa gastrointestinale, la larva L3 di A. simplex probabilmente esercita un azione meccanica di rottura sul tessuto combinata al rilascio di enzimi proteolitici che sono in grado di degradare la matrice extracellulare (Kennedy, 2000, Sajid et al, 2002). Queste proteasi risultano simile nell’attività enzimatica ad una tripsina dei mammiferi (Morris et al, 1994) e sembrano essere rilasciate da due strutture diverse del parassita: dalla ghiandola dorsale esofagea e dalla cellula escretrice della parte ventrale del tratto digestivo anteriore e successivamente liberate attraverso l’apertura orale e dal poro escretore (Buzzell et al, 1985).

La capacità invasiva delle larve, insieme alla presenza di sostanze anticoagulanti nei prodotti di escrezione (ES, Excretory secretory antigen), riesce a spiegare la presenza di lesioni ben definite e di emorragie generalmente individuate vicino alla lesione principale della mucosa gastrica di pazienti che soffrono di Anisakidosi (Perteguer et al, 1996) (Fig. 3.3). Gli anticorpi contro questi antigeni sono i primi a comparire (Iglesias et al, 1993). Si osservano risposte sia cellulari che umorali per le lesioni acute localizzate nella regione orale del parassita, in cui i prodotti escreti dalla larva formano immuno-complessi insolubili con gli anticorpi (Ishikura, 1990). E’ stato dimostrato che i prodotti di secrezione della larva possono non solo indurre risposte immunitarie, ma possono anche avere altri effetti, quali:

 Indurre degranulazione mastocitaria (Smith e Wootten, 1978);

 Inibire la trasformazione (indotta da mitogeni) delle cellule T;

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 Possedere attività anticoagulante, ruolo importante nell’invasione dei tessuti (Perteguer et al, 1996)

 Possedere attività di chemiotassi degli eosinofili associati con fattori termolabili del parassita, che risultano essere in parte responsabili del danno al tessuto dell’ospite (Del Pozo et al, 1999).

Figura 3.3. Rappresentazione schematica della patogenicità negli alimenti di Anisakis simplex.

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3.5. Allergia all’Anisakis simplex

Secondo indagini epidemiologiche, l’allergia alimentare è diventata un problema di salute rilevante in diversi paesi (Martin et al, 1986). Uno studio epidemiologico, clinico e sociologico della malattia allergica eseguita in Spagna nel 1992 in collaborazione con 265 epidemiologi e utilizzando dati provenienti da più di 4000 pazienti ha riferito che più di 145 pazienti (> 3,6%) avevano allergie alimentari, confermando che queste patologie rappresentano la quinta malattia più frequente nel mondo.

Nei pazienti pediatrici l’allergia al pesce è al secondo posto (17,8%) della classifica dei 608 alimenti che più frequentemente determinano reazioni (Fernández, 1992). Negli adulti il consumo di molluschi e crostacei è una causa importante di allergia dopo la frutta fresca e arachidi (González et al, 2002).

Da alcuni anni l’Anisakis è stato riconosciuto come possibile causa di reazione allergiche con sintomi che possono spaziare dall’orticaria ed angioedema fino all’insorgere di episodi di anafilassi. Tali reazioni sono dovute alla sensibilizzazione alle proteine antigeniche termoresistenti del parassita.

Le infezioni da Anisakis nell’uomo causano frequentemente sintomi gastrointestinali come dolori addominali, nausea, vomito, diarrea. Alcuni pazienti sviluppano contemporaneamente manifestazioni cliniche di allergia e infestazione dopo aver mangiato parassiti viventi. Usualmente la reazione si sviluppa entro poche ore dall’ingestione (Daschner et al, 2005). Infatti una volta che il parassita è penetrato nello spessore della mucosa intestinale causa una reazione infiammatoria che da’ luogo alla formazione di un granuloma eosinofilico che può evolvere in un’infiammazione di tipo flemmonosa, con

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possibilità di ulcerazione della mucosa, fino alla perforazione della parete. E’

stato inoltre riscontrato che i soggetti sensibili possono avere reazione allergiche non solo ingerendo il pesce infetto ma anche manipolandolo o respirando allergeni diffusi nell’aria. In questo caso si tratta di un rischio prevalentemente legato alla lavorazione del pesce, quindi di una malattia professionale che riguarda i lavoratori nel settore della trasformazione dei prodotti ittici (Tan et al, 2001, Scala et al, 2001). Le manifestazioni più frequenti di questa malattia professionale sono congiuntivite (Anibarro e Seoane, 1998), asma (Pulido- Marrero et al, 2000) e dermatite da contatto (Conde-Salazar et al, 2002). Più recentemente nel 2006 Nieuwenhuizen ha rilevato un elevata prevalenza di sensibilizzazione per A. simplex associata a dermatiti e ad iperattività bronchiale in lavoratori di trasformazione del pesce.

È evidente che A. simplex è uno degli allergeni più importanti nascosti nel cibo ed è considerato il fattore eziologico più comune associato ad orticaria ed episodi di anafilassi (Carretero et al, 1997, Audicana et al, 2003) nella popolazione adulta (Del Pozo et al, 1997). Monerent-Vautrin et al nel 2005 conclusero che le larve di Anisakis possono pertanto essere responsabili di quattro forme cliniche diverse negli essere umani:

 forma gastrica;

 intestinale;

 ectopica;

 forme allergiche.

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Daschner et al nel 2005 suggerirono un possibile coinvolgimento dell’Anisakis nell’orticaria cronica valutando anche la presenza di IgE specifiche contro il secreto prodotto dal parassita. L'interpretazione delle IgE specifiche per quanto rilevante è limitata a causa, nella regione interessata, di precedenti episodi di parassitismo che determinano una elevata prevalenza di anticorpi IgE contro questo nematode (Daschner et al, 2005). Una delle caratteristiche principali delle lesioni infiammatorie prodotte dalle larve del parassita è la presenza di una cospicua infiltrazione eosinofila nei tessuti circostanti. Queste cellule aderiscono all’epicuticole del nematode, in presenza di anticorpi (in particolare nella regione orale in cui sono localizzati i prodotti di escrezione), rilasciando fattori citotossici che, anche se apparentemente non sono in grado di danneggiare il parassita (Deardorff et al, 1991), sono probabilmente responsabili dei danni ai tessuti. La presenza degli eosinofili in aree danneggiate può essere dovuta non solo alla liberazione di numerosi fattori chemiotattici da parte dei linfociti T, mastociti e basofili, ma anche per la presenza di sostanze escrete dal parassita stesso. In diversi studi è stato osservato che nella maggior parte di infezioni provocate da elminti si verifica un aumento delle concentrazioni di eosinofili. Questo dato non è riscontrabile per le Anisakidosi, dove si riscontra questo aumento solo nel 30% dei casi (Ohtaki et al, 1989, Matsui et al, 1990).

In questi studi fu evidenziato, che gli eosinofili sembrano essere incapaci di distruggere le larve di A. simplex in vitro (Deardorff et al, 1991), ma l'infiltrazione di queste cellule nel tessuto circostante al parassita rappresenta una caratteristica tipica delle lesioni infiammatorie a livello locale nelle Anisakidosi. La presenza di queste cellule potrebbe riflettere la fase tardiva della risposta immunitaria di tipo I, a seguito del rilascio di fattori chemiotattici

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da parte degli eosinofili durante la fase acuta della risposta (Audicana e Kennedy, 2008). La possibilità che le sostanze escrete dal parassita possano richiamare in particolare gli eosinofili risulta coerente con le osservazioni fatte da Iwasaki e Torisu nel 1982 sui conigli, i quali evidenziarono aumenti di concentrazione degli eosinofili ma scarsa presenza di mastociti e leucociti. In sintesi, l'effetto della risposta degli eosinofili risiede principalmente a livello locale (tratto digestivo), e non a livello sistemico, in collaborazione con l’infezione da parassiti vivi o all'esposizione di antigeni di A. simplex.

L’attivazione della risposta immunitaria in seguito all’esposizione con il parassita è indicata dal fatto che, nel siero dei pazienti, si riscontrano concentrazioni crescenti di IgE durante i primi giorni (Daschner et al, 2000) che rimangono elevati per mesi o anni (Audicana, 2002). L’ipersensibilità è di solito diagnosticata e confermata sia con test cutanei che test in vitro.

Nel 1995 fu utilizzato per la prima volta il prick test cutaneo per A. simplex (Audicana et al, 1995).

Da allora il suo utilizzo si è diffuso e viene utilizzato come test di screening nei casi di orticaria e anafilassi di natura da determinare (Audicana et al, 2003).

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