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Apoptosi e sistema immunitario:

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Academic year: 2021

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Apoptosi e sistema immunitario:

regolazione e patologie associate

Direttore Responsabile Sergio Rassu

Caleidoscopio I t a l i a n o

... il futuro ha il cuore antico M

EDICAL

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YSTEMS

SpA

Adriano Angelucci

“Poste Italiane S.p.a. - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003,(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1,DCB Genova”- n°198- Febbraio 2006 - Dir. resp.:Sergio Rassu - Editore:Medical Systems S.p.A. Genova - Contiene I.P. - Stampa:Nuova ATA - Geno

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198

Apoptosi e sistema immunitario:

regolazione e patologie associate

Direttore Responsabile Sergio Rassu

Caleidoscopio I t a l i a n o

M S SpA

Adriano Angelucci

Università degli Studi dell’Aquila. Facoltà di Medicina e Chirurgia

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INFORMAZIONI GENERALI. Caleidoscopio pubblica lavori di carattere monografico a scopo didattico su temi di Medicina. La rivista segue i requisiti consigliati dall’International Committee of Medical Journal Editors. Gli Autori vengono invitati dal Direttore Responsabile. La rivista pubblica anche monografie libe- re, proposte direttamente dagli Autori, redatte secondo le regole della Collana.

TESTO. La monografia deve essere articolata in paragrafi snelli, di rapida consultazione, completi e chia- ri. I contenuti riportati devono essere stati sufficientemente confermati. E’ opportuno evitare di riportare proprie opinioni dando un quadro limitato delle problematiche. La lunghezza del testo può variare dalle 60 alle 70 cartelle dattiloscritte ovvero 100-130.000 caratteri (spazi inclusi). Si invita a dattilografare su una sola facciata del foglio formato A4 con margini di almeno 25 mm. Usare dovunque doppi spazi e numerare consecutivamente. Ogni sezione dovrebbe iniziare con una nuova pagina.

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BIBLIOGRAFIA. Deve essere scritta su fogli a parte secondo ordine alfabetico seguendo le abbreviazioni per le Riviste dell’Index Medicus e lo stile illustrato negli esempi:

1) Björklund B., Björklund V.: Proliferation marker concept with TPS as a model. A preliminary report. J.

Nucl. Med. Allied. Sci 1990 Oct-Dec, VOL: 34 (4 Suppl), P: 203.

2 Jeffcoate S.L. e Hutchinson J.S.M. (Eds): The Endocrine Hypothalamus. London. Academic Press, 1978.

Le citazioni bibliografiche vanno individuate nel testo, nelle tabelle e nelle legende con numeri arabi tra parentesi.

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Tutta la corrispondenza deve essere indirizzata al seguente indirizzo:

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L’Apoptosi è un processo di delezione della cellula estremamente com- plesso e finemente regolato e costituisce sicuramente un pilastro fondamen- tale per il mantenimento della omeostasi dell’individuo adulto.

E’ ormai stato dimostrato, in maniera inequivocabile, dai numerosi studi effettuati, che l’apoptosi può essere considerata come un “suicidio program- mato” ed è parte integrante della maggior parte, se non di tutte le cellule.

Questo fenomeno costituisce la risposta cellulare ad una serie di stimoli sia intrinseci che estrinseci alla cellula stessa. Appare sempre più evidente che l’apoptosi gioca un ruolo centrale nella patogenesi di numerose malattie del- l’uomo. Per esempio, un aumento dell’apoptosi porta alla perdita di cellule come nelle malattie neurodegenerative, mentre un difetto dell’apoptosi, geneticamente determinato, determina una proliferazione senza controllo delle cellule, tipica del cancro.

Proprio per questo motivo la comprensione del meccanismo dell’apopto- si può costituire una importante chiave di lettura, e quindi di intervento, in numerose malattie. La monografia del dottor Angelucci, costituisce sotto questo punto di vista, una preziosissima fonte di conoscenze proprio perchè, com sottolineato dall’autore, molte delle conoscenze sul processo di apopto- si derivano proprio dagli studi in vitro di cellule del sistema immunitario.

Il dott. Adriano Angelucci ha conseguito la Laurea in Scienze Biologiche presso l'Università degli Studi dell'Aquila. Sempre nella stessa Università, si iscrive prima al corso di Dottorato di Ricerca in Medicina Sperimentale, suc- cessivamente frequenta il laboratorio di Patologia Generale diretto dal Prof.

Mauro Bologna dove si occupa dello studio delle metastasi ossee del carci- noma della prostata. Dopo il periodo di servizio civile presso la Comunità di recupero tossicodipendenti “Il Mandorlo” a Catignano (PE), risulta vincito- re della Borsa di Studio triennale FIRC per la realizzazione di un progetto di ricerca presso l'Università degli Studi dell'Aquila sugli “aspetti biomoleco- lari della metastatizzazione ossea nel Carcinoma prostatico”. Gli viene quin- di conferito il titolo di Dottore di Ricerca in Medicina Sperimentale. Vincitore del Finanziamento Ricerca Giovani Ricercatori presso l’Università degli Studi dell’Aquila, riceve quindi l’affidamento di un incarico di collaborazio- ne dal Dipartimento di Biologia di Base ed Applicata ed ancora l’affidamen-

Caleidoscopio Italiano

Editoriale

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to di un incarico di collaborazione dal dipartimento di Biologia di Base ed Applicata dell’Università dell’Aquila per ottenere ancora l’affidamento dell’Assegno di Ricerca per la realizzazione di un progetto di ricerca sulle metastasi ossee e tumori urologici.

Il dottor Angelucci, come si può rilevare da qanto scritto, si è occupato di numerosi aspetti di patologia sperimentale studiando l’espressione delle chi- nasi ciclina-dipendenti in sistemi cellulari sia normali che tumorali, l’analisi biochimica delle vie molecolari coinvolte nell'arresto proliferativo indotto da farmaci antineoplastici tradizionali e di nuova applicazione, l’analisi delle vie di arresto della proliferazione cellulare rispetto a quelle apoptotiche.

Si è occupato quindi dello studio biochimico/molecolare del carcinoma della prostata con particolare attenzione all’analisi della diagnostica precoce e alla formazione di metastasi ossee, quindi al ruolo delle proteine non colla- genose della matrice ossea nella progressione del carcinoma prostatico. In particolare si è occupato della messa a punto della tecnica di purificazione di Osteopontina da latte umano e della caratterizzazione degli effetti della matrice extracellulare sulla capacità invasiva di linee cellulari di carcinoma prostatico, ed ancora della sperimentazione in vivo, su modello murino, dello studio della formazione di metastasi ossee da cellule di tumore prostatico umane. Ha collaborato alla realizzazione del progetto di ricerca dal titolo

“cancer homing to bone: modeling the interaction of human prostate cancer cells with human marrow stromal cells” ed infine ha collaborato alla realiz- zazione del progetto di ricerca sullo studio degli acidi grassi polinsaturi nel controllo dei tumori per arrivare infine allo studio del ruolo antitumorale di inibitori si Src di nuova sintesi. Come si può capire una intensa attività di ricerca che ci dà lo spessore di un personaggio che, con questo lavoro, ci offre concretamente la sintesi aggiornatissima sullo stato delle conoscenze su que- sto importantissimo tema.

Sergio Rassu

RINGRAZIAMENTI

Si ringrazia il Prof. Mauro Bologna per il fondamentale lavoro di revisione scientifica e la Sig.ra Maria Adele Angelucci per l'insostituibile assistenza for- nita nella ricerca delle fonti bibliografiche.

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1 Introduzione

Negli ultimi trenta anni pochi argomenti hanno influenzato la biologia cellulare allo stesso grado del chiarimento dei meccanismi molecolari alla base della morte cellulare. Più di 200 articoli riguardanti la morte cellulare programmata vengono oggi pubblicati ogni settimana. L'iniziale studio della morte cellulare, che ha visto i propri albori nell'ottocento, si è sviluppato fino al 1965 attraverso la raccolta di descrizioni strettamente morfologiche e di osservazioni occasionali in sistemi cellulari molto distanti tra loro. Tra gli anni '60 e '70 si verificano due importanti eventi in grado di dare un'accele- razione decisa agli studi sulla morte cellulare. Nel 1965 Lockshin e Williams affermano per la prima volta che la morte delle cellule durante lo sviluppo di organismi pluricellulari avviene tramite l'attuazione di un programma idea- to appositamente per tale scopo: tale fenomeno fu chiamato da allora in poi

“morte cellulare programmata” (PCD, Programmed Cell Death)(1). Solo nel 1972 però Kerr e Wyllie, raccogliendo l'eredità di numerose osservazioni, affermano che la morte della singola cellula è un processo inducibile in diver- se situazioni fisiologiche e che è costantemente accompagnato dalla espres- sione sequenziale di specifici caratteri morfologici. Per tale processo venne coniato il termine di “apoptosi” (2). Solo grazie a tali definizioni si è entrati nell'era moderna delle ricerche nel campo della morte cellulare che ha porta- to alla progressiva scoperta dei processi biochimici e genetici che regolano la PCD. Dalla individuazione del primo componente molecolare nel sistema della morte cellulare, Bcl-2 (3), è divenuto via via più chiaro che la compren- sione di un numero crescente di fenomeni cellulari fisiologici, e delle loro aberrazioni patologiche, sarebbe stato possibile solo attraverso la descrizione dei sistemi molecolari che controllano la PCD. Oggi è conoscenza scientifica consolidata che molte malattie derivano da un'errata realizzazione dell'a- poptosi, nei termini sia di un'eccessiva eliminazione di cellule necessarie all'organismo, sia della impossibilità di eliminare cellule potenzialmente dannose.

Il corretto funzionamento del sistema immunitario dipende dalla capacità di riconoscere con alta efficienza elementi estranei all'organismo e di dirige- re verso di essi una adeguata difesa. Per raggiungere tale scopo l'evoluzione ha messo a punto complesse strategie che sottopongono frequentemente le cellule del sistema immunitario a cicli di proliferazione-selezione. Tale tur- nover è fondamentale sia nell'acquisizione delle competenze immunologi- che, durante lo sviluppo e nell'adulto, sia nel controllo della risposta immu- nitaria. La maniera attraverso cui il sistema immunitario elimina sia cellule inefficaci o non più utili, sia quelle potenzialmente autoreattive è tramite l'in-

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duzione della apoptosi. Non a caso la maggior parte delle conoscenze dispo- nibili sul processo apoptotico derivano proprio dallo studio di modelli in vitro che si basano sull'uso di cellule di origine immunitaria. Sebbene ancora oggi siano molti gli aspetti che rimangano da chiarire, le attuali conoscenze ci permettono di descrivere in dettaglio il ruolo dell'apoptosi in alcune delle fasi dello sviluppo e del mantenimento del sistema immunitario. Tali momenti sono rappresentati dal fenomeno della tolleranza, della risposta cel- lulo-mediata, dell'infiammazione e della risposta ad agenti batterici e virali.

Proprio grazie allo studio dei meccanismi di protezione messi in atto da agenti virali per evitare la morte precoce nella cellula ospite, si stanno chia- rendo molti degli aspetti molecolari che regolano l'apoptosi.

La complessità del quadro di controllo attuato dal sistema immunitario fa ritenere che un'errata realizzazione dei processi apoptotici possa essere alta- mente pericolosa per l'organismo. Lo studio delle patologie associabili a disfunzioni nel processo apoptotico è in una fase di intensa indagine e molte di tali malattie, come le sindromi autoimmuni, rappresentano tuttora una sfida centrale per la medicina. Lo sviluppo nei prossimi anni di terapie effica- ci per tali patologie potrà realizzarsi solo a seguito della comprensione dei meccanismi che regolano il delicato equilibrio tra proliferazione, differenzia- mento ed apoptosi. Di seguito si cercherà di riassumere quelle che sono le conoscenze attuali, considerando le scoperte più recenti, sui meccanismi che regolano la apoptosi nel sistema immunitario e su alcune patologie associate.

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2 Caratteristiche generali

2.1 Modalità di morte cellulare

La morte di una cellula può rappresentare in un organismo pluricellulare una fonte di pericolo per l'integrità dei tessuti. Condizioni di stress fisico e chimico di particolare intensità determinano, infatti, la rottura delle mem- brane cellulari con conseguente rilascio del contenuto del citoplasma. La morte per necrosi è un evento pericoloso sia per il rilascio di molecole, quali enzimi proteolitici, che provocano un danno diretto alla cellula vicina, sia perchè determina una condizione pro-infiammatoria. Un altro aspetto da considerare è il rilascio di antigeni intracellulari verso i quali l'organismo non ha sviluppato tolleranza immunitaria e che sono quindi potenziale fonte di autoimmunità. In condizioni di stress più “blande” o per necessità fisiologi- ca, gli organismi pluricellulari hanno sviluppato una modalità di morte cel- lulare che mira ad annullare possibili effetti traumatici. Tale modalità viene indicata come apoptosi. In particolare il termine apoptosi serve a descrivere la morte cellulare che avviene tramite la realizzazione di cambiamenti morfo- logici sequenziali e specifici (Fig. 1). L'apoptosi è oggi considerata solo una delle possibilità di eliminazione fisiologica delle cellule, mentre il meccani- smo più generale a cui si fa riferimento per classificare la realizzazione di un programma genetico di morte è quello definito come PCD (Programmed Cell Death, morte cellulare programmata). Sono state descritte molte situazioni in cui le cellule non muoiono ricapitolando precisamente le caratteristiche morfologiche e biochimiche dell'apoptosi, ciononostante in conseguenza della numerosità dei dati speimentali disponibili, l'apoptosi può essere con- siderata per le cellule del sistema immunitario la modalità di morte più fre- quente.

Tutte le cellule dell'organismo sono predisposte ad attuare la PCD e que- sta può essere invocata in tutte le fasi della vita di un organismo pluricellu- lare, sia durante lo sviluppo sia durante l'omeostasi dei tessuti nell'adulto:

eliminazione di cellule ridondanti durante l’embriogenesi

rimodellamento dei tessuti durante la crescita

riparo e mantenimento dei tessuti

senescenza cellulare

modulazione del sistema immunitario

atrofia cellulare a seguito di mancanza di fattori di crescita

eliminazione di cellule con danni genetici irreparabili

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Figura 1. Rappresentazione schematica dei principali cambiamenti morfologici che accompagnano la morte per apoptosi.

La cellula si stacca dal tessuto di origine, diventando sferica

La membrana plasmatica forma estroflessioni (blebs), il citoplasma e la cromatina si condensano

La cromatina condensata assume un aspetto caratteristico ad anello o semiluna

Frammentazione nucleare e divisione del citoplasma

Fagocitosi

Corpi apoptotici

Necrosi secondaria

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Si è calcolato che circa 60 miliardi di cellule (0,1 % del totale) in un uomo adulto muoiono giornalmente per apoptosi. Le cellule eliminate vengono generalmente rimpiazzate da nuove cellule creando un sistema di controllo talmente dinamico che ha spinto alcuni studiosi a preferire il termine “omeo- dinamica” a quello di “omeostasi” (4). L'apoptosi si realizza attraverso una specifica sequenza di eventi biochimici che ha come scopo principale di arre- care il minimo danno al tessuto a cui appartiene la cellula che muore. Tra le caratteristiche che vale la pena di ricordare in questa occasione vi è il mante- nimento della integrità della membrana citoplasmatica, la frammentazione del DNA e l'espressione di molecole di segnalazione sulla superficie cellula- re che ne permettono il riconoscimento da parte dei macrofagi (Fig. 2). La eli- minazione delle cellule apoptotiche da parte dei macrofagi previene la rea- lizzazione della cosidetta “necrosi secondaria”, un fenomeno osservabile in vitro ma poco frequente in vivo a causa della sua pericolosità. Infatti, sebbe- ne l'apoptosi sia caratterizzata dal mantenimento della integrità di membra- na, tale caratteristica viene necessariamente a mancare in tempi più lunghi in quanto nella cellula apoptotica non esiste più un macchinario biochimico che permetta il suo mantenimento. Quindi in assenza di fagocitosi i corpi apop- totici tendono nel tempo ad aprirsi rilasciando il contenuto cellulare che, come nel caso della necrosi primaria, è dannoso per l' integrità del tessuto.

Figura 2. Alcuni dei principali eventi biochimici che si susseguono durante la morte apoptotica.

Modificazione nella composizione

della membrana plasmatica

Perdita del potenziale di

membrana mitocondriale

Acidificazione del citoplasma

Frammentazione del DNA

Aumento nell’afflusso

di Ca2+

Attivazione caspasi SEGNALE

APOPTOTICO FAGOCITOSI

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2.2 Vie di trasduzione del segnale

Al fine di comprendere le modalità di controllo del processo apoptotico, e le sue disfunzioni, è necessario conoscere le vie molecolari che ne permetto- no la realizzazione. Le attuali conoscenze ci indicano che l'apoptosi si realiz- za attraverso l'attivazione di vie molecolari multiple, ognuna delle quali pre- vede la partecipazione di diverse proteine regolatrici. Le molecole che pren- dono parte alla realizzazione delle vie di trasduzione del segnale apoptotico si possono dividere in attivatori ed inibitori della apoptosi. A seconda del tipo cellulare e della situazione fisiologica la via molecolare preferita e la sua composizione possono variare notevolmente. Dall'arrivo di un segnale pro- apoptotico possono bastare poche ore perchè l'apoptosi sia completata o anche alcuni giorni. Tale differenza può dipendere dalla disponibilità del macchinario molecolare necessario ad innescare la morte della cellula. Nel primo caso, l'attuazione rapida dell'apoptosi si realizza attraverso l'utilizzo di proteine di segnalazione già disponibili e funzionali, nel secondo caso l'a- poptosi potrà compiersi solo a seguito della esecuzione di processi di regola- zione trascrizionale. Oggi si conoscono due principali vie di trasduzione ed attivazione del segnale apoptotico: la via estrinseca, regolata da segnali extra- cellulari, e la via intrinseca, regolata da segnali intracellulari (Fig. 3). Le due vie non sono esclusive e spesso vengono attivate contemporaneamente.

Inoltre sia la via estrinseca che quella intrinseca convergono verso l'attiva- zione dei medesimi enzimi effettori, le caspasi. Le caspasi rappresentano un'ampia famiglia di enzimi proteolitici in grado di tagliare a livello dei resi- dui di acido aspartico (da cui il nome) un gran numero di substrati. Le caspa- si vengono classificate in tre categorie ed identificate con un numero:

caspasi iniziatrici (2, 8, 9, 10) = sono le prime ad essere attivate all'arrivo di uno stimolo pro-apoptotico. Tagliano e attivano le caspasi esecutrici.

Possiedono lunghe sequenze regolatrici.

caspasi effettrici (3, 6, 7) = tagliano e attivano substrati cellulari. Non hanno sequenze regolatrici.

caspasi infiammatorie (1, 4, 5, 11, 13) = Non sono implicate nel processo apoptotico e hanno sequenze regolatrici nel prodominio.

Le caspasi iniziatrici svolgono un ruolo di controllo centrale nell'avvio del segnale apoptotico e nella sua modulazione. Le caspasi effettrici, la cui atti- vazione è generalmente ritenuta un evento di non ritorno, ricevono il segna- le apoptotico dalle caspasi iniziatrici e ne permettono l'esecuzione biochimi- ca. Molti sono i substrati delle caspasi effettrici in grado di spiegare i cam- biamenti morfologici e biochimici che si osservano durante l'apoptosi. Tra questi possiamo ricordare proteine strutturali (actina, fodrina, gelsolina),

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regolatori del ciclo cellulare e del riparo del DNA (PARP, pRb, MDM2) ed un inibitore della CAD (Caspase Activated DNase).

La via estrinseca viene regolata dall'attivazione di una ben definita fami- glia di recettori trans-membrana il cui prototipo è il TNFR (Tumor Necrosis Factor Receptor). Tali recettori si trovano normalmente in forma monomeri- ca sulla membrana e il legame con lo specifico ligando ne determina la tri- merizzazione. La formazione del trimero permette, a livello intracitoplasma- tico, il richiamo di numerose molecole di caspasi 8 (anche conosciuta come FLICE) tramite la formazione di un complesso denominato DISC (Death Inducing Signaling Complex) che contiene anche proteine adattatrici. In que- ste condizioni, cioè in presenza di un gran numero di molecole in stretta prossimità, la seppur bassa attività proteolitica intrinseca delle pro-caspasi 8 è sufficiente a permettere l'attivazione reciproca dei zimogeni (5). La caspasi 8 una volta attivata è in grado di digerire diverse proteine tra cui la pro- caspasi 3, la cui attivazione a sua volta permette il completamento del pro- gramma di morte innescato a partire dai recettori della famiglia del TNFR. Il DISC può contenere anche la caspasi 10, però ancora oggi il meccanismo pre- ciso della sua attivazione e la sua funzione rimangono largamente oscuri.

Fas (CD95 o TNF-RSF6) è una proteina trans-membrana, ricca in cisteina, di 335 aminoacidi che è espressa in un gran numero di tessuti embrionali e dell'adulto soprattutto nelle cellule del sistema linfoide. Fas appartiene alla famiglia del TNFR (comprendente Fas, TNFR1, DR3, TRAIL-R1, TRAIL-R2, DR6) (6), e il legame con il suo ligando fisiologico, Fas-L (CD95L o TNF-SF6) determina la morte della cellula per apoptosi. Fas-L è una proteina di 278 aminoacidi che si trova normalmente adesa alle membrane citoplasmatiche.

Osservazioni iniziali facevano ritenere che Fas-L fosse espressa solo nei linfo- citi T attivati, oggi si sa che Fas-L è costitutivamente espressa anche nei tes- suti immunoprivilegiati, quali quelli dell'occhio. La caratterizzazione funzio- nale di Fas e Fas-L ha permesso di comprendere il fenotipo determinato da due particolari mutazioni genetiche: lpr (lymphoproliferation) e gld (genera- lized lymphoproliferative disease). Proprio grazie allo studio dei topi con mutazioni spontanee lpr sono state chiarite le basi genetiche di molte linfoa- denopatie non maligne. I topi mostrano un accumulo anomalo nei tessuti periferici di linfociti T CD4-CD8- (linfoproliferazione) che determina linfoa- denopatia, megalosplenia, nefrite e una sindrome autoimmune che assomi- glia nei sintomi al lupus eritematoso. La mutazione lpr è determinata dalla inserzione di un elemento trasponibile nell'introne 2 del gene Fas che ne impedisce la trascrizione dell'mRNA completo e di conseguenza l'espressio- ne della proteina. In seguito vennero descritti altri mutanti naturali denomi- nati lprCG caratterizzati da una mutazione puntiforme nella regione citopla- smatica di Fas: Ile-225 viene sostituita da Asn-225 impedendo la formazione del trimero attivo (7). I topi gld hanno una mutazione missenso puntiforme a

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carico del gene Fas-L nella regione che controlla la secrezione della proteina e sviluppano grave linfoadenopatia, ipergammaglobulinemia, autoimmunità e muoiono prematuramente a seguito di polmonite interstiziale.

Figura 3. Le due principali vie di trasduzione e di attivazione del processo apopto- tico. Nella via intrinseca vengono mostrati i componenti che danno vita all'apop- tosoma e alcuni dei membri della famiglia di Bcl-2 che partecipano alla regolazio- ne del rilascio di citocromo c. L'attivazione di tale via porta al rilascio anche della proteina smac/DIABLO che blocca l'azione degli inibitori delle caspasi (IAP). Per la via estrinseca è indicato il funzionamento di Fas, con la formazione del trimero attivo e la creazione del DISC. In questo caso la proteina adattatrice che permette l'attivazione della caspasi 8 è FADD (Fas Associated Protein with Death Domain).

Sono inoltre indicati i domini che permettono l'interazione tra le proteine del DISC (DD, Death Domain; DED, Death Effector Domain).

via mitocondriale (intrinseca) via recettoriale (estrinseca)

apoptosoma apoptosi

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La via intrinseca dell'apoptosi prevede il mitocondrio come principale attore. Il mitocondrio infatti oltre ad essere il generatore energetico della cel- lula contiene al suo interno diversi fattori pro-apoptotici il cui rilascio deter- mina velocemente il suicidio cellulare. Le molecole attualmente conosciute, e sicuramente associate all'apoptosi, contenute nel mitocondrio sono il citocro- mo c, Apaf-1 (Apoptotic Protease Activating Factor-1), AIF (Apoptosis Initiating Factor), Smac/DIABLO (Second Mitochondria-derived Activator of Caspase/Direct IAp-Binding protein with LOw pI) e diverse procaspase quali pro-caspasi 2, 3 e 9 (8). Una volta liberato nel citosol il citocromo c oli- gomerizza con Apaf-1 richiamando la pro-caspasi 9 e formando dei com- plessi multimerici denominati apoptosomi (Fig. 3). La formazione dell'apop- tosoma porta all'attivazione della pro-caspasi 9, probabilmente tramite modi- ficazione conformazionale dell'enzima (9), ed all'attivazione delle pro-caspa- si attivatrici tra cui la pro-caspasi 3. Sebbene il meccanismo preciso attraver- so cui il citocromo c viene rilasciato sia ancora sconosciuto, sicuramente un ruolo fondamentale è giocato dai membri della famiglia di Bcl-2 (B Cell Lymphoma-2). Tali proteine pur avendo numerose omologie di struttura pos- sono essere divise funzionalmente in anti-apoptotiche, cioè la cui espressio- ne impedisce il rilascio di citocromo c, quali Bcl-2 e Bcl-xL, e in pro-apopto- tiche, la cui espressione ne favorisce il rilascio, quali Bax, Bak, Bad, Bid e Bim.

Il dominio idrofobico presente in molte di queste proteine fa ritenere che la loro azione si esplichi a stretto contatto con la membrana esterna del mito- condrio, probabilmente regolando la formazione di pori (9).

2.3 Meccanismi di controllo

Ogni cellula del nostro organismo è predisposta a rispondere ad un gran numero di segnali extracellulari ed intracellulari, tra cui quelli che ne deter- minano la sopravvivenza. In condizioni normali è proprio il bilancio tra segnali di sopravvivenza e di suicidio a determinare il fato della cellula.

L'apoptosi può essere indotta sia in conseguenza dell'attivazione di sensori interni che rilevano situazioni di stress pericolose, sia in risposta all'arrivo di specifiche molecole segnalatrici dall'ambiente extracellulare (Tab. 1). Nel primo caso, che possiamo definire come “suicidio autonomo”, l'evento scate- nante può essere un danno irreparabile sul DNA o sugli organelli interni, la mancanza di fattori di crescita o di sopravvivenza, quali citochine od ormo- ni, l'esposizione moderata ad un agente che altrimenti induce necrosi, quale calore o ipossia, o infine la presenza di agenti estranei, quali batteri o virus.

Nel secondo caso, nel “suicidio indotto”, la presenza di ligandi dei recettori

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di morte della famiglia del TNFR, quali Fas o TNF-α, è in grado di scatenare l'apoptosi secondo la modalità di attivazione estrinseca.

Nel suicidio autonomo l'ipotesi prevalente è che la cellula riesca a moni- torare lo stato funzionale di diversi parametri del proprio metabolismo attra- verso lo stato di attivazione di specifiche proteine che fungono quindi da sen- sori. Tali proteine, in presenza di un danno irreparabile sono capaci di inne- scare una risposta apoptotica di natura mitocondriale. Nel caso di una rottu- ra del DNA su entrambi i filamenti la proteina che funge da sensore è ATM (Ataxia Telangiectasia Mutated) una chinasi che è in grado di legare diretta- mente le estremità libere del DNA. ATM una volta riconosciuto il danno fosforila l'oncosoppressore p53 determinandone nell'arco di pochi minuti un aumento di stabilità e l'accumulo (10). A sua volta p53 che è un fattore di tra- scrizione, determina l'aumento di proteine che regolano la progressione nel ciclo cellulare e l'apoptosi, tra cui Bax. Nel caso della deprivazione di fattori di crescita la proteina sensore perde la propria attività enzimatica. Molti fat- tori di crescita , quali IL-3, NGF, PDGF, IGF-I sono in grado di proteggere le cellule dall'apoptosi attraverso l'attivazione di vie di trasduzione del segnale a valle dell'enzima PI3-K. Una delle proteine fondamentali in tale processo è l'enzima Akt la cui attivazione permette la fosforilazione e la conseguente inattivazione di Bad (11) così come la repressione dell'espressione di Bim (12). Forme costitutivamente attive di Akt si trovano spesso in molte cellule tumorali e determinano l'insensibilità alla apoptosi indotta da deprivazione di fattori di crescita. La sopravvivenza di linfociti sia CD4+ che CD8+ è ATTIVATORI FISIOLOGICI DANNI CELLULARI AGENTI TERAPEUTICI

o Famiglia del TNF: o Shock termico o Chemioterapici

Fas ligand o Infezione virale cisplatino

TNF o Tossine Batteriche doxorubicina

TGFb o Oncogeni bleomicina

o Neurotrasmettitori myc,rel, E1A metotrexato,

glutammato o Oncosoppressori vincristina

dopamina p53 o Radiazioni gamma

N-metil-D-aspartato o Linfociti T citotossici o Mancanza di fattori di crescita o Ossidanti

o Mancanza del substrato o Radicali liberi adesivo (anoikis)

o Alti livelli di calcio o Mancanza di nutrienti

o Glucocorticoidi o Raggi UV

Tabella 1. Principali eventi che scatenano una risposta apoptotica.

(17)

dipendente dalla presenza di IL-7. L'espressione del suo recettore sui linfoci- ti è strettamente regolato sia nelle fasi dello sviluppo che durante la risposta immunitaria (13). Mediatori presenti nella via intrinseca sono i principali effettori del segnale indotto da IL-7, e comprendono PI3-k/Akt (14) e Bcl-2 (15). La morte indotta secondo tale modalità viene anche chiamata ACAD (Activated T-Cell Autonomous Death).

Negli ultimi tempi nuove evidenze stanno aiutando a chiarire che i mec- canismi di controllo dell'apoptosi possono dipendere dal fenotipo cellulare.

La presenza di un assetto biochimico, soprattutto per quanto riguarda le vie di trasduzione apoptotiche, stabilisce il grado di sensibilità verso uno speci- fico stimolo apoptotico. Il problema della sensibilità all'induzione dell'apop- tosi è particolarmente importante nello studio dei tumori. Sebbene molti tumori acquisiscano geneticamente una refrattarietà alla morte per apoptosi, oggi si sa che molti trattamenti terapeutici sono in grado di ripristinare la sensibilità perduta, a testimonianza dell'esistenza di un controllo epigeneti- co. Un meccanismo di regolazione di questo tipo viene frequentemente usato nel sistema immunitario, ad esempio nella morte indotta da attivazione nei linfociti T (AICD). Inoltre la stessa cellula in risposta alle condizioni ambien- tali o in base alla propria “anzianità” può esprimere un diverso assetto nelle molecole di trasduzione che controllano la risposta apoptotica. Il caso meglio conosciuto è rappresentato dalle cellule di tipo I e di tipo II, e si realizza a valle di Fas (16) (Fig. 4). Nelle cellule di tipo I il segnale apoptotico è tra- smesso secondo un meccanismo canonico che passa attraverso l'attivazione di un gran numero di caspasi 8 presenti nel DISC, a cui fa seguito l'attivazio- ne della caspasi 3. Al contrario nelle cellule di tipo II la formazione dei DISC è molto meno evidente e le scarse caspasi 8 attivate propagano il segnale tra- mite la via mitocondriale. In particolare la caspasi 8 taglia la proteina pro- apoptotica Bid (membro della famiglia di Bcl-2) attivandola e stimolando il rilascio del citocromo c (17). Bisogna osservare che l'attivazione mitocondria- le avviene anche nelle cellule di tipo I ma essa non appare necessaria al com- pletamento del processo apoptotico. Una delle spiegazioni alla base dell'esi- stenza di cellule di tipo I e II si basa sulla diversa modulabilità delle due vie di trasduzione: nelle cellule di tipo I si assiste ad un innesco dell'apoptosi rapido ed eventualmente rinforzato dalla attivazione del mitocondrio; nelle cellule di tipo II l'apoptosi può essere ulteriormente modulata dai meccani- smi di regolazione presenti a ridosso del mitocondrio (membri della famiglia di Bcl-2).

(18)

Un meccanismo più generale la cui importanza è stata scoperta solo negli ultimi anni riguarda la produzione di proteine il cui ruolo principale è di costituire dei freni alla trasduzione del segnale apoptotico. Molti di tali inibi- tori sono stati individuati perché espressi dai virus come omologhi funzio- nali col compito di impedire la morte della cellula ospite. La proteina v-FLIP (FLICE-Inhibitory Protein) prodotta dall'herpes virus inibisce il reclutamen- to e l'attivazione della caspasi 8 nel DISC. Nell'uomo sono stati trovati diver- si omologhi di FLIP e tutti sembrano avere un ruolo anti-apoptotico.

Un'intera famiglia di geni codifica inoltre nei mammiferi per proteine che sono potenti inibitori delle caspasi (IAP, Inhibitor of APoptotsis) (18).

Sebbene la funzione delle IAP sia chiaramente di porre un freno alla realiz- Figura 4. Fenotipo apoptotico nelle cellule di tipo I e di tipo II. La principa- le differenza è costitutita dagli eventi a valle della caspasi 8. Nelle cellule di tipo I si assiste ad una tipica modalità di morte di natura estrinseca. Nelle cellule di tipo II la morte cellulare viene regolata principalmente a livello mitocondriale anche in conseguenza di una attivazione del recettore di morte.

fattori di crescita

APOPTOSOMA

APOPTOSI caspasi 3

caspasi 9 caspasi 8

TIPO I

TIPO II

DISC

FLIP

Bid

Bcl-2 Bcl-xL

(19)

zazione dell'apoptosi sono poche le situazioni finora descritte in cui sembra- no giocare un ruolo predominante. Il caso più conosciuto, e che farebbe piut- tosto pensare ad un controllo soglia, è quello rappresentato dalla proteina smac/DIABLO (Fig. 3). L'attivazione della via intrinseca di morte cellulare porta al rilascio da parte del mitocondrio non solo del citocromo c ma anche di un inibitore delle IAP, smac/DIABLO, normalmente presente all'interno del mitocondrio (19). Quindi quando viene attivata la via intrinseca o in tutte quelle situazioni in cui il mitocondrio perde la propria integrità di membra- na smac/DIABLO dovrebbe assicurare, sequestrando ed inibendo le IAP che il programma apoptotico non venga interrotto.

(20)

3 Apoptosi e sistema immunitario

3.1 Eventi modulati dall'apoptosi

Sono molti i momenti in cui l'organismo si serve dell'apoptosi per regola- re il funzionamento del sistema immunitario. Le cellule immunitarie vanno incontro frequentemente a fasi di proliferazione a cui seguono fasi di elimi- nazione delle cellule in eccesso (Fig. 5). L'espansione clonale dei linfociti è necessaria per la realizzazione di una risposta immunitaria numericamente adeguata, però allo stesso tempo la persistenza di un tale armamentario, oltre ad essere dispendiosa per l'organismo, potrebbe provocare danni ai tessuti.

Fenomeni di infiammazione cronica, ipersensibilità ed autoimmunità infatti possono derivare da una difettosa realizzazione dei meccanismi di “freno”

della proliferazione delle cellule linfoidi. Tale fenomeno acquista un signifi- cato particolare nella definizione delle competenze immunologiche. Infatti

“l'addestramento” dei linfociti rivolto al riconoscimento dei soli antigeni potenzialmente pericolosi avviene proprio attraverso l'eliminazione di quel- le cellule che o non sono in grado di svolgere la propria funzione di ricono- scimento o che riconoscono antigeni propri. La selezione del repertorio linfo- citario sia B che T avviene sin dalle fasi dello sviluppo e procede anche nel- l'adulto negli organi linfoidi primari, permettendo la realizzazione della cosi- detta “tolleranza centrale”.

Allo stesso tempo, anche quando il sistema immunitario sembra inattivo, per l'assenza di infezioni, devono permanere ben attivi quei meccanismi che permettono una continua sorveglianza sulla propria integrità. In particolare l'organismo mette continuamente in atto un complesso sistema di controllo periferico sulla presenza di linfociti T “pericolosi”. Tale sistema costituisce la tolleranza periferica e permette l'eliminazione di quei linfociti sfuggiti al con- trollo centrale. Inoltre l'organismo risulta permissivo verso una piccola popo- lazione di lnfociti che costituiscono le cellule della memoria. Studi recenti dimostrano che anche tale fenomeno è attivamente e continuamente control- lato.

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3.2 risposta immunitaria

3.2.1 Omeostasi linfociti

Il mantenimento dell'omeostasi dei linfociti nell'intervallo tra due diverse risposte immunitarie è regolata tramite una complessa rete di segnali pro ed Figura 5. Alternarsi di fasi di proliferazione e delezione in due momenti della vita del sistema immunitario. La maturazione dei linfociti nel midollo osseo e nel timo presuppone la selezione negativa dei linfociti autoimmuni o non funzionali (pannello superiore). Nell'omeostasi dei linfociti si assiste ad un continuo controllo selettivo che nelle fasi di “quiete” si realizza a carico delle cellule native e della memoria, mentre nella fase finale di una risposta immunitaria, prevede la delezione dei linfociti in eccesso. La mancata rea- lizzazione della attivazione dei linfociti porta al fenomeno dell'anergia e della delezione periferica.

MATURAZIONE LINFOCITI

OMEOSTASI LINFOCITI

maturazione

proliferazione

attivazione anergia

delezione periferica selezione

negativa

selezione positiva

risposta immunitaria cellule della

memoria pre-T

pre-B

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anti-apoptotici. Sia linfociti nativi che cellule della memoria sono sotto la continua pressione di stimoli che ne determinano la sopravvivenza, la proli- ferazione o il suicidio. Linfociti nativi e cellule della memoria sono cellule capaci di restare vitali in circolo per molto tempo. Tali linfociti normalmente non sono proliferanti e costitutiscono numericamente una popolazione che nell'adulto si mantiene costante nel tempo. Quando tali cellule vengono tra- sferite in un ospite che non ha linfociti T si assiste ad una loro intensa proli- ferazione come a voler riempire la lacuna cellulare. Inoltre, in maniera carat- teristica alcune delle cellule native trasferite acquisiscono anche marcatori tipici delle cellule della memoria (20). Quindi i linfociti T sono in grado di

“sentire” la presenza di segnali ambientali e di rispondere di conseguenza.

Tra i recettori necessari per la sopravvivenza e la proliferazione dei linfociti T nativi ci sono il TCR e il recettore per IL7 (21) (22). La presenza di tali recet- tori viene continuamente controllata dall'organismo e in caso di assenza il linfocita muore per apoptosi. Infatti trasferendo linfociti nativi o della memo- ria in ospiti che non esprimono nè MHC nè IL7 si assiste ad una loro rapida perdita (21). I dati disponibili sembrano tutti indicare che la principale mole- cola anti-apoptotica a valle di TCR e IL7-R sia Bcl-2 (23).

Ancora più delicata è la regolazione della fase di remissione alla fine di una risposta immunitaria. La presentazione dell'antigene da parte di una cel- lula APC tramite il complesso MHC, in presenza di molecole co-stimolatorie, permette l'attivazione dei linfociti T con conseguente produzione di IL2 e del suo recettore. Il linfocita T attivo risponde alla presenza di IL2 andando incontro ad una vigorosa proliferazione e può differenziare in una cellule effettrice CD4+ o CD8+. In presenza di una infezione acuta il processo di espansione dei linfociti termina dopo qualche giorno. In presenza di un forte carico antigenico si assiste al fenomeno della delezione periferica dei linfoci- ti T. L'iniezione sistemica in topi dell'enterotossina B di Staphylococcus risul- ta in un rapido aumento del numero di linfociti T reattivi con una espansio- ne che si mantiene costante per 3-4 giorni, a cui segue l'eliminazione per apoptosi della maggior parte dei linfociti attivati. Topi lpr o gld non sono in grado di eliminare questi linfociti con la stessa efficienza dei topi normali (24). Quindi nella fase di massima espansione dei linfociti T o nella fase di remissione della risposta immunitaria deve entrare in gioco un meccanismo che permetta la rimozione della maggior parte delle cellule reattive. Tale fenomeno viene chiamato AICD (Activation Induced Cell Death). A seguito della attivazione i linfociti T passano attraverso diverse fasi (Fig. 6) : espan- sione clonale dipendente dalla presenza di IL2; eliminazione dei linfociti in eccesso; formazione delle cellule della memoria. Durante l'espansione clona- le e nella fase della memoria i linfociti T sono relativamente resistenti alla morte per apoptosi (25). Ciononostante è stato dimostrato che la sopravvi- venza delle cellule della memoria CD4+ richiede comunque l'espressione del

(23)

recettore per IL-7 e la capacità del TCR di legare MHC (26). Nella fase di remissione i linfociti appaiono invece particolarmente sensibili al suicidio. I meccanismi proposti per l'AICD sono diversi ed è molto probabile che ci si trovi in presenza di strategie ridondanti atte ad assicurare che delezione dei linfociti abbia comunque luogo.

Deprivazione del fattore di sopravvivenza IL2: Nella fase finale della risposta immunitaria è possibile che la quantità di IL2 prodotta dalle cellule regola- trici cali progressivamente. Questo determina che i linfociti T vengano a per- dere un importante fattore di sopravvivenza. Tale fenomeno è importante anche nella delezione dei linfociti T auto-reattivi presenti in periferia (vedi).

Figura 6. Grafico del numero di linfociti T durante la risposta immunitaria a seguito di un'infezione acuta. A seguito della attivazione i linfociti T entrano in una fase di intensa proliferazione in cui esprimono un fenotipo resistente all'apoptosi. Per l'eliminazione delle cellule alla fine della rispo- sta entrano in gioco una serie di meccanismi denominati AICD. In questa fase i linfociti T sono molto sensibili all'induzione dell'apoptosi. Nel riqua- dro in alto sono indicati alcuni dei possibili meccanismi di realizzazione dell'AICD.

espansione delezione memoria

resistente sensibile resistente

stato dei linfociti fenotipo apoptotico

tempo attivazione

AICD

numero di cellule

IL-2

(24)

Innesco a tempo da parte di IL2: la morte dei linfociti può avvenire anche in presenza di IL2. L'attivazione dei linfociti, infatti, determina una progressiva sensibilizzazione verso la morte per apoptosi che molecolarmente si manife- sta come espressione di Fas-L. L'esposizione di Fas-L sulle membrane pla- smatiche induce apoptosi sia in maniera eterologa che autologa (27).

Cambiamento fenotipico: i linfociti T sensibili alla apoptosi sono cellule di tipo I e presentano un meccanismo canonico di morte a valle di Fas. I linfo- citi resistenti non formano DISC in presenza di Fas-L, mentre l'attivazione del mitocondrio è bloccata dalla espressione di alti livelli di Bcl-xL. In questo caso sembra che lo spostamento da un fenotipo di tipo II ad uno di tipo I possa sensibilizzare i linfociti alla morte indotta da Fas-L.

I linfociti B non sembrano essere soggetti ad AICD, almeno nella forma descritta per i linfociti T. Essi non esprimono Fas-L in nessuna circostanza e questo apre la possibilità che i linfociti B siano stimolati a morire come con- seguenza dell'espressione di Fas-L sui linfociti T. Questo può avvenire sia per la delezione dei linfociti B non completamente attivati sia nella fase di remis- sione della risposta immunitaria.

3.2.2 Infiammazione acuta

Sebbene la risposta infiammatoria sia spesso necessaria per la difesa del- l'ospite nei confronti delle infezioni, quando essa diventa persistente è in grado di scatenare gravi patologie, molte di carattere autoimmune. Malattie caratterizzate da infiammazione cronica, quali l'asma, possono derivare da un difetto nella eliminazione dei linfociti T tramite la morte indotta da Fas (28). Uno dei meccanismi sviluppati nella tolleranza periferica per protegge- re organi in cui è importante il mantenimento della integrità è l'esistenza di privilegi immunologici (vedi tolleranza periferica). Molti altri organi che appaiono altrettanto vitali non godono di tali privilegi. Il motivo di questa differenza risiede nel fatto che rendere tali organi inacessibili alle cellule immunitarie comprometterebbe l'immunità sistemica. Rientrano in tale cate- goria organi riccamente vascolarizzati quali il fegato, i polmoni, l'epidermi- de, e l'intestino. Per proteggere tali organi si sono sviluppati meccanismi di controllo che funzionano solo quando l'attività infiammatoria supera una certa soglia di pericolosità. Tale meccanismo risulta quindi essere un “privi- legio immunitario indotto”, e non si verifica nei topi che portano la mutazio- ne gld. Si ritiene che il privilegio indotto avvenga con meccanismi simili a quelli attuati nella delezione periferica dei linfociti T attivati. Una risposta immunitaria di tipo infiammatorio sarebbe in grado di stimolare la produ- zione di Fas-L in tessuti quali il fegato, probabilmente a seguito delle citochi-

(25)

ne rilasciate dagli stessi linfociti, e tale espressione a sua volta provochereb- be l'eliminazione dei linfociti in eccesso (29). L'espressione inducibile di Fas- L avrebbe quindi il compito di limitare i danni tissutali provocati da una risposta immunitaria di grande intensità. L'inducibilità di Fas-L è stata indi- viduata anche nella pelle a seguito della esposizione ai raggi UV. In tale caso la produzione di Fas-L potrebbe proteggere anche dallo sviluppo di malattie autoimmuni, impedendo l'attivazione dei linfociti a seguito del riconosci- mento di antigeni propri rilasciati da cellule necrotiche (vedi Lupus eritema- toso, e tolleranza periferica da alto dosaggio)

Un ruolo chiave nella soppressione della infiammazione è svolto dai macrofagi. Cellule immunitarie pericolose possono essere rimosse in manie- ra sicura dai siti di infiammazione tramite fagocitosi, terminando la fase di infiammazione acuta. Inoltre la fagocitosi delle cellule apoptotiche sopprime nei macrofagi il rilascio di mediatori pro-infiammatori quali il TNF-α (30). Il processo di rimozione delle cellule apoptotiche ha quindi un duplice ruolo positivo: da una parte previene la realizzazione della necrosi secondaria con il conseguente rilascio di materiale pericoloso e dall'altra sopprime lo stato pro-infiammatorio dei macrofagi (Fig. 7). Molecole in grado di legare recet- tori presenti sui macrofagi, e normalmente espresse dalle cellule apoptotiche determinano una diminuzione del rilascio di TNF-α ed un aumento di TGF- β1 dimostrando che proprio l'ingestione delle cellule apoptotiche è la causa della modulazione della soppressione autocrina e paracrina dell'infiamma- zione indotta dai macrofagi (31). Un'ulteriore dimostrazione del preciso con- trollo di tale fenomeno è offerta dal fatto che esso non si realizza in presenza di linfociti morti per necrosi (32). In alcune malattie autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico (SLE) l'organismo produce anticorpi contro la fosfatidilserina che normalmente rivestire le cellule apoptotiche. In questo caso i macrofagi non possono riconoscere le cellule apoptotiche e legando altresì le porzioni Fc degli anticorpi rilasciano TNF-α promuovendo l'evento infiammatorio (33).

Sebbene Fas-L giochi un ruolo protettivo basilare nell'insorgenza dell'in- fiammazione, spesso modelli sperimentali ottenuti tramite espressione for- zata di alti livelli di Fas-L generano estesi danni cellulari, rigetto degli allo- trapianti e granulocitosi. Inoltre cellule tumorali forzate ad esprimere Fas-L inducono granulocitosi e vengono rigettate, anche quando sono trasferite in animali immunodeficitari (34). Una spiegazione a tale fenomeno è che Fas-L in tali modelli si viene a trovare in tessuti non linfoidi che normalmente non lo esprimono e in cui non vi sono meccanismi che ne possano modulare l'ef- fetto. Una dimostrazione a conferma della validità di tale ipotesi è che quan- do l'espressione forzata di Fas-L avviene in cellule immunoprivilegiate, che normalmente esprimono Fas-L, non si osservano danni tissutali se non in presenza di livelli molto elevati della molecola. I meccanismi alla base della

(26)

capacità di Fas-L di indurre infiammazione sono ancora poco conosciuti.

Quello che si sa è che un ruolo chiave è giocato dall'espressione di Fas sui neutrofili (35). In determinate condizioni, probabilmente attraverso legami non canonici, Fas-L è in grado di attivare Fas presente sui neutrofili inducen- do non l'apoptosi bensì determinando l'attivazione e il rilascio di una caspa- si non apoptotica, la caspasi 1 (conosciuta anche come ICE, IL1β Converting Enzyme) in grado di attivare la citochina pro-infiammatoria IL1β. Fas-L può promuovere anche la produzione di altre citochine pro-infiammatorie quali IL8. Un'altra ipotesi è che in presenza di un'attivazione costitutiva e massic- cia di Fas si assista ad una morte necrotica piuttosto che apoptotica i cui effet- ti potrebbero stimolare la persistenza dell'infiammazione (36).

3.2.3 Ruolo dei macrofagi

Sin dalle prime descrizioni del fenomeno apoptotico risultò chiaro che l'ultima fase di tale processo doveva prevedere l'eliminazione “sicura” dei residui cellulari. L'eliminazione delle cellule apoptotiche nelle diverse fasi Figura 7. Duplice ruolo della fagocitosi delle cellule apoptotiche da parte dei macrofagi.

MHC MACROFAGO

CELLULA APOPTOTICA

degradazione processamento

rimozione dei residui cellulari pre- venzione della necrosi secondaria

soppressione dell’infiammazione modulazione della citotossicità regolazione della risposta immunitaria (tramite MHC)

(27)

della loro evoluzione e soprattutto a seguito della formazione dei corpi apop- totici, dipende dall'attività di cellule ad azione fagocitaria. Per molti anni il significato di tale fenomeno è stato sottostimato. Nuovi dati indicano che l'a- zione dei fagociti non è semplice rimozione passiva di materiale di scarto. Al contrario l'inglobazione delle cellule morte è in grado di regolare diversi fenomeni associati con l'apoptosi, soprattutto se essa avviene ad opera dei macrofagi piuttosto che di altre cellule di natura meno specializzata. Nel con- testo della risposta immunitaria l'azione dei macrofagi sembra svolgere un ruolo fondamentale nella soppressione dell'infiammazione e nel controllo dell'azione contro i parassiti.

La rimozione delle cellule apoptotiche è un fenomeno strettamente rego- lato negli organismi pluricellulari. Nel timo di topo vengono eliminati per apoptosi diversi milioni di linfociti ogni giorno. Ciononostante se osserviamo un preparato istologico di timo possiamo individuare pochissime cellule apoptotiche. Questo significa che i timociti sono eliminati con alta efficienza e soprattutto senza generare alcun segno di infiammazione. La cellula apop- totica viene riconosciuta come tale dai macrofagi tramite l'esposizione di spe- cifici segnali sulla membrana extracellulare. Bisogna ricordare che in tutte le fasi del processo apoptotico la membrana cellulare rimane perfettamente integra. Tali segnali funzionano come un invito ad essere “mangiati” (“eat me” signal). L'insieme dei segnali di fagocitosi è costituito da un numero relativamente alto di elementi, molti probabilmente ridondanti, che hanno la funzione di rendere il processo di eliminazione delle cellule morte altamente probabile. Sebbene la maggior parte dei segnali “eat me” siano poco cono- sciuti possiamo schematicamente dividerli in quattro grosse categorie (Tab.

2): modificazioni della composizione di fosfolipidi dello strato esterno del membrana plasmatica; cambiamenti nella composizione zuccherina delle gli- coproteine o glicolipidi di membrana; esposizione di molecole nuove che fungono da ponte per proteine presenti nell'ambiente extracellulare; ricono- scimento di specifiche proteine di membrana. La modificazione meglio cono- sciuta è sicuramente l'esposizione della fosfatidilserina (PtdSer) un fosfolipi- de che normalmente si trova confinato solo nello strato interno della mem- brana plasmatica (37). Cambiamenti nella composizione degli zuccheri espo- sti è frequente nelle cellule apoptotiche, con una diminuzione, ad esempio, del contenuto in acido sialico. Il riconoscimento degli zuccheri avviene da parte dei macrofagi tramite il legame con specifiche lectine (38).

Contemporaneamente le cellule apoptotiche acquisiscono la capacità di lega- re molecole eventualmente presenti nell'ambiente extracellulare. Queste comprendono alcuni componenti della cascata del complemento quali C1q (39) e iC3b (40), la proteina sierica beta2-glicoproteina I (41) e la trombo- spondina (42). La presenza tra i fattori implicati degli elementi del comple- mento e della trombospondina, normalmente prodotta dai macrofagi, fa rite-

(28)

nere che molti dei meccanismi adottati si siano sviluppati proprio per facili- tare l'eliminazione delle cellule apoptotiche durante una risposta immunita- ria. Quello che oggi è ancora largamente oscuro è il contributo di ciascuno di questi segnali e quali siano i recettori necessari presenti sui macrofagi. Le informazioni disponibili fanno ritenere che un ruolo importante nel ricono- scimento dei segnali “eat me” sia svolto da CD68 (43), CD14 (44), CD36 (31) e da alcune integrine (40). Gravi infatti possono essere le conseguenze di un mancato riconoscimento delle cellule apoptotiche da parte dei macrofagi.

Pazienti che non esprimono C1q sviluppano nella quasi totalità dei casi di lupus eritematoso sistemico (SLE). Topi che hanno subito la delezione del gene per C1q sviluppano disordini che assomigliano a quelli visibili in SLE, e l'osservazione dei preparati istologici nei siti di infiammazione dimostra la presenza di un alto numero di cellule apoptotiche, fenomeno che sembra compatibile con un difetto nella eliminazione da parte dei macrofagi (39).

Come abbiamo visto i macrofagi non sono semplicemente degli spazzini ma possono regolare la risposta infiammatoria. Inoltre si ritiene che i macro- fagi possano indurre la morte delle cellule durante il rimodellamento dei tes- suti. Questo può avvenire sia nel normale sviluppo, come nell'eliminazione dei vasi in eccesso nell'occhio (45), sia nei siti di infiammazione, determinan- do la morte delle cellule vicine tramite rilascio di ossido nitrico (46). Anche in questo caso l'ingestione di cellule apoptotiche determina un effetto cal- mante sui macrofagi che interrompe la loro attività citotossica (Fig. 7). Ciò COMPOSIZIONE COMPONENTE PROTEINE SPECIFICHE DELLA MEMBRANA GLUCIDICA “PONTE” PROTEINE

esposizione della diminuzione di Trombospondina ICAM-3 fosfatidilserina sulla acido sialico iC3b nucleosomi

strato esterno C1q ribonucleoproteine

β2-glicoproteina I

PROBABILI RECETTORI SUI MACROFAGI

recettore per la lectine β-integrine CD14

fosfatidilserina recettore β2-GPI

recettore C1q CD36 (lega la trombospondina) CD68

Tabella 2. Molecole espresse dalle cellule apoptotiche e corrispondenti recet- tori presenti sui macrofagi.

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