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CAPITOLO II San Giovanni di Massa Marittima

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CAPITOLO II

San Giovanni di Massa Marittima

2.1 Le fonti scritte.

Fonte interessante di una presenza giovannita nella città di Massa Marittima può essere considerata la menzione che ne fa il vescovo Alberto nei patti stipulati con i Massetani nell’atto di cessione dei suoi privilegi il 31 luglio 1225: in base a quegli accordi i Massetani avrebbero potuto alienare liberamente a chiunque le proprietà fino ad allora ricevute sotto vincolo feudale

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dal Vescovo, «exceptis templaris et hospitalariis»1, proprietà delle quali il presule si preoccupava probabilmente non tanto per l’esenzione del pagamento delle decime (a lui non più dovute a quel punto) quanto per l’esclusiva dipendenza di quegli Ordini direttamente dalla Sede Apostolica, al di fuori quindi del suo diretto ambito giurisdizionale. Quindi, questa clausola limitativa e cautelativa potrebbe essere solo una precauzione per i tempi futuri verso quei temuti ordini, e non è quindi sufficiente a determinare la loro presenza effettiva sul territorio.

In favore di una presenza degli Ospedalieri sembrerebbe il lascito presente nel testamento di Ruggero Goffredo degli Alberti, conti di Monterotondo, del 24 settembre 1253, all’ospedale cittadino di «sancti Johannis de Ultramare»2. In realtà, però, pare trattarsi di un lascito

all’Ordine di san Giovanni, senza nessun riferimento alla vicina Massa Marittima.

Nello Statuto Grosso cittadino (fine XIII secolo), invece, è ben precisato l’ospedale «sancti Johannis Gerosolimitani»3 stabilendone la manutenzione dal «molendinum ab angulo superiori filiorum Nieri Ghiozzi usque ad ecclesiam sancti Johannis Gerosolimitani actetur et explanatur» .

Nella lista delle decime del 1298 infine è menzionata la chiesa gerosolimitana di San Giovanni a Massa Marittima4.

1 G.VOLPE, Vescovi e Comune di Massa Marittima, 1913, ora in Idem, Toscana Medievale. Massa Marittima,

Volterra, Sarzana, Firenze 1964, pp. 3-139, a p. 80. Il documento è parzialmente riportato anche in A.CESARETTI,

Memorie sacre e profane dell’antica Diocesi di Populonia, Firenze 1784, p. 135.

2Archivio di Stato di Siena, Diplomatico Città di Massa, 24 settembre 1253. Il documento è citato anche in M. SOZZI

– M. FIORI, La monetazione della Repubblica Massana, Massa Marittima 1997, p. 40, n. 15.

3 Biblioteca Comunale Massa Marittima, Statuto Grosso, sec. XIV, rubrica XLIX p. 76 v. 4 Rationes decimarum Italie, Tuscia, I, pp. 148-149; II, p. 195.

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Ulteriori informazioni su tale possesso si hanno poi dai registri dei capitoli generali e delle bolle magistrali conservati nella National Library della Valletta a Malta:

 il 28 dicembre 1385 l’antimaestro Riccardo Caracciolo conferì la precettoria di Massa a fra Salvi de Mencio de Mencholinis di Arezzo5;

 il 23 maggio 1420 il maestro Filiberto di Naillac la affidò a fra Ranieri Barocci, che però vi rinunciò6;

 il 16 aprile 1446 Massa Marittima non risultava più autonoma ma parte della precettoria di Grosseto allorché il maestro Giovanni di Lastico la conferì a fra Rolando Rossi7;

 Appare un’ulteriore menzione in un documento del 1 settembre 14598.

A conferma della presenza in città ci giunge anche il testo del Guidi9.

Fonti di età moderna sono il miglioramento del 1776, nel quale la chiesa di San Giovanni, fuori della città, era descritta in completo abbandono: «tutta rovinata senza tetto né vestigi d’immagini o altare dentro»10, e lo scritto del senese Francesco Anichini11.

L’8 marzo 1770 il granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena giunse a Massa Marittima nel corso di una visita in Maremma. Durante il suo soggiorno ebbe modo di visitare le vie cittadine così che nelle sue relazioni affermò che «vi è una strada dritta, detta dei cavalieri, ove si pretende che vi fossero quattrocento cavalieri di Malta»12. Quindi, al di là del suo scetticismo verso quella cifra così grande («…ove si pretende…»), la presenza dell’Ordine era cosa comunemente accettata.

5 La Valletta, National Library, Archivio dell’Ordine di Malta (AOM), n° 281, c. 80r. Tutte le informazioni

provenienti da questo archivio, qui ed altrove, mi sono state fornite da M. L. Ceccarelli Lemut, che ringrazio.

6 Ibid, n. 345, c. 158r. 7 Ibid, n. 358, c. 92rv. 8 Ibid, n. 369, c. 113v.

9 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV: Tuscia, I, cit. , p. 148 n. 3032 10 AOM, n. 5948, pag. 27.

11 FRANCESCO ANICHINI SANESE, Storia ecclesiastica della città e Diocesi di Grosseto, ms1752, nella trascrizione a

cura di T. GIGLI –P. SIMONETTI, Arcidosso 2013, pp. 496-501.

12 PIETRO LEOPOLDO DI LORENA, Relazioni sul governo della Toscana, III: Stato Senese e Livorno, a cura di A.

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Passando invece ad altro tipo di testimonianze, nel corso di recenti restauri è emersa sulla facciata di uno dei più antichi palazzi di Massa, Palazzo Malfatti (lato via Moncini), una croce ottagona di ceramica (fig. 1 e 2 ). Essa però non aiuta a confermare la presenza ospitaliera in città in quanto, pur essendo sicuramente una croce ottagona, i colori, per sbiaditi che siano, non sembrano essere quelli usati dall’Ordine di Malta. Inoltre l'edificio è stato pesantemente rimaneggiato(e ricostruito in larga parte) agli inizi del Novecento, con alcuni inserimenti che sembrano essere ad hoc neomedievali.

Fig. 1. Particolare di palazzo Malfatti lato via Moncini.

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Fig. 2. Croce ottagona sopra un’arcata di palazzo Malfatti.

Inoltre, nel terziere Città Nuova, nell’architrave di un antico palazzo è scolpita un’altra croce ottagona (fig. 3 e 4).

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Se è vero che in mancanza di colori non è possibile distinguere la croce dei gerosolimitani da quella dei Cavalieri di Santo Stefano, è anche vero che le caratteristiche

Fig. 3. Portone d’ingresso di antico palazzo nel Terziere Città Nuova

Fig. 4. Particolare dello stipite sopra il portone.

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architettoniche del palazzo (fig. 5 e 6) sembrerebbero ben antecedenti al 1561, data di fondazione da parte di Cosimo I dei Cavalieri di Santo Stefano.

Fig. 5. Facciata frontale del palazzo.

Fig. 6. Facciata laterale del palazzo.

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Non offrendo queste fonti nessuna indicazione utile al ritrovamento fisico della chiesa citata mi sono rivolto al Gruppo Speleologico di Massa Marittima ( www.gsmmspeleo.it ), i cui membri si sono dimostrati subito molto disponibili, ed ho così scoperto che la chiesa di San Giovanni (almeno quella che con questo nome è indicata da tutta la cittadinanza e la cui ubicazione è da tutti ben conosciuta) si trova a poche centinaia di metri fuori le mura, molto vicina al centro storico.

Non è stato infatti difficile raccogliere testimonianze che concordavano tutte nell’indicare in quella struttura diroccata l’antica chiesa di San Giovanni: sia dagli abitanti della zona sia dal confinante di proprietà sia, infine, dal proprietario stesso del terreno (sig. Giampaolo Blasi). Per ulteriore conferma ho anche preso contatto con il Centro Studi Storici “A. Gabrielli” (http://agapitogabrielli.wordpress.com), che raccoglie un nutrito gruppo di storici locali, che subito si sono dimostrati disponibilissimi ad aiutarmi. Anch’essi, con certezza, hanno indicato nella chiesa in questione l’unica chiesa di San Giovanni presente da sempre in Massa Marittima, riportandomi con chiarezza come la tradizione locale la definisca proprio quella di proprietà dei Cavalieri di Malta.

E’ a questo punto che la mia attenzione si è rivolta a cercare prove per una più sicura identificazione della chiesa, ricorrendo alla ricerca di fonti toponomastiche ed architettoniche del posto.

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Al fine di reperire ulteriori prove, ci è sembrato utile far ricorso alla toponomastica locale, e si è ritenuto opportuno fare un breve studio nel settore, senza addentrarsi in troppo sottili “riflessi linguistici” per i quali è indispensabile l’intervento dello specialista13.

E’ bastato consultare una mappa della città per vedere subito che la via stessa dove si trova l’ex chiesa è tutt’oggi indicata come via San Giovanni (fig. 7, in basso a sinistra). La strada era l’antica via di accesso alla città per chi proveniva dal mare e dalla via Aurelia, sostituita nel corso del Novecento dalla nuova e più larga via Massetana Sud (sempre fig. 7, di colore giallo).

Fig. 7. Cartina stadale attuale della città di Massa Marittima.

13 A.SETTIA, La toponomastica come fonte storica, in IDEM, Tracce di Medioevo. Toponomastica, archeologia e

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L’antica via proseguiva oltre la chiesa in questione, arrivando fino all’attuale porta all’Arialla (chiamata in precedenza anche porta al Mare e porta al Salnitro) e continuando dentro le mura (fig. 7, nei punti contrassegnati) fino al termine del Terziere, cioè al congiungersi con la strada per Siena (l’attuale via Norma Parenti, fig. 7, in alto al centro)14.

Anche nel catasto attuale, nella zona appare l’indicazione di San Giovanni (fig. 8, in basso a sinistra), riportando la presenza di podere e chiesa oggetto di questo studio con i numeri 41 e 42 (sempre fig. 8, all’interno del riquadro giallo).

Fig. 8. Il complesso come appare oggi nella Carta Tecnica Regionale (CTR) (Fonte CASTORE).

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Nel catasto leopoldino del 1825, invece (fig. 9), il toponimo San Giovanni non appare, mentre possiamo notare che già erano in uso i numeri 41 e 42 per indicare i due edifici (sempre fig. 9, all’interno del riquadro giallo)

Fig. 9. Il complesso come appariva nel Catasto Generale Toscano (Leopoldino) del 1825 (Fonte CASTORE)

Nella mappa Becherucci15 (una planimetria catastale che rivela la struttura urbana più vicina al tessuto medievale prima delle trasformazioni avvenute a metà del XIX secolo) questa importante arteria appare curiosamente divisa in due spezzoni: via San Giovanni (dalla porta all’Arialla fino al vicolo Todini) e via dei Cavalieri (da vicolo Todini fino alla strada per Siena), aprendo così la questione del perché di questi due nomi.

La tradizione tramanda nel nome di San Giovanni la presenza lungo la via di un antico ospedale (intitolato appunto a San Giovanni) che accoglieva i pellegrini che giungevano a Massa16, o più semplicemente ad una chiesa intitolata a San Giovanni17.

15 Archivio di stato di Grosseto, Antico Catasto, Comunità di Massa Marittima, Sezione F della città, levata in

pianta con la scala 1:1250 del geometra primario Gaetano Becherucci, terminata il dì 2 maggio 1825.

16 G.CAGLIANONE, La confraternita di Misericordia di Massa Marittima, Massa Marittima 1996, p. 25.

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E’ giusto ricordare infatti che nei processi che conducono a modificare i quadri del popolamento rurale, la sopravvivenza di un edificio religioso è fatto ben noto. Una chiesa deve innanzi tutto la sua maggiore resistenza ai materiali con cui è costruita, normalmente più solidi rispetto a quelli utilizzati per un’abitazione. A ciò si aggiunge la mentalità dei fedeli e la conservatività dell’organizzazione ecclesiastica. Il fatto che una chiesa prolunghi la sua esistenza anche per molti secoli dopo la scomparsa dell’abitato non manca di avere influenze dirette sulla toponomastica, dal momento che i toponimi (non diversamente dalle leggende e dalle tradizioni popolari) sopravvivono soprattutto se hanno la possibilità di appoggiarsi ad una realtà vivente18.

La motivazione addotta dalla stessa tradizione popolare per via dei Cavalieri invece, cioè i numerosi stallaggi presenti anticamente lunga la via19, non convince in pieno. Infatti nei tempi

passati alla parola Cavaliere era associato un significato ben preciso, un titolo pieno di significato, non riferito quindi semplicemente a “colui che va a cavallo”, o almeno tale da non essere concesso a tutti coloro che passavano per la via diretti a Siena usufruendo delle sue stalle. Riteniamo invece molto più probabile che il tempo abbia diviso ciò che prima era unito. Riunendo infatti i due nomi toponomastici verrebbe fuori un “via dei Cavalieri di San Giovanni”, nome che conferma la presenza gerosolimitana nel territorio cittadino20.

2.3 Le fonti architettoniche

17A.GABBRIELLI, Istoria dell’antica città di Massa Marittima, Massa Marittima 1881, C. 92v.

18 A.SETTIA, La toponomastica come fonte storica, cit., p. 104.

19 G.CAGLIANONE, Sull’origine del nome di Via dei Cavalieri, in «La torre massetana» ,Novembre 1990. 20 Ibid.

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Il sito della chiesa di San Giovanni si presenta oggi in stato di completo abbandono. Dall’esterno appare come una distesa intricata di rovi ed erbacce che superano in altezza anche l’antico muro di cinta (fig. 10), e la stessa cosa si ripete all’interno del complesso (fig. 11). Il tetto di entrambi gli edifici che compongono il complesso è parzialmente crollato (fig. 12) e per accedervi è stato necessario fare prima un lavoro tutt’altro che storico (fig. 13).

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Fig. 10. Il sito visto dall’esterno (lato sud).

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Fig. 12. Foto satellitare del sito. Ben visibili i tetti parzialmente crollati dei due edifici.

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Il primo edificio in cui siamo entrati è la vera e propria casa colonica. Infatti, secondo le testimonianze raccolte chiedendo a persone anziane della città, fino agli anni cinquanta del Novecento il complesso era adibito a podere e regolarmente abitato da una o due famiglie. Anche nei registri del Catasto Leopoldino del 1825 la dicitura riferita all’ex podere (indicato con il numero 42 come riportato in fig. 9) è quella di «casa per uso agrario»21, indicando per essa la superficie a terra di circa 160 metri quadrati (nel registro si parla di braccia quadrate). All’epoca il proprietario risultava essere un certo Moris Giovanni di Giuseppe (poche erano le speranze che il terreno all’epoca appartenesse sempre a qualche ordine religioso, dopo la soppressione da parte di Napoleone con decreto del 25 maggio1810), che risultava essere uno dei maggiori possidenti terrieri della città (non è da escludere che lo fosse anche in virtù delle probabili recenti acquisizioni per il decreto napoleonico).

Di questo stabile è stato possibile visitare solo il piano terra in quanto, oltre al tetto, è parzialmente crollato anche il solaio del piano rialzato, rendendo pericolante ogni parte del soffitto. All’interno delle stanze del piano terra sono visibili le tracce dell’ultima occupazione: porte, mattonelle, camino, cavi elettrici, tutto a testimonianza di una presenza all’interno di stile anni Cinquanta.

A ben guardare però molte sono le stonature architettoniche per una casa colonica, sia che fosse del Novecento o dell’Ottocento. Risulta evidente infatti che le numerose stanze poste al piano terra sono state ricavate edificando sottili tramezzi a partire da un salone unico (o forse diviso in due parti), salone al centro del quale si trovavano colonne e pilastri su cui gravava una serie di archi a tutto sesto, archi costruiti per sorreggere il piano superiore e che oggi appaiono tutti chiusi da murature successive.

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Fig. 14. Particolare di colonna del piano terra con

archi a tutto sesto.

Fig. 15. La stessa colonna vista

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Fig. 16. Pilastro interno.

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Fig. 18. Ancora un arco interno murato.

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Anche il portone d’ingresso dell’edificio, con la sua lunetta a sesto acuto, non sembra ricalcare il modo di edificare tipico di una casa colonica di epoca contemporanea (fig. 20).

Fig. 20. Portone di ingresso della casa colonica visto dall’interno

Lo stabile quindi sembrerebbe ampiamente rimaneggiato rispetto alla struttura originaria anche se, a prima vista, non vi sono tracce evidenti per poter giudicare a che epoca possa risalire. Anche la strombatura presente in alcuni muri di elevato spessore e le ridotte dimensioni di alcuni passaggi porterebbero a pensare ad una data di costruzione antecedente al periodo di sviluppo colonico maremmano.

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Il secondo edificio è quello che resta della stalla. Anche qui il tetto è parzialmente franato e l’accesso piuttosto disagevole. L’ultimo uso a cui era stato destinato, oltre ad essermi stato indicato da testimoni, è attestato anche dal catasto leopoldino, in cui l’edificio, indicato con il numero 41 (vedi fig. 9), è identificato proprio come “stalla”, con una superficie approssimativa di 110 metri quadrati ed ancora di proprietà di Moris Giovanni di Giuseppe. Ciò è confermato dalle tracce al suo interno, dove è ben visibile ciò che resta della mangiatoia e degli anelli murati nella parete usati per legare il bestiame (fig. 21).

Fig. 21. Resti della mangiatoia e anelli per il bestiame.

A parte questo particolare, però, nulla della struttura dell’edificio fa pensare che esso sia nato specificatamente per questo scopo. Le foto che proporrò di seguito vorrebbero dimostrare, infatti, che molto probabilmente esso nacque come chiesa, con un cambio di funzione avvenuto solo in epoca più recente.

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L’edificio si presenta di forma rettangolare (15 X 7 mt circa) , molto sviluppata in altezza (quindi di scarso senso per una stalla). La facciata ad Est, infatti, si presenta addirittura con tre ordini di finestre arcuate sovrapposti (fig. 22), con la più bassa oggi parzialmente murata (fig 23)

Fig. 22. Facciata lato Est.

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Appare altresì assai poco probabile che si sia costruita una stalla utilizzando per gli angoli dell’edificio blocchi perfettamente squadrati di travertino (fig. 24 e 25).

Fig. 24. Blocchi di travertini nell’angolo Nord.

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Così come appare difficile da credere l’edificare una stalla con un archivolto di travertino di una finestra, reimpiegato nella parete, anche se poi parzialmente riempito (fig. 26).

Fig. 26. Nicchia nell’angolo della parete Sud.

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La parete ovest sembrerebbe quella della facciata principale, non solo perché vi è presente il portone di ingresso della stalla ma anche perché nei due ordini superiori si intravedono non una ma tre finestre ciascuno (a differenza del lato opposto, vedi fig. 22), benché quasi tutte murate e successivamente intonacate (fig. 27).

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Ma riteniamo che fosse la facciata principale anche perché era questa che appariva per prima al viaggiatore che saliva la strada per raggiungere la città, con una vista che, ancor oggi, non ha perso del tutto il suo fascino (fig. 28).

Fig. 28. Lato Ovest dell’edificio.

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A conferma di un edificio non destinato ad essere una stalla ci viene in aiuto anche l’interno. Al piano terra, come detto, vi era la stalla. Esattamente al centro appaiono due archi a tutto sesto, piuttosto bassi rispetto alla pavimentazione (fig. 29) mentre in fondo, sulla parete ovest, vi è il portone d’ingresso, anch’esso costruito con blocchi di travertino strombati ed arco superiore in muratura (benché parzialmente intonacato) (fig. 30).

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Fig. 30. Portone d’ingresso del piano terra.

Da una prima analisi visiva, questo piano terra non sembrerebbe essere l’antico piano di calpestio della chiesa. Alcuni aspetti ci fanno dubitare di ciò, ed in particolare:

 i due archi presenti sono troppo bassi (la volta la si tocca tranquillamente alzando una mano);

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 le pareti interne del piano terra sono contraddistinte sui lati nord e sud da aperture molto simili a feritoie (fig. 31) mentre al piano superiore le finestre hanno dimensioni più standard;

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 sono ancora evidenti le tracce di un solaio, anche se ormai quasi del tutto crollato, che dimostra l’esistenza di un piano rialzato (fig. 32), così come lo dimostra anche la presenza di una balza sporgente dal muro su cui poggiava, lungo tutto il perimetro interno, detto solaio (fig. 33);

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La prova principale, però, che questo stabile non sia nato come stalla è la presenza di due grandi archi a sesto acuto, posizionati esattamente in corrispondenza dei due archi a tutto sesto del piano terra, e che un tempo sorreggevano il tetto (fig. 34).

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2.4 Ospedali ed opere pie in Massa Marittima

Massa Marittima rappresenta il principale centro medievale delle Colline Metallifere e si qualifica per la sua complessa struttura urbana. All’interno di un unico circuito murario, infatti, troviamo l’eccezionale compresenza di due tipologie di impianto urbano con identità diverse: un centro di età signorile (Cittavecchia) ed una nuova fondazione di carattere cittadino (Cittanuova) pianificata a partire dai primi decenni del Duecento.

E’ su questa premessa che si basa la forma urbis massetana, che va necessariamente letta attraverso la sua stratificazione e che ha permesso ad alcuni storici del territorio un percorso di ricostruzione di una “città invisibile” ormai scomparsa anche dalla memoria22.

Soffermandosi in particolar modo sul periodo compreso tra il XIII e il XV secolo (vale a dire nascita, apogeo e sostanziale declino delle strutture medievali), l’apparato documentario si è mostrato subito eccezionale, sia per la quantità (un Estimo del 1300, uno del 1418, due Statuti coevi, oltre alle fonti diplomatiche) sia perché ha permesso di indagare su istanze formali che, parallelamente alle vicende architettoniche, hanno dato vita alla trasformazione della città.

In pratica, sulla base di queste informazioni sono state redatte una serie di carte tematiche, ognuna delle quali indaga su un particolare aspetto della città, ottenendo una visione assai dettagliata della Massa Marittima del XIV-XV secolo. I vari tematismi sono poi stati riportati tutti sulla medesima cartografia alla stessa scala (in questo caso la planimetria catastale del 1825, che rivela la struttura urbana più vicina al tessuto medievale, prima delle grandi trasformazioni avvenute a metà del XIX secolo), in modo tale che il confronto e la riunificazione

22 G.GALEOTTI, La citta invisibile. Rilievo e fonti storiche per la conoscenza della forma urbis di Massa di

Maremma, in Città e territorio. Conoscenza, tutela e valorizzazione dei paesaggi culturali , a cura di G. Galeotti -

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dei dati risulti più immediata23. E’ così stata redatta un’elaborazione della divisione in Terzieri, sulla toponomastica, una sulle fortificazioni, sui fossati urbani, sul sistema di approvvigionamento idrico, sulle attività produttive e sulla distribuzione delle abitazioni.

La rappresentazione , però, che mi interessa riportare è quella sulle strutture religiose, vale a dire chiese, ospedali e opere pie.

Non intendiamo in questo paragrafo presentare uno studio sulle numerose strutture ospedaliere e di misericordia della città, studio che comporterebbe necessariamente un lunghissimo percorso, peraltro già approfonditamente affrontato dai testi in parte citati. Mi sembra però importante porre l’attenzione sulla vocazione cittadina di accoglienza a malati e pellegrini ed anche mettere in rilievo come la via San Giovanni – dei Cavalieri fosse uno degli assi viari della città maggiormente preposto a tale compito per il suo fondamentale ruolo di passaggio dalla Maremma e dalla via Aurelia verso Volterra, Siena e quindi, attraverso la via Francigena, per Roma.

Osserviamo la figura 6 riportata a pagina successiva24.

23 Ibid, p. 33.

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Fig. 10. Chiese, conventi, spedali ed opere pie nel tessuto urbano di Massa in relazione con la viabilità principale.

L’elenco degli ospedali ed opere pie appare piuttosto nutrito nel suo complesso. Ancor più evidente risulta se valutato in rapporto alla posizione di tali enti, per la maggior parte siti nella via che dalla porta Arialla (in basso a sinistra nell’immagine) scorre nella città fino all’uscita dalle mura in direzione Volterra (in alto al centro nell’immagine). All’inizio di questo percorso, la lettera H indica il probabile sito dell’ospedale di San Giovanni (in basso a sinistra nell’immagine), posto sulla via di accesso alla città per una prima cura dei bisognosi.

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Proprio per questo l’ospedale viene da più fonti indicato anche nella funzione di lazzaretto oltre che di ospedale: ubicato subito prima di entrare in città, per accogliere malati, viandanti e pellegrini25; oppure anche extramoenia, nel tratto extraurbano della via di accesso alla città26.

Del resto, che la necessità di una prima accoglienza fosse anche mossa da motivi di sicurezza, lo dimostra la presenza sulla stessa via (ma in posizione ancor più anticipata) di un lazzaretto (contraddistinto in fig. 10 dalla lettera I), struttura ridotta in seguito a casa colonica con il nome di San Lazzaro e che l’ultima riforma agraria ha destinato alla distruzione27.

Le fonti quindi sembrerebbero confermare nel sito indicatomi dagli abitanti del luogo il punto esatto dove era situato l’ospedale di San Giovanni.

25 CAGLIANONE, La confraternita di Misericordia di Massa Marittima, cit, p. 25. 26 Città e territorio, a cura di G.GALEOTTI -M.PAPERINI, cit, p. 36.

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2.5 Il vincolo

In seguito ad un incontro avuto con il proprietario del terreno su cui insiste il complesso di San Giovanni, sono venuto a sapere che, sulla chiesa, la Soprintendenza dei beni architettonici e paesaggistici di Siena e Grosseto aveva posto a suo tempo il vincolo. In particolare, nel documento di sintesi riportato in fotocopia dell’originale in figura 36, si notifica al proprietario, il Cav. Moris Giuseppe, che la chiesa di san Giovanni del secolo XIII è sottoposta a tutte le disposizioni della legge n. 364 del 1909. Da notare, all’interno del riquadro giallo, la data dell’apposizione del vincolo: 6 marzo 1923.

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Ma la visita presso la Soprintendenza è stata interessante anche per un altro motivo. Nella cartella immagini relativa alla chiesa (la numero 00353780) vi sono alcune fotografie in bianco e nero scattate nel 1989, volute dalla Soprintendenza per un aggiornamento della pratica. Due di esse mostrano particolari degni di nota.

La prima è quella di figura 37.

Essa permette di vedere come fosse l’interno dell’edificio prima del crollo del pavimento. E’ possibile rapportare la foto con le immagini n. 33, 34 e 35 riportate nel capitolo precedente.

Fig. 37. Interno della chiesa in una foto di 25 anni fa.

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L’altra immagine interessante è la n. 38.

Essa mi ha permesso di vedere ciò che sul campo mi è stato impossibile notare per via della fitta vegetazione che insiste su quella parete. Come ho evidenziato nell’immagine con le frecce gialle, sulla parete Sud vi è un’antica apertura con arco a tutto sesto, oggi completamente murata, ed una nicchia (oltre a quella già segnalata, sempre sulla stessa parete, vedi immagine n. 27).

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2.6 Conclusioni

Il primo punto da sottolineare è che, alla luce di quanto riportato nei testi da me citati in bibliografia, la presenza gerosolimitana nella città di Massa Marittima non può essere messa in dubbio. Le fonti, anche quelle maltesi, concordano tutte in modo chiaro che tale presenza era un dato di fatto, e che il centro di questa presenza era una chiesa intitolata a San Giovanni. La toponomastica ci dà in questo ulteriore conferma.

Il secondo punto da mettere in rilievo è che, da quanto emerso dai dati raccolti in questo breve studio anche alla luce delle conoscenze attuali, non sembrerebbero esserci dubbi sulla reale presenza nella città di un’antica chiesa intitolata a San Giovanni, della quale, benché ormai sconsacrata e diroccata, è ben conosciuta l’ubicazione nel contesto cittadino.

Terzo punto: lo studio della posizione e le caratteristiche architettoniche di questa chiesa sembrerebbero a loro volta confermare l’antichità dell’edificio, avvalorando l’ipotesi che essa ebbe un ruolo nella storia della città.

Rimane da evidenziare che, sebbene il vincolo della Soprintendenza avesse l’obiettivo di impedire modifiche architettoniche sugli edifici in questione, esso non sia riuscito ad evitare comunque il completo abbandono del sito.

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