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IL CONTESTO CULTURALE

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Academic year: 2021

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XXIV IL CONTESTO CULTURALE

La letteratura nativa e la letteratura occidentale

I primi testi letterari nativi americani si tramandavano oralmente e mettevano in risalto la forte connessione delle persone con piante e animali, fiumi e rocce, e tutto ciò che fosse ritenuto importante e fondamentale alla sopravvivenza. I testi rendevano evidente il legame dei popoli indiani con la terra grazie a un‟affinità spirituale della stessa con i vivi e i morti.

Le storie possono avere personaggi che fanno parte del mondo animale (coyote, corvo, volpe, falco, tartaruga, lepre, e così via), ma anche del mondo vegetale: gli alberi e le piante sono considerati esseri viventi, quindi possono interagire con gli altri personaggi della storia e partecipare attivamente allo sviluppo della trama. Paula Gunn Allen in poche frasi riesce a riassumere il concetto, introducendo il termine chiave “sacredhoop”:

When I was small, my mother often told me that animals, insects, and plants, are to be treated with the kind of respect one customarily accords to high-status adults. “Life is a circle, and everything has its place in it,” she would say. That‟s how I met the sacred hoop, though I didn‟t know how to call it.1

L‟oralità e la scrittura, ovviamente, non trattano la storia da raccontare nella stessa maniera. Chi scrive usa diverse facoltà mentali rispetto a chi narra, ha un diverso approccio nei confronti del linguaggio, della memoria, della tradizione. Ha anche diverse responsabilità nei confronti della storia stessa, e nei confronti del pubblico, di chi quella storia la legge o la ascolta. La relazione con il racconto orale, da parte di chi lo produce e chi lo ascolta, è simultanea e diretta. Lo scrittore, invece, affronta il suo compito in solitudine. Come si legge in The

1

Cfr. Allen, P. G., “The Sacred Hoop: A Contemporary Perspective”, in The Sacred Hoop, Beacon Press, Boston, 1986, p.54.

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XXV

Sacred Hoop, dato che la maggior parte dei testi orali nativi era nelle mani di pochi eletti, molti sono andati persi, senza poter essere trasmessi alle generazioni successive:

[...] much of the literature, in fact, is known only to educated, specialized persons who are privy to the philosophical, mystical, and literary wealth of their own tribe.

Much of the literature that was in the keeping of such persons, engraved perfectly and completely in their memories, was not known to the most other men and women. Because of this, much literature has been lost as the last initiates of particular tribes and societies within the tribes died, leaving no successors.2 La storia della letteratura scritta in inglese da autori nativi americani è parallela alla storia della migrazione dei bianchi nel continente. L‟arrivo dei primi esploratori venne presto seguito da quello dei missionari, che convertirono la stragrande maggioranza dei nativi al cattolicesimo e fecero frequentare ai bambini le tristemente famose boarding schools. Le prime Indian boarding schools sorsero nel periodo immediatamente successivo alla guerra civile. Dato che i nativi erano guardati con paura e disprezzo, si ritenne che con la giusta educazione e una ferrea disciplina sarebbero potuti diventare come gli altri cittadini americani: patriottici e produttivi membri della società. Uno dei primi tentativi in tal senso fu la Carlisle Indian School in Pennsylvania, fondata nel 1879dal capitano Richard Henry Pratt, grande sostenitore della politica “kill the Indian and save the man”3. Ciò significa che i bambini e ragazzi che venivano portati in istituti come la Carlisle, venivano sottoposti a un trattamento che mirava ad annientare qualsiasi residuo di identità individuale e tribale. Seguendo l‟esempio del capitano Pratt, vennero fondate molte altre boarding schools in tutto il territorio statunitense, e non solo. Personalmente, ho potuto visitare un‟esposizione al museo di antropologia

2Ibidem, p. 55.

3 Cfr. Yu, J., Kill the Indian, Save the Man, Penn State University, Spring 2009,

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XXVI dell‟University of British Columbia (a Vancouver) intitolata “Speaking to Memory”, che mostrava testimonianze soprattutto fotografiche, ma anche dichiarazioni e interviste rilasciate da numerosissimi ex-allievi dell‟istituto St. Michael, nelle vicinanze di Alert Bay, in Canada.4 Sono numerosi i reperti fotografici che possiamo reperire oggi per confrontare l‟aspetto dei ragazzini prima e dopo l‟ingresso nelle boarding schools. Come si legge sul sito della University of Washington: “The dramatic contrast between traditional clothing and hairstyles and Victorian styles of dress helped convince the public that through boarding school education Indians could become completely „civilized‟”5

. Non è raro che riferendosi ai nativi che hanno passato l‟infanzia e l‟adolescenza in suddetti istituti si parli di “missing link” nella trasmissione della lingua e della cultura.

Il primo autore nativo ad essere pubblicato in inglese è stato Samson Occom (1723-1792). Sebbene cresciuto in seno alla tribù Mohegan, a sedici anni dovette iniziare a studiare inglese, si convertì al cattolicesimo e divenne un missionario che prestò servizio fra gli indiani del New England. Nel 1774 scrisse A Sermon Preached at the Execution of Moses Paul, an Indian, che venne ripubblicato in diciannove edizioni6.

Una rottura netta con la tradizione orale si ha a partire dal XIX secolo, dato che la stragrande maggioranza degli autori nativi tratta testi autobiografici. Come già specificato, la narrativa di questo tipo non fa parte della tradizione orale

4

Cfr.MOA, Speaking to Memory: Images and Voices from St. Michaels Residential School,http://moa.ubc.ca/experience/exhibit_details.php?id=1209 (ultimo accesso: 11/03/14).

5Cfr. Marr, C. J., “Assimilation through Education: Indian Boarding Schools in the Pacific

Northwest”, University of Washington, Digital Collections,

https://content.lib.washington.edu/aipnw/marr.html (ultimo accesso: 11/03/14).

6Cfr. Occom, S., Sermon Preached at the Execution of Moses Paul, an Indian, Connecticut Society

of Arts and Sciences, New Haven, 1788, https://archive.org/details/sermonatexecutio01occo (ultimo accesso: 19/03/14).

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XXVII dei popoli indianoamericani, anzi; molte culture native considerano inappropriato parlare di sé, visto che predomina la visione del sacred hoop, un grande continuum dove niente è preso in considerazione in modo individualistico e indipendente da tutto il resto.

La prima autobiografia scritta da un nativo è A Son of the Forest, The Experiences of William Apes, A Native of the Forest. Written by Himself 7, firmata appunto da William Apes e pubblicata nel 1829.

Il primo romanzo, invece, ad opera di un nativo è The Life and Adventures of Joaquín Murieta (del 1854)8, scritto da John Rolling Ridge (figlio del capo Cherokee John Ridge e conosciuto come Yellow Bird). L‟autore tratta indirettamente le ingiustizie subite dai popoli nativi servendosi del personaggio californiano Joaquin Murieta, un bandito-eroe che sconfigge i nemici grazie a un mix letale di astuzia e pistole.

È importante aggiungere anche che la prima metà del XX secolo è stata caratterizzata da racconti fatti da nativi, ma riportati in forma scritta da autori anglofoni. È questo infatti il periodo in cui aumenta l‟interesse per i popoli indiano americani e le loro testimonianze. Per lungo tempo, lo studio di suddetta letteratura ha posto non pochi problemi a critici e lettori occidentali, i quali, sebbene stessero iniziando a dare maggiore considerazione ai popoli nativi, non avevano ancora capito che è necessario spostare completamente il focus; non si

7

Cfr.Apes, W., A Son of the Forest, The Experiences of William Apes, A Native of the Forest. Written by Himself, prima edizione: pubblicata dall‟autore nel 1829, seconda edizione: G. F.

Bunce, Printer, New York, 1831,

http://archive.org/stream/sonofforestexper00apes/sonofforestexper00apes_djvu.txt(ultimo accesso: 19/03/14).

8

Cfr. Rolling Ridge, J., The Life and Adventures of JoaquínMurieta, W. R. Cook and Company, San Francisco, 1854,

http://books.google.it/books?id=eSZVXAFEuMwC&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_ summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false (ultimo accesso: 19/03/14).

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XXVIII parla solo di un diverso canone letterario, ma di una diversa cultura e di un diverso approccio alla vita:

Literature is one facet of a culture. The significance of a literature can be best understood in terms of the culture from which it springs, and the purpose of literature is clear only when the reader understands and accepts the assumptions on which the literature is based.9

Allen sostiene che i primi studiosi occidentali di letteratura indiano americana si siano limitati a considerare solo gli aspetti più superficiali dell‟intero corpus letterario a loro disposizione e lo abbiano etichettato generalmente come “folklore”10

. Ritengo sia importante far notare che la letteratura nativa americana tradizionale differisce da quella occidentale fin dai presupposti più elementari: la concezione dell‟universo e, conseguentemente della realtà percepita dai popoli nativi, non è la stessa di quella occidentale, anche al livello del folklore. È una differenza che ha confuso lettori non nativi per decenni, in quanto non sono stati capaci di (o non hanno voluto) accettare le evidenti discrepanze e sviluppare dei procedimenti critici per analizzare e comprendere più in profondità il materiale letterario in questione senza ridurlo a stereotipi, invalidandolo quindi nel significato.

Le due tradizioni letterarie differiscono enormemente anche per quello che concerne il loro scopo principale: quello della letteratura tradizionale nativa non riguarda mai l‟espressione individuale dell‟autore. Il “private soul at any public wall”11 è un concetto del tutto alieno al pensiero nativo: le tribù non celebrano l‟abilità del singolo a provare sentimenti ed emozioni, anzi; i popoli nativi cercano, attraverso canzoni, rituali, leggende, sacred stories e racconti, di

9Cfr. Allen, P. G., “The Sacred Hoop: A Contemporary Perspective”, in op. cit., p. 54. 10Ivi.

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XXIX comprendere, articolare e condividere la realtà, affinché l‟Io del singolo possa trovare armonia ed equilibrio con la collettività e “tradurre” in parole “those truths that give to humanity its greatest significance and dignity”12. Più in generale, la letteratura cerimoniale serve a reindirizzare le emozioni dell‟individuo e incanalare l‟energia che generano nell‟ambito di un contesto più ampio, universale.

L‟arte tribale è strettamente legata al linguaggio e alla parola, dato che sono i mezzi attraverso i quali il singolo può condividere il suo essere con la comunità e sviluppare un comune senso di appartenenza: “[...] the greater self and all-that-is are blended into a balanced whole, and in this way the concept of being that is fundamental and sacred spring of life is given voice and being for all”13. I popoli nativi americani si servono del potere della parola, ritenuto sacro, per determinare e dare una forma alle forze che governano la vita, sia degli uomini che di tutte le cose. Un antico canto Keres recita:

I add my breath to your breath

That our days may be long on the Earth That the days of our people may be long That we may be one person

That we may finish our roads together May our mother bless you with life May our Life Paths be fulfilled.14

Il respiro è la vita, e l‟intrecciarsi dei respiri, il loro mescolarsi, è ciò che garantisce la sopravvivenza. Ritengo che questo canto possa servire da punto di partenza per un lettore occidentale che voglia approcciarsi nella giusta maniera alla cultura e alla tradizione letteraria tribale. In sostanza, qui si fa riferimento al grande principio che ogni essere vivente deve rispettare per poter vivere in modo

12Ivi. 13Ivi.

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XXX appagante sia nel privato, che nelle relazioni con gli altri e con l‟universo. È un‟idea che si può riscontrare nelle immagini tradizionali del medicine wheel e del sacred hoop, tipiche delle cosiddette Plains tribes15. Il concetto è quello di un‟unità dinamica e universale, che include tutto ciò che fa parte della vita.

Sembra ormai chiaro che l‟opposizione, il dualismo e la singolarità non siano parti integranti del pensiero nativo. Tutto questo si riflette chiaramente anche nella concezione religiosa: i cristiani credono che Dio sia un‟entità separata dall‟umanità e che tutti debbano sottostare alla sua volontà, mentre le tribù native non cristiane credono di essere state originate da più soggetti, in un‟operazione dinamica, creativa e interattiva. Gli indiani si ritengono responsabili del proprio destino a tutti i livelli, compreso quello della creazione, e la capacità di tutte le creature di compartecipare al processo di creazione le rende tutte, indistintamente, sacre.

Un‟altra, sostanziale, differenza nella percezione della realtà sta nel fatto che gli occidentali, in genere, considerano lo spazio lineare e il tempo sequenziale, mentre i nativi concepiscono lo spazio come sferico e il tempo come ciclico. Osservando la realtà da questa prospettiva, appare evidente che tutti i punti che compongono la circonferenza hanno una specifica identità e funzione, pur essendo tutti importanti allo stesso modo. Nella visione lineare, invece, si dà per scontato che alcuni punti siano più significativi di altri: “In the one, significance is a necessary factor of being in itself, whereas in the other, significance is a function of placement on an absolute scale that is fixed in time and space”16.

15Cfr. American Memory, Library of Congress, American Indian Tribes Grouped by Culture Areas, http://memory.loc.gov/ammem/award98/ienhtml/tribes.html#ps (ultimo accesso: 19/03/14).

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XXXI I nativi considerano tutte le creature come parenti, in quanto sono tutti stati generati dal Great Mistery e hanno tutti il compito di creare, ordinare e bilanciare l‟esistenza del tutto. Nei sistemi tribali la parentela è un legame fondamentale; non è un caso che molti popoli, nelle rispettive lingue, utilizzino un‟espressione che in inglese è stata tradotta con “all my relations”, “all my relatives” o “we are all related”. È stata attestata in diversi contesti, che vanno dal saluto, all‟augurio, alla preghiera17.

L‟intelligenza (nella mentalità non nativa attribuita unicamente alla razza umana) secondo gli indianoamericani fa parte della natura dell‟essere, per cui, sempre seguendo il principio della circolarità dell‟universo, possiamo dedurre che gli attributi degli esseri umani sono naturalmente posseduti da tutti gli esseri viventi.

Nel mondo occidentale, si tende a dividere l‟universo in due parti: ciò che è naturale e ciò che è sovrannaturale. Secondo Allen, l‟umanità considerata dal punto di vista non-nativo, non appartiene a nessuno dei due mondi:

Humanity has no real part in either, being neither animal nor spirit – that is, the supernatural is discussed as though it were apart from people, and the natural as though people were apart from it18.

Partendo da questa considerazione, si potrebbe dire che gli occidentali sono per forza di cose alienati dal mondo in cui vivono, visto che non si sentono parte né di ciò che è “naturale” né di ciò che non lo è. Questo non vale per il pensiero nativo americano, ovviamente; ogni storia, ogni canto, ogni cerimonia afferma che tutte le creature fanno parte di un insieme e che ogni parte di quell‟insieme contribuisce

17

Cfr. Wagamese, W., “ „All my relations‟ about Respect”, Kamloops, The Daily News, http://www.kamloopsnews.ca/article/20130611/KAMLOOPS0304/130619980/-1/kamloops/wagamese-all-my-relations-about-respect (ultimo accesso: 20/03/14).

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XXXII all‟esistenza delle altre. Conseguentemente, l‟universo non è concepibile come una giustapposizione di divino e terreno, naturale o sovrannaturale e l‟unità del tutto è riscontrabile anche nel linguaggio e nelle forme d‟arte.

Le due principali forme in cui si esprime la letteratura nativa sono la cerimonia e il mito. La cerimonia è la concretizzazione di una particolare percezione di una relazione cosmica, mentre il mito è il racconto di tale relazione. Così, la danza del sole è la messa in atto della relazione che le popolazioni delle Plains vedono tra lo spirito umano e quello del sole, o della luce. I partecipanti sono i “mezzi” attraverso i quali il sole decide di donare alla comunità salute e prosperità. La cerimonia si serve di varie forme d‟espressione, come i canti, le danze, le preghiere. I Lakota, ad esempio, considerano le cerimonie collegate tra loro, sia implicitamente che esplicitamente, come se ognuna fosse la faccia di uno stesso prisma.

Lo scopo della cerimonia è l‟integrazione: prendere l‟individuo e renderlo una cosa sola con i suoi compagni, la sua comunità e anche con la terra e l‟universo. A questo primo obiettivo generale, solitamente se ne aggiunge un altro più specifico, che può variare a seconda della provenienza e della cultura della tribù. Ad ogni modo, si può affermare che tutte le cerimonie contribuiscono a generare e mantenere vivo il senso della comunità, che è il punto cardine della vita tribale.

Le cerimonie sono caratterizzate anche da ripetizioni delle stesse parole e lunghi passi di sillabe giustapposte, apparentemente senza significato, che però sono fondamentali nel contesto della danza: fanno infatti raggiungere ai partecipanti uno stato ipnotico di coscienza, in modo che lascino da parte le

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XXXIII distrazioni della vita quotidiana e reindirizzino le proprie emozioni in un unico, grande flusso. In questo modo i partecipanti, non avendo più coscienza della propria individualità, diventano letteralmente una cosa sola con l‟universo: “[...] a sense of conciousness best described as „oceanic‟, but without the hypersentimental side effects implied by that term”19. Ad esempio, i danzatori adattano i movimenti e le parole al ritmo della cerimonia. Respiro, battito, pensieri, emozioni e parola si fondono, e la ripetizione fa sì che tutti gli elementi diventino parte di un insieme ritmico.

In The Winged Serpent, Margot Astrov ipotizza che l‟impianto cerimoniale abbia una doppia origine, sia fisica che mistica:

[...] rythm is the repetition of units that are either similar or contrasting [...] Rhythm may have a phsycological basis that corresponds to certain phsycological processes, as for instance the contraction and expansion of the respiratory organs, the pulsing of the blood, the beating of the heart. But this drive that forces man to express himself in rythmic patterns has its ultimate source in physical needs, for example the need of spiritual ingestion and proper organization of all the multiform perceptions and impressions rushing forever upon the individual form without and within.20

L‟intrecciarsi delle forme-base dell‟espressione letteraria, ha portato non poca confusione fra lettori e critici non nativi. La tendenza occidentale a separare l‟esistenza in compartimenti e aree di competenza (siano generi letterari, specie animali o persone) ha provocato molti fraintendimenti e interpretazioni erronee di quello che è la cultura nativa. Da un punto di vista nativo americano, ad esempio, è scontato che tutti i generi letterari dovrebbero essere connessi, data l‟idea fondamentale di unità e interdipendenza di ogni fenomeno. La separazione e la collocazione in una categoria piuttosto che in un‟altra non hanno senso per gli

19

Ibidem, p. 63. ALLEN

20Cfr. Astrov, M. (ed.), The Winged Serpent: American Indian Prose and Poetry, Beacon Press,

Boston, 1992, cit. in Vizenor, G. R., The People Named the Chippewa: Narrative Histories, University of Minnesota Press, Minneapolis, 2002.

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XXXIV artisti nativi, anzi; il tentativo di dividere ciò che concepiscono come unità è percepito come una distorsione.

La letteratura nativa americana è caratterizzata dall‟unione armonica di simboli, strutture e rispettive articolazioni, tipiche della visione del mondo dei nativi. L‟unione di tutte le cose e di tutti i livelli dell‟essere è resa chiaramente attraverso i canti e i racconti di tutte le tribù.

Grazie a questa cornice molto generica, ritengo sarà più facile comprendere alcune caratteristiche e dinamiche della produzione degli artisti di origine nativa americana.

Inutile sottolineare quanto la concezione dell‟espressione artistica sia fondamentale anche nello studio di un autore come Alexie, per quanto a un primo sguardo possa sembrare che abbia conservato ben poco della sua cultura d‟origine.

I temi

I primi romanzi firmati da autori nativi sono in gran parte basati sul motivo del “dying savage”,anche perché era un argomento che gli editori ritenevano pubblicabile21. L‟immaginario popolare dell‟indiano conquistato e ridotto in fin di vita ha influenzato anche la percezione che i nativi hanno di se stessi. I primi autori si sono focalizzati su questo stereotipo e lo hanno combinato con l‟impianto novellistico occidentale (conflitto-crisi-soluzione), anche perché una tale struttura della trama ben si prestava a spiegare la vita tribale e il caos che regnava dopo l‟arrivo del coloni. Nei romanzi indiani “occidentalizzati” i protagonisti sono degli eroi tragici, condannati a un destino terribile ma inesorabile. I temi principali sono la conquista, la rovina e il genocidio della tribù, mentre l‟uomo bianco è

21Cfr. Allen, P. G., “Whose Dream Is This Anyway? Remythologizing and Self-Definition in

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XXXV l‟antagonista che si fa sempre più potente grazie a un potere quasi demoniaco, simile a quello che nella letteratura classica è attribuito agli dei o al fato.

Un fattore trasversale a tutte le tribù è quello dei rituali, della “religione”. Per quanto le credenze e le tradizioni varino da tribù a tribù, sono tutte “earth-based and wilderness-centered”22, politeistiche, concentrate su un potere sacro (e mai politico) e tutte hanno delle caratteristiche che il mondo occidentale identifica come profane.

Sempre più spesso, i romanzi scritti da autori nativi si occupano sia della vita all‟interno della tribù che della quotidianità in un centro urbano. La maggior parte di suddetti romanzi ha un‟impostazione ritualistica per quello che riguarda la struttura, i temi, i simboli e il significato, sebbene la trama abbia un impianto tipicamente occidentale.

Uno dei temi principali di cui trattano gli autori nativi contemporanei è il conflitto culturale, e senza dubbio si riscontra anche negli scritti di Alexie, a partire da The Absolutely True Diary of a Part-Time Indian: i protagonisti dei romanzi sono spesso divisi tra due culture e devono gestire, da un lato, gli effetti della colonizzazione, dall‟altro la perdita d‟identità. Tuttavia, secondo Allen: “Ritual rather than politics [...] forms the basis of the tribal world and contemporary novels by American Indian writers reflect this grounding”23. Ossia, gli autori nativi contemporanei attingono gran parte degli elementi strutturali e simbolici che poi adottano nei romanzi da rituali e miti della loro cultura d‟origine.

22 Ivi.

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XXXVI Come già detto, la narrativa tradizionale nativa possiede una struttura circolare che accumula eventi su eventi e significati su significati, fino a che dalla continua giustapposizione non risulti una storia. La struttura della narrativa tribale non ha molto in comune con quella occidentale, non dipende in modo particolare dall‟ordine cronologico, da un personaggio principale o da un evento scatenante. Piuttosto, si può dire che è legata all‟idea e alla prospettiva della tradizione rituale. La ritualità dona consistenza e significato alla narrativa tradizionale così come alla vita tribale.

Relativamente alle tematiche più trattate nella letteratura nativa, cito il lavoro a cura di Cinzia Biagiotti e Laura Coltelli, Figlie di Pocahontas:

[...] uno dei temi cardine di tutta la produzione letteraria indiano americana è la trasformazione, un elemento che è parte integrante della vita in ogni sua forma e in ogni suo aspetto. A questo tema centrale si agganciano poi temi minori come i cambiamenti sociali, gli aspetti mutevoli dell‟identità, i processi di transizione culturale.24

Tematiche non esclusivamente determinate, come invece si pensava, dal contatto con i bianchi:

perché le popolazioni indiane, sin dalla loro permanenza sul continente americano, si sono adattate a vari mutamenti determinati da diversi fattori. Nelle storie tradizionali troviamo numerosi esempi di esseri umani che si trasformano o si sono trasformati in animali, piante, costellazioni [...]. Storie mitiche che, trasposte nella letteratura contemporanea indiano americana, riflettono i profondi sconvolgimenti che gli eventi storici hanno determinato nelle culture native del Nord America a partire dalla “scoperta di Cristoforo Colombo”.25

24Cfr. Biagiotti, C., “Il filo nelle perline: le storie delle donne indiane”, in Biagiotti, C., Coltelli, L.

(a cura di), Figlie di Pocahontas, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze,1995 , p. 8.

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XXXVII

Native American Renaissance

L‟analisi di questa letteratura è stata fortemente influenzata da Bachtin; di fatti, è spesso descritta come “orchestrations of polyvocal, bi-cultural dialogue”26.

Secondo Werner Sollors, l‟etnicità negli Stati Uniti è un intento semiotico di segnare i confini fra “what are actually shifting components of „external/voluntary‟ and „inherited‟ identifications”27

. Le caratteristiche di un dato gruppo etnico, in genere, tendono ad essere considerate dai suoi membri come interne, o ontogenetiche. Per i nativi americani, però, la questione si fa più complicata: la colonizzazione ha lasciato gap considerevoli nella loro storia culturale e molte delle tradizioni tribali sono andate perdute. Come conseguenza, si può avvertire ancora oggi il bisogno di ricostruire un‟identità culturale da parte di coloro che sono considerati una “minoranza etnica”. Molti nativi si sono impegnati, e si impegnano anche oggi, nell‟articolazione di un‟identità che comprenda anche, e soprattutto, nuove scoperte e un nuovo immaginario. La maggior parte delle creazioni di artisti nativi (e qui, per un attimo, usciamo da considerazioni prettamente letterarie) parte da una domanda: “how to integrate ideas of the traditional with the modern mainstream and without a monolithic, abstractnotion of „tradition‟ doubling and encasing Native Americans in immutable terms?”28

26Cfr. Columbia University in the City of New York, Department of English and Comparative Literature: Contemporary Native American Novels, http://english.columbia.edu/contemporary-native-american-novels (ultimo accesso: 10/03/14).

27Ivi.

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XXXVIII Alcuni studiosi29 ipotizzano che non si possa parlare di letteratura nativa americana per testi precedenti a House Made of Dawn, la celeberrima opera di N. Scott Momaday che ha visto la luce nel 196830 e ha vinto il premio Pulitzer l‟anno successivo. Nonostante altri autori nativi avessero, come già illustrato, pubblicato romanzi e racconti brevi prima ancora della nascita di Momaday, la critica si era a malapena accorta della loro esistenza e, di conseguenza, la letteratura nativa americana non era percepita come una categoria, un corpus di testi accomunati dalla stessa origine. House Made of Dawn ha spianato la strada a molti altri autori nativi, i quali hanno percorso due vie: hanno, ovviamente, prodotto nuovi testi, ma hanno anche deciso di recuperare e pubblicare (o ripubblicare, a seconda dei casi) testi e opere di autori precedenti.

È da questo momento in poi che si parla di Native American Renaissance, termine coniato nel 1985 da Kenneth Lincoln, nel libro di cui costituisce il titolo31.

Comunemente, questo periodo di rinascita della letteratura nativa, è diviso in due “waves”, due ondate:la prima si apre con la pubblicazione di House Made of Dawn e si conclude a metà degli anni Settanta. Oltre a Momaday, nel volume curato da Alan R. Velie e A. Robert Lee32 sono inclusi autori come: Duane

Niatum, Ascending Red Cedar Moon (1974) 33 , Leslie Marmon

Silko, Ceremony (1977) 34 , Gerald Vizenor, Darkness in Saint Louis

29

Cfr. MacKay, K. L., A Brief History of Native American Written Literature, Weber State University, http://faculty.weber.edu/kmackay/native_american_literature.htm (ultimo accesso: 25/03/2014).

30Cfr. Momaday, N. S., House Made of Dawn, Harper and Row, New York,1968.

31Cfr.Lincoln, K., Native American Renaissance. University of California Press, Berkeley,1985. 32

Cfr. Velie, A. R., Lee, A. R. (ed.), The Native American Renaissance: Literary Imagination and Achievement, University of Oklahoma Press, Norman, 2013.

33Cfr. Niatum, D., Ascending Red Cedar Moon, HarperCollins Publishers, New York, 1974. 34 Cfr. Silko, L. M., Ceremony, Penguin Books, London, 1977.

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XXXIX

Bearheart (1978)35, James Welch, Winter in the Blood (1974)36; la seconda va dall‟ultima metà degli anni Settanta alla fine degli anni Novanta e comprende: Joy Harjo, The Last Song (1975)37, Barney Bush, Petroglyphs (1981)38, Simon J. Ortiz, From Sand Creek: Rising In This Heart Which Is Our America (1981)39, Louise Erdrich, Love Medicine (1984)40, Paula Gunn Allen, The Woman Who Owned the Shadows (1984)41, Nila NorthSun, A snake in her mouth: poems 1974-96 (1997)42.

Nell‟opera Native American Literatures: An Introduction, Suzanne Lundquist suggerisce che il Native American Renaissance si costituisca di tre elementi fondamentali: la rivendicazione di un‟eredità culturale attraverso l‟espressione letteraria; la scoperta e rivalutazione dei primi testi di autori nativi e il rinnovato interesse nell‟espressione artistica tribale (alcuni esempi possono essere: miti, cerimonie, rituali, tradizione orale)43.

Fra la fine degli anni Sessanta e l‟inizio degli anni Settanta, le condizioni di vita dei popoli nativi erano migliori rispetto a quelle della prima metà del secolo: è questo il periodo in cui una prima generazione di nativi americani ha iniziato a ricevere un‟educazione prettamente in inglese (anche al di fuori delle boarding schools) e sempre più giovani hanno avuto la possibilità di conseguire titoli di studio nei college e nelle università. Allo stesso tempo, è sorta una certa

35 Cfr. Vizenor, G., Darkness in Saint Louis Bearheart, Truck Press, St. Paul, 1978. 36 Cfr. Welch, J., Winter in the Blood, Penguin Books, London, 1974.

37

Cfr. Harjo, J., The Last Song, Puerto del Sol, Las Cruces, 1975.

38

Cfr.Bush, B., Petroglyphs, Greenfield Review Press, New York, 1981.

39Cfr. Ortiz, S. J., From Sand Creek: Rising In This Heart Which Is Our America, Thunder‟s

Mouth Press, New York ,1981.

40Cfr. Erdrich, L., Love Medicine, Holt McDougal, Boston, 1984. 41

Cfr. Allen, P. G., The Woman Who Owned the Shadows, Spinsters Ink, San Francisco, 1984.

42Cfr. NorthSun, N., A snake in her mouth: poems 1974-96, West End Press, NewYork, 1997. 43Cfr. Lundquist, S. E., Native American Literatures: An Introduction. Consortium International

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XL tendenza verso un “revisionismo storico” che ha messo più in rilievo le difficoltà e le vicissitudini legate all‟invasione e alla colonizzazione del Nord America. Alcuni storici hanno dimostrato la volontà di rappresentare gli avvenimenti anche da una prospettiva più vicina alle popolazioni native di tutto il continente. Tale, rinnovato, approccio alla storia ha destato un interesse generalizzato nelle culture native americane, anche all‟interno delle stesse comunità tribali. Ha dato il via a un periodo di attivismo, grazie al quale alcuni gruppi nativi sono riusciti a conquistare maggiore indipendenza dal governo federale e più diritti civili. Inoltre, un gruppo di giovani autori nativi (poeti e scrittori) è stato ispirato dal fermento generale e, nel giro di pochi anni, ha giocato un ruolo fondamentale nell‟espandere il canone della letteratura nativa americana.

Negli anni Ottanta si è potuto assistere, quindi, a un rapido incremento di materiale artistico/letterario e alla nascita e sviluppo di dipartimenti universitari dedicati ai Native American Studies: fra i primi possiamo trovare il Dartmouth College, la Eastern Washington University e la University of California, contestualmente alla fondazione di riviste accademiche, come SAIL (Studies in American Indian Literature)44 e WíčazoŠaReview (nata nel 1985)45. Forti di questo nuovo interesse per gli autori nativi americani, diverse case editrici hanno fondato collane specializzate, come il Native American Publishing Programme

44Cfr. University of Nebraska Press, About the Journal,

http://www.nebraskapress.unl.edu/product/Studies-in-American-Indian-Literatures,673235.aspx (ultimo accesso: 10/03/14).

45Cfr. University of Minnesota Press, Journal Division, The essential source for new thought in Native American studies, https://www.upress.umn.edu/journal-division/Journals/wicazo-sa-review (ultimo accesso: 10/03/14).

(18)

XLI della Harper and Row46, che aveva l‟obiettivo di promuovere nuovi scrittori e dare loro l‟opportunità di essere pubblicati.

Concluderei dicendo che, ancora oggi, ci sono delle difficoltà a selezionare univocamente l‟insieme di testi che fanno parte della letteratura nativa americana e non si può affrontare un‟operazione simile senza tirare in ballo, ancora una volta, la questione dell‟identità. Arnold Krupat suggerisce che gli autori nativi “must be culturally Indian, with such cultural „identity‟ not wholly a random or arbitrary choice “47. Brian Swann, invece, afferma: “Native Americans are Native Americans if they say they are, and if other native Americans say they are and accept them48“, e quest‟ultimo sembra essere il punto cruciale in una cultura che fonda tutto sulla comunità anziché sull‟individuo.

46

Oggi la casa editrice si chiama HarperCollins. Si veda HarperCollins Publishers – World Leading Book Publisher, http://www.harpercollins.com (ultimo accesso: 10/03/14).

47Cfr. MacKay, K. L., op. cit. 48 Ivi.

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