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Il CRPA sul fronte quantità-qualità

Contributo di Enrico Bussi, primo coordinatore

per il quarantesimo anniversario del CRPA

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Quale ricerca?

La principale manifestazione zootecnica italiana incentrata sulle produzioni di latte e di suini (che si tiene tutti gli anni a Cremona) a fine ottobre 2013 ha rilanciato le linee di lavoro seguite dal CRPA sin dall’inizio.

Per salvarsi dalla concorrenza nord europea, sempre più pressante col cessare del regime delle quote latte, il produttore-trasformatore si rivolge a rinforzare la qualità casearia e a valorizzare i formaggi. Per evitare la scomparsa, la filiera allevamento-macello-prosciuttificio chiede di potenziare la produzione del suino pesante e la presentazione dei nostri prodotti DOP al consumo. Per sfruttare al meglio l’energia rinnovabile ci vuole l’azienda zootecnica, non bastano tecnologia e biomassa.

Merita scrivere almeno un racconto sui primi 20 anni che ho vissuto nel CRPA (e i secondi 20 nei pressi) dato che l’impegno di amministratori e collaboratori rimane sul fronte del rapporto tra quantità e qualità, un equilibrio che si regge puntando a salvaguardare il valore non solo monetario del lavoro e il sapere scegliere il cibo. Questi bisogni di oggi e di domani vengono tutelati da un corretto impiego delle risorse umane e materiali, ma su questo punto la coerenza è venuta a mancare e continua a crescere la

dipendenza italiana per le produzioni animali.

Tuttavia la partita è aperta, UE e USA di fronte all’incalzare delle nuove potenze scelgono di investire sulla popolazione più vulnerabile, sullo sviluppo del territorio rurale. Ciò fa sperare che sorgano anche in Italia due punti saldi volti a blindare la residua presenza di famiglie agricole pressate da città e mezzi tecnici e a liberare il consumatore catturato da pubblicità e grande distribuzione. Ne hanno un assoluto bisogno il Paese, vaste zone in pianura e in montagna e l’opera preziosa del CRPA.

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Lo scenario al tempo delle nascita del CRPA 1

I programmi annuali, le proposte, i progetti di ricerca nei primi anni ‘70 si rivolgono alle peculiarità delle produzioni animali dell’area reggiana e nell’arco dei dieci anni successivi all’ambito regionale e nazionale. Il CRPA rinunciano dall’inizio a considerare il settore avicolo, già del tutto inglobato nell’integrazione verticale concepita all’interno dell’industria dei mezzi tecnici e della trasformazione legando gli allevamenti con un operatore soccidario-cottimista.

Neppure la cooperazione riesce a difendere il piccolo allevamento dei polli in batteria che in provincia ha costituito una parentesi significativa negli anni ’60, in montagna rimane in vita il CAAR di Busana frutto dell’integrazione verticale tra mangimificio cooperativo con macello e allevamenti soccidari insediati in area veneta e piemontese (attraverserà crisi e passaggi di proprietà prima di fallire negli anni ’80 nonostante le iniezioni di contributi pubblici). Pertanto, il lavoro del CRPA fa perno sul lattiero-caseario dove il controllo dell’intero processo ha dato protezione all’azienda agricola sul mercato, ha determinato le caratteristiche economico-sociali dell’intero territorio e ha trascinato l’allevamento suino verso i salumi di alta qualità.

Alcuni progetti del CRPA considerano l’allevamento bovino da carne che si affaccia nella realtà locale per effetto dl Piano carni nazionale varato in quegli anni. Dedicano qualche attenzione all’allevamento ovino che sopravvive nelle zone alte e quello equino quasi esaurito2.

1Nasce nel 1968 il CRPA consorzio di enti locali tra Comune, Camera di commercio e Provincia di Reggio Emilia.

Subentra alla Camera di Commercio nella convenzione con l’Università di Bologna per finanziare cattedre, assistenti di ruolo e spese di funzionamento della sede del Corso di Laurea in Scienze della Produzione Animale della Facoltà di Agraria sino alla fine degli anni ’70. Avvia nel 1973 le funzioni di organizzare la domanda di ricerca e ‘tradurre’ i risultati della ricerca. Artefici dell’intesa politica sono Remo Salati, ex Segretario della Federazione Provinciale del PCI e Corrado Pignagnoli, Responsabile enti locali della DC provinciale, che individua la soluzione da dare alla vecchia aspirazione reggiana verso una sede universitaria e all’incalzare della trasformazione nelle campagne seguita nella veste di V.Presidente dell’Istituto Motti e di direttore dell’AIPA-Associazione dell’istruzione professionale agricola. Salati e Pignagnoli diventano, rispettivamente, Presidente e V.Presidente, il Consiglio direttivo è composto da Oddino Montermini Assessore all’Agricoltura nella Giunta del Comune di Reggio Emilia (con Sindaco Renzo Bonazzi), Tommaso Favali Direttore della Rassegna Suinicola Internazionale (Azienda speciale della Camera di Commercio presieduta da Giorgio Degola), Vittorio Parenti e Lidio Artioli Presidente e V.Presidente della Provincia, Azio Ferrari Presidente dell’Alleanza contadini, Giancarlo Confetta Presidente dell’Istituto Zootecnico Consorziale, Angelo Ruozzi V.Presidente della CCIAA e della Cassa di Risparmio, Giulio Zucchi Direttore del Corso di Laurea in Scienze della Produzione Animale. Il CRPA consorzio di enti locali si trasforma in società per azioni nel 1995 e si costituisce la Fondazione CRPA nel 1999.

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Tra gli obiettivi del Piano agricolo nazionale promosso dal Ministro Marcora c’è il sostegno alle razze in via di estinzione e su questa via il CRPA affianca l’intervento regionale per rilanciare la Razza Reggiana, individuare e conservare la Pecora Cornella, identificare i soggetti di una popolazione equina presente nell’alta montagna e di farla inserire nel registro nazionale con la denominazione di Cavallo del Ventasso.

2Il Deposito stalloni, insediato in città dal 1861 nell’ex monastero domenicano in Via Dante Alighieri, ha fuso le funzioni lavorative e militari del cavallo e ne sopravvive l’uso da diporto. Dopo i passaggio dall’Esercito al Ministero dell’Agricoltura, alla Regione, il Deposito viene trasferito all’Istituto di incremento ippico della Regione a Ferrara. Una stazione di monta continua a funzionare in montagna a Ramiseto e l’imponente sede cittadina classificata come

‘contenitore culturale’, viene considerata dal Comune come potenziale sede del CRPA che dall’inizio si trova collocato provvisoriamente nei locali della Camera di Commercio in via Crispi assieme a Istituti del Corso di Laurea con segreteria, aula magna. Nello stesso edificio è presente, con due addetti, l’Azienda speciale della Camera di Commercio per la Rassegna Suinicola Internazionale. In attesa della ristrutturazione di Villa Levi, gli altri Istituti del Corso di Laurea sono appoggiati in un prefabbricato presso l’Istituto Zootecnico Consorziale assieme ai laboratori del Consorzio di tutela del formaggio Parmigiano Reggiano.

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La priorità non è solo

l’innovazione tecnologica

La ‘rivoluzione verde’ partita dagli USA negli anni ’50-‘60 investe il mondo con il mais ibrido e il CRPA si domanda quale sia il futuro della produzione agro-zootecnica reggiana che dall’Ottocento in poi è cresciuta facendo perno sulla praticoltura quale fonte alimentare della vacca per il lavoro e il latte da trasformare in formaggio a pasta dura. I caseifici, le latterie sociali presenti a centinaia come aziende di paese, minuscole rispetto allo stabilimento industriale e tuttavia gestite dal produttore di latte. Presso di loro si alleva il suino pesante che deriva da razze inglesi incrociate con quelle locali, adattato a utilizzare siero di latte per ottenere grasso - la fonte alimentare più importante fino al dopoguerra - e nello stesso tempo le carni mature da conservare per tutto l’anno senza la catena del freddo. Si tratta di processi di trasformazione molto semplici, svolti da artigiani resi sicuri dalla pratica. Il casaro opera la caseificazione con l’aiuto del garzone e riempie la cascina con forme di 30-40 kg che non hanno bisogno di alcuna confezione per viaggiare, una tecnologia risalente ai monasteri medievali e affinata nell’ultimo secolo con interventi di organismi tecnici locali3. Il salumificio organizza più persone a operare con gli stessi criteri del norcino che tutt’ora si reca nelle case per rendere serbevoli le carni intere, oppure macinate e insaccate nel budello (prosciutto crudo, coppa, salame, ecc.) come si ottenevano da almeno due millenni4 dal maiale al pascolo di tuberi, ghiande e altri frutti. Dal casello ottocentesco al caseificio aumenta il numero delle caldaie e si replica la medesima operazione, parimenti avviene nel prosciuttificio moltiplicando i due cosci, destro e sinistro. In questo quadro le questioni principali sono due.

Quali scelte nell’azienda agricola.

C’è possibilità di far sopravvivere la produzione del latte basata sul prato polifita, oppure bisogna adeguarsi quanto prima alla dirompente avanzata del mais ibrido, divenuto l’alimento di polli e

3Sorgono nel 1869 la Regia Scuola di Zootecnia e Caseificio e nel 1874 l’Istituto Sperimentale per la Zootecnia. La Società Bibbianese per il commercio del formaggio inizia a marchiare le forme nel 1868. Nel 1928 il Consiglio Provinciale dell’Economia promuove il Consorzio volontario per la difesa del formaggio grana da cui deriva nel 1934 il Consorzio volontario interprovinciale fra i produttori di formaggio grana tipico che associa i produttori di Reggio, Parma, Modena, Bologna in sinistra Reno e Mantova in destra Po. Sempre nel’34 si costituiscono le Latterie Cooperative Riunite.

4La condizione di autoconsumo si rompe per la prima volta al tempo delle guerre puniche attorno al 200 a.c. quando diviene necessario rifornire in permanenza un grande esercito a Roma e si realizza un approvvigionamento trasferendo i suini pascolati sotto le querce secolari della pianura Padana sino a Norcia dove il Tevere incrocia la via del sale, qui sono macellati e i salumi (norcinerie) viaggiano con imbarcazioni fino a Roma. Sulla specializzazione annonaria originatasi nella penisola s’innestano le importanti innovazioni introdotte a Reggio da Antonio Zanelli a fine ‘800.

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suini e ora anche dei bovini con il silo-mais ? Il formaggio ‘lodigiano’ aveva accolto l’insilato d’erba negli anni ’30 e quell’innovazione ha provocato la separazione tra i formaggi grana codificata negli anni ’50 dalla legge che riconosce il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano. Con la CEE e l’apertura del mercato era iniziata l’impari competizione delle razze rimaste in zona a fornire lavoro e latte, rispetto alle razze selezionate per produrre solo latte, prima in nord Europa e dopo in nord America. Nell’allevamento italiano la FA è poco diffusa, non si fanno prove di progenie, la meccanizzazione arrivata tardi continua a penalizzare la foraggicoltura in collina e montagna (2/3 del territorio) rispetto alla pianura. E’ ormai avvenuta la sostituzione delle razze bovine locali, ci si domanda se il vecchio sistema sia condannato a scomparire, se non resta altro che adeguarsi a coltivare il mais, il sorgo, rompere il prato stabile, alimentare la pezzata nera con l’insilato e standardizzare la caseificazione dopo il trattamento termico o chimico del latte.

Occorre dunque inseguire le altre produzioni animali padane ad allargare le dimensioni come unica soluzione per resistere ? Le stalle sociali sono la risposta adeguata a realizzare il cambiamento radicale delle aziende agricole come affermano le organizzazioni cooperative e molti amministratori pubblici ? La caseificazione è destinata a diventare un procedimento industriale come sostengono gli accademici ?

A tale questione dirimente s’accompagnano i quesiti su come adattare ogni innovazione comunque necessaria: l’imponente esodo dalle campagne e i mezzi tecnici offrono ampie possibilità di rinnovare stalle e impianti, si affaccia sulla scena locale la stabulazione libera e quali sono le soluzioni più adatte ? Costruire ricoveri di piccole dimensioni con il legno al posto del cemento armato può migliorare la salute dell’azienda agricola e dell’animale ?

Quali scelte nell’azienda di trasformazione

Vale la pena di approfondire gli effetti del tipo di alimentazione e delle caratteristiche genetiche sull’esito della trasformazione del latte e delle carni, oppure bisogna accelerare il superamento di processi di trasformazione che risalgono al passato remoto ?

Il pagamento del latte in base alla qualità è stato introdotto nell’area del Parmigiano Reggiano prima che in altre zone, è giusto che arretri di fronte all’imperante incremento della quantità ? Dura da anni la discussione che coinvolge casari e chimici, lattaroli e caseifici, associazioni di allevatori e associazioni di cooperative, Consorzio di tutela e Istituti universitari su come valutare il latte: si deve rilevare la qualità individuale o di stalla? Il pagamento a qualità va applicato in toto o in parte? Occorre collegare la qualità del latte ai risultati della caseificazione e misurarla sul formaggio fresco o stagionato assieme alle valutazioni degli assaggiatori ? Il formaggio è tutto uguale dal momento che ha ricevuto uno stesso marchio per riconoscere la DOP ? Le differenze dipendono dall’alimentazione, dalla stabulazione fissa o libera, dalle razze, dal siero- innesto, dal caglio, dal casaro, dalle zone di produzione ? Tutti gli elementi del processo sono pressati dal cambiamento, ma quali incidono maggiormente e giustificano le differenti quotazioni delle partite di formaggio5 contrattate nello stesso periodo ?

5L’unica modalità praticata tiene conto del regolamento di marchiatura e si vende l’intera produzione dell’annata (la partita di formaggio). Il Consorzio seleziona le forme di formaggio maggengo (produzione 1 aprile-11 novembre) per mettere il marchio a fuoco Parmigiano Reggiano e marchia la produzione successiva ‘vernengo di zona tipica’ senza il marchio Parmigiano Reggiano. Il riconoscimento comunitario dei prodotti tipici con la DOP e la IGP avviene nel 1992.

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In parallelo si svolge la discussione tra allevatore di suini, macello, stagionatore di prosciutto e altri salumi con carni crude ottenute da animali alimentati con siero o senza siero di latte.

L’allevamento a ciclo chiuso subentra al circuito tradizionale di suini incrociati nelle aziende agricole dell’Italia centrale (lattonzoli), svezzati in Romagna (magroni), e ingrassati in Emilia.

Cambiano l’organizzazione della porcilaia, la dimensione, le razze, le tecniche di lavorazione delle carni e dei salumi. Dall’estero arrivano i suini incrociati da allevare e quelli pronti da macello, le mezzene, i semilavorati e i prodotti finiti. Si diffondono epidemie e frodi alimentari. Esistono motivi per mantenere la tradizione dei salumi di qualità ottenuti da carni crude ? Occorre adeguarsi alla convenienza di abbreviare il periodo di allevamento con la macellazione del suino appena termina la fase di accrescimento più rapido al peso vivo di 100-120 kg ? Che vantaggio offre la qualità delle carni mature del suino con allevamento prolungato e macellato a 180-200 kg ? Quali orientamenti maturano da parte dei prosciuttifici e Consorzi di tutela ? Resistono all’importazione di cosci freschi da stagionare ?

La grande dimensione delle porcilaie pone gravi problemi ambientali per lo smaltimento delle deiezioni, esiste la possibilità di ricavare biogas da una materia diluita come si faceva in epoca autarchica con il letame? E’ possibile realizzare delle forme corrette di accumulo e di impiego agronomico? In parallelo, la soppressione dei macelli comunali e l’aggregazione dei macelli fa sorgere il bisogno di organizzare su nuove basi la lavorazione e il recupero dei sottoprodotti, è opportuno seguire l’esempio di grandi impianti entrati in funzione per recuperare una fonte proteica in Paesi non vocati a coltivare leguminose come Inghilterra e Svezia? Così pure, si possono introdurre nuovi trattamenti del rifiuto urbano per ricavare materiali e biomassa per l’agricoltura ?

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Il lavoro avviato

Terra, foraggio, stalla

Questa prima questione viene affrontata con una stematica ricerca di innovazioni mirate, coinvolge utenti, ricercatori degli istituti delle Facoltà di Agraria e del Ministero dell’Agricoltura per compiere verifiche sperimentali su tecniche di praticoltura, confronto varietale, concimazione, meccanizzazione in diversi ambienti e per confrontare l’impiego nelle razioni alimentari. Il CRPA riesce a promuovere l’attività interdisciplinare, nonostante sia piccolo e appena nato non incontra ostacoli ad aggregare le competenze presenti nelle grandi e potenti istituzioni universitarie dove la contestazione6 dei ‘baroni’ si è conclusa dando il via alla moltiplicazione progressiva dei docenti.

La copertura del territorio si estende da quando il CRPA opera in rapporto con la Regione e le prove si estendono dal piacentino alle colline romagnole. Oltre la praticoltura, l’adattamento della raccolta meccanica, la fienagione con l’aeroessicazione, si seguono le soluzioni per il pascolo razionale con diversi tipi di animali e soprattutto con i bovini da carne importati, oppure provenienti dall’incrocio con l’allevamento della vacca dal latte. Per le costruzioni si verifica quanto siano mutuabili le esperienze fatte in altri Paesi su tecniche di stabulazione, impiego del legno, raccolta del foraggio, stoccaggio, somministrazione dell’alimento, mungitura, asportazione, accumulo del letame.

Negli anni l’intervento supera contrasti, diventa intenso e sistematico, contribuisce a formare nuove competenze per la ricerca, per le aziende, per le amministrazioni pubbliche.7

Razze, latte e caseificio

La seconda grande questione richiede di integrare competenze scientifiche applicate a zootecnia, genetica, tecnologie di trasformazione e va messo in primo piano l’esempio del progetto CRPA che si basa sula valida collaborazione tra istituti delle Università di Bologna e Parma con la partecipazione, tra i primi, dei professori Zambonelli e Losi per la microbiologia e la trasformazione casearia, Russo e Mariani per la zootecnia e la genetica animale. Ordinari,

6In pieno ’68 la firma della Convenzione con l’Università di Bologna suscita una cruda opposizione, i giovani contestano l’arrivo del Magnifico Rettore e si stendono sotto i portici dell’Isolato San Rocco per impedirne il transito verso la sede camerale.

7 Tra coloro che si specializzano nei progetti del CRPA si annovera anche Paolo De Castro che, oltre alla carriera accademica seguirà quella politica diventando Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e Presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo nel quinquennio 2009-2014. Importanti cariche sono ricoperte nella pubblica amministrazione da altri ex collaboratori del CRPA. Davide Barchi è Responsabile del servizio sviluppo delle produzioni ittiche e delle produzioni animali dal 2000. Giuseppe Bortone è Direttore generale Ambiente e difesa del suolo dal 2007.

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assistenti e borsisti affrontano assieme agli operatori un piano per verificare la relazione tra genotipo, qualità del latte e risultati della caseificazione. La grande stalla sociale di Massenzatico offre la possibilità di impiantare prove di confronto tra gruppi di 36 vacche omogenei per le età, allevati in eguali condizioni di ambiente e di alimentazione. Ogni gruppo consente di ottenere una forma di Parmigiano Reggiano nello stesso caseificio e si avvia la prima sperimentazione su scala reale per confrontare Razza Reggiana, Bruna Alpina e Frisona. Le verifiche proseguono sino alla maturazione finale del formaggio pronto per il consumo e le prove sperimentali confermano le valutazione empirica espressa dai casari con il termine di ‘forza del latte’. Infatti, l’impiego del latte delle nuove razze aveva manifestato significative differenze sui tempi e le rese di caseificazione non giustificate dalle analisi chimiche in uso sino ad allora per valutare e quantificare il pagamento del latte tenendo conto del contenuto di azoto e grasso.

La diatriba che si prolungava da anni tra la chimica e la pratica si conclude con l’accertamento del ruolo delle varianti genetiche della caseina che dipendono dal tipo genetico del singolo animale.

La conferma sperimentale ha grande rilevanza, da quel momento si inizia a tener conto della variante genetica individuale nell’organizzare la selezione all’interno della razza e, seppure faticosamente, si procede alla caseificazione separata del latte di vacche delle razze locali che condurrà al rilancio della Razza Reggiana con il Parmigiano Reggiano delle Vacche Rosse8, tentato anche per la Razza Modenese, o Bianca della Val Padana. Oltre alla caseina viene soppesato il ruolo delle varianti genetiche delle siero-proteine e da allora quel filone di ricerca applicata si sviluppa con importanti ricadute a livello nazionale9.

Nello stesso campo, oltre che sulle soluzioni tecnologiche, si dibatte sulla soluzione organizzativa più efficace per modernizzare la zootecnica emiliana, ma la contrapposizione di visioni non si risolve preventivamente tramite verifiche e confronti. Purtroppo si conclude, in silenzio, dopo la crisi di quasi tutte le stalle sociali alle quali in 25 anni sono dedicati i più rilevanti finanziamenti regionali per avviarle, tenerle aperte e infine chiuderle utilizzando i premi erogati

8L’ostacolo principale diventa la difficoltà di moltiplicare una popolazione bovina scesa attorno a 2000 vacche in produzione e il CVPARR-Consorzio valorizzazione prodotti antica razza reggiana estende lentamente la caseificazione separata del latte di alcuni nuclei di Vacche Rosse. Non è facile superare le invidie causate dal successo sul mercato di questo ‘crù’ all’interno del formaggio DOP, bisogna convincere gli altri conferenti latte di uno stesso caseificio, i consiglieri del Consorzio di tutela, altri ambienti associativi, infine si ripete e rimane irrisolto il conflitto tra un’associazione di prodotto e un’associazione di razza: anche nel piccolo e con vento a favore, trovano modo di farsi del male dando vita a due marchi per lo stesso prodotto (o che dovrebbe essere lo stesso).

9Oggi si pone sempre più in risalto l’esigenza di correlare le qualità della razione, della vacca, del latte, del formaggio e infine del burro dopo la scoperta del ruolo antitumorale dei fosfolipidi e delle funzioni antiossidanti dell’acido rumenico, uno dei CLA, presenti solo nel grasso del latte prodotto dalle popolazioni di vacche in grado di nutrirsi con erba, fieno e non esclusivamente con cereali, peraltro indispensabili per la vacca che deve produrre più di 20 volte il proprio peso. Il tipo di ruminante trasformato in monogastrico ha preso piede in Italia sotto la spinta dall’industria mangimistica e della concorrenza in base al prezzo del latte, senza valutare le qualità, nemmeno quelle eucasearie, né la durata in stalla e gli altri aspetti che rendono più competitiva la produzione del latte in Baviera. Una regione montuosa si è specializzata nel colmare la maggior quota del disavanzo italiano di latticini (sale senza in continuazione verso il 40% dei consumi) e di carni suine. Il sistema bavarese, incentrato sulla ferrea difesa dell’uso della terra agricola e dello spazio rurale, sviluppa una valida cooperazione nel mercato, studia le innovazioni mirate all’impresa famigliare per allevare oggi 33 vacche, 150 maiali, ricavare energia con pannelli solari sui tetti, biogas dalle deiezioni, offrire turismo e servizi. La stalla emiliana ingrandita perde la protezione della tradizione casearia sempre più svuotata: all’interno si specula con acqua, creme, aromi aggiunti sotto l’antica veste, dall’esterno arrivano i formaggi simili da impacchettare in zona tipica. La porcilaia non è protetta diventando mega, né dal prosciutto e altri salumi cotti per poterli gonfiare.

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per l’abbandono della produzione negli anni ’90 (concepiti per favorire l’uscita anticipata di produttori piccoli e anziani).

L’azienda contadina dimostra la capacità di padroneggiare l’innovazione tecnologica e i rapporti col mercato meglio degli altri tipi di impresa. Inoltre, l’accumulo degli investimenti in mezzi tecnici e conoscenze viene favorito se più generazioni contribuiscono nel tempo partecipando all’impresa famigliare. L’allevamento in aziende con lavoratori dipendenti raggiunge rapidamente le dimensioni maggiori ricorrendo a capitali che fluiscono da altri settori, ma dimostra di non resistere ai passaggi di generazione e di essere più vulnerabile di fronte alla possibilità di cambiare la destinazione d’uso della terra agricola. I progetti sulle caratteristiche dell’impresa zootecnica si avvalgono del collegamento con ricercatori olandesi, uno di loro si è fermato presso il CRPA e ne cura il collegamento alla più ampia rete di istituzioni scientifiche europee da quando il Piano di Sviluppo Rurale dell’UE investe sull’impresa agricola e cerca di rafforzarla con la multifunzionalità.

Il terreno arato da CRPA sin dagli anni ’70 con la ricerca interdisciplinare è destinato ad essere coltivato certamente per almeno mezzo secolo, dato che la politica europea 2014-2020 nel settore lattiero assegna alle differenze qualitative dei prodotti un ruolo decisivo per la sopravvivenza di ogni area sfavorita, dalla montagna alle zone svantaggiate. Qualità del prodotto e del lavoro restano l’unica via di salvezza dopo lo smantellamento del mercato amministrato del latte concepito dal 1968 con la OCM latte. Rafforzato dall’84 con quote e superprelievo per contenere il potenziale produttivo delle zone favorite, un lungo e travagliato periodo di trent’anni durante il quale l’Italia inizia a costruire strumenti indispensabili per governare l’offerta di latte, poi li abbandona10.

Le scelte dell’UE confermano dunque l’esigenza di raggiungere ulteriori conoscenze sulle produzioni tradizionali in equilibrio con l’ambiente, di farle pervenire al consumatore sul nostro mercato e su quelli più lontani, accostandole al prodotto venduto con modalità che consentano di scegliere degli alimenti contraddistinti da valori reali. Infatti, si sono man mano ingrossati gli inganni e le appropriazioni indebite di alimenti tradizionali facendo ricorso ai potenti strumenti dell’investimento promo-pubblicitario e delle partecipazioni incrociate. Le prospettive del settore lattiero caseario vedono in gioco tanto la sopravvivenza della residua popolazione contadina e di intere aree, quanto i costumi alimentari, la salute, la qualità della vita e la competitività del sistema Paese.

Porcilaie, suini, salumi

In questo campo il CRPA opera in modo simile per mettere in risalto lo stretto nesso qualità/competitività. Organizza un ventaglio sempre ampio e incisivo di apporti tecnici e scientifici coinvolgendo i ricercatori di università italiane e straniere, della Stazione sperimentale dell’industria delle conserve alimentari, i tecnici dei Consorzi di tutela, di organismi per il

10. La gestione delle quote dalla campagna 1996/97 è affidata ad EIMA-AGEA col compito dell’unica compensazione finale a livello nazionale. E’ l’unico caso nell’UE in cui un Paese abbia rinunciato a gestire la compensazione al primo livello associativo prima della chiusura dei conti nel secondo livello nazionale ed è stato il modo peggiore di governare il mercato amministrato senza una qualsiasi forma di partecipazione da parte degli attori. Ha provocato rilevanti danni alle finanze pubbliche, discesa dei prezzi del latte alla stalla, accelerazione a chiudere gli allevamenti e lascia in eredità la vertenza con l’UE sui superprelievi da applicare ai produttori per il superamento delle quote di produzione negli ultimi anni trascorsi.

Enrico Bussi, dal 1973 coordinatore del CRPA, dal 1993 al 1996 direttore dell’UNALAT-Unione nazionale tra le associazioni dei produttori di latte con sede a Roma, dal 1997 presso il CRPA segue la nascita della società TETA- Centro italiano servizi dalla terra alla tavola con sede a Parma che dirige dal 1998 al 2009.

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controllo della qualità, la certificazione e la sicurezza alimentare. Attiva collaborazioni significative tra allevamento e industria delle carni, ivi compresa la creazione di apposite aggregazioni quali il Consorzio per il suino pesante e il Consorzio carni suine garantite e riesce nell’intento di accumunare preoccupazioni di natura produttiva e di carattere dietetico.

I liquami accumulati sono il problema connesso all’imponente sviluppo dell’allevamento suino che si separa del tutto dalla coltivazione di terreni, agganciato al flusso di mangime che proviene dall’esterno nel periodo in cui il porto di Ravenna si specializza nella movimentazione dei cereali.

L’interesse a recuperare biomasse di scarto viene sospinto dalla prima crisi energetica del 1974 e l’attività del CRPA assume progressivamente rilievo collegandosi a programmi nazionali, all’ENEA, a società del gruppo ENI sino a favorire collaborazioni industriali con imprese locali da cui deriva la nascita della società AGIP-GIZA11.L’impiego di tecnologie innovative per trattare- riutilizzare rifiuti urbani si sperimenta nell’azienda municipalizzata SERVIZI-CITTA’ a Cavazzoli con il diretto appoggio del Comune di Reggio Emilia.

11La GIZA di Bagnolo in Piano deriva dalla GI&GI ed è specializzata nell’allevamento di grandi dimensioni. L’AGIP porta in dote le tecnologie per produrre biogas da materiali diluiti sviluppate da ENI-Ricerche a Monterotondo-Roma. Il direttore della nuova società proviene dall’ENEA. Per definire obiettivi, impostare azioni e intese in questo campo svolgono un ruolo decisivo il Presidente del CRPA Athos Porta e il Direttore generale della programmazione dell’ENI Marcello Colitti.

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Oltre ai pilastri si affrontano le trabeazioni

La grande industria alimentare impone le razioni, i tipi genetici, le altre scelte tecniche infine mescola latte e carni se hanno provenienza e caratteristiche diverse per standardizzare i propri prodotti e fidelizzare un consumatore sempre più spinto a scegliere attraverso l’immagine esterna e a ritrovare sotto la confezione un sapore sempre identico. Nella fase di partenza il CRPA si preoccupa di verificare, rispetto alla realtà locale, l’impostazione praticata in altri Paesi per finalizzare ricerca, sviluppo e diffusione delle innovazioni. Il consorzio fa ricorso alla letteratura, alle osservazioni raccolte all’estero dai suoi collaboratori. E’ quanto mai significativa la verifica compiuta direttamente dagli amministratori per approfondire l’impostazione di ricerca, sviluppo, assistenza tecnica, formazione in alcuni Paesi europei (Foto 1). Esperienza ripetuta anni dopo assieme ai funzionari della Regione Emilia-Romagna per visitare a Grub-Monaco il centro ricerche della Baviera, un Land grande come tre regioni padane

L’allevamento e le lavorazioni artigianali sopravvivono nel mercato dominato da alcune imprese della grande distribuzione in virtù dello sforzo compiuto nel differenziare la loro offerta di qualità che comprende aspetti ambientali, organolettici, nutrizionali, sanitari. Il CRPA indirizza un contributo significativo a favore di questa componente del sistema agroalimentare da cui dipende il mantenimento della presenza agricola e della popolazione in vaste aree del nord e in altre parti d’Italia.

Puntando al collegamento tra innovazione e gestione, l’iniziativa del CRPA si rivolge a un ampio spettro disciplinare, compresa la ICT-Information Communication Technology al fine di rinforzare, oltre alla coesione interna alle filiere, l’efficienza dei servizi della pubblica amministrazione nella sua azione più ampia, dai produttori ai consumatori.

L’impegno per raccogliere e diffondere conoscenze è supportato sin dall’inizio da una sistematica attività di documentazione che in un secondo tempo si trasforma nell’apposita società di servizi, DIA-Documentazione e Informazione in Agricoltura, partecipata da altri organismi di ricerca e dalle organizzazioni agricole.

Il CRPA sottolinea l’importanza del saper ‘tradurre’ i risultati delle ricerche ne affida il compito al responsabile di progetto. Lo scopo è di rendere più stretto il collegamento tra ricercatori e utenti che partecipano a definire gli obiettivi e di formulare una diffusione più incisiva del tradizionale articolo sulla rivista scientifica e tecnica. L’impostazione ha dato vita a ‘CRPA Notizie’ e una caratteristica iniziale sta nell’opuscolo non firmato, in quanto frutto dello sforzo di ‘traduzione’

compiuto con l’apporto dei ricercatori, dell’esperto in comunicazione e del fruitore dei risultati

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sollecitato a intervenire, prima di pubblicare, quale giudice sulla rispondenza al bisogno e sulla comprensibilità della presentazione12.

L’istituzione dell’Ente regione nel 1970 è seguita da anni di contrasti con lo Stato per stabilire le competenze sul settore agroforestale. Negli anni ’80 esce di scena la classe di amministratori che ha il merito di avere avviato la democrazia, la ricostruzione, lo sviluppo industriale, la modernizzazione del settore primario e il riordino della pubblica amministrazione13. La Regione abbandona gli ambiziosi obiettivi del riequilibrio territoriale (tra città e campagna, tra pianura e montagna) e della partecipazione della periferia alle scelte pubbliche (i cittadini tramite i Comprensori, i contadini attraverso i Piani zonali agricoli). Dopo il tentativo di governare l’uso delle risorse, viene presa la strada di affidarle alle norme di tutela e queste, dal varo del Piano paesistico in poi, rivelano la loro debolezza e sostanziale inefficacia14. Dopo la spinta iniziale a rinvigorire la neonata democrazia con nuovi strumenti di partecipazione, si consolida più di prima il potere forte del Comune capoluogo che dilata il suo peso. La Regione delega importanti competenze nella pianificazione e negli interventi sull’agricoltura alle deboli Province che dovevano essere soppresse. Una delle conseguenze del passo indietro grava sulla zootecnia regionale poiché si acuiscono le fratture tra parti disomogenee del territorio, tra urbano e rurale, pianura e montagna, Emilia e Romagna. Da un lato, aumentano l’onere e la difficoltà di fare funzionare le otto, poi nove, Province, dall’altro, diminuiscono le risorse da investire e la possibilità di avvalersi delle competenze dell’ente Regione faticosamente allestite negli anni precedenti avvalendosi di personale rodato dall’esperienza statale. Ne subiscono un pesante contraccolpo le aree omogenee come il Comprensorio del Parmigiano Reggiano sorto in epoche precedenti la nascita delle Regioni ed esteso su province e regioni.

Alla perdita di organicità nell’azione regionale si accosta il sempre più decisivo intervento comunitario e il bisogno di esercitare una regia nazionale. Le produzioni animali, più di altri comparti agricoli, si trovano pressate dalla concorrenza, diventano sempre più dipendenti dal mercato internazionale tanto per l’approvvigionamento di mangime e altri mezzi, quanto per lo sbocco delle produzioni meglio qualificate. Il CRPA viene coinvolto dal confronto tra zootecnia italiana ed europea che si complica in seguito al blocco introdotto per varie produzioni, in particolare le quote per la produzione del latte.

12Il delicato rapporto con i ricercatori che partecipano ai progetti si basa sulla loro autonomia nel pubblicare i risultati tecnico-scientifici e sulla correttezza dei responsabili del CRPA nel realizzare il compito della ’traduzione’. Nel periodo iniziale si verifica il caso della rottura di questo equilibrio che provoca effetti traumatici nei rapporti personali, aziendali, nelle più ampie relazioni con le istituzioni della ricerca e in quelli tra CRPA e Regione avviati a diventare sempre più stretti.

13Una delle scelte forti consiste nel contenere la dimensione degli apparati, il potere burocratico e i le retribuzioni. Il ruolo di direttore dell’Ente viene sostituto dalla funzione di coordinatore con nomina rinnovabile anno per anno, così in Comune, in Provincia, in Regione e nel consorzio tra enti locali CRPA.

14L’esempio eclatante sarà quello dell’attraversamento dell’intera pianura emiliana con la ferrovia ad alta velocità (più grande opera pubblica della storia italiana) recepita nei primi anni ’90 senza l’esercizio di alcuna tutela del paesaggio.

Più difficile sarebbe stato giustificare l’enormità della superficie da sottrarre all’uso agricolo, diretto e indiretto, che penalizza la zootecnia e induce le aziende, colpite da perdite e frazionamenti di terra, a ripiegare su altre attività.

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Le scelte si spostano oltre il al livello locale e regionale

Nel 1984 la CE fissa come tetto di produzione del latte la quantità nazionale e individuale raggiunta nell’83, ma l’Italia è del tutto impreparata a far funzionare il mercato amministrato che, dopo il varo dell’OCM latte nel 1968, i Paesi eccedentari hanno potuto costruire nel corso di tre lustri mettendo in funzione l’intervento pubblico15, non solo i prelievi all’importazione e le restituzioni all’esportazione. La limitazione produttiva calata in modo improvviso deve conciliarsi con la condizione deficitaria che vede i produttori in corsa per recuperare il ritardo, attratti da ogni forma di incentivazione, rivolti a introdurre mezzi tecnici, coinvolti nella gara per incrementare le produzioni organizzata dalle Associazioni allevatori impiantate in modo sistematico sul territorio e sostenute dal finanziamento pubblico diretto. Nasce l’esigenza di adeguare il Piano Agricolo Nazionale e di impostare il nuovo strumento dell’Associazione di prodotto con Unioni nazionali, un nuovo tipo di organizzazione istituita con regolamento della Comunità per raccordare la quantità e le caratteristiche del latte con la vendita e alla più ampia dimensione, superiore rispetto a quella della singola azienda di trasformazione.

Il CRPA si trova investito dal cambiamento di regime come ogni altro soggetto. Il settore lattiero italiano soffre lo svantaggio dovuto a fattori naturali, istituzionali e organizzativi, l’industria lattiero-casearia fortemente capitalizzata appare più munita di difese e invece passa rapidamente sotto il controllo delle industrie nordeuropee che poggiano sul duplice vantaggio di operare in zone eccedentarie e sotto un’adeguata regia dell’amministrazione pubblica. Le più grandi industrie italiane si appoggiano alla possibilità di approvvigionarsi di materia prima in nord Europa, ma la soluzione non evita la loro fine. Negli anni ’80 continuano a esistere i piccoli caseifici sociali del Parmigiano Reggiano mentre chiudono una dopo l’altra le centrali municipalizzate che distribuiscono latte importato e pastorizzato. Passano a gruppi nord europei le maggiori industrie casearie private insediate in Lombardia: Locatelli, Invernizzi, Polenghi- Lombardo, Galbani. Falliscono in Emilia i consorzi cooperativi di secondo grado: oltre ai minori, il Consorzio caseifici sociali di Modena e le Latterie Cooperative Riunite di Reggio Emilia rinominate “Giglio”. Queste erano sorte negli anni ‘30 per commercializzare formaggio burro dei

15Pagamento del latte al 100% in base a qualità, poiché la Comunità acquista il latte in polvere e il burro ricavato dalle industrie che operano per conto dell’organismo nazionale di intervento, impostazione che nei Paesi eccedentari orienta in modo efficace le scelte aziendali nelle tecniche di allevamento. A Reggio le Latterie Cooperative Riunite si attrezzano per effettuare l’intervento pubblico per conto dell’AIMA e con il finanziamento del FEOGA impiantano le torri di polverizzazione in affaccio alla Via Emilia. Non verranno utilizzate in quanto il prezzo del latte alla stalla in Italia non scende sotto il prezzo di intervento comunitario, differenza dovuta ai formaggi con DOP e ai costi di trasporto che gravano sull’importazione. La condizione del deficit strutturale esiste solo in Italia e in Grecia tra 14 Paesi membri.

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caseifici sociali del Parmigiano Reggiano e si erano spinte nel campo dell’alimento standardizzato (latte da consumo diretto, formaggini fusi, yogurt, dessert a base di latte) impiegando latte importato. Il marchio Giglio viene acquisito dalla Parmalat da sempre proiettata sull’importazione di latte e sulla promozione del marchio del latte inscatolato sino al clamoroso fallimento di rilevanza mondiale, con ricaduta pesantissima per il risparmiatore italiano.

La regolamentazione comunitaria e l’intervento nazionale spostano le sedi di riferimento per l’attività da dedicare alla zootecnia locale: dall’Assessorato regionale verso il Ministero, l’AIMA- EIMA, il SIAN-Sistema Informativo Agricolo Nazionale. L’Associazione Italiana Allevatori insedia due Comitati di coordinamento interprofessionale per il latte e le carni con la partecipazione delle organizzazioni cooperative, promuove e ospita l’UNALAT-Unione Nazionale tra le Associazioni dei produttori di Latte16, in seguito le Unioni nazionali per le carni bovine e suine.

Si delinea la creazione della ‘CASA COMUNE’ per armonizzare progresso tecnico e offerta del prodotto sul mercato17 e il CRPA cerca agganci con le nuove sedi di impostazione con l’appoggio della Regione. E’ coinvolto dall’Assessorato regionale nello studio di soluzioni per tenere connessa la produzione di ogni stalla con le superfici coltivate a foraggere e nel sollecitare il Consorzio di tutela del formaggio DOP ad armonizzare la sua disciplina sulla produzione del formaggio rivolta ai caseifici con il regime delle quote di produzione del latte rivolto alle aziende, intese come un insieme che lega fortemente l’allevamento della vacca da latte all’uso della terra18. Nella stessa fase occorre consolidare le Associazioni tra produttori di latte, tra i produttori di suini e le relazioni interprofessionali di natura tecnico-economica con le imprese di trasformazione.

Uno degli obiettivi del Piano Nazionale consente alla Regione di scegliere il progetto predisposto dal CRPA per trasformare l’IZC-Istituto Zootecnico Consorziale in due strumenti distinti, un moderno centro servizi adeguato ai bisogno del settore e nuove porcilaie di supporto alla selezione svolta dall’ANAS-Associazione nazionale allevatori suini aderente all’AIA19.

16Il regime delle quote induce a costituire un’unione nazionale unitaria, si tratta dell’unico caso mentre per gli altri prodotti ne esistono almeno due, la ‘bianca’ e la rossa’.

17Finalità di importanza strategica perseguita con chiarezza di visione da Carlo Venino presidente di AIA e di UNALAT affiancato da Giuseppe (Pino) Vezzulli suo vicepresidente nei due organismi. I due lombardi lungimiranti hanno modo di apprezzare il CRPA e di proporre il suo inserimento in un disegno nazionale rimasto incompiuto. La riforma della PAC del 1990 ha provocato un cambio di direzione per il sistema associativo agricolo italiano, la priorità non è più il rafforzamento delle associazioni di prodotto, lo sforzo sindacale e politico non è più quello di giungere a unioni unitarie e di razionalizzare l’anomalia zootecnica italiana dell’azione separata e conflittuale tra chi preme sull’acceleratore (l’incremento della produzione) e sul freno (la ricerca dello sbocco favorevole). L’organizzazione professionale, coinvolta dalla pubblica amministrazione, si immedesima nella gestione del nuovo intervento introdotto dall’UE. In seguito, dopo la rinuncia a realizzare l’unificazione del sistema associativo per le produzioni animali, le Associazioni produttori in gran parte si estinguono (ma quella piacentina diventa sempre più vitale) ed entrano in sofferenza le Associazioni allevatori.

18Le Regioni contrastano il regime nazionale, chiedono quote regionali e non riescono a seguire il rapido cambiamento delle aziende e delle loro situazioni interne. I Consorzi di tutela preferiscono evitare le ‘grane’ delle quote latte e tentano esercitare una disciplina della produzione di formaggio senza disporre dei potenti strumenti messi a disposizione dall’UE per far funzionare il mercato amministrato.

Ottengono nel 2012 il via libera per la loro programmazione, ma senza disporre di quanto serve per renderla incisiva in quanto, dal 2014, cessano le quote latte e il superprelievo per la produzione fuori quota.

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Dalla quantità, alla qualità, alla sicurezza alimentare

Emilio Severi, Assessore regionale agricoltura dell’Emilia-Romagna nelle prime tra legislature, è affiancato da un altro reggiano che svolge la funzione di Coordinatore, Antonio Picchi. Operano nella fase di crescita della Regione che in quel periodo ha il coraggio di affrontare persino la riforma dell’Università e si avvale degli organismi espressi dalla realtà locale per finalizzare la ricerca, organizzare la sperimentazione e lo sviluppo delle innovazioni, oltre al CRPA, l’ERSO di Cesena per l’ortofrutta e l’ESAVE di Faenza per il vitivinicolo. Il Piano Agricolo Nazionale varato dal Ministro Marcora è la prima risposta alla Politica agricola Comune e al bisogno di accordare i compiti dello Stato e delle Regioni.

Il forlivese Giorgio Ceredi regge le due successive legislature caratterizzate dal secondo Piano Agricolo Nazionale promosso dal Ministro Pandolfi e approvato nel 1985 dopo la concertazione tra Ministero dell’Agricoltura-Regioni-organizzazioni professionali e cooperative. Cresce l’importanza delle scelte comunitarie dopo che la riforma del 1990 rivolge l’intervento della PAC direttamente all’azienda agricola attraverso l’aiuto ai seminativi. La Regione consolida l’azione della ricerca applicata con l’intervento legislativo per riconoscere il CRPA e il CRPV (ha inglobato ERSO ed ESAVE) quali enti organizzatori di ricerca e per stabilizzare l’attività delle aziende sperimentali presenti nelle diverse aree agricole. Al fine di colmare una specifica carenza, in quella fase il CRPA si adopera per la creazione di un’azienda sperimentale rivolta a rafforzare la foraggi coltura e l’allevamento da latte in montagna e si insedia presso la cooperativa Santa Lucia di Casina il COVAZA-Consorzio per la valorizzazione zootecnica dell’Appennino20.

Guido Tampieri, ravennate, Assessore dal 1995 al 2005, si trova di fronte alla ‘guerra del latte’

dichiarata nel 1997 dai Cobas del latte, sospinti dagli industriali del latte, svincolati

19Il progetto reggiano sostenuto dagli enti locali soci dell’IZC prevede la vendita della sede di Villa Cella, il trasferimento delle porcilaie per le prove di progenie a S.Vittoria e la costruzione di un centro servizi presso la Fiera di Reggio ove ospitare CRPA, APA, organizzazioni agricole, sezione reggiana dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale interregionale di Brescia e laboratori del Consorzio Parmigiano Reggiano. La Regione ritiene il progetto di interesse nazionale, assieme a quello dell’ERSO per la Biofabbrica a servizio dell’ortofrutta a Cesena. Prende il via l’operazione degli enti locali reggiani che conduce a trasformare due aziende della Camera di Commercio, la Rassegna Suinicola Internazionale nella SIPER per gestire le fiere e la Aree Industriali nella SOFISER per gestire il patrimonio immobiliare dell’IZC. Vicenda nella quale il CRPA si viene a trovare direttamente investito e con compiti assai impegnativi negli ultimi tempi.

20L’organismo costituito tra la Provincia, la Comunità Montana dell’Appennino reggiano e il Comune di Casina per avvalersi dell’interevento regionale opera con grande fatica.

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dall’autodisciplina dopo che viene tolto alle Associazione produttori latte21 il compito della compensazione di primo livello tra quote e produzioni annuali per il calcolo del superprelievo:

elemento decisivo per stabilire la connessione tra la fatica di condividere i programmi aziendali e il vantaggio di beneficiare di quotazioni più alte.

La Regione affronta l’obiettivo di una politica per l’intero sistema agroalimentare che coinvolga agricoltura e industria22, un tentativo importante in mancanza di un’incisiva riforma nazionale per dar luogo all’unica amministrazione presente in quasi tutti i Paesi. Nello stesso tempo le priorità per il settore si spostano sul fronte della qualità, della certificazione e su quello della sicurezza alimentare. La vicenda della ‘vacca pazza’ diventa esplosiva, fa scoprire a tutti un morbo subdolo come la BSE, esalta altri ‘incidenti’ per la sicurezza alimentare come quello dei prosciutti alla diossina, delle carni al progesterone insieme alla diffusione degli antibiotici come stimolanti dell’accrescimento. Diventano di domino pubblico le fragilità nelle produzioni animali dovute alle specializzazioni estreme, alla crescenti distanze che separano le fasi della stessa filiera, alle carenze dei sistemi amministrativi e di controllo23. Il CRPA è tra i soggetti più pronti e attivi nel dare vita a un organismo voluto dalla legge regionale del ’98 per creare forme di collaborazione sulla qualità e la sicurezza tra le organizzazioni dell’industria e dell’agricoltura. Collegare Province e Camere di Commercio Industria Artigianato Agricoltura. Diffondere le esperienze aziendali e interaziendali tra i comparti dei prodotti vegetali e animali attraverso gli enti organizzatori di ricerca, l’ERVET, la SSICA e altri. Con tale finalità statutaria viene costituita a Parma la società TETA-Centro italiano di servizi dalla terra alla tavola che estende la sua base associativa regionale24.

Il Consiglio europeo nel 2000 presenta il Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, i Paesi membri approvano il trattato che, tra gli altri elementi, prevede il funzionamento dell’autorità europea per la sicurezza alimentare attraverso un dialogo continuo con le corrispondenti autorità nazionali. TeTa svolge la segreteria tecnica del comitato parmense per candidare Parma come sede dell’EFSA25, organizza progetti tra enti di ricerca, associazioni, Province, Camere di Commercio per diffondere i sistemi-qualità e l’applicazione della vasta normativa emanata dall’UE per la sicurezza alimentare e il CRPA si distingue per la validità del supporto fornito alle filiere sviluppando i sistemi di tracciabilità in rapporto con organismi di ogni settore, da quello agricolo, industriale e distributivo, dall’ambito privato a quello della pubblica amministrazione.

L’Italia non è ancora riuscita a costituire l’autorità nazionale quale corrispondente dell’EFSA che sia l’espressione dello sforzo per armonizzare l’azione pubblica su agricoltura, industria, distribuzione alimentare, salute con la partecipazione dei rappresentanti delle categorie economiche e dei consumatori. Non affronta la grande esigenza di creare un efficace governo su

21In quella fase si è consolidata come associazione interprovinciale unitaria l’AIPLE-Associazione produttori latte dell’Emilia e partecipa all’attività del CRPA assieme all’ASSER-Associazione suinicoltori dell’Emilia-Romagna.

22L’Assessorato prende la denominazione ‘Agricoltura e alimentazione’.

23Il Libro Verde sulla sicurezza alimentare pubblicato nel 1997 dall’UE (Commissario Emma Bonino) viene illustrato a Bologna per iniziativa di Giulio Fantuzzi, Presidente del CRPA e parlamentare europeo.

24L’avvio dell’attività di TeTa è preceduto da un apposito confronto con l’esperienza francese nel corso del quale l’Assessore Tampieri, accompagnato dal suo Capo servizio Maurizio Ceci e dai tecnici di TeTa è ospite di un incontro con i vertici dell’INRA a Parigi nel 1999.

25La candidatura di Parma si confronta con quelle di Barcellona, Helsinki e Lilla., la scelta dell’UE arriva nel 2003.

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ambiente-agricoltura-alimentazione traguardo tenuto lontano a causa di ostacoli di crescente spessore e se ne possono elencare almeno cinque. Mancanza nella società di una adeguata comprensione dei suoi bisogni26. Volontà dell’industria e del commercio, sempre più controllate da imprese multinazionali, di sottrarsi a una regia improntata all’interesse nazionale. Forza dell’apparato inserito nel Servizio Sanitario Nazionale che provvede a regolare la sicurezza alimentare con un numero altissimo di dipendenti e senza avere il compito di intervenire sul processo produttivo27. Debolezza del settore agricolo che numerose organizzazioni professionali, cooperative, sindacali cercano di rappresentare. Popolazione rurale non individuata e priva di un’istituzione pubblica dedicata che la metta in condizione di potersi confrontare con gli interessi predominanti della popolazione urbana.

Ne derivano conseguenze di estrema importanza, tra le altre il fatto che il Piano Agricolo Nazionale non sia stato seguito da altre riedizioni dopo quella del 1985 e che il Piano di Sviluppo Rurale proveniente dalla cultura nord europea non abbia dato vita ad alcuna politica italiana per lo sviluppo rurale dal 2000 in poi. Si confermano l’incertezza dell’amministrazione pubblica per l’agricoltura, l’inadeguatezza del principio di autonomia regionale e la necessità di una profonda riforma delle istituzioni pubbliche periferiche. Ed è in questo scenario assai impegnativo che da alcuni anni si trova a operare il CRPA poggiando sulla forza interna .

26Il quesito referendario per l’abrogazione del Ministero dell’Agricoltura ha registrato un ampio consenso popolare.

27In Emilia c’è esempio del Centro Carni creato dall’ASL di Modena a Spilamberto, è posto al centro della selva di stabilimenti di lavorazione che si sono concentrati attorno al terminale delle carni in arrivo dal nord Europa e, ovviamente, non si cura del problema di come produrre le carni suine e bovine all’interno.

In Italia l’apparato per il controllo delle produzioni animali, in prevalenza, assorbe la stessa quantità di addetti a disposizione della FDA degli USA e dieci volte il numero di addetti della Francia.

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Aria, terra, acqua e alimenti di origine animale

I Paesi più efficienti hanno sfruttato al meglio il sostegno comunitario all’agricoltura stabilito col Trattato di Roma e gli italiani hanno preferito godere il miglioramento economico investendo di meno e sprecando di più. Adesso si tira la cinghia, ci si può soffermare sulla tabella del fabbisogno, prendere delle contromisure e per prima cosa liberarsi dalla condizione di sottomissione alla TV commerciale senza alcun contrappeso di educazione alimentare. E’stato facile catturare un pubblico di telespettatori offrendo l’accesso gratuito alle trasmissioni e la conseguenza è che il consumatore paga uno sproposito pensando di risparmiare. Per i prodotti alimentari s’investe in pubblicità solo se si riducono, in quantità e qualità, le sostanze nutrienti.

Gli spot martellanti sostengono i nuovi tipi di formaggio fabbricati con meno latte possibile, un chilo di formaggio grana stagionato concentra 16-17 chili di latte, mentre bastano 4 chili di latte per un chilo di formaggino e il suo prezzo non è quattro volte inferiore. Per tenere assieme il pacchetto s’aggiunge grasso emulsionato con l’acqua, sta sempre refrigerato perché non si squagli, viaggia per mesi nella catena del freddo e viene chiamato“fresco”, il grasso vale poco e dà sapore, la pubblicità definisce leggero e cremoso il ‘formaggino’ da spalmare che alla fine preleva dal borsellino più del formaggio stagionato. Il Parmigiano Reggiano non ha sovraccarico di acqua, grasso e per fare promozione viene snaturato vendendolo come crema, o impastato con altri sapori. Si sprecano gli spot per lo yogurt che esibisce le funzioni dei lattobacilli, il bicchierino di plastica permette di aumentare l’acqua e il consumatore compra a caro prezzo la stessa quantità di fermenti che trova gratis nella fetta di salame. Durante la sua rapida lavorazione il prosciutto cotto assorbe l’acqua che finanzia la salita nel prezzo in confronto al prosciutto crudo il quale, come gli altri salumi tradizionali, elimina acqua per mezzo di una prolungata stagionatura e non può venderla per pagare un grande budget promozionale.

Il passivo della bilancia agroalimentare italiana è molto elevato. Era vicino ai 9 miliardi di euro nel 2011, ma in realtà è ancora più profondo e per mangiare paghiamo ai nostri fornitori esteri una cifra vicina a quella del gettito dell’IMU nel 2012. Mentre si parla troppo e a sproposito dell’imposta sulla casa da versare allo Stato e ai Comuni, non si parla del prelievo sulla tavola che si versa ad altri Paesi ed è una perdita nazionale fuori controllo. Infatti, sta diventando gigantesco il disavanzo per il cibo contenuto nei primi e secondi piatti, in parte compensato dalle voci attive per contorni, frutta e bevande. Il primo gruppo di alimenti è fondamentale perché pane, pasta, condimenti, carne, pesce, latticini forniscono l’energia e le proteine per noi indispensabili. Il

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secondo gruppo comprende ortaggi, frutta e vino per consumi facoltativi anche per i clienti esteri. (Tabella 1)

La diversa importanza delle due categorie di prodotti accresce il peso della dipendenza che si irrigidisce negli anni sino al punto da diventare irreversibile e contribuisce a rendere irreale l’ipotesi di fare uscire l’Italia dall’area dell’Euro. Via di salvezza urlata nelle piazze italiane e dallo schermo pur sapendo che il pagamento in lire significa esaltare questa condizione di subalternità. La debolezza gravissima è tenuta nascosta a causa dal convergere dell’interesse dell’apparato pubblico che grava con la tassazione e dell’interesse del sistema privato che preleva valore nella catena del cibo - dall’operatore della pubblicità, a quello della distribuzione, all’industri alimentare – e lascia al produttore italiano lo striminzito10% del prezzo di tutto il cibo al consumo.

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Risorse sprecate e serbatoio rurale

L’Italia ha poca superficie coltivabile rispetto agli abitanti e dal dopoguerra fino agli anni ’80 deve sacrificare terreni per l’industrializzazione, l’inurbamento, l’aumento di popolazione, le grandi opere pubbliche, però il fattaccio avviene dal ’9028 al 2010 dato che in metà tempo si cementifica il doppio della superficie agricola. Con la popolazione stazionaria e senza costruire grandi complessi industriali, si ha lo spreco di terra sospinto dall’edilizia speculativa , dallo stile di vita insostenibile e dal regime fiscale dell’ente locale proteso a far bella figura con il gettito dell’ICI e degli oneri di urbanizzazione. L’agricoltura viene messa con le spalle al muro, gli interessi esterni per rivalutare e riciclare denaro fanno innalzare il prezzo dei terreni mentre cala il reddito fornito dalla loro coltivazione. L’allevamento diventa più intensivo importando il mangime. Vigneti, frutteti e ortaggi in colture protette entrano al posto di prati e seminativi.

Da ultimo, gli incentivi sballati per l’energia verde incentivano lo sfruttamento delle biomasse più ricche come i cereali con un fallimento doppio: sottrarre molti campi all’alimentazione e indebolire l’azienda contadina. Dopo quest’ultima corsa allo spreco di mezzi e persone i nostri nutrimenti principali (irrinunciabili) arrivano sempre più da Germania, Francia, altri Paesi dell’UE che hanno puntato a raggiungere obiettivi opposti, sfruttare le fonti rinnovabili all’interno della filiera alimentare e premiare di più l’energia ricavata delle biomasse di scarto rafforzando la zootecnia, i contadini e le aree rurali.

Le produzioni animali in Italia richiedono una solida politica agroalimentare che parta dal sostegno dell’impresa familiare per arrivare all’educazione alimentare. Mentre si diffondono visioni reazionarie come quella dell’uscita dall’Euro, assume risalto la mancanza di attenzione a un vuoto tutto italiano dove manca l’istituzione pubblica apposita per consentire alla popolazione agricola e rurale di esercitare un potere di governo, come avviene nei Paesi avanzati. Il suo inserimento nel riordino istituzionale ha un’importanza strategica ed è urgente, dato che sull’Italia incombono sia la crescita del disavanzo per gli alimenti contenuti nei primi e secondi piatti, sia l’estinzione delle famiglie contadine, esito funesto perché contraddistinto dalla irreversibilità (si diventa contadini se si cresce in una impresa contadina) e dalla difficoltà di inserire nelle campagne i popoli immigrati.

28Il 1990 è un anno fatidico per l’agricoltura italiana, oltre alle novità della PAC che dipendono dal funzionamento dell’amministrazione pubblica periferica (uso dei terreni, sviluppo rurale), avviene una riforma fiscale nazionale con l’introduzione dell’ICI che, di fatto, sposta l’ente pubblico dal suo ruolo di regolatore sugli interessi tra privati e tra generazioni. In breve tempo il Comune diventa il soggetto più proteso ad aumentare le aree urbanizzabili da sottrarre all’uso agricolo per sottoporle alla nuova imposta e a stimolare l’edificazione per incassare oneri di urbanizzazione da destinare non solo alle opere pubbliche, ma anche a spese correnti per espandere personale, forniture e consensi urbani.

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In questa direzione il sostegno arriva dalle politiche comunitarie con il piano prospettato fino al 2020 e un significativo incoraggiamento viene offerto dagli USA dove il Presidente Obama, afferma la necessità di realizzare tre interventi entro il 2013 per sospingere la crescita appena dopo aver superato il rischio del fallimento:

- eliminare ciò che non serve per investire in educazione, infrastrutture e ricerca - riformare l'immigrazione con un percorso per legalizzare i clandestini

- emanare una legge sull'agricoltura che protegga i vulnerabili e dia alle comunità rurali la possibilità di crescere.

Non sorprende che il terzo obiettivo prioritario sia affermato dalla prima potenza che dopo la seconda guerra mondiale ha fatto leva sul potere dell’alimentazione per affermarsi in altri conflitti senza l’uso delle armi. Se venisse ripreso dai nostri governanti, sarebbe la rivoluzione attesa da 150 anni per le campagne italiane che possono confidare in un soggetto abile e consapevole come il CRPA.

Tabella 1 Disavanzo agroalimentare italiano 2011 (milioni di euro)

Fonte INEA: dati arrotondati al milione

1. Primi e secondi piatti - 13.200

cereali -2.500, pasta e prodotti da forno +2840, zucchero e dolciumi -425, olii e grassi -1859, carni e uova -1908, salumi e cari lavorate -2584, pesce e derivati -3864, latte e formaggi -1533, mangimi zootecnici -1228

2. Contorni, frutta e bevande + 6.550

ortaggi, frutta fresca e conservata +2205, vino +4230, bevande +272, alcoolici -174

3. Caffè e spezie - 1.502

Saldo alimentare - 8.150

4. Prodotti non alimentari - 610

Legno e fibre vegetali -950, tabacco e florovivaismo +340

Saldo agroalimentare - 8.760

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