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Riabilitazione dell’anziano Prof. Daniel Loria

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Academic year: 2022

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Riabilitazione dell’anziano

Prof. Daniel Loria*

Il problema della Riabilitazione dell’anziano è sicuramente uno dei principali della Medicina Riabilitativa, ma tenderà sicuramente a divenire sempre più importante a causa dell’aumento dell’età media della popolazione, che determina una sempre maggiore presenza d’anziani nei reparti di degenza per acuti.

Secondo una recente indagine (Taiti - 1994) in Italia vi sono dati sovrapponibili a quelli dei paesi anglosassoni: con una percentuale di persone di età superiore ai 75 anni inferiore al 10% della popolazione, la presenza di pazienti di questa età nei reparti di degenza per acuti è superiore al 25%.

La Medicina Riabilitativa deve mettere in atto quel processo terapeutico che consente al paziente disabile il più completo reinserimento familiare, sociale e lavorativo, con la massima autonomia.

Questo processo, per soddisfare il reinserimento, ha ovviamente delle componenti prettamente mediche (Riabilitazione Medica) ed altre più propriamente sociali (Riabilitazione Sociale).

La Riabilitazione Medica previene e cura la disabilità, cioè il deficit funzionale, conseguente ad una patologia d’organo, mentre la Riabilitazione Sociale deve occuparsi dell’abbattimento delle barriere che si oppongono al reinserimento del paziente, barriere che non sono solamente architettoniche, ma soprattutto psicologiche.

Nell’iter terapeutico l’impegno della Riabilitazione Medica è massimo nelle prime settimane della malattia, mentre si riduce con la stabilizzazione del quadro della disabilità. (FIG. I)

L’impegno della Riabilitazione Sociale, invece, è nullo nella fase di acuzie della malattia, per divenire preponderante nella fase di stabilizzazione.

Fra le due componenti, seppure molto diverse, vi deve essere la massima integrazione, senza soluzione di continuità, pena il fallimento od il non totale successo del progetto terapeutico, finalizzato al reinserimento.

In questo contesto generale ci si deve chiedere quale sia la collocazione delle problematiche inerenti la persona/paziente anziano. Ci si deve chiedere cioè:

1. Se le possibilità di recupero del paziente anziano siano diverse da quelle dell’adulto;

2. Quali fattori influenzino il recupero;

3. Se questi fattori che influenzano il recupero abbiano lo stesso peso nel giovane/adulto e nell’anziano.

Da un lato le possibilità di recupero del paziente anziano sono ridotte dal fatto stesso che minori sono le esigenze di autonomia e di vita sociale dell’anziano rispetto al giovane: ci si può perciò porre, come obiettivo ragionevole, il reinserimento familiare ed un parziale reinserimento sociale.

Spesso il risultato finale è da considerarsi positivo se il paziente raggiunge una buona autonomia nell’esecuzione delle comuni Attività di Vita Quotidiana (A.V.Q.).

Vi sono però altrettanto spesso alcuni importanti problemi che rendono più difficile per il riabilitatore raggiungere il massimo risultato, che sarebbe compatibile con la disabilità conseguente alla patologia traumatica acuta.

Questi problemi si evidenziano sia nell’ambito medico, sia in quello sociale.

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Sotto il profilo medico, il maggiore ostacolo al raggiungimento del massimo risultato riabilitativo è la frequente concomitanza di patologie che riducono le abilità funzionali del paziente (TAB. I)

TAB. I - Classificazione delle possibili cause di disturbi del cammino negli anziani

Cause Endocrine Ipotiroidismo

Cause Iatrogene Benzodiazepine

Antidepressivi triciclici Anticonvulsivanti Salicilati

Cause Cardiovascolari Cardiopatie

Arteriopatie periferiche Ipotensione ortostatica

Insufficienza vertebro-basilare

Cause Oculistiche Cataratta

Presbiopia

Cause Neurologiche S. del lobo frontale M. di Parkinson

Ematoma cronico subdurale Paralisi progressiva sopranucleare Demenza

Atassia cerebellare Idrocefalo

Neuropatia periferica Trauma mielico Cause Psicologiche Depressione

Paura di cadere

Cause Osteoarticolari Artrosi

Osteoporosi

Patologie del piede Artrite Reumatoide z

È dimostrato, per esempio, che la patologia artrosica, anche in assenza di disturbi del Sistema Nervoso, può determinare la comparsa di un cammino con componenti di tipo atassico, a causa del deficit afferenziale propriocettivo a partenza articolare.

I pazienti anziani hanno molto frequentemente una o più delle componenti patologiche elencate nella tabella I.

Questi aspetti tendono ad aumentare sia in numero, sia in importanza con l’età e la loro azione comune si esplica in ultima analisi sulla funzione motoria e si evidenzia con disturbi della postura e del cammino, che comportano a loro volta insicurezza nei movimenti, maggiore facilità a cadere e quindi maggiore rischio di fratture.

Infine nell’eventualità di patologia traumatica, il programma rieducativo dovrà tenere conto anche della disabilità conseguente alle suddette patologie preesistenti, rispetto agli obiettivi da prefissarsi, in quanto queste possono limitare o ritardare in modo significativo l’iter terapeutico .

Un altro fattore determinante è la possibile comparsa di una Sindrome da Immobilizzazione.

Questa è spesso la conseguenza di un nursing non corretto e di un intervento rieducativo non sufficientemente precoce, a loro volta conseguenza della carenza di cultura riabilitativa e delle difficoltà di personale dei nostri reparti.

La Sindrome da Immobilizzazione è caratterizzata da alterazioni anatomo-funzionali che intervengono nei vari organi dopo pochi giorni (anche solo 5/7 giorni) di allettamento.

Queste alterazioni sono provocate dalla immobilità e dalla posizione orizzontale e possono divenire più gravi della patologia di base, che ha portato al ricovero del paziente.

Le alterazioni più importanti riguardano:

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1. L’apparato CardioVascolare 2. L’apparato Respiratorio 3. L’apparato Urinario 4. L’apparato Digerente

5. Il sistema nervoso 6. L’apparato Muscolare 7. L’apparato Osteo Articolare 8. L’apparato Cutaneo

Sotto il profilo sociale spesso l’anziano, dopo patologie disabilitanti, seppure sottoposto ad un adeguato programma rieducativo, non raggiunge una sufficiente autonomia per poter vivere da solo, senza il supporto dei familiari e viene quindi inserito in istituti.

In tali istituti subentrano processi depressivi ed è frequente un deterioramento psichico e fisico per allontanamento e perdita degli affetti e del ruolo sociale.

Molto frequentemente in queste strutture il paziente riduce l’attività motoria e perde l’autonomia acquisita con il trattamento rieducativo.

Nella stesura del programma riabilitativo è quindi necessario tenere conto della patologia traumatica di base, del rischio della S. da Immobilizzazione e delle caratteristiche dell’ambiente che accoglierà il paziente al suo reinserimento.

Per quanto riguarda il problema specifico delle possibili diverse implicazioni della patologia traumatica nell’adulto e nell’anziano, non vi sono in letteratura dati significativi riguardanti il carico del trattamento riabilitativo, il livello di autonomia raggiungibile ed i tempi per raggiungerla.

Non esistono altresì dati di follow-up sul mantenimento del livello di autonomia, né sulla sopravvivenza dell’anziano traumatizzato, confrontati con quelli riferiti a persone anziane che non hanno subito patologia disabilitante.

Vi sono peraltro alcuni lavori su altre patologie disabilitanti dell’anziano dai quali si evidenziano le possibilità di raggiungimento di autonomia e dai quali si rilevano dati, che per assomiglianza possono verosimilmente essere traslati alle patologie traumatiche

In un lavoro di Mele, (1991) sono stati esaminati 100 pazienti con amputazione di coscia. L’età media era di 72 anni. Di questi pazienti, nel 77% l’amputazione era conseguente a patologia vascolare ed nel 23% a patologia traumatica.

Il tempo medio del ricovero era stato di 60 giorni (7-180 giorni); il 16% dei pazienti era stato avviato ad un ricovero in riabilitazione con durata media di 100 giorni.

Al follow-up dopo 18-24 giorni solamente l’1% dei soggetti usava la protesi con regolarità e tutti i giorni. (TAB: II)

In un altro lavoro sempre di Mele (1993), sono state valutate le aspettative ed i risultati della rieducazione in un gruppo di 75 pazienti, con età media di 63 anni, operati di protesi d’anca.

Prima dell’intervento solamente il 24% deambulava senza ausili e senza zoppia, il 34,67%

camminava senza ausili, ma con importante zoppia ed il 41,33% con ausili. (TAB. III)

Dopo la protesizzazione i pazienti che non utilizzavano alcun ausilio avevano raggiunto il 70,67%.

Il tempo medio per raggiungere il massimo della funzionalità era stato però di 8,4 mesi, tempo indubbiamente lungo.

Mele ha poi rapportato l’età e l’uso di ausili, che è sicuramente un dato negativo per l’autonomia negli spostamenti, ed ha dimostrato che vi è un rapporto significativo fra l’aumento dell’età e l’utilizzo di ausili: camminavano con ausili tutti i pazienti fra 75 ed 79 anni ed i 2/3 dei pazienti con età fra 70 e 74 anni. (TAB. IV).

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Presso l’ospedale S. Lucia di Roma sono stati valutati i problemi legati alla Sindrome da Immobilizzazione in un gruppo di 28 pazienti, di età media di 70 anni.

Al momento della dimissione tutti i pazienti camminavano (TAB. V).

Dopo 6 mesi è stato eseguito un follow-up

Che ha evidenziato che solo il 28% dei pazienti aveva mantenuto il livello di funzionalità presente alla dimissione.

Il 65% dei pazienti non usava più la protesi ed il 7% la usava solo per motivi estetici.

In una ricerca eseguita da Carta (1995) è stata esaminata la capacità di deambulazione di una popolazione di 33 anziani ricoverati in istituto, senza tenere conto dalla patologia disabilitante.

(TAB. VI)

È stata evidenziata un’alta percentuale di pazienti non deambulanti (57.58%) e con necessità d’assistenza al cammino (42.42%).

Questi pazienti sono stati poi sottoposti ad un trattamento rieducativo mirato al recupero della deambulazione.

Ad un controllo in follow-up il 9.10% dei pazienti aveva recuperato un cammino autonomo, il 72% aveva necessità d’assistenza al cammino e solamente il 18% non era più deambulante.

Vi è infine un interessante lavoro di Boccignone (1997) che evidenzia come un intervento mirato su anziani ricoverati Casa di Cura, che non erano più in grado di camminare, poteva portare al recupero dell’autonomia, mentre non era significativo un intervento di sostegno generico all’attività motoria.

I pazienti venivano valutati con la scala di Barthel per le attività di vita quotidiana, quindi un gruppo era posto in trattamento rieducativo, mentre un secondo era sottoposto ad una maggiore attività motoria da parte di personale non specializzato. (TAB. VII)

Considerando il buon recupero di autonomia negli spostamenti, si può supporre che la perdita dell’autonomia in questi casi non fosse dovuta ad un reale peggioramento, da riferirsi, per esempio, all’ulteriore invecchiamento, ma alla mancanza di motivazioni al mantenimento della stessa.

Conclusioni

Si può ritenere, come già detto, che per alcuni aspetti questi dati possano essere in parte adattabili ai pazienti anziani in trattamento riabilitativo per disabilità post-traumatica.

Possiamo quindi ragionevolmente presumere che:

™ Le possibilità di recupero del paziente anziano siano diverse da quelle dell’adulto;

™ I fattori che influenzano il recupero sono:

⇒ intrinseci al paziente e riferibili al minore potenziale biologico;

⇒ dipendenti da patologie concomitanti o dalla sindrome da immobilizzazione, che rallentano o limitano le potenzialità di recupero;

⇒ dipendenti da fattori socio-familiari, il cui apporto è indispensabile per ottenere la maggiore compliance da parte del paziente per il raggiungimento e soprattutto per il mantenimento della massima autonomia;

™ Sembrerebbe infine che il peso di questi fattori possa influenzare il recupero, rendendolo più lungo e difficile nell’anziano rispetto all’adulto.

Tagete n. 3-1998 Ed. Acomep

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