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Dalla teoria alle buone prassi: percorsi per la creazione dei Centri di Supporto alle Vittime

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Academic year: 2022

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Dalla teoria alle buone prassi: percorsi per la creazione

dei Centri di Supporto alle Vittime

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Publisher

FDE Institute Press®

Via Sandro Pertini n. 6

46100 Mantova – Loc. Colle Aperto| Italy Phone: +39.0376.415683

Fax: +39.0376.413135

E-Mail: crimen@istitutofde.it

Printing

Press UP - Varigrafica Alto Lazio S.A.S.

Di Massimo Adario e C.

Via Amerina - 01036 Nepi (VT)

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Dalla teoria alle buone prassi: percorsi per la creazione dei Centri di Supporto alle Vittime

A cura diCRISTINA GALAVOTTI E GERARDO PASTORE (SEZIONE UNIVERSITÀ DI PISA) A cura di ELISA CORBARI (SEZIONE LIBRA)

Introduzione di ANDREA BORGHINI

Contributi di

MAURO BARDI,ELISA CORBARI,LAURA MARIA GAGLIARDI,CRISTINA GALAVOTTI,GERARDO

PASTORE,ANGELO PUCCIA,MARZIA TOSI,FRANCESCO VIECELLI

ISBN (softcover) 978-88-97378-06-8

The "VICTIM SUPPORTING PROJECT: A NETWORK TO SUPPORT AND AID CRIME VICTIMS” JUST/2011/JPEN/AG/2960has the financial support of the Criminal Justice Programme of the European Union. The contents of this document are the sole responsibility of the author and in no way can be taken to reflect the views of the European Commission.

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Sommario Pag.

Introduzione. Il progetto VIS Network: gli obiettivi e gli orizzonti operativi (di Andrea Borghini)

>> 8

SEZIONE I | Università di Pisa

a cura di Cristina Galavotti e Gerardo Pastore

1. Riflessioni preliminari: il paradigma di rete per un supporto di sistema alle vittime (di Cristina Galavotti)

>> 16

1.3. Vittimologia e vittime (di Cristina Galavotti) >> 18 1.4. La vittimizzazione (di Cristina Galavotti) >> 24

2. Dalla teoria alla prassi: le reti e il supporto alle vittime

(di Cristina Galavotti e Gerardo Pastore)

>> 30

2.1. Il protocollo di rete “VIS Network” per la Provincia di Livorno

>> 32 2.2. Il protocollo di rete “VIS Network” per la

Provincia di Pisa

>> 34 2.3. Valorizzare le reti per una costruzione sociale

della prossimità

>> 35 3. I centri di supporto alle vittime (CSV). Esperienze

nazionali: incontri e confronti promossi dal VIS (di Cristina Galavotti)

>> 40

SEZIONE II | Associazione Libra Onlus Mantova a cura di Elisa Corbari

1. Attori protagonisti. Il riconoscimento della vittima nelle declinazioni del paradigma riparativo (di Marzia Tosi)

>> 48

2. La disciplina del risarcimento delle vittime di reato nella giurisprudenza italiana (di Mauro Bardi)

>> 50

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7

2.1. Il problema dell’ufficializzazione della vittimizzazione

>> 51 2.2. Il problema dell’interazione materiale e

psicologica tra autore di reato e soggetto aggredito o danneggiato

>> 52

2.3. Il problema dello studio volto alla individuazione dei rimedi riparatori

>> 61

3. Il Centro di Supporto alle Vittime di Reato per la

provincia di Mantova gestito da Associazione LIBRA Onlus. Un modello di intervento empowerment based (di Elisa Corbari, Laura Maria Gagliardi, Francesco Viecelli, Angelo Puccia)

>> 76

3.1. Le fasi dell’intervento “con” la vittima >> 78 3.2. Assetto organizzativo e istituzionale >> 81 3.3. Tipologia dei servizi offerti >> 83 3.4. Rete locale e ragnatela sociale >> 85

4. Il Framework Europeo: linee guida e best practices.

Principi fondamentali per la tutela delle vittime di reato (di Angelo Puccia, Elisa Corbari)

>> 90

4.1. La prevenzione della vittimizzazione. La richiesta di un cambio di modello culturale e di comportamento nei confronti delle vittime (di Elisa Corbari e Francesco Viecelli)

>> 94

4.2. Quali servizi e strumenti per tutelare e supportare la vittima (di Angelo Puccia, Elisa Corbari)

>> 98

Autori >> 102

Riferimenti bibliografici >> 104

Normativa e documenti >> 105

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Introduzione

Il progetto VIS Network: obiettivi e orizzonti operativi di Andrea Borghini

Le Linee Guida per la costruzione di un Centro di Supporto alle Vittime di Reato che qui presentiamo costituiscono l’esito di un lungo lavoro progettuale che, grazie al progetto Vis Network, ha trovato nei percorsi di formazione teorica ed empirica rivolti alle vittime, attivati nei due differenti territori della Lombardia e della Toscana, una prima importante fase, a cui ha fatto seguito la raccolta delle esperienze presenti sul territorio nazionale, attraverso la visita ai Centri, finalizzata alla costruzione di queste linee guida.

Come viene giustamente sottolineato nel testo si tratta di ‘un’esperienza complessa in favore delle vittime, che racchiudiamo in questo prodotto teorico-operativo, […] che pone al centro lo “sguardo” della vittima di reato e promuove i CSV’1.

Riprendendo brevemente quanto già sottolineato nell’Introduzione alle Linee Guida per gli Operatori, la costruzione delle Linee Guida dei Centri è il frutto di un approfondito e inclusivo progetto di rete, testato sul campo, ad opera, per la Toscana, dell’Università di Pisa – Dipartimento di Scienze Politiche2, e per la Lombardia da LIBRA–FDE, svoltosi, come detto, nell'ambito del progetto Vis Network (Victim Supporting Project: a network to support and aid crime victims) n.

JUST/2011/JPEN/AG/2960, finanziato dalla Commissione Europea nel Programma Criminal Justice nel 2012, di cui è capofila la Provincia di Livorno. Tale progetto ha inteso costruire una rete di soggetti territoriali che, con competenze diverse, si occupano di trattamento alle vittime. "Vis Network" ha riunito tre territori, le aree di Livorno, Pisa e Mantova, grazie ai partner: Regione Toscana, Università di Pisa, Centro Studi Discriminazione, Società della Salute di Pisa, ASL 6 di Livorno, Libra e Alce Nero di Mantova, i partner associati Provincia di Pisa, Questura - Polizia di Stato Livorno, FDE, Comune di Mantova e Ospedale Carlo Poma (Mantova), e di una serie di soggetti correlati, tra cui servizi sanitari, forze dell'ordine, amministrazioni ed enti locali, associazioni di volontariato e sociale che hanno garantito lo svolgimento delle attività per 24 mesi.

1Cfr. infra.

2 Il Gruppo di lavoro dell’Università di Pisa – Dip.to di Scienze Politiche era costituito, oltre che dal sottoscritto, dal dott. Gerardo Pastore e dalle dott.sse Cristina Galavotti, Beatrice Giovannoli e Chiara Nerelli.

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Il Progetto VIS Network reca già nel titolo il senso della sua strategia di sviluppo:

centrale è la Rete, la quale, una volta teorizzata nei percorsi formativi e discussa con i partecipanti ai corsi, è stata poi osservata nelle sue dinamiche specifiche sul territorio nazionale attraverso le visite ai centri.

In queste brevi pagine vorremmo ribadire l’importanza del concetto di rete, nonché riprendere alcuni insegnamenti come esito delle visite ai centri.

L’Università, di concerto con Libra, ha svolto un ruolo di costruzione dei percorsi di visita, privilegiando sempre un approccio di ascolto e attenzione dei territori investiti dal progetto, cercando di coglierne la ricchezza, rappresentata dagli agenti e dalle reti presenti. Il comun denominatore è stato quello di creare i presupposti per la costruzione di una rete di supporto alle vittime, raccogliendo, ampliando e sistematizzando le competenze e le metodologie d’approccio già presenti sui territori.

Se l’ascolto attivo si è rivelata una strategia vincente sul piano dell’inclusività e del rispetto della storia e dell’esperienza dei partner di rete, è il concetto di rete ad aver rappresentato il fulcro concettuale e metodologico del progetto nella sua interezza.

Nel testo che presentiamo viene giustamente fatto osservare come la rete, cioè l’insieme degli attori ed i legami attraverso cui avviene lo scambio di informazioni e risorse, è ciò che rende vive, fattive e proattive le politiche sociali in favore della cittadinanza. Valorizzare le reti esistenti su di un territorio significa considerarle un fattore concettuale e operativo strategico per fronteggiare l’esclusione di ampie fasce di popolazione e coordinare interventi finalizzati a conoscere tali realtà e a sottrarle ai processi di emarginazione.

In ambito vittimologico3, la rete va assunta in funzione di supporto, strumento di prevenzione, presa in carico funzionale contro i fenomeni di vittimizzazione.

Il vantaggio ulteriore di un approccio operativo di rete è quello di dare dinamicità e fattività alle molteplici reti esistenti sui territori, la maggior parte delle quali formalizzate attraverso “protocolli” tra gli enti e che coinvolgono settore pubblico e terzo settore.

Come viene giustamente ribadito in queste linee guida, i protocolli sono spesso assunti come un punto di arrivo ma, in realtà, dovrebbero essere punto di partenza, di promozione di una rete che deve essere mobile, fluida, con un movimento di crescita di relazioni. I protocolli quindi dovrebbero prevedere la possibilità di nuove adesioni, contenere nuove proposte, prevedere nuovi scenari.

Per rendere vivi ed efficaci tali protocolli, è necessario inoltre che siano conosciuti, aggiornati, condivisi dagli attori che ne fanno parte e da quelli che aspirano a entrarvi. Da

3 Per una discussione sul tema della vittima e sulla vittimologia si vedano le interessanti riflessioni di Galavotti e Bardi in questo Rapporto, le quali, da prospettive differenti, contribuiscono a comporre un quadro molto ricco di suggestioni sull’argomento.

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qui l’idea di protocolli aperti, flessibili, autoriflessivi, specchio fedele degli aspetti più innovativi e dei vantaggi di una rete ben costruita.

Costruire e mantenere viva una rete significa dunque superare le politiche autocentrate, e promuovere un’autentica governance partecipata per non lasciare sole le vittime fragili. Simili risultati sono possibili in virtù di un’adeguata affermazione di quello che, in questo rapporto viene definito “assioma della prossimità”: la capacità delle istituzioni, degli operatori e di tutti gli attori del sistema di supporto alle vittime di farsi prossimi, di esserci, ma soprattutto di essere immediatamente riconoscibili sul territorio.

Inoltre, altro fattore fondamentale, è l’empowerment, metodo di lavoro utilizzato dal partner Libra. Come si afferma nel rapporto, tale metodologia fornisce alla vittima ‘gli strumenti adeguati per riconoscere la situazione vittimizzante, prendere consapevolezza della stessa e mettere in campo risorse, interne ed esterne, al fine di uscire da tale vissuto’4. Potremmo pensare a tale metodologia come estendibile, come obiettivo, ad ogni attore della rete stessa che prende in carico la vittima, al fine di aumentare la propria consapevolezza, a patto però di accettare le regole della governance di rete.

Questi dunque i presupposti metodologici e questo lo spirito che ha caratterizzato il progetto VIS Network.

Alcuni elementi di riflessione merita anche l’esito delle visite ai centri, effettuate dai partner del progetto. I CSV (Victim Support Center) così come pensati nelle disposizioni dell’Unione Europea sono realtà praticamente inesistenti sul territorio nazionale5. Secondo la Direttiva europea dovrebbero essere centri capaci di offrire tutela, consulenza e trattamento a tutte le vittime di reato, indipendentemente dal reato e indipendentemente dalle loro caratteristiche, offrendo servizi differenziati, gestiti da personale professionalmente preparato e costantemente aggiornato. Come richiamato nel testo, si tratta di centri già previsti dalla Raccomandazione (87) 21 del Consiglio d’Europa, in tema di assistenza alle vittime di reato e di prevenzione della vittimizzazione, richiamati per la loro importanza dalla Decisione Quadro del Consiglio dell’Unione Europea, in data 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel corso del procedimento penale e, più di recente, dalla Raccomandazione n. 8 del 2006 in tema di assistenza alle vittime di reato e dalla direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012. L’obiettivo principale della creazione dei CSV è quello di aiutare la vittima a superare il trauma subito, ridurre il danno, acquisire sicurezza ed essere messa in protezione, nonché svolgere un compito di promozione sociale, informazione e sviluppo di una cultura comune di prevenzione.

4 Cfr. infra.

5 Fa eccezione il CSVR gestito da Libra, per la cui descrizione e funzionamento rinviamo al capitolo apposito di questo Rapporto.

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L’organizzazione di questi Centri dovrebbe rispondere alle esigenze della vittima con un approccio di tipo globale, rappresentato sostanzialmente dalla presenza di un’equipe multiprofessionale, nonché essi dovrebbero essere pensati come autosufficienti dal punto di vista economico.

Tra gli elementi ideali di un Centro vanno menzionati:

- Elevata professionalità e formazione continua dell’équipe multiprofessionale afferente al Centro;

- Inserimento del CSV nella rete territoriale;

- Apertura garantita h24, anche attraverso una linea telefonica ad hoc;

- Capacità del CSV di orientare la vittima verso centri, associazioni, enti, servizi e professionisti che, operando ad un secondo livello specialistico, possano rispondere alle loro richieste specifiche;

- Servizio informativo attraverso la consulenza legale, medica e di carattere sociale.

Come detto, il modello di CSV proposto dalle Direttive europee non è praticamente rinvenibile in Italia, e ciò si deve sia alla mancanza di una normativa quadro di supporto alle vittime fragili, alla carenza di risorse economiche e alla sostanziale gestione dei centri delegata al Terzo Settore. La genesi stessa dei centri In Italia si deve a spinte prettamente solidaristiche.

Di fronte a tale scenario, il passo fondamentale che il progetto Vis Network ha previsto è stato quello di vedere come funziona la rete in altri territori e presso Centri sparsi per la penisola, attraverso la partecipazione agli incontri dei partner del progetto.

Come per i percorsi formativi, anche qui lo scambio, l’incontro, la reciproca conoscenza, la condivisione ad operare scambi di conoscenze e buone pratiche, a condividere, a costruire insieme percorsi comuni hanno rappresentato una modalità preziosa di operare.

Nell’ambito del Progetto VIS Network, sono state organizzate visite di studio per 50 operatori dei soggetti partner e delle reti in numerosi centri che si distinguono quotidianamente per il loro impegno in favore delle vittime. Durante le visite sono stati effettuati colloqui con gli operatori e focus su singoli temi, poi condivisi dai partecipanti all'interno dei propri staff, in modo da ampliare l'impatto delle visite. Nel complesso, sono stati momenti altamente formativi in quanto hanno consentito utili confronti operativi e hanno generato altrettanti input riflessivi.

I Centri visitati, per la cui descrizione si rimanda alle pagine successive, sono uno specchio fedele delle carenze di cui dicevamo prima, le quali, lo ribadiamo, non provengono da una cattiva volontà delle persone, ma dalla mancanza di una normativa chiara e precisa in materia. Dalle visite ai centri menzionati emerge un panorama

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variegato, fatto certamente di eccellenze, ma spesso caratterizzato in prevalenza dal target rappresentato dalle donne vittime di violenza. Altre riflessioni sono emerse, attraverso la raccolta dei report delle visite, in merito alla presenza/assenza di personale specializzato, e sul lavoro delle équipe multidisciplinari.

La visita ai Centri è stata certamente utile per vedere le reti in azione, venire a conoscenza dei protocolli presenti altrove, per praticare la rete, vedere spesso confermate le carenze di cui abbiamo parlato, ma, al tempo stesso, per indicare una strada da seguire, costruire un modello da implementare nei territori oggetto del progetto.

In realtà anche su questo punto c’è da osservare, in conclusione di queste nostre brevi annotazioni, che un qualche successo, nell’immediato, il progetto Vis Network lo ha conseguito. Innanzitutto, favorendo lo scambio a livello di reti locali dei territori toscani e lombardi, e permettendo ai partner della rete di viaggiare per l’Italia e di conoscere altre realtà, ha consentito di rafforzare una sensibilità rispetto al tema, costruendo comunità di pratiche e preparando dunque il terreno per incoraggianti sviluppi futuri in termini di supporto alla vittima. Un primo passo concreto in questa direzione vi è già stato, attraverso l’attivazione di uno Sportello di supporto alle vittime presso la provincia di Livorno, il quale funziona grazie ai contributi volontari dei soggetti della rete Vis Network; mentre, dal confronto con altre realtà nazionali, trarrà certamente giovamento il partner LIBRA-FDE in vista dell’ulteriore potenziamento del CSV, attivo dal 2012 sul territorio di Mantova e le cui funzioni e attività sono presentate in questo nostro lavoro come un case-study. Entrambe le esperienze, qui solo accennate, costituiscono certamente un valore aggiunto emerso dell’esperienza progettuale di Vis Network.

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SEZIONE I

a cura di

Cristina Galavotti e Gerardo Pastore

UNIVERSITA’ DI PISA

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1. Riflessioni preliminari: il paradigma di rete per un supporto di sistema alle vittime

di Cristina Galavotti

Nel nostro Paese il concetto di “sostegno alla vittima” è nuovo e assimilato ad una tradizione di intervento tipico del sistema assistenziale italiano che viene fornito soprattutto dal terzo settore e strutturato in centri di supporto alle vittime connotati storicamente da spirito volontaristico. L’approccio, fino al nostro tempo, è stato sostanzialmente di tipo socio-psicologico e scarsamente legato a interventi di riconoscimento dei diritti delle vittime, comunque sempre con scarsissimo allineamento alle politiche europee, tanto che le Direttive UE sono sufficiente metabolizzate solo da pochi operatori. Se il riconoscimento dei diritti della vittima è comunque un bisogno sociale oltre che individuale (e quindi del cittadino come persona) non bisogna dimenticare che la vittima, dopo aver vissuto il trauma di una lesione fisica, psicologica, economica ma anche morale determinata dal reato, ha la necessità di ridefinire la propria identità, di ricostruire il sé ferito, cancellare la disperazione, la vergogna e la colpa. La prima risposta sociale è stata quella dell’aiuto, con la creazione di centri e associazioni, che hanno fornito già dalla fine del secolo scorso, risposte anche concrete di protezione.

La realtà che si è andata determinando però ha visto la creazione di una moltitudine di centri non in rete tra loro, incidenti spesso con target e obiettivi simili sugli stessi territori, con progetti che si vanno sovrapponendo, in un’ottica di non razionalizzazione della spesa, a causa dell’assenza di politiche sociali che rendessero omogenee ed integrate sul territorio le varie iniziative. Ma vi sono anche differenziazioni rispetto ai vari territori italiani che si diversificano in base all’incidenza del tipo di criminalità e del contesto socio-culturale che li caratterizza, tanto che al nord la risposta è soprattutto offerta alle donne vittime di violenza mentre al sud è rivolta soprattutto alle vittime della criminalità organizzata; al nord e al centro i centri, soprattutto del privato sociale, sono numerosi, al sud, la loro incidenza è minore.

Dare l’opportunità di riflettere sui processi determinanti la vittimizzazione e sui percorsi di prevenzione, cura e sostegno delle vittime significa restituire centralità alla persona e al cittadino, significa cambiare la cultura dell’intervento e sviluppare politiche sociali non settoriali ma umanamente proattive di una reale cultura di benessere sociale.

In questa prospettiva, essenziale diviene per la vittima l’essere riconosciuti in tale condizione di difficoltà anche da parte della collettività e delle sue istituzioni. La dimensione inclusiva non può prescindere dalla partecipazione del soggetto al processo di integrazione sociale, che può essere favorito solo attraverso la costruzione di reti primarie e secondarie attive, attraverso il rinnovo di una relazionalità sana e attraverso

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processi di aiuto professionali in cui accoglienza e ascolto siano comune denominatore.

Lo sforzo di questi anni, compiuto nella consapevolezza che ricerca e formazione siano strumenti di cambiamento, ci ha portati a sostenere processi di conoscenza relativi alle teorie vittimologiche, alle vittime e al rispetto dei loro diritti, alla loro cura e sostegno, allo scambio delle buone prassi per l’attivazione di un supporto di rete virtuoso e efficace.

Ne abbiamo costruito, in maniera partecipata attraverso la formazione degli operatori del pubblico, del privato sociale e delle forze di polizia, un’esperienza complessa in favore delle vittime, che racchiudiamo in questo prodotto teorico-operativo, narrazione di un’analisi articolata di natura prettamente vittimologica, che pone al centro lo “sguardo”

della vittima di reato e promuove i CSV.

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1.1. Vittimologia e vittime di Cristina Galavotti

Nel dibattito criminologico del nostro tempo molte sono le teorie, e gli approcci sociologici, medici o psicologici, che hanno descritto e cercano di dare una spiegazione e una valenza scientifica all’agito criminale dell’uomo e di capire le cause che ne hanno determinato l’atto violento. Molto è cambiato grazie all’apporto della vittimologia, disciplina che nasce alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, come branca della criminologia, che oggi ha ottenuto autonomia teorica, e lo studio, a fini preventivi, di cura e riabilitazione, delle vittime di reato. La vittimologia è infatti la disciplina che studia l’agito violento dalla prospettiva della vittima, tenendo conto anche della personalità del carnefice, della relazione che intercorre tra questi due soggetti, del loro ambiente e del contesto in cui l’evento delittuoso avviene. Ma è anche lo studio delle interazioni tra vittima, aggressore, sistemi di giustizia penale, mass media, agenzie di controllo sociale e di aiuto, con lo scopo di prevenire e ridurre i processi di vittimizzazione primari, cioè causati direttamente dal reato, e secondari, determinanti e identificativi dei danni a breve, medio e lungo termine, causati da volontarie o involontarie deficienze dei sistemi giudiziari o dell’assistenza.

La vittima di reato è la persona che ha subito un danno fisico, psicologico, morale, economico, a causa di un agito violento, espressione di distruttività, di incapacità comunicativa, di perdita di significatività dell’altro, in violazione di una norma penale. È una persona che necessita di un supporto specifico ed appropriato per riuscire ad affrontare e, dove possibile, superare le conseguenze del trauma subito. Da un punto di vista normativo la prima definizione di vittima è contenuta nella Risoluzione ONU n.

40/34 del 29/11/85, che definisce le vittime: “persone che individualmente, o collettivamente, hanno sofferto una lesione, incluso un danno fisico o mentale, sofferenza emotiva, perdita economica o una sostanziale compressione o lesione dei loro diritti fondamentali attraverso atti od omissioni che siano in violazione delle leggi penali operanti all’interno degli Stati membri, comprese le leggi che proibiscono l’abuso di potere criminale”.

Ci si riferisce quindi non solo al singolo che ha subito un reato ma anche al gruppo collettivo6 unito da legami culturali, religiosi, economici, e a soggetti che vedono una contrazione dei loro diritti o che subiscono danni a causa di sopraffazioni criminali.

L’accento sulla lesione non solo fisica, quindi clinicamente certificabile, ma anche

6 Vittime collettive furono gli Ebrei durante l’Olocausto

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psicologica, morale ed economica, pone l’attenzione sul concetto di benessere7 della persona umana e del rispetto dei suoi diritti. Un benessere che deve essere raggiunto per il singolo e per la collettività non trascurando correlazioni tra gli obiettivi di salute e congiunzioni nella programmazione con l’ambiente, la condizione abitativa ed economica, il lavoro, la cultura e l’istruzione. La vittima quindi come soggetto non è più riconosciuta solo se portatrice di danni clinici (sanitari) determinati dal reato, ma anche se ha subito violenza psicologica, morale, economica o una contrazione dei propri diritti a causa di soprusi criminali. Un’impostazione questa che dovrebbe stravolgere le politiche sociali e che dovrebbe essere, come per la programmazione integrata socio- sanitaria, alla base delle politiche di sostegno e aiuto alle vittime.

L’assenza di una normativa nazionale di tutela delle vittime di reato, indipendentemente dal tipo di crimine che le ha colpite (e dalla sua definizione giuridica), dalla natura del danno e degli esisti, dalla criminogenesi e criminodinamica del fatto reato, dalle caratteristiche della vittima (età, sesso, religione, razza, orientamento sessuale, ecc.), non rende esigibili i fondamentali diritti di cittadinanza di cura, assistenza e risarcimento che sono riconosciuti dalla nostra Costituzione e dalle diverse norme emanate in favore di categorie specifiche di vittime, come le vittime di mafia, del terrorismo, dell’usura. Nuove norme, come la L.119/138 o la L.67/149, propongono, anche se ancora parzialmente, una centralità delle “vittime”, indicando come il legislatore stia rivalutando il suo ruolo nel sistema giudiziale, penale e dell’assistenza. Ma questo non basta. Ancora oggi, nel nostro tempo, il sistema culturale reocentrico è l’unico sistema di riferimento, basti pensare a come la vittima sia dimenticata nei nostri codici, e non sia soggetto di diritto, o come il nostro sistema giudiziario e dell’esecuzione penale trascuri nei percorsi di responsabilizzazione e reinserimento dei detenuti la sua figura.

Questa impostazione ha determinato spesso la convinzione che per prevenire i processi di vittimizzazione bastasse studiare il carnefice e capire le cause che ne hanno determinato il suo atto violento. È necessario modificare la cultura di un sistema reocentrico, nel quale ancora la vittima è indicata solo come persona offesa nel nostro codice penale e di procedura penale e non soggetto di diritto, trasformando l’ottica di

7 Un approccio ribadito con forza dall’ONU nella Carta di Ottawa del 1986, contente i “determinanti di salute”, indicatori necessari alla programmazione territoriale, che promuove come necessario un approccio globale alla salute, espressione del benessere come condizione psico- socio-relazionale della persona e non più solo come condizione sanitaria.

8 L. 15 ottobre 2013, n. 119” Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n.93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché' in tema di protezione civile e di commissariamento delle province. (13G00163) (GU n.242 del 15-10-2013)

9 L. 28 aprile 2014, n. 67 “Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”. (14G00070) (GU n.100 del 2-5-2014)

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intervento, data dalla sola relazione tra Stato e reo, in un sistema relazionale che veda come attori lo Stato, il carnefice e la vittima. Devono essere forniti e garantiti alle vittime strumenti legali gratuiti, legittimandole così ad agire con ruolo riconosciuto nel procedimento penale ed essere informate sull’andamento delle indagini e del procedimento a carico del carnefice, devono essere forniti al sistema di giustizia strumenti per la riparazione del danno e del risarcimento, riconosciuto un ruolo alla vittima nel procedimento penale, formati gli operatori del sistema giustizia e del sistema dell’assistenza alla “care” della vittima, promossa l’integrazione tra le risorse del sistema dell’assistenza del pubblico e del privato sociale valorizzando il volontariato, riconosciuto lo status di vittima per facilitarne l’accesso ai servizi e al risarcimento.

Vi sono ancora vittime non tutelate, la cui voce e il cui riconoscimento, soprattutto in termini di diritti non è ascoltata, affermata. Sono i cittadini per cui tali diritti, se non riconosciuti, non sono esigibili. Abbiamo ancora una cultura lontana dal riconoscimento della vittimizzazione come danno sociale, che determina di fatto costi altissimi. Basti pensare a come la normativa principale di riordino delle politiche sociali, la 328/0010, ponga all’art. 22, alcune priorità di assistenza trascurando, tra le categorie di cittadini considerati con maggiori necessità e i servizi erogabili, i processi di vittimizzazione. Ci si deve chiedere quando per una vittima essere sostenuta, orientata, protetta, curata, diventi un diritto esigibile.

È necessario quindi ripartire nella nostra analisi dai diritti di cittadinanza e in essi includere i diritti delle vittime, sanciti universalmente per la prima volta dall’ONU nel 198511, come il diritto a ricevere giustizia, il diritto al risarcimento e alla restituzione dal carnefice o dallo Stato nel caso egli non possa provvedere, il diritto di poter esprimere il proprio parere e di avere un ruolo nel procedimento penale. In Europa è stata di fondamentale importanza la Decisione Quadro 2001/220/GAI, la cui indicazione per gli Stati Membri di affermare il riconoscimento dei diritti delle vittime entro il 2006 non è stata però implementata completamente. La Direttiva del 25 ottobre 2012, n. 29 n.

2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la precedente decisione quadro del 2001, al punto 9 afferma che “un reato è non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime. Come tali, le vittime di reato dovrebbero essere riconosciute e trattate in maniera rispettosa, sensibile e professionale, senza discriminazioni di sorta fondate su motivi quali razza, colore della

10 L. 328/00 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali" (G.U.

e n. 265 del 13 novembre 2000 - Supplemento ordinario n. 186).

11 Dichiarazione dei principi base della giustizia per le Vittime di Crimini e abusi di potere, votata con la Risoluzione 40/34 del 29 novembre 1985 dall’Assemblea Generale ONU

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pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza a una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità, età, genere, espressione di genere, identità di genere, orientamento sessuale, status in materia di soggiorno o salute. In tutti i contatti con un'autorità competente operante nell'ambito di un procedimento penale e con qualsiasi servizio che entri in contatto con le vittime, quali i servizi di assistenza alle vittime o di giustizia riparativa, si dovrebbe tenere conto della situazione personale delle vittime e delle loro necessità immediate, dell'età, del genere, di eventuali disabilità e della maturità delle vittime di reato, rispettandone pienamente l'integrità fisica, psichica e morale. Le vittime di reato dovrebbero essere protette dalla vittimizzazione secondaria e ripetuta, dall'intimidazione e dalle ritorsioni, dovrebbero ricevere adeguata assistenza per facilitarne il recupero e dovrebbe essere garantito loro un adeguato accesso alla giustizia”.

Questa Direttiva, che gli Stati Membri devono recepire entro il 2015, stabilisce di fatto norme minime di tutela dei diritti delle vittime che possono essere ampliate per assicurare un livello di protezione più elevato. Il supporto alle vittime deve includere l’assistenza (anche legale) prima, durante e dopo il procedimento penale, e il supporto emotivo, psicologico e sociale (anche in relazione a questioni giuridiche, finanziarie e pratiche) per superare i danni e il trauma, laddove possibile, della vittimizzazione primaria e ridurre i rischi della vittimizzazione secondaria.

Lo status di vittima deve essere riconosciuto, per la Direttiva, indipendentemente dalla denuncia alle Forze di Polizia, e quindi l’esercizio dei diritti protetto dalla possibilità di rivolgersi comunque ai centri di supporto alle vittime, diritto che viene esteso ai familiari di coloro che sono deceduti a causa di un reato.

In attesa di una legge quadro che tuteli i diritti di tutte le vittime di reato e orienti le diversificate ed eterogenee realtà del sistema dell’assistenza, appare sempre più necessario ripartire dal territorio come unità di analisi, contenitore di risorse da mettere in rete, promotore di politiche locali efficaci ed appropriate, sostenendo la gratuità e l’esigibilità delle prestazioni di assistenza, la trasparenza dei finanziamenti, facilitando l’accesso ai servizi pubblici e del privato sociale, favorendo l’integrazione di questi ultimi e individuando strumenti di intervento e valutazione dei servizi scientificamente riconosciuti, promuovendo politiche locali e nazionali di tutela.

Lo studio dei processi di vittimizzazione, che creano dolore e patimento spesso limitativi dell’autonomia personale e delle competenze partecipative e di sviluppo sociale, che creano danni e costi sociali altissimi, necessita di un approccio articolato, multiprofessionale ma anche di livello di intervento differenziato, che richiede osservazioni multidisciplinari per comprendere i fenomeni di vittimizzazione in maniera proattiva sia nella prevenzione che nella diagnosi funzionale e trattamentale.

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I danni che lamentano le vittime sono espressione di bisogni complessi, che non possono essere sottovalutati in termini di politiche sociali. Lo “sguardo”, per fornire risposte efficaci, efficienti ed appropriate, in un’ottica di benessere individuale e collettivo, deve essere allargato ad un orizzonte territoriale che coinvolga tutti i servizi preposti alla prevenzione, alla cura e all’accoglienza delle persone più bisognose. Sono infatti più a rischio di vittimizzazione i cittadini più “deboli” come i minori, gli anziani, le donne, i disabili fisici o psichici e coloro che vivono in marginalità. Sono le vittime fragili.

Scheda di approfondimento teorico (a cura di Cristina Galavotti)

Criminologia La criminologia è lo studio scientifico del fenomeno della criminalità, del delinquente e del comportamento criminale. Più in particolare i criminologi studiano la natura e la dimensione del crimine, i tipi di criminalità e cercano di individuare e spiegare le cause del reato, del comportamento antisociale, e la connessa relazione sociale (Marotta, 2004).

Vittimologia La vittimologia è la disciplina che studia il comportamento violento dalla prospettiva della vittima, ma che non trascura l’autore di reato e il contesto in cui il delitto avviene quando quest’ultimo è l’espressione di una costruzione più o meno consapevole, ma non casuale, tra la vittima e il suo carnefice.

Include inoltre lo studio delle reciproche, possibili interazioni tra vittima, aggressore, sistemi di giustizia penale, delle comunicazioni di massa e delle agenzie di controllo sociale e di aiuto, al fine di giungere ad una comprensione dei protagonisti del reato, a scopo terapeutico, preventivo e riparativo (Giannini, Nardi 2011).

Vittime primarie Sono quelle che subiscono il trauma in maniera diretta e presentano i sintomi specifici dello stato di stress acuto o post-traumatico.

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Vittime secondarie Sono tutti coloro che appartengono all’ambiente della vittima primaria: familiari, amici, ecc., che entrano in contatto con quest’ultima in condizioni eccezionali, possono vivere una traumatizzazione indiretta che provocherà dei disturbi specifici di stress traumatico secondario.

Vittime collettive La “vittima collettiva” è una vittima reale, materialmente colpita da un danno altrettanto reale, solo che la lesione all’integrità fisica, psicologica, patrimoniale, è inflitta e colpisce un gruppo sociale indiscriminato, oppure specifiche persone selezionate in base all’appartenenza ad una categoria (Bandini e al.

2004).

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1.2. La vittimizzazione di Cristina Galavotti

Le dimensioni dei processi di vittimizzazione sono complesse. Provengono da elementi criminogenetici e criminodinamici compositi, espressioni di bisogni e patologie spesso non chiari e non evidenti. L’assunto di base, che sposta l’asse di osservazione, è che, in massima parte, in quasi tutte le fattispecie di fatto-reato, esiste una relazione tra carnefice e vittima. Su questo processo relazionale, spesso caratterizzato da un’escalation aggressiva, corre una comunicazione distorta, morbosa. Che la violenza sia premeditata, intenzionale, pianificata o che sia spontanea e improvvisa, ha inoltre sempre una dimensione sociale, perché ogni episodio che coinvolge la vittima non può essere isolato dal contesto di vita e valoriale nel quale avviene, assumendo così significato diverso a seconda del tempo e dello spazio in cui accade. Né può essere dimenticata la sua dimensione simbolica perché ognuno di noi, in qualsiasi momento e circostanza, indipendentemente dal ruolo, dall’età, dal sesso e dalla condizione economica e sociale può diventare vittima. È la natura della relazione che lega la vittima al suo carnefice e la valenza del trauma che subisce che fa la differenza.

Per questo è necessario sostenere processi di orientamento, sostegno e cura individualizzati: ogni situazione che vede oggetto di violenza “quella” vittima è unica.

Entrano in gioco, oltre alla dimensione relazionale della violenza, la portata del danno (fisico, psicologico, economico o sociale) e la sua valenza (come danno primario derivante direttamente dal reato o secondario determinato dalle conseguenze di quanto subito) e le caratteristiche della vittima (il carnefice spesso non è osservabile soprattutto nell’immediatezza dei fatti) che sono biofisiologiche (età, la razza, il sesso), psicologiche (tratti di personalità) e/o sociali (professione, status, condizioni di vita, situazione economica). Queste caratteristiche possono predisporre certi individui piuttosto che altri a divenire vittime di determinati reati, ma anche incidere sul fatto che le stesse possano svolgere, nella dinamica dei reati, un ruolo (mai letto e ritenuto con valenza di colpa) che può assumere connotazione attiva o passiva. Esistono diverse situazioni in cui la vittima, nella dinamica relazionale con il suo carnefice, assume un ruolo, un comportamento, e agisce anch’essa una comunicazione patologica, tanto da essere ritenuta da molti Autori non esente da responsabilità rispetto al crimine subito, ispirando il crimine, scatenandolo o facendolo precipitare.

Tale impostazione ha determinato ulteriori analisi e classificazioni in letteratura relative a varie tipologie di vittime, utili soprattutto nella criminogenetica e criminodinamica del crimine ma che non dovrebbero mai essere elemento deresponsabilizzante rispetto al carnefice né colpevolizzante rispetto alla vittima. Il loro

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uso interpretativo dovrebbe avere la finalità di una migliore comprensione delle dinamiche delittuose e vittimizzanti in un’ottica di diagnosi, cura e prevenzione delle parti. La lettura dell’evento critico, che deve sempre essere oggettivabile, dovrà comunque anche tener conto delle caratteristiche bio-socio-psicologiche dell’aggressore, del suo movente, dei mezzi usati e della scena del crimine.

Se da un lato intervenire sulla vittimizzazione primaria, diretta conseguenza dell’agito violento, significa per gli operatori agire a sostegno di conseguenze che hanno anche una valenza legata alla soggettività e all’individualità della situazione della vittima, è compito non solo degli operatori, ma anche dei cittadini, degli studiosi e del legislatore intervenire sui processi di vittimizzazione secondaria.

Quest’ultima, volontaria o involontaria che sia, è infatti caratterizzata dai diversi tipi di reazione a cui la persona oggetto di aggressioni, molestie o violenze variamente orientate va incontro. Ha radici infatti nei sistemi giuridico, clinico, e dell’assistenza ed è legata al non riconoscimento della dignità della persona, all’incapacità di “care”, all’inefficienza della rete territoriale e delle risposte, ai continui rinvii non solo processuali, all’incapacità e alla scarsa cultura professionale, e al biasimo, elemento che rede labile il confine tra chi è il carnefice e chi è la vittima. Vi è inoltre la reale possibilità che la vittima subisca una vittimizzazione ripetuta o una vittimizzazione multipla, cui i servizi devono rispondere con azioni concrete di tutela e sostegno.

Le risposte della vittima al trauma subito, spesso associate al disturbo post traumatico da stress, possono essere diverse e dipendono non solo dal tipo di reato, dalla qualità e della quantità degli eventi traumatici, ma da numerose variabili la cui natura è legata alle caratteristiche personologiche proprie della vittima, dalle sue risorse e competenze, dal suo ambiente di vita, dalla capacità di formulare una richiesta di aiuto e dall’appropriatezza delle risposte. Sono fattori di protezione personale, che rendono maggiormente possibile un superamento del trauma, la capacità di coping, le competenze sociali, relazionali, culturali, ma anche la famiglia e il contesto extrafamiliare se associato a successi e buona dimensione relazionale.

Allo stesso modo la severità e la durata dei sintomi post- traumatici da stress dovuti alla vittimizzazione possono essere acuiti dal tipo di violenza, dalla sua gravità, dall’intensità dell’aggressione e dalla sua cronicità se reiterato nel tempo, dalle emozioni della vittima durante l’evento traumatico. Per determinare processi di aiuto significativi al superamento della vittimizzazione sarà necessario inoltre non sottovalutare alcune variabili presenti prima dell’evento traumatico, in grado di amplificare il potere devastante del trauma che rappresentano elementi di rischio o di vulnerabilità come fattori stressanti, la depressione, altri traumi o tratti personologici e caratteriali, e le variabili che aggravano mantenendolo il clinico come le sequele fisiche, il giudizio della società,

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l’impatto che il trauma ha avuto sulla vita relazionale e lavorativa del soggetto, le ripercussioni familiari.

Scheda di approfondimento teorico (a cura di Cristina Galavotti)

Forme di aggressività Aggressività predatoria: È quella pianificata ed agita senza coinvolgimento delle emozioni. Non vi è consapevolezza che l’azione sia volta a realizzare uno scopo ma a soddisfare un bisogno interiore. Gli atti aggressivi tendono ad essere regolati, controllati e pianificati: presentano una mancanza di affettività e normalmente sono diretti verso persone estranee a chi li compie.

Aggressività strumentale: Viene consapevolmente agita da soggetti che intendono raggiungere un obiettivo, senza voler necessariamente nuocere a qualcuno che suo malgrado diviene vittima (rapina). È determinata da propositi tattici per ottenere un obiettivo/beneficio attraverso un’analisi cosciente e calcolata. Non necessariamente la vittima è conosciuta.

Aggressività affettiva: È istintiva, reattiva, e difensiva. In caso di vendetta invece può essere pianificata. Può essere agita durante un discontrollo episodico (DSM IV

“Intermitted explosive disorder”). Spesso è una reazione ad una minaccia, reale o presunta, che si accompagna a rabbia e paura. Lo scopo è provocare un danno alla vittima attraverso agiti non pianificati né calcolati (inclinazione innata). Altro grado di coinvolgimento affettivo da parte di chi compie gli agiti violenti (Gulotta, Merzagora, Betson 2005).

Escalation aggressiva Spesso tra violenza e sofferenza il legame non è lineare ma a spirale: l’escalation aggressiva si ha quando lo sguardo tra aggressore e vittima è distonico e la relazione disfunzionale.

Danno Primario: conseguente direttamente dal reato.

Secondario: deriva dalla risposta formale o informale alla vittimizzazione e incide non direttamente immediatamente sullo stile di vita del soggetto.

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Clinico: certificato da referto medico sono le lesioni e le sequele fisiche.

Psicologico: certificato da perizia psichiatrica o psicologica è la compromissione, anche in assenza di lesioni o malattie organiche, obiettiva e durevole dell'equilibrio psicologico, del comportamento e delle capacità di adattamento alla realtà, che compromette quindi le capacità, le potenzialità e più in generale la qualità di vita del soggetto.

Economico: furto o danno alla proprietà.

Morale: è il turbamento dello stato d’animo che crea sofferenza psichica (Nivoli 2010).

Caratteristiche della vittima

Biopsicologiche: (età, sesso, razza, stato fisico).

Sociali: (occupazione, condizioni economiche e finanziarie, condizioni di vita).

Psicologiche: (deviazioni sessuali, desiderio di appagare il bisogno sessuale, negligenza e imprudenza, estrema confidenza e fiducia, tratti del carattere) (Nivoli 2010).

Ruolo della vittima Vittima passiva: sono quelle vittime nelle quali non è ravvisabile alcun atteggiamento psicologico o alcun comportamento che abbia in qualche modo giocato nella criminogenesi o che abbia indotto l’autore a scegliere specificatamente quella vittima. All’interno di questa categoria si possono distinguere: vittime accidentali, cioè quelle che diventano tali per puro caso e che, senza alcuna loro partecipazione, si sono venute a trovare sul cammino del delinquente; vittima preferenziale, seppur sempre passiva, quando il delinquente la sceglie per il suo ruolo, per la posizione economica e per altre circostanze oggettive favorenti quel delitto: vittime simboliche quando si vuole colpire in un individuo tutto un gruppo, una categoria, un’ideologia; vittime trasversali quelle vittime colpite perché il reale bersaglio non è raggiungibile.

Vittima attiva: quando la vittima mantiene un legame ambivalente con il molestatore, ricco di sottintesi, di non detto e non espresso, di rifiuto verbale ma non emotivo del

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legame che si intende recidere (vittima provocatrice, induttrice, favorente, consenziente).

La futura vittima, attraverso manifestazioni verbali e non verbali, può colludere con il futuro aggressore, agevolando la sua intrusione nella propria vita, e rinforzandone fraintendimenti, illusioni di potere, fantasie rivendicative.

(Nivoli 2010).

Vittimizzazione primaria

Diretta conseguenza dell’azione vittimizzante. Determina cambiamenti nello stile di vita, riduzione attività sociali, cambi di residenza, disturbi del sonno e dell’alimentazione ecc.

Vittimizzazione secondaria

Legata ai diversi tipi di reazione a cui la persona oggetto di molestie, di aggressioni o di violenze variamente orientate va incontro. Inoltre si ha attraverso processi di vittimizzazione processuale, giudiziaria, peritale, assistenziale.

Vittimizzazione ripetuta

Rivittimizzazione: la stessa persona che è stata vittima ridiventa tale dopo tempo in un evento uguale o simile al primo ma anche di un evento diverso (revictimization) (Nivoli 2010).

Vittimizzazione multipla

La stessa persona è vittima di più di un reato nel corso di un dato periodo di tempo.

Disturbo post

traumatico da stress DPTS (DSM I-V)

Sintomi dissociativi, amnesia, depersonalizzazione, evitamento, stordimento, senso di distacco, minore consapevolezza dell’ambiente circostante, ricordi intrusivi, allucinazioni, flash back, pensieri ossessivi, sogni/incubi, ansia, difficoltà ad addormentarsi, difficoltà di concentrazione, irrequietezza motoria, ipervigilanza, trasalimenti improvvisi

Strategie di coping Le strategie di coping sono quelle organizzazioni mentali con cui l’individuo fa fronte alle situazioni problematiche, potenzialmente stressanti, che consistono nel progettare, pianificare le soluzioni delle problematicità. Sono l’insieme delle cognizioni e dei comportamenti diretti alla gestione del problema e delle emozioni negative, si modificano inoltre in base alle esigenze del soggetto e alle domande poste dall’ambiente.

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2. Dalla teoria alla prassi: le reti e il supporto alle vittime di Cristina Galavotti e Gerardo Pastore

L’idea di costruire, potenziare, sviluppare reti per attivare virtuosi processi di supporto alle vittime di reato e in particolar modo alle “vittime fragili” ha rappresentato il filo conduttore del percorso “VIctim Supporting Project: a NETWORK to support and aid crime victims” (VIS Network).

Se il territorio zonale, così come disposto dalla 328/00, è l’unità amministrativa per l’erogazione dei servizi sulla base di sistemi di co-programmazione e co- progettazione partecipata tra pubblico e terzo settore, la rete, cioè l’insieme degli attori ed i legami attraverso cui avviene lo scambio di informazioni e risorse, è ciò che rende vive, fattive e proattive le politiche sociali in favore della cittadinanza. Su un territorio esistono un’infinità di reti, di natura e struttura o complessità diverse, che descrivono i vari fenomeni sociali e restituiscono diverse configurazioni sociali. Valorizzare le reti significa considerarle un luogo concettuale e operativo strategico per cogliere con maggiore adeguatezza gli attuali processi di esclusione e di precarizzazione di sempre più ampie fasce di popolazione e, dunque, intervenire con maggiore efficacia per ri-orientare quei processi mediante prassi coerenti con gli esiti conoscitivi (Salvini 2012).

L’approccio della Social Network Analysis (SNA) permette di leggere le molteplici reti e di dare loro una valenza in termini di attivazione di nuove prospettive, di riformulazione o incentivazione, ponendo delle stesse in evidenza punti di forza e punti di debolezza, laddove i legami tra gli attori (i nodi della rete) siano più consolidati o più fragili.

Da un punto di vista strettamente criminologico la SNA non è stata molto usata se non in termini di lettura dei fenomeni criminali all’interno di determinate aree geografiche con un’assimilazione più vicina al Crime Mapping e funzionale forse ad aspetti di politica preventiva.

Da una prospettiva di tipo vittimologico, invece, lo studio delle reti diventa fondamentale: la rete come supporto, la rete come strumento di prevenzione, la rete come presa in carico funzionale contro i fenomeni di vittimizzazione. Del resto, le reti possono essere considerate come “entità relazionali che veicolano risorse, anzi, sono esse stesse risorse, e il loro incremento qualitativo e quantitativo produce il rafforzamento della capacità degli individui di fronteggiare le avversità sociali” (Salvini 2012: 22). Di riflesso la SNA, in questo ambito, può essere un valido strumento per compiere individuare con maggiore consapevolezza conoscitiva e critica “le aree in cui le gerarchie relazionali formali e informali, le dinamiche di segregazione interna alle reti, e i colli di bottiglia generati dai vuoti strutturali agiscano come riproduttori di ingiustizia sociale, di diseguaglianza e di esclusione” (Salvini 2012: 94).

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Alcune riflessioni devono essere fatte sulla realtà che caratterizza il “sistema di aiuto” alla vittima. Le realtà territoriali infatti sono contraddistinte spesso da una produzione di “protocolli” tra gli enti che agiscono sul livello di integrazione istituzionale, e quindi sulla programmazione delle politiche sociali, che coinvolgono secondo un’ottica di sussidiarietà orizzontale pubblico e terzo settore, attraverso la rilevazione dei bisogni specifici e la condivisione di obiettivi generali. I protocolli sono

“dichiarazioni d’intenti” che non sempre hanno una temporalità, come avviene per i progetti, e spesso ne vengono prodotti numerosi a seconda dei capofila che ne diventano promotori, con gli stessi attori a farne parte. Sono un insieme di norme che regolano un sistema (cristallizzando una volontà istituzionale) e che formalizzano di fatto i legami di una rete informale. Possono essere considerate “fotografie” importantissime di reti istituzionali che esprimono una volontà politica di intervento, evidenziano un fenomeno sociale e propongono azioni generali di contrasto ai fenomeni di vittimizzazione attraverso l’espressione di nuovi sistemi di rete capaci di coinvolgere gli attori del territorio su cui incidono. La formalizzazione di un protocollo viene pensata spesso come un punto di arrivo ma dovrebbe essere in realtà un punto di partenza, di promozione di una rete che deve essere mobile, fluida, con un movimento di crescita di relazioni. I protocolli quindi dovrebbero prevedere la possibilità di nuove adesioni, contenere nuove proposte, prevedere nuovi scenari. Dentro questi documenti, modificabili al variare dei bisogni espressi dal territorio, andrebbero veicolati “significati” condivisi, proattivi, non standardizzati.

L’esame dei protocolli, che spesso gli operatori che agiscono su quel sistema non conoscono approfonditamente, permette di avere una visione importante della realtà territoriale. Troppo spesso però si rileva come tali intenti trovino la “morte”, rimanendo documenti storici, perché le reti che vi sottendono non vengono rinnovate, né le buone prassi vengono condivise, né le informazioni o le risorse su quei legami istituzionali vengono veicolate. Così rimangono cornici vuote e la loro funzione perde di significato.

Una significatività che deve essere riacquisita in un processo costante, in divenire, di cui tutti i cittadini in maniera partecipata devono essere attori.

Parlare di vittimizzazione significa farsi carico dell’altro in una “care” funzionale e partecipata a livello operativo ma questo non basta. Sono necessarie scelte di programmazione delle politiche di aiuto alle vittime fragili che coinvolgano fattivamente anche il livello istituzionale e quello gestionale, perché la partecipazione deve riguardare sia la programmazione che la progettazione delle risorse, realizzabile solo se la rete è viva, attiva, se i suoi nodi, gli attori del processo, sono parte di una costante evoluzione valutativa. Leggere insieme i bisogni delle vittime, contestualizzarli rispetto al territorio e alle dinamiche criminologiche (livello e tipologia) significa individuare risorse

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