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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

INTRODUZIONE ALLA BIOROBOTICA

1.1 L’evoluzione della robotica

La moderna robotica è nata e si è evoluta in anni recenti principalmente per fornire risposte sempre più adeguate al bisogno, da sempre avvertito dall’uomo, di disporre di macchine utili che lo aiutassero ad alleviare le fatiche ed i rischi del lavoro fisico [1].

Intorno agli anni Settanta al termine “robot” venne associata la definizione di “manipolatore riprogrammabile, multifunzionale, progettato per spostare materiali, componenti o altri attrezzi specifici per lo svolgimento di un compito con azioni programmate” (Robotics Industry Association). Ciò riflette quello che storicamente era la robotica in quegli anni, cioè soprattutto robotica industriale, con particolare riferimento all’industria manifatturiera. La robotica si è quindi sviluppata principalmente nel campo dell’automazione industriale, nel quale ha tuttora una forte linea di sviluppo e di progresso molto avanzati.

Il successo e il progresso tecnologico conseguiti in campo industriale hanno incoraggiato lo sviluppo di robot da utilizzare anche al di fuori della fabbrica, cioè i cosiddetti robot di servizio. È così nata l’area della robotica per applicazioni in ambienti ostili all’uomo, come lo spazio, gli ambienti sottomarini, o in compiti a rischio elevato come nel caso di robot artificieri o di robot utilizzati in operazioni di soccorso. Tra le applicazioni della robotica di servizio sono di grande e sempre maggiore rilevanza quelle biomediche, nell’ambito delle quali vengono studiati e sviluppati vari tipi di robot per la chirurgia, per la riabilitazione e per l’assistenza di persone disabili e anziane.

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Il progresso tecnologico e l’avvento della microelettronica hanno portato alla realizzazione di macchine robotiche sempre più avanzate, che integrano armonicamente strutture e meccanismi, attuatori, sensori, elettronica di processo e di controllo, sorgente d’energia e interfaccia persona-macchina. Questo ha determinato la nascita di un nuovo paradigma di progettazione, di costruzione e di controllo delle macchine: quello della meccatronica.

La definizione di robot stessa quindi si è evoluta nel corso degli anni e, ad oggi, la definizione che meglio riflette la situazione attuale è probabilmente la seguente: un robot è una macchina meccatronica in grado di generare e controllare movimenti e forze. Secondo questa moderna concezione quindi un robot è una macchina che “percepisce, pensa e agisce”, inserita nel mondo reale, con il quale interagisce. Un robot possiede un corpo dotato di massa, soggetto a tutte le leggi fisiche che regolano il mondo circostante, e grazie all’elettronica integrata è dotato di un certo grado di “intelligenza” che gli consente di svolgere alcuni task in modo autonomo [2]. L’analogia fra un robot definito in questo modo e un sistema biologico è evidente: entrambi sono dotati di un sistema di locomozione, sensori ed attuatori, richiedono un sistema di controllo, interagiscono con l’ambiente. I sistemi viventi inoltre sono la dimostrazione che molte funzioni complesse, come ad esempio la locomozione, la visione o la manipolazione, che i ricercatori in robotica sognano di vedere attuate, possono davvero essere realizzate. I sistemi biologici quindi non sono più soltanto i principali destinatari dei servizi dei sistemi robotici ma possono anche diventare un’importante fonte di ispirazione per componenti e comportamenti dei robot del futuro [3].

La profonda sinergia venuta a crearsi tra la robotica e gli organismi biologici ha portato alla nascita di una nuova disciplina: la biorobotica.

1.2 Definizione di biorobotica

La biorobotica è una nuova area scientifico-tecnologica che fonde robotica e bioingegneria; in particolare, è la scienza e la tecnologia della progettazione e della realizzazione di sistemi robotici di ispirazione biologica o di applicazione biomedica [1] (Figura 1.1).

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Figura 1.1 La biorobotica può essere definita come l’intersezione tra la biologia e la robotica.

Caratterizzata da profondi connotati interdisciplinari, la biorobotica allarga il proprio ambito culturale e applicativo verso numerosi settori dell’ingegneria, verso le scienze di base e applicate (in particolare la medicina, le neuroscienze, l’economia), verso le bio- e nanotecnologie, e anche verso le discipline umanistiche (la filosofia, la psicologia, l’etica).

La biorobotica può essere intesa e studiata in due diverse prospettive:

 “robotica biomimetica”, come scienza che serve a generare nuove scoperte e quindi nuova conoscenza, contribuendo così al progresso scientifico;

 “robotica bioispirata”, come ingegneria per inventare e generare nuova tecnologia.

In entrambi i casi, il robot non è più solamente una macchina utensile evoluta, ma un vero sistema biomeccatronico che viene progettato e costruito in base ad una conoscenza approfondita e a una modellazione ingegneristica del sistema biologico al quale si rifà o sul quale deve operare (Figura 1.2).

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Figura 1.2 Le diverse prospettive della biorobotica. Il modello del sistema biologico può servire o a

sviluppare un robot (il robot biomedico) che possa essere usato molto efficacemente per compiere azioni sul sistema biologico studiato, oppure per sviluppare un modello fisico molto realistico del sistema biologico studiato (il robot biomimetico) da usarsi come un sofisticato strumento scientifico per studiare e validare il modello stesso del sistema biologico.

L’obiettivo della biorobotica è quindi approfondire le conoscenze sul funzionamento dei sistemi biologici da un punto di vista ingegneristico e “biomeccatronico”, e utilizzare tali migliori conoscenze al fine di sviluppare metodologie e tecnologie innovative sia per la progettazione e la realizzazione di macchine e sistemi bioispirati (di dimensioni macro, micro e nano) caratterizzati da prestazioni avanzate (per esempio robot “animaloidi” e “umanoidi”), sia per sviluppare dispositivi, anche realizzabili industrialmente, per applicazioni biomediche, in particolare per chirurgia e terapia mini-invasiva o per riabilitazione.

1.3 La robotica biomimetica

Secondo la prospettiva biomimetica la biorobotica è concepita come una scienza che permette di indagare su fenomeni del mondo biologico il cui funzionamento risulta ancora sconosciuto.

Tradizionalmente il processo per lo studio di un determinato fenomeno consiste nella formulazione di un’ipotesi e la realizzazione di un modello matematico computazionale.

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Successivamente, si procede utilizzando tale modello per studiare il fenomeno, sviluppando simulazioni che permettano di validarlo.

Svolgendo una simulazione, è necessario non solo modellare il sistema biologico e in particolare il fenomeno che si vuole analizzare, ma anche modellare il mondo esterno e l’interazione del sistema biologico con il mondo stesso, tenendo conto del fatto che, ogni volta che si studia un modello, necessariamente in questo è insita un’approssimazione e, per tale motivo, s’introduce un errore. A partire da queste considerazioni, un altro approccio possibile e usato nella ricerca scientifica è quello di utilizzare, anziché un modello computazionale, un modello animale, in modo da svolgere direttamente su di esso l’esperimento necessario a validare le ipotesi di partenza sul sistema biologico che si deve studiare, ed evitare la simulazione e la modellazione del mondo e dell’interazione con il mondo, perché l’animale è in grado di interagire direttamente con il mondo reale.

Con la biorobotica, partendo dal medesimo presupposto, anziché utilizzare il modello animale si può pensare di utilizzare un modello robotico: quando si ha un fenomeno da spiegare, si formula un’ipotesi sulla base della quale si realizza un modello computazionale e successivamente si realizza il modello su un robot, che avrà opportune caratteristiche biomorfe, in modo da poter condurre esperimenti sul robot stesso. Confrontando le prestazioni e il comportamento del robot con quelli del sistema biologico originario, è possibile validare le ipotesi inizialmente fatte [1] (Figura 1.3).

Figura 1.3 La relazione bidirezionale tra robotica e sistemi biologici secondo l’approccio

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Tale approccio è definito cibernetico e propone l’unificazione dello studio degli organismi viventi e delle macchine; in particolare queste ultime divengono “modelli materiali” da utilizzare per testare ipotesi scientifiche, ovvero produrre scienza.

L’approccio cibernetico si basa su i seguenti presupposti:

 un modello materiale, quindi una macchina, permette di svolgere esperimenti in condizioni più favorevoli rispetto a quelli che si svolgerebbero con il sistema originario (biologico);

 il modello materiale permette di ottenere risultati che non potrebbero essere facilmente anticipati sulla base del solo modello formale;

 il modello materiale non è sempre “biomimetico”, dal momento che dovrebbe imitare la funzione o il comportamento naturale, e non necessariamente l’aspetto dell’organismo vivente di cui si studia il comportamento.

L’approccio è funzionale a tre percorsi [4] [5]:

1. corroborare o falsificare le ipotesi, valutando se il sistema robotico e quello biologico si comportano in modo identico o differente nelle stesse circostanze;

2. essere in grado di scegliere tra due ipotesi alternative, in funzione del comportamento robotico che meglio si avvicini a quello reale;

3. generare nuove ipotesi sulla struttura funzionale del sistema biologico.

Il termine cibernetica fu coniato nel 1947 dal matematico statunitense Norbert Wiener, derivandolo dal greco Kybernanan (“pilotare”). L’approccio cibernetico però è in realtà molto più antico: il tentativo di costruzione di umanoidi e automi infatti non è una novità del secolo scorso e l’aspirazione da parte dell’uomo di riuscire a replicare se stesso e la natura è da sempre presente nella storia dell’umanità. Ad esempio già nell’antica Grecia erano stati sviluppati meccanismi in grado di riprodurre automaticamente dei movimenti umani o che imitavano quelli di alcuni animali. Tuttavia fino agli inizi del 20° secolo era evidente la presenza di “colli di bottiglia” tecnologici: ad esempio il cavaliere meccanico di Leonardo da Vinci non era stato completamente realizzato dal suo autore proprio a causa delle limitazioni oggettive della tecnologia di allora.

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Ciò che si può ipotizzare oggi è che lo stato dell’arte della tecnologia robotica moderna, possa permetterci di applicare a pieno il nuovo paradigma della biorobotica, cioè della robotica usata per generare nuova conoscenza [1].

La rappresentazione più evidente di questa linea evolutiva è quella della robotica

umanoide, che può ad esempio contribuire alla comprensione dei meccanismi neuroscientifici

che presiedono alla coordinazione senso-motoria e alla sintesi dei comportamenti nell’uomo (neuro-robotica).

Tra gli insigni esempi in cui la robotica è stata utilizzata per validare modelli neuroscientifici su robot umanoidi si annovera il caso di Mitsuo Kawato e Gordon Cheng dell’Advanced Telecommunication Research Institute di Kyoto, in Giappone, presso il Department of Humanoid Robotics and Computational Neuroscience; in particolare l’ambito dello studio ha riguardato il controllo motorio, pervenendo a importanti risultati scientifici sul funzionamento di una parte del cervello dell’Uomo.

A dimostrazione della riconosciuta importanza del ruolo della robotica nella ricerca scientifica, una delle aree di ricerca del Brain Science Institute Riken di Tokyo è stata denominata Creating the brain e include un laboratorio di robotica, in cui si cerca di riprodurre il cervello allo scopo di studiarlo.

Anche al MIT (Massachusetts Institute of Technology), nell’ambito della ricerca sull’intelligenza artificiale, già qualche anno fa è stato proposto il concetto di embodiment: non è possibile sviluppare una intelligenza artificiale simile a quella umana senza un “corpo” fisico simile a quello dell’uomo. La robotica umanoide diviene quindi strumento per lo studio dell’intelligenza artificiale e umana [6].

È interessante anche il caso della Waseda University di Tokyo, dove gli umanoidi che sono stati sviluppati replicando, in maniera a volte anche molto dettagliata, l’anatomia, la morfologia e la neurofisiologia dell’uomo, possono essere utilizzati per studiare l’uomo stesso. È questo il caso del recente Wabian 2, un robot umanoide con una capacità di cammino bipede molto sofisticata e avanzata, che viene utilizzato per simulare la camminata degli anziani allo scopo di sviluppare i relativi dispositivi di ausilio [7] (Figura 1.4).

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Figura 1.4 Wabian come simulatore dell’uomo e strumento per la progettazione e la valutazione

quantitativa di dispositivi di supporto alla deambulazione.

Oltre alla robotica umanoide, una vasta branca della biorobotica si occupa della così detta

robotica animaloide. L’immensa vastità e varietà di organismi viventi che popolano il pianeta

rappresenta un’inesauribile fonte d’idee per i robotici, ad esempio per quanto riguarda lo studio dei meccanismi di locomozione. Gli esseri viventi infatti nuotano, volano, corrono, saltano, riescono a muoversi rapidamente nelle condizioni ambientali più ostili, grazie a sofisticati meccanismi che gli scienziati e i robotici aspirano a comprendere, per poterli riprodurre ed implementare su robot dalle prestazioni sorprendenti. Ad esempio è stato osservato che i piccoli artropodi sono in grado di muoversi a velocità elevata su terreni sconnessi mantenendo stabilità, e questa è una caratteristica essenziale per ottenere alte prestazioni nella locomozione terrestre. Studi condotti sugli scarafaggi hanno suggerito quindi i principi per progettare la famiglia degli Sprawl robots, robot esapodi veloci, stabili e capaci di correre [8] (Figura 1.5).

Figura 1.5 Studio analitico del meccanismo di locomozione degli scarafaggi per la realizzazione di

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Come ulteriore esempio può essere riportato quello del Professor Shigeo Hirose, del Tokyo Institute of Technology, che negli anni ’70 ha progettato un serpente robotico (Figura 1.6) partendo dall’analisi delle conoscenze disponibili in ambito biologico sul serpente e sulle sue modalità di locomozione senza gambe [9]. Successivamente, nella fase di realizzazione, è stato possibile verificare che tali conoscenze non erano né esaustive né del tutto esatte, poiché il robot costruito sulla base di queste conoscenze non era capace di compiere un movimento che fosse sufficientemente simile a quello dei serpenti esistenti in natura. Attraverso ulteriori ipotesi e le relative sperimentazioni è stato possibile comprendere quale fosse il reale meccanismo di locomozione dei serpenti e integrare in letteratura le conoscenze mancanti.

Figura 1.6 Il serpente robotico realizzato dal del Professor Shigeo Hirose, del Tokyo Institute of

Technology.

In biologia inoltre, lo studio d’animali relativamente semplici permette talvolta di acquisire conoscenze che si rivelano valide anche per animali più complessi. Ad esempio, lo studio del sistema nervoso della lampreda, che sebbene semplice ha caratteristiche simili rispetto al sistema nervoso dei vertebrati e che può essere conservato in maniera agevole e per un tempo prolungato, ha permesso di scoprire il meccanismo alla base della generazione dei movimenti ritmici della locomozione, in molti vertebrati, compreso l’uomo [10]. Tale meccanismo è stato denominato Central Pattern Generator (CPG). In aggiunta alla modellazione computazionale del CPG e alla validazione del modello attraverso simulazioni, la biorobotica permette oggi di realizzare un robot, sulla base delle caratteristiche anatomiche e morfologiche della lampreda, per validare ulteriormente il modello del CPG.

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1.4 La robotica bioispirata

La seconda prospettiva con cui si può intendere la biorobotica è quella in cui essa viene utilizzata per inventare, e che permette di parlare di ingegneria biorobotica.

Un esempio molto importante in questo contesto è quello della chirurgia, in cui l’avvento della biorobotica ha consentito la realizzazione di integrated surgical systems: la differenza fondamentale consiste nell’utilizzare l’approccio biomeccatronico per sviluppare tecnologia robotica che vada oltre una mera imitazione o sostituzione di procedure chirurgiche convenzionali, esplorandone di completamente nuove, a partire dalla modellazione del sistema biologico in cui si deve operare.

La biorobotica comprende anche l’area della progettazione e sviluppo di protesi d’arto, in cui la più grande sfida è quella di connetterle al cervello attraverso il sistema nervoso [11]. Per fare questo, è necessaria una conoscenza approfondita anche del cervello e del sistema nervoso, utilizzata nella progettazione secondo il processo tipico della biorobotica.

Un altro caso di tecnologia biorobotica riguarda il manipolatore MIT- Manus, un robot utilizzato per la terapia riabilitativa dell’arto superiore. Si tratta del robot per neuroriabilitazione attualmente più avanzato tecnologicamente per le caratteristiche cinematiche e con il maggiore potenziale di applicazione clinica. Questo è dovuto principalmente al fatto che il MIT-Manus è stato progettato alla fine degli anni Ottanta da un robotico, Neville Hogan, insieme a un neuroscienziato, Emilio Bizzi, a partire dalle conoscenze neuroscientifiche sul controllo motorio dell’arto superiore.

Anche all’interno di questa seconda prospettiva della biorobotica ci sono casi di studio in cui ci si ispira ai sistemi di locomozione e adesione di alcuni animali, come i vermi, per realizzare robot in grado di muoversi all’interno del corpo umano, per l’endoscopia. Il punto di partenza è la comprensione ingegneristica del movimento ondulatorio compiuto da tali animali, che permette la progettazione del robot [12] (Figura 1.7).

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Figura 1.7 Realizzazione di una sonda endoscopica inspirata al meccanismo di locomozione e

adesione di alcuni invertebrati.

1.5 Tecnologie d’attuazione per la robotica biomimetica

Nell’ambito della progettazione di robot la scelta del sistema di attuazione gioca sempre un ruolo fondamentale. La forma, l’ingombro, il peso e la forza del sistema d’attuazione sono infatti parametri importanti che si riflettono sulle potenziali prestazioni e abilità del robot e di solito ne determinano i più grandi limiti [13].

Ad oggi gli attuatori rappresentano il vero collo di bottiglia in molte applicazioni robotiche, specialmente nell’ambito della robotica biomimetica in cui, come illustrato nei precedenti paragrafi, si ambisce a sviluppare robot con capacità di locomozione e manipolazione paragonabili a quelle degli organismi viventi.

L’utilizzo di attuatori convenzionali in robotica presenta il vantaggio di basarsi su tecnologia conosciuta e collaudata; in questo caso gli attuatori usati sono un'evoluzione dei motori impiegati nell'automazione industriale. Tra i sistemi di attuazione tradizionali ricordiamo:

 attuatori pneumatici, che convertono l’energia fornita da un compressore in energia meccanica tramite pistoni o turbine ad aria;

 attuatori idraulici, che convertono l'energia idraulica in meccanica tramite opportune pompe;

 attuatori elettrici: convertono in energia meccanica l'energia elettrica della rete di distribuzione o da batterie.

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Gli attuatori convenzionali presentano i seguenti requisiti:

 sviluppo di grandi accelerazioni;  elevata precisione di posizionamento;  elevato valore del rapporto potenza/peso;  ampio campo di variazione delle velocità;

Per applicazioni nel campo della robotica umanoide o più in generale della biomimetica che si ispira ad organismi animali, gli attuatori tradizionali presentano però una serie d’inconvenienti:

 peso elevato;

 ingombro di tutto l'apparato (attuatore, batterie, compressori, serbatoi, etc...);  difficoltà di miniaturizzazione;

 intrinseca rigidezza della struttura;

 problemi di surriscaldamento in situazioni statiche (mot. elettrici).

È nata quindi l’esigenza di trovare una soluzione alternativa agli attuatori tradizionali [14] che, secondo l’approccio biomimetico più diffuso ed affermato, è stata ricercata nella scelta di attuazione compiuta dalla Natura per dotare della capacità di movimento gli organismi animali: i muscoli. I muscoli presentano innumerevoli caratteristiche ideali che da decenni i ricercatori cercano di riprodurre per realizzare un dispositivo artificiale equivalente, in termini funzionali, ad essi. Emulare i muscoli biologici può portare a sviluppare robot con capacità di manipolazione e locomozione non sviluppabile con meccanismi convenzionali [15]. Tale approccio negli ultimi anni ha contribuito notevolmente al progresso tecnologico con l’avvento dei nuovi materiali dalle caratteristiche sorprendenti, indicati in modo generico con il termine smart materials, tra cui le leghe a memoria di forma (Shape Memory Alloys, SMA), e nuovi materiali polimerici noti come EAP (electroactive polymers) [16].

Oltre al meccanismo d’attuazione impiegato dagli organismi animali, la Natura ha però ideato anche altri tipi di sistemi d’attuazione altrettanto affascinanti a cui ingegneri e robotici possono ispirarsi alla ricerca di soluzioni originali da implementare sulle proprie macchine

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robotiche. Secondo lo stesso criterio adottato per il muscolo quindi è possibile ricercare in essi la fonte di ispirazione per creare nuove tecnologie di attuazione.

Ad esempio Behkam e Sitti della Carnegie Mellon University, ispirandosi al regno delle Monere, mirano a riprodurre il meccanismo di locomozione basato sulla propulsione per mezzo dei flagelli presente in molti procarioti, incluso il batterio Escherichia coli, per la realizzazione di robot miniaturizzati definiti Swimming Robots (Figura 1.8) [17].

Figura 1.8 Swimming robots ispirati al meccanismo di locomozione di organismi procariori.

Un altro esempio di sistema di attuazione estremamente affascinante è quello ideato dalla Natura per gli organismi appartenenti al regno vegetale, che verrà descritto dettagliatamente nel capitolo successivo. In particolare nel presente lavoro di Tesi sarà studiata la possibilità di realizzare un’innovativa classe di attuatori bioispirati che prende come fonte d’ispirazione il meccanismo di movimento/crescita adottato dalle radici delle piante superiori per espandersi nel sottosuolo. Oltre all’aspetto dell’attuazione, sono numerose le caratteristiche e le affascinanti proprietà delle piante superiori che rendono questi organismi unici e potenzialmente interessanti da un punto di vista biorobotico. Lo studio per la realizzazione di un attuatore bioispirato alle radici delle piante si colloca quindi all’interno di un’area di ricerca innovativa più ampia, che si propone di espandere il campo di interesse della robotica biomimetica anche al regno vegetale, per realizzare robot definiti “plantoidi”, in analogia con i termini “umanoidi” e “animaloidi”. Nel prossimo capitolo verrà fornita una panoramica delle caratteristiche strutturali, fisiologiche e funzionali delle piante superiori di interesse e di

Figura

Figura 1.1 La biorobotica può essere definita come l’intersezione tra la biologia e la robotica
Figura  1.2  Le diverse prospettive della biorobotica. Il modello del sistema biologico può servire o a
Figura  1.3  La  relazione  bidirezionale  tra  robotica  e  sistemi  biologici  secondo  l’approccio
Figura  1.5  Studio  analitico  del  meccanismo  di  locomozione  degli  scarafaggi  per  la  realizzazione  di
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