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Parte Sperimentale - Materiali e Metodi

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Academic year: 2021

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PARTE SPERIMENTALE – MATERIALI E METODI

Scopo del progetto di ricerca

Il progetto di ricerca, portato avanti dal gruppo di studio del Dipartimento di Anatomia, Biochimica e Fisiologia Veterinaria, è stato supportato: dalla professoressa Christine Nicol, dell’università di Medicina Veterinaria di Bristol; da un laboratorio specializzato di Vienna per il dosaggio del metabolita fecale del cortisolo; dalla tenuta di San Rossore; dall’allevamento di cavalli TPR (Tiro Pesante Rapido) “Il Boschetto”, che ha fornito i cavalli per l’esperimento e ha consentito la costruzione dei paddocks e del tondino per il nostro lavoro.

Il progetto di ricerca prevedeva di valutare l’influenza sul comportamento e sul welfare del cavallo, nonché sulla relazione uomo-cavallo, di due tipi di doma: etologica e tradizionale. Negli ultimi anni è aumentato l’interesse verso metodi di doma più “dolci”, grazie alla crescente attenzione al benessere animale. La doma etologica, più che usare un metodo “dolce”, mira a creare un rapporto tra uomo e cavallo usando un linguaggio comune, che, per ovvi motivi, è quello del cavallo.

Il nuovo approccio metodologico all’addestramento si basa sulla creazione di un rapporto basato sulla reciproca fiducia, che sfrutta la natura sociale di questa specie ed i suoi metodi di comunicazione. Gestire la reattività e la curiosità del cavallo significa creare una comunicazione tra questo e l’uomo, basato sulla fiducia ed il rispetto, e consente di modellare soggetti sensibili, equilibrati e reattivi al dialogo con l’uomo. Gli effetti di questo tipo di rapporto hanno riscontri pratici, ma finora non sono stati ancora valutati in termini scientifici, da qui è nato il nostro progetto di ricerca.

L’influenza del rapporto uomo-cavallo sui rapporti di dominanza all’interno del branco è stata valutata con l’osservazione di moduli comportamentali dell’etogramma dei 2 gruppi, prima, durante e dopo le fasi di doma.

Gli effetti dei due tipi di doma sullo stress sono stati valutati con il dosaggio del metabolita fecale del cortisolo.

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Durante le fasi di doma sono stati registrati i comportamenti aggressivi e difensivi verso l’addestratore e l’etogramma dei comportamenti che esprimono il temperamento del cavallo, per valutare eventuali differenze tra i due gruppi.

Infine sono state effettuate osservazioni comportamentali e rilievi della frequenza cardiaca, durante i test comportamentali, per rilevare se i due tipi di doma potessero influire sulla reattività dei soggetti (Novel Object test), sul rapporto di fiducia che si poteva creare con l’uomo (Handling test), sulla reazione all’isolamento dal branco (Arena test) e sulla reazione alla presenza dell’uomo (Person test).

Materiali e metodi

Sono stati utilizzati 2 gruppi di 4 cavalle di razza TPR (Tiro Pesante Rapido) di età compresa tra i 12 ed i 18 mesi, dell’allevamento “Il Boschetto” situato nel parco naturale di S. Rossore, Migliarino, Massaciuccoli (Pisa). Il Tiro Pesante Rapido è una razza agricola italiana e la scelta di questo allevamento è stata condizionata dal fatto che è uno degli ultimi allevamenti italiani allo stato brado. Queste cavalle erano “vergini” dal contatto con l’uomo, cioè mai maneggiate in precedenza, per cui esperienze pregresse con esso non potevano interferire con il nostro studio. Le cavalle non erano in grado di sottostare a nessuna manualità e temevano il contatto con l’uomo, persino la sua vicinanza.

Prima dell’inizio della doma, le cavalle sono state separate, con criterio random e soltanto tramite l’uso di corridoi, in 2 paddocks separati. Un gruppo, denominato A è stato approcciato col metodo etologico, l’altro gruppo, B, con metodo tradizionale. Dopo 1 settimana dalla creazione dei 2 gruppi, sono state effettuate videoriprese di 6 ore ciascuna per valutare il comportamento sociale all’interno di ciascun gruppo.

I 2 paddocks (20x10 m) sono stati costruiti in comunicazione, tramite cancelli e corridoi (3x3 m), con il tondino di lavoro (16 m di diametro); questo per consentire il trasferimento diretto delle singole cavalle dai paddocks al tondino quando venivano lavorate, senza che avvenisse un contatto diretto con l’uomo.

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Disposizione dei paddock, dei corridoi e del tondino.

I due tipi di doma sono stati svolti da due addestratori diversi per ridurre l’influenza individuale.

Gli addestratori hanno valutato i progressi settimanalmente e, per entrambi i tipi di doma, l’esperimento si concludeva quando si stabiliva un’interazione con ciascuna cavalla in modo che:

1- si lasciasse accarezzare in ogni parte del corpo; 2- si lasciasse sollevare gli zoccoli;

3- accettasse la cavezza; 4- portasse il fascione;

5- si facesse condurre a mano con la longhina;

6- si facesse condurre a redini lunghe da terra (poiché erano destinate al traino di carrozze).

Doma etologica

Il gruppo A veniva domato usando l’approccio etologico, prendendo spunto dal metodo di Monty Roberts (Roberts, 2002), ampiamente descritto in precedenza.

Questo tipo di doma si basa sul principio che il cavallo è una preda ed un animale gregario per natura. L’uomo, per creare un dialogo con il cavallo, deve adottare un comportamento ad esso comprensibile, cioè il linguaggio del corpo, che Roberts chiama “Equus”. L’addestratore doveva assumere l’atteggiamento di soggetto dominante (capobranco) e far eseguire le sue richieste, non usando costrizione, ma evocando nel cavallo una naturale sottomissione, come avverrebbe nella gerarchia sociale di un branco allo stato brado. Il centro del tondino

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rappresentava il posto dove il cavallo poteva sentirsi al sicuro ed aggregarsi all’uomo, ricevere carezze (simulazione del mutual grooming) e, quindi, non rimanere isolato, condizione disagevole per una specie gregaria come quella equina. Guidare il branco significa controllarlo senza che si manifestino contatti fisici tra i suoi membri, ma semplicemente modificando la posizione del corpo rispetto al campo visivo dei subordinati (Miller, 1991). Questo atteggiamento è definito “pressione” ed è rappresentato dalla presenza del soggetto dominante nel campo visivo dei subordinati (McDonnel, 1986).

Nella doma etologica si cercava di valutare se l’uomo, mimando l’atteggiamento del soggetto dominante, era in grado di stabilire con il cavallo questo tipo di rapporto dominanza-subordinazione.

Gli elementi fondamentali da tenere in considerazione e che mantengono l’equilibrio nel branco, sono:

1- Fuga. In natura un cavallo fugge da una situazione costrittiva. Nel nostro studio, nel caso della doma etologica, il cavallo poteva sempre scegliere se stare con l’uomo o fuggire.

2- Istinto di branco. Il cavallo per natura cerca la compagnia di altri cavalli, quindi, un soggetto separato dal branco, si sente a disagio ed in pericolo. Per risolvere questa situazione è disposto ad aggregarsi anche all’uomo.

3- Gerarchia. L’istinto del branco implica l’instaurarsi di rapporti di dominanza e subordinazione al suo interno, quindi, se il cavallo riconosce l’uomo come capobranco, stabilisce una sorta di gerarchia con esso.

La relazione che s’instaura tra l’addestratore ed il cavallo con questo metodo, suscita la fiducia nell’uomo da parte dell’animale, senza l’uso di mezzi coercitivi. Il cavallo non manifesta quasi mai reazioni difensive verso l’addestratore, poiché non viene mai sottoposto a coercizione, né forzato contro il suo volere, non viene fisicamente costretto ed ha sempre la possibilità di scegliere se fare ciò che gli viene richiesto o fuggire. La possibilità della fuga, principale mezzo di difesa del cavallo, riduce la necessità di usare mezzi di difesa come mordere o calciare, riducendo quindi i rischi per l’addestratore, ma anche per il cavallo stesso. Questo tipo di approccio non esclude la possibilità di usare punizioni, ma il significato di

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punizione con questo metodo è diverso, nel senso che non viene inflitto da una prospettiva umana, ma secondo la legge del branco, in cui venir puniti significa essere allontanati e rimanere isolati ed esposti ad eventuali predatori. Questa situazione viene percepita dal cavallo come punizione, molto più di una di tipo fisico. L’uomo non impone il suo comportamento, ma usa il modello comportamentale del cavallo stesso (Sighieri et al., 2003). La doma si svolgeva con una cavalla alla volta e seguiva queste fasi:

1- allontanamento della cavalla; 2- avvicinamento;

3- contatto; 4- associazione.

Nella fase di allontanamento l’addestratore si posizionava al centro del tondino e la cavalla veniva mandata alla periferia e indotta a correre, finché non manifestava gli atteggiamenti che indicano la volontà di “dialogare” con l’uomo, cioè: movimenti di masticazione, abbassamento della testa verso il terreno, orecchie portate leggermente di lato e rivolte verso l’addestratore, posizione degli arti anteriori divaricati in stazione. La fase di avvicinamento consisteva nel permettere alla cavalla di avvicinarsi all’uomo ed annusarlo. La fase successiva era quella del contatto, cioè della carezza da parte dell’uomo, dapprima sulla testa, poi sul collo, sul torace, infine sul posteriore. La fase finale era l’associazione (Join up), cioè quando la cavalla manifestava di voler stare vicino all’uomo e lo seguiva quando camminava. Quest’ultima fase indicava che la cavalla riconosceva l’uomo come capobranco ed era disposta ad accettare le sue richieste. Durante le varie fasi, quando la cavalla mostrava di non voler “dialogare” con l’addestratore, quest’ultimo la allontanava di nuovo e la induceva a correre lungo il perimetro del tondino, ponendola in una situazione di disagio, finché non mostrava di nuovo di essere disposta a collaborare con l’uomo. Quando veniva raggiunta la fase dell’associazione, significava che la cavalla aveva acquistato fiducia nell’addestratore ed era disposta ad accettare le sue manualità, cioè i sei punti elencati sopra. Questo è il procedimento precedentemente descritto da Monty Roberts per raggiungere il Join up.

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Doma tradizionale

Nel nostro esperimento, per l’approccio tradizionale, è stato usato un metodo di doma che ha preso spunto, in parte dalla doma maremmana, in parte dalle tecniche di doma attuali, entrambi descritti precedentemente. Il tipo di doma da noi usato si basava su rinforzi positivi, negativi e condizionamenti operanti, secondo la filosofia del “bastone e della carota”. Questo significa che il cavallo veniva sottomesso all’uomo con la forza, provocando talvolta all’animale paura e intimidazione. Il premio per un buon lavoro era spesso rappresentato da cibo (carote, zuccherini) e dalle carezze, mentre la punizione in genere era fisica (aumento di costrizione) senza chiaramente comunque provocare lesioni o traumi all’animale.

Le cavalle del gruppo B, destinate alla doma tradizionale, venivano introdotte una alla volta all’interno del tondino, facendole passare attraverso il corridoio di comunicazione con il paddock. In una prima fase l’addestratore stava al centro del tondino e la cavalla si doveva abituare alla sua presenza, poiché non erano mai state così vicine all’uomo. L’addestratore induceva la cavalla a correre con lo schiocco della frusta, senza toccarla. La fase successiva prevedeva l’avvicinamento fisico. Poiché questo non era mai avvenuto in precedenza, il solo tentativo provocava reazioni di fuga. Per indurre la cavalla ad accettare il primo contatto con l’uomo, è stata usata una corda, con un’estremità lanciata a cappio attorno al collo della cavalla e l’altra estremità avvolta intorno ad un palo dello steccato (poiché non era presente il giudice centrale) e tenuta in mano dall’addestratore, per esercitare una maggior forza di trazione. Con questa tecnica, l’addestratore tirava con forza la corda, costringendo la cavalla ad avvicinarsi allo steccato e di conseguenza a lui. Questa operazione veniva ripetuta finché la cavalla non cedeva e si avvicinava allo steccato senza opporre resistenza. Una volta raggiunto lo scopo all’interno del tondino, la stessa sequenza veniva ripetuta nel corridoio di comunicazione (3x3 m) per ridurre la mobilità della cavalla ed avere con essa un maggior avvicinamento. Quando la cavalla accettava la manualità dell’addestratore veniva premiata con del cibo (carote), se invece continuava ad opporsi, aumentava la forza di trazione sulla corda e quindi la costrizione fisica, finché non cedeva. L’accarezzamento del corpo avveniva all’inizio tramite un bastone, come prolungamento del corpo, finché la cavalla poi accettava il contatto con l’uomo. Quando si lasciava accarezzare su tutto il corpo, si passava successivamente a sollevare gli arti uno per volta. La fase successiva consisteva nell’applicare

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la cavezza. Per svolgere quest’ultima operazione, la cavalla era trattenuta vicino allo steccato con la corda legata al collo e veniva usato un bastone forgiato ad uncino ad un’estremità, allo stile dei butteri maremmani, sempre come prolungamento del braccio, per evitare di toccare con le mani la testa e le orecchie della cavalla. Le cavalle, infatti, evitavano con paura il contatto fisico con l’uomo, mentre non temevano il contatto con le corde o il bastone.

Solo successivamente, la cavezza veniva introdotta da vicino, con le mani. L’ultima fase era rappresentata dal guidare da terra la cavalla a redini lunghe, dopo l’applicazione del fascione e della briglia, operazioni che si svolgevano con la stessa tecnica di premi e punizioni.

Valutazioni

Al fine di determinare l’influenza dei due tipi di doma sul benessere del cavallo, sono state effettuate le seguenti valutazioni (ricavate dalla bibliografia).

 Analisi di moduli comportamentali dell’etogramma

L’etogramma rappresenta la sintesi dei comportamenti naturali dei cavalli. Nel nostro studio, si è proceduto ad una valutazione degli aspetti collegati al comportamento sociale dei due gruppi. Le osservazioni sono state effettuate con 3 sessioni di videoriprese di 6 ore ciascuna, per entrambi i gruppi, per un totale di 36 ore. Le riprese sono state effettuate: dopo una settimana dalla creazione dei 2 gruppi, ma prima dell’inizio della doma (novembre), durante la doma (gennaio) ed al termine (aprile). Il tempo di esecuzione dell’esperimento ha superato di gran lunga quello previsto, seppur non stabilito rigorosamente, era stato stimato intorno ai due mesi. Le condizioni sfavorevoli del tempo e l’impossibilità di usare il campo di lavoro, che a causa del terreno argilloso, era eccessivamente fangoso, hanno determinato questa lunga durata del nostro esperimento.

Nella valutazione dei moduli comportamentali dell’etogramma, abbiamo prestato particolare attenzione ad atteggiamenti ed eventuali cambiamenti, che potessero indicare stress o aggressività all’interno del gruppo. Le osservazioni eseguite sui 2 gruppi di cavalle prima, durante e dopo la fase di addestramento, erano volte a valutare il comportamento sociale

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all’interno di ciascun gruppo per comprendere le interazioni fra i singoli soggetti. Più esattamente dovevamo individuare un’eventuale modificazione nei rapporti gerarchici all’interno del gruppo e l’eventuale aggressività delle singole cavalle. Era possibile aspettarsi un cambiamento nel pattern di comportamento dei gruppi dopo la fase di addestramento. In particolare nel gruppo della doma etologica si supponeva di riscontrare alcune differenze legate al fatto che queste cavalle incontrano, con l’addestramento, un altro capobranco (l’uomo). L’analisi statistica è stata effettuata con il test non parametrico di Mann-Whitney (sommatoria dei ranghi) (Glantz, 1997).

Descrizione dei comportamenti osservati (Boyd & Houpt, 1994)

Vengono di seguito riportati i comportamenti che abbiamo osservato per la valutazione del comportamento sociale.

1- Allerta (espressa in termini temporali). Posizione rigida del corpo con il collo alzato e la testa orientata verso l’oggetto, l’animale o la persona da focalizzare. Le orecchie sono rigide, dritte e rivolte in avanti, le narici possono essere dilatate. La vocalizzazione può accompagnare questa postura.

2- Morso (espresso in numero di atti eseguiti). Rapida apertura e chiusura della mascella con i denti che afferrano un altro cavallo. Le orecchie sono piegate all’indietro e le labbra retratte.

3- Tentativo di morso (espresso in numero di atti eseguiti). Uguale al morso eccetto per il fatto che avviene il contatto fisico. Il collo è teso in avanti, le orecchie sono rivolte all’indietro, la testa verso il bersaglio. Il tentativo di morso viene usato per dare un avvertimento e mantenere la distanza fra due animali, è usualmente diretto verso la testa, spalla, petto o arto di un altro cavallo e può essere eseguito con un movimento aggressivo in avanti (balzo), anche verso la parte posteriore di un animale che viene inseguito o guidato.

4- Orecchie all’indietro (espresso in numero di atti eseguiti). Orecchie schiacciate all’indietro contro la testa ed il collo. Tipicamente associate ad un’interazione aggressiva.

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5- Testa appoggiata sul corpo (espresso in numero di atti eseguiti). Il mento o tutta la testa resta sulla parte dorsale del collo, schiena o groppa di un altro cavallo. Spesso precede la monta ed è un segnale di dominanza, anche tra soggetti dello stesso sesso. 6- Calcio (espresso in numero di atti eseguiti). Uno o entrambi gli arti posteriori sono

sollevati dal terreno ed estesi rapidamente indietro verso un altro cavallo, con l’intento apparente di colpirlo. Gli arti anteriori sorreggono il peso del corpo ed il collo è spesso abbassato. E’ comune fra due cavalli calciarsi reciprocamente per colpirsi il posteriore. 7- Tentativo di calcio (espresso in numero di atti eseguiti). Simile ad un calcio, ma senza l’estensione o la forza sufficiente per entrare in contatto con il bersaglio. Un arto posteriore viene sollevato lievemente dal terreno, portato sotto il corpo e tenuto in tensione, di solito a questo movimento non segue un’estensione all’indietro dell’arto posteriore. Il cavallo può girare la sua groppa e può appoggiarsi verso il bersaglio. La coda può avere un movimento di frusta ed il cavallo può vocalizzare con un “urlo”. Questa azione è indistinguibile dalla preparazione ad un calcio vero e proprio.

8- Impennata (espresso in numero di atti eseguiti). Gli arti anteriori sono sollevati dal suolo, gli arti posteriori sono ben piazzati in avanti sotto il corpo, con i garretti flessi e la parte anteriore si solleva molto dal terreno.

9- Levata (espresso in numero di atti eseguiti). Simile all’impennata, ma con la parte anteriore del corpo poco sollevata dal terreno. È un segno di gioco.

10- Mutual grooming (espresso in termini temporali). Pulizia reciproca. Due cavalli di fianco l’uno all’altro ed in posizione testa-spalla o testa-coda si “strigliano” a vicenda su collo, criniera, groppa o coda con delicato pizzicamento e/o strofinando il muso sul mantello dell’altro. È un segno di socialità e “amicizia”.

11- Vocalizzazioni (espresse in numero di atti eseguiti)). Nitrito, urlo, sbruffo, borbottio, come descritti nel paragrafo della comunicazione.

12- Riposo in piedi (espresso in termini temporali). atteggiamento con tre arti appoggiati a terra ed un posteriore leggermente flesso, testa semiabbassata ed orecchie tenute lateralmente o leggermente indietro. Segnale di rilassamento.

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14- Rotolarsi a terra (espresso in numero di atti eseguiti). La cavalla si corica e si gratta a terra, anche passando da un lato all’altro. Segno di benessere e gioia, anche di dolore addominale, ma associato ad altri atteggiamenti.

15- Mangiare (espresso in termini temporali). Assunzione di fieno o mangime. Quando il cavallo mangia è tranquillo e non teme ciò che avviene nell’ambiente.

16- Abbeverata (espressa in numero di atti eseguiti). Assunzione di acqua. 17- Defecazione (espresso in numero di atti eseguiti). Eliminazione di feci. 18- Urinazione (espresso in numero di atti eseguiti). Emissione di urina.

 Osservazioni durante l’addestramento (Seaman et al., 2002)

Durante tutte le sessioni di lavoro è stato registrato il comportamento che esprimeva lo stato d’animo delle cavalle secondo quanto descritto da Seaman et al. (2002):

1- Allerta. Come sopra.

2- Investigazione. Camminare lentamente con il collo tenuto orizzontale o abbassato, pronto a fermarsi e ad annusare il terreno o altro. Indice di curiosità.

3- Defecazione. Come sopra. 4- Urinazione. Come sopra. 5- Vocalizzazioni. Come sopra.

Sono stati registrati anche i comportamenti di aggressività verso l’addestratore, secondo quanto descritto da Boyd e Houpt (1994):

1- Tentativo di morso. Come sopra. 2- Morso. Come sopra.

3- Tentativo di calcio. Come sopra. 4- Calcio. Come sopra.

5- Impennata. Come sopra.

6- Rampare. Calciare una superficie orizzontale o verticale, o l’aria, con l’arto anteriore. Segno di irrequietezza e anche aggressività.

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Oltre a ciò è stata registrata la volontà, manifestamente espressa dal cavallo, di sottrarsi alle richieste dell’addestratore, intesa come espressione di fuga o tentativo di fuga. Per semplificare l’analisi, i comportamenti di aggressività verso l’addestratore sono stati sommati in un unico rilievo. La registrazione dei comportamenti è stata effettuata da due persone istruite allo scopo durante ogni singola sessione di addestramento, fino all’ultimo obiettivo da raggiungere, che era quello di condurre le cavalle a redini lunghe da terra, senza che mostrassero comportamenti difensivi o il desiderio di sottrarsi alle richieste dell’addestratore. È stato registrato il tempo complessivo di lavoro impiegato per ogni cavalla ed il numero di osservazioni (nO) normalizzato con l’unità di lavoro (h). L’analisi statistica è stata effettuata con il test non parametrico di Mann-Whitney (sommatoria dei ranghi) (Glantz, 1997).

 Dosaggio del metabolita fecale del cortisolo

La misurazione del metabolita fecale del cortisolo endogeno (l’11-idrossietiocolanolone), è un valido indice per valutare lo stress in tutte quelle situazioni in cui non è possibile effettuare una diretta valutazione del cortisolo plasmatico. Stante la scelta di utilizzare indici “hands off”, che non prevedevano di maneggiare le cavalle per i prelievi, evitando così possibili stress aggiuntivi per gli animali, si è fatto un tentativo di dosaggio del metabolita fecale del cortisolo di ogni soggetto. Questo parametro è stato usato, in concomitanza agli altri indici comportamentali, per evidenziare possibili differenze sull’eventuale stato di stress delle cavalle, indotto dalla doma etologica e tradizionale.

Al mattino venivano raccolti campioni di feci di ogni singolo soggetto, a distanza di circa 24 ore (c.a. +/- 1 h) dal lavoro svolto da ogni cavalla il giorno precedente. La raccolta era fatta manualmente subito dopo l’evacuazione ed aliquote di circa 10 g di feci venivano poste nell’apposito contenitore e conservate a -20°C, per evitare la conversione da parte degli enzimi batterici (Mostl & Palme, 2002). È stato eseguito un prelievo basale prima dell’inizio del periodo di addestramento, gli altri (5), sono stati fatti a distanza di 15 giorni l’uno dall’altro, durante il periodo di doma. Terminati i prelievi, il materiale è stato posto in appositi contenitori con ghiaccio secco ed inviato alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Vienna. Le analisi sono state eseguite con metodo EIA (enzyme immunoassay) elaborato e valicato per

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l’11-all’11,17-diidrossiandrostano, come parametro delle concentrazioni di cortisolo nel sangue e del suo rilascio dalla corticosurrenale (Palme & Mostl, 1997). La rilevanza biologica di questa tecnica non invasiva è stata provata nel cavallo a seguito di stimolazione (ACTH) o soppressione (Dexametasone) del rilascio di cortisolo dalla corticosurrenale (Most et al., 1999).

 Test comportamentali

I test comportamentali sono stati eseguiti alla fine della doma. Durante l’esecuzione di tutti i test, le cavalle portavano un fascione a cui era applicato un cardiofrequenzimetro (Polar®) per la rilevazione della frequenza cardiaca. Questo parametro è stato usato come indice di eccitabilità e di attivazione ortosimpatica e, quindi, per valutare se il rapporto con l’uomo, l’isolamento del soggetto dal branco, la comparsa di un nuovo oggetto e l’affrontare una nuova situazione potessero provocare modificazioni. Tutti i test sono stati videoripresi per eseguire, in seguito, le osservazioni comportamentali con le videocassette registrate e far combaciare i tracciati della frequenza cardiaca, con avvenimenti specifici. Ogni cavalla ha svolto il test singolarmente.

L’analisi statistica delle osservazioni comportamentali è stata effettuata con il test non parametrico di Mann-Whitney (sommatoria dei ranghi), quella della frequenza cardiaca con l’analisi della Varianza.

Person test (modificato da Seaman et al., 2002)

1) Con persona sconosciuta con contatto visivo diretto (Person test 1) 2) Con persona sconosciuta senza contatto visivo diretto (Person test 2) 3) Con persona conosciuta con contatto visivo diretto (Person test 3) Materiale

1 paddock, 1 persona sconosciuta per il test 1 e 2, 1 persona conosciuta per il test 3 (l’addestratore per il rispettivo gruppo).

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Allestimento

1 paddock (20x10 m) sconosciuto al cavallo, diviso al suo interno, con gesso in polvere, in aree più piccole, come mostrato in figura.

Allestimento del paddock per il Person test

Esecuzione

Senza contatto visivo diretto: una persona sconosciuta alle cavalle che non aveva avuto alcun contatto precedente con esse, stava al centro del paddock, all’interno del cerchio di 6 metri di diametro (quello più piccolo), in atteggiamento passivo, cioè con le spalle ruotate (curve verso il basso), le mani nascoste, la testa bassa, senza guardare il cavallo in alcun modo. Nell’ottica del cavallo, questo è considerato un atteggiamento inoffensivo ed indifferente.

Con contatto visivo diretto: lo stesso test di cui sopra veniva ripetuto con la persona che assumeva un atteggiamento “aggressivo”, cioè teneva la testa alta, le spalle erette, una postura rigida ed un contatto diretto negli occhi del cavallo (atteggiamento dei predatori). La persona guardava il cavallo e continuava a guardarlo mentre si muoveva. La posizione delle braccia dell’uomo può influenzare il comportamento del cavallo (Miller, 1995) e può venir percepita come una minaccia. Questa postura esprime dominanza nel linguaggio equino, se non addirittura “aggressività”, poiché evoca nel cavallo l’atteggiamento dei predatori.

Nei 3 Person test venivano valutati:

1- il numero e il tipo di vocalizzazioni;

2- il tempo impiegato ad investigare il territorio;

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4- il numero di defecazioni;

5- il numero delle volte che si rotolava;

6- il tempo impiegato ad investigare la persona (annusamento);

7- il numero di volte che mostrava segni di minaccia e quali (orecchie schiacciate all’indietro, tentativo di mordere…);

8- il tempo durante il quale rivolgeva attenzione alla persona. Novel Object test (modificato da Visser et al., 2002)

Materiale

Il tondino di lavoro, un compressore collegato ad un tubicino lungo 15 m con all’estremità un palloncino.

Allestimento

Il tubicino veniva collegato al palloncino ed al compressore (posizionato all’esterno dell’area di lavoro e controllato da un operatore, non visibile al soggetto). Il tubicino veniva nascosto con della terra per non renderlo visibile al cavallo.

Esecuzione

La cavalla veniva messa nel tondino di lavoro, veniva incavezzata e le veniva applicato il cardiofrequenzimetro, dopodichè veniva lasciata libera per 2 minuti. Trascorso tale periodo, veniva improvvisamente gonfiato un palloncino colorato al centro del tondino tramite il compressore ed il tubicino. Il palloncino veniva lasciato gonfiato per un tempo massimo di 5 minuti per dare il tempo alla cavalla di avvicinarvisi ed investigarlo e veniva registrato il tempo occorrente perché questo avvenisse. Alla fine del test la cavalla veniva riportata nel suo branco. Per valutare la reazione di fronte al nuovo oggetto ed il tempo di adattamento e desensibilizzazione a questo, venivano valutati:

1- il tempo impiegato dalla cavalla ad esplorare l’ambiente; 2- il numero e tipo delle vocalizzazioni;

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4- il tempo che impiegava ad avvicinarsi al palloncino dopo che era stato gonfiato; 5- il tempo di investigazione del palloncino;

6- il numero di defecazioni.

Se il soggetto indagava il palloncino, il test si considerava concluso quando si allontanava dopo averlo annusato, a questo punto veniva interrotta la registrazione del tempo.

Se invece non si avvicinava al palloncino, il test si considerava concluso dopo 5 minuti da quando era stato gonfiato.

Handling test (modificato da Visser et al., 2002)

Materiale

Il tondino di lavoro con all’interno un ponticello di travi lungo 2 m, largo 1 m, alto circa 30 cm.

Allestimento

Posizionamento del ponticello al centro del tondino. Esecuzione

L’addestratore applicava la cavezza ed il cardiofrequenzimetro alla cavalla, poi la introduceva nel tondino dove si trovava il ponticello, dove rimaneva per 2 minuti in libertà, dopodichè il trainer le applicava la longhina. Mentre approcciava il ponte, l’addestratore non toccava o parlava alla cavalla, se questa si fermava l’uomo continuava a camminare finché la longhina non era in leggera tensione, tirandola. Una resistenza dura della cavalla, come tirare indietro con la testa, indietreggiare o muoversi di lato, erano un segno di rifiuto. Sono stati considerati “tentativi” le volte in cui l’addestratore tirava la cavalla con la longhina, sono stati considerati “rifiuti” le volte in cui la cavalla non solo non saliva sul ponticello, ma non si muoveva affatto.

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il test veniva considerato concluso. Dopo la fine del test la cavalla veniva riportata nel suo gruppo.

Durante l’Handling test venivano valutati:

1- il tempo impiegato dalla cavalla ad esplorare l’ambiente nei 2 minuti in libertà; 2- il numero e tipo delle vocalizzazioni;

3- se esplorava il ponticello quando era in libertà e per quanto tempo; 4- il numero di tentativi per salire sul ponticello;

5- il numero di rifiuti a salire sul ponticello;

6- eventuali segnali di minaccia verso l’addestratore; 7- il numero di defecazioni.

Veniva misurato anche il tempo trascorso da quando la cavalla entrava nel paddock a quando eventualmente saliva sul ponticello.

Arena test ( modificato da Seaman et al., 2002)

Materiale

1 paddock 20x10 m (Arena), un altro paddock adiacente delle stesse dimensioni, dove stava il resto del branco.

Allestimento

Come per il Person test. Esecuzione

L’addestratore metteva la cavezza a ciascuna cavalla prima che i 2 gruppi venissero trasferiti nel paddock vicino all’Arena. Al momento di iniziare il test la cavalla veniva preparata nel paddock dove si trovava e gli veniva applicato il cardiofrequenzimetro, prima di essere introdotta nell’Arena, dove veniva lasciata in libertà. Veniva valutato il tempo di permanenza

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in ciascuna sottoarea e lo spostamento del soggetto nella varie aree, come indice di attività di investigazione, irrequietezza, vivacità ed apatia, insieme a queste altre valutazioni:

1- numero ed tipo di vocalizzazioni;

2- tempo impiegato ad investigare il territorio;

3- tempo trascorso in stazione ferma (riposo in piedi); 4- tempo impiegato a mangiare;

5- numero di defecazioni;

6- numero delle volte che si rotolava.

Il test aveva una durata variabile: se la cavalla non effettuava trotto, vigilanza, coda sollevata in questi minuti, ma camminava ed esplorava soltanto, il test si considerava concluso dopo 5 minuti. Se la cavalla manifestava uno dei suddetti comportamenti il test proseguiva valutando successive sessioni di 3 minuti fino al momento in cui cessava di manifestarli all’interno di una sessione, con un tempo massimo della prova di 12 minuti (Wollf et al., 1997). Il gruppo di appartenenza della cavalla testata rimaneva nel paddock vicino, separato fisicamente, ma le cavalle potevano chiamarsi, vedersi e sentirsi tra loro (Seaman et al., 2002). Un problema che si è presentato durante l’esecuzione di questo test era la presenza di erba intorno all’Arena, a cui le cavalle riuscivano ad accedere. Per questo motivo nelle osservazioni abbiamo incluso anche la voce “mangiare“, considerato un indice di tranquillità.

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