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2.2 Livello nazionale del dialogo interreligioso istituzionale.

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2.2 Livello nazionale del dialogo interreligioso istituzionale.

Dopo aver approfondito il piano europeo, nella seguente trattazione si intende analizzare la dimensione nazionale del dialogo interreligioso istituzionale.

Nel tentativo di ricostruire la dimensione pubblica del fenomeno religioso in Italia, si darà conto del significato attribuito alla collaborazione delle confessioni religiose con lo Stato, alla luce del principio di laicità.

Si rifletterà sul sistema italiano delle Intese in relazione al principio di cooperazione, facendo cenno anche alla “questione” della legge sulla libertà religiosa.

A seguire si studierà il complesso delle competenze del Governo e del Ministero dell'Interno, e in particolare del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e della Direzione centrale degli affari di culto.

Si analizzerà la Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione, prodotta dal Ministero dell'Interno, prendendo in considerazione opinioni differenti circa i suoi meriti e le sue criticità.

Infine, ci si soffermerà sulle presenza islamica in Italia, considerando le sue forme di organizzazione e i rapporti con le istituzioni. Si farà particolare riferimento alla Consulta dell'Islam, al suo significato e al suo valore, come esempio, a livello nazionale, delle “tavole” di rappresentanza di comunità religiose, che saranno oggetto di analisi, sul piano locale, nel capitolo 3 relativo alle “buone pratiche”.

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2.2.1 Dimensione pubblica del fenomeno religioso e

collaborazione fra gruppi religiosi e istituzioni pubbliche.

Analizzando la dimensione pubblica del fenomeno religioso, bisogna subito riscontrare la difficoltà di fornirne una concezione univoca e condivisa1. Tozzi individua le origini “della diversità di opinioni sul tema specifico” nelle “distorsioni indotte dalla cultura della libertà del mercato, con i suoi prodotti non privi di ambiguità, fra i quali il principio di sussidiarietà orizzontale”. “La sussidiarietà viene spesso applicata con modalità devianti”, producendo effetti distorsivi, che derivano dalla “svalutazione del criterio della distinzione degli ordini”2, statale e delle religioni. Il principio di separazione degli ordini è espresso nell'articolo 7 I° comma della Costituzione, per cui “Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. In realtà, “la distinzione degli ordini non tocca soltanto i rapporti formali tra Stato e Chiesa Cattolica, ma si estende a tutta la materia delle relazioni fra diritto e religione”3, quindi opera nei confronti di qualunque formazione collettiva a carattere religioso. “La distinzione degli ordini esige che ogni fede religiosa organizzata, per partecipare attraverso le proprie formazioni sociali alla sfera pubblica, deve accettare i fondamenti giuridici secolarizzati della Costituzione, primo fra tutti quello della pari dignità di ogni persona, per cui nessuna fede o concezione di vita è più importante di altre”4. Tozzi ritiene che la collaborazione delle organizzazioni religiose 1 Sulla mancanza di una concezione condivisa del concetto di “pubblico” V. Tozzi, Dimensione pubblica del fenomeno religioso e collaborazione delle

confessioni religiose con lo Stato, in “Stato, Chiese e pluralismo

confessionale” (rivista telematica www.statoechiese.it), 2009, p. 1. 2 Cfr. Tozzi, p. 2.

3 P. Consorti, Diritto e religione, Laterza, Roma – Bari, 2010, p. 159. 4 Cfr. Tozzi, p. 2.

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con lo Stato debba fondarsi sull'accettazione del “relativismo etico delle democrazie statali”, dato che la pretesa delle stesse organizzazioni religiose di operare secondo i propri valori assoluti porterebbe alla rottura dell'indipendenza reciproca, della neutralità dei poteri pubblici, quindi al “diniego della laicità”.

Si deve, quindi, fornire una chiarificazione del concetto di laicità dello Stato, nello specifico della laicità all'italiana5. “La laicità dello Stato non

può risolversi nella semplice indicazione di un metodo, ma deve sostanziarsi nell'indicazione di valori civili condivisi, rispetto ai quali è ammissibile dissentire solo nei limiti posti dalla legge e dalla Costituzione stessa. (..) In ordine a certe acquisizioni di principio adottate seguendo il metodo laico (..), che nella sfera pubblica si traduce nel sistema democratico e pluralista, si possono esercitare scelte divergenti solo se compatibili con i contenuti della laicità”6. Dunque, il principio di laicità, protratto ad accettare un “dialogo fra eguali in cui ciascuno deve presentarsi con la nettezza delle proprie posizioni, senza mal celare secondi fini proselitistici”, dovrebbe costituire punto di riferimento e “guida” in tema di collaborazione con le confessioni religiose.

Nella sua riflessione Tozzi sottolinea che “se la laicità viene intesa nel modo che piace ai gruppi dominanti, la collaborazione diviene un affare tra poteri forti, con scapito per altre componenti della società, a carattere religioso e non”7. Un punto cruciale della sua analisi sta nell'osservazione secondo la quale sarebbe prassi interpretativa in atto in Italia accostare le

5 P. Consorti, Laicità all'italiana, incontro e dialogo, in “Fede religiose e fede laica in dialogo”, Guerini e associati, Milano, 2007, p. 141.

6 Cfr. Consorti, Laicità all'italiana, incontro e dialogo, pp. 140 - 142. 7 Cfr. Tozzi, p. 4.

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formule8 “formazioni sociali a carattere religioso”, disciplinate dall'articolo 19 della Costituzione, e “confessioni religiose”, di cui all'articolo 89. Questa tendenza ad assimilarne il significato avrebbe il risultato di enfatizzare il potere della Chiesa Cattolica e di discriminare i gruppi meno potenti. “Se la collaborazione con lo Stato (poteri pubblici) fosse aperta a tutte le formazioni sociali a carattere religioso con uguali opportunità, cioè in eguale maniera (anche se in quantità proporzionata) a tutti quei soggetti collettivi che soddisfano le esigenze religiose di parte anche minoritaria della popolazione, si sarebbe veramente in una logica di rilievo della religione come fatto di interesse pubblico”10. Dunque, Tozzi ritiene necessario riconsiderare il ruolo attribuito alle confessioni religiose, rappresentative non di interessi pubblici ma di interessi collettivi di parte. Esse costituirebbero “solo una parte numericamente inferiore, ma politicamente più rilevante, dell'universo delle formazioni sociali a carattere religioso”11. “Non sono da relegare al mero ambito privato, ma nemmeno da confondere tout court con il pubblico nella sfera istituzionale dei rapporti civili”12, data la presenza di religioni, come l'Islam, che non 8 Tozzi precisa che la Costituzione parla di confessioni religiose (art. 8 I° comma e 7), di associazioni o istituzioni a carattere religioso o con fine di

culto e di religione (art. 20), forme associate di professione di fede religiosa

(art. 19) e che questa complessa rilevazione giuridica dei fenomeni religiosi collettivi produce una ancora più complessa serie di di discipline particolari che producono la violazione dell'uguaglianza del loro trattamento.

9 I° comma: Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla

legge.

II° comma: Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di

organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.

III° comma: I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di

intese con le relative rappresentanze.

10 Cfr. Tozzi, p. 5. 11 Cfr. Tozzi, p. 9. 12 Cfr. Tozzi, p. 13.

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hanno i caratteri e gli attributi organizzativi di una struttura centralistica, come la Chiesa Cattolica.

La legislazione statale è stata modellata su questa categoria terminologica e ciò ha comportato che solo le confessioni religiose vengano ritenute soggetti che esprimono la valenza pubblica della religione, con i conseguenti benefici (finanziamenti pubblici, agevolazioni ed esenzioni tributarie). Tali “privilegi” non sono applicabili in misura uguale a qualunque gruppo religioso presente nel territorio nazionale: “sono distribuiti in maniera irragionevolmente ineguale”13, sulla base della legislazione pattizia.

Dovrebbe essere un altro il significato da attribuire al concetto di dimensione pubblica del fenomeno religioso. “Occorre muovere dal principio personalistico e per esso dalla centralità della persona umana, fondamento del patto unificante la società nazionale intorno alle istituzioni dello Stato, senza distinzioni di genere, di stato sociale, di cultura e di religione”14. Gli articoli 1915 (libertà di professione di fede religiosa) e 2016 (divieto per le istituzioni pubbliche di ogni atteggiamento discriminatorio verso i fenomeni collettivi della religiosità umana rilevanti nel sociale) costituiscono “una garanzia molto più ampia e generale (sistematica) rispetto alla specifica garanzia accordata alle confessioni religiose dal 13 Cfr. Tozzi, p. 14.

14 Cfr. Tozzi, p.

10-15 Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in

qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

16 Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od

istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.

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sotto – sistema degli articolo 8 e 7”17.

Tozzi continua la sua analisi riflettendo che “se l'oggetto della dimensione pubblica del fenomeno religioso è la religiosità come comportamento umano e non il potere dei gruppi religiosi dominanti, sarà la legge sulle libertà religiose18 a dover regolare il diritto individuale e collettivo di libertà di professione di fede religiosa, in maniera eguale per tutti, costituendo la base sulla quale innestare i raccordi da stabilire nella legislazione contrattata con i gruppi più presenti e radicati nella società”. Conclude sostenendo che “i rapporti confessioni – Stato devono contenersi nell'ambito delle relazioni necessarie a regolare aspetti specifici di coordinamento fra forme peculiari di organizzazione interna delle singole confessioni religiose e le regole generali dello Stato”19, nel rispetto dell'autonomia reciproca. Una diversa concezione della categoria delle “confessioni religiose”, e della disciplina che ne regola i loro rapporti con lo Stato, potrebbe permettere di ridefinire il ruolo di tutti i soggetti collettivi a carattere religioso in maniera più rispettosa del principio di uguaglianza20.

2.2.2 Sistema delle Intese e cooperazione Stato-Confessioni.

In virtù del disposto dell'articolo 8 III° comma della Costituzione le 17 Cfr. Tozzi, p. 10.

18 Per la questione intorno a questa legge si rinvia al paragrafo 2.2.2. 19 Cfr. Tozzi, p. 17.

20 Il significato del predicato attribuito alle confessioni “egualmente libere davanti alla legge” fissa un principio di libertà e non di uguaglianza in senso formale, per cui l'uguaglianza andrebbe intesa come misura della libertà. Questa disparità costituzionale deve essere superata dato che il principio di uguale libertà non sembra soddisfatto.

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confessioni religiose “diverse dalla cattolica” hanno il diritto di regolare i loro rapporti con lo Stato sulla base di un'intesa. Le organizzazioni religiose prive di intesa (“culti ammessi”) continuano a essere disciplinate dalla legge n. 1159/192921, “tuttora in vigore come normativa di diritto comune, pur essendo evidentemente incostituzionale”22. L'ultimo livello dell'architettura delle relazioni Stato - Confessioni è quello in cui “si sistemano alla men peggio le religioni che si autodefiniscono tali all'insaputa dello Stato e che si muovono come associazioni non riconosciute”23.

La “stagione” delle firme delle varie intese si caratterizza per essere stata altalenante. Dopo la stipula del Concordato con la Chiesa Cattolica nel 1984 è seguita la firma di numerose intese; vi è stato poi un rallentamento, per poi riprendere in buon numero nel 2012.

Secondo Folliero, “la cooperazione tra Chiese e Stato – e i suoi strumenti: le Intese e i Concordati - ” costituisce “la più genuina incarnazione della laicità in un sistema democratico (..). Oggi come oggi, la cooperazione tra Stato e Chiese intesizzate ha una texture complessa”24, caratterizzata da una trama intrecciata con il modello di organizzazione dello Stato (con le modifiche apportate dalla riforma del 2001). “Il limitatissimo intervento pubblico (servizi pubblici essenziali) è sopravanzato dalla imprenditorialità sociale di soggetti privati e privati – confessionali che 21http://host.uniroma3.it/progetti/cedir/cedir/Lex-doc/It_l_24-6-29.pdf

(consultato il 30/05/2016).

22 P. Consorti, Diritto e religione, Laterza, Roma – Bari, 2010, p. 72.

23 M. C. Folliero, Dialogo interreligioso e sistema italiano delle Intese: il

principio di cooperazione al tempo della post-democrazia, in “Stato, Chiese e

pluralismo confessionale” (rivista telematica www.statoechiese.it), 2010, p. 11.

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vengono incentivati (dal principio di sussidiarietà orizzontale di cui all'art. 118, comma 4, Cost.) a moltiplicare i tipi di relazioni e di convenzioni tra autorità religiose locali e poteri pubblici decentrati”25.

Comunque il sistema non si sottrae a criticità: “nella generalità dei casi il sistema non riconosce come Confessioni i gruppi religiosi portatori di richiesta di Intesa. Nelle ipotesi in cui invece si riconosce tende a rallentare quanto più possibile il perfezionamento dell'Intesa”26. Si è creata, dunque, un'impasse nel sistema delle intese, di cui testimone può essere la reiterata presentazione (senza esiti positivi) di progetti di legge sulla libertà religiosa. “Una legge sulle libertà religiose, generale ed unilateralmente emanata dal legislatore statale, semplicemente prevedendo l'accessibilità a tutti gli interventi promozionali della mano pubblica in favore di tutte le formazioni sociali a carattere religioso, senza distinzione di radicamento sociale e contenuti ideali, farebbe perdere il carattere privilegiario che questi interventi assumono per essere oggi previsti a pioggia, in favore delle sole confessioni religiose, per avere avuto accesso alla legislazione contrattata”27. Tozzi aggiunge che “un'amministrazione pubblica centrale e locale che attuasse la previsione della legge generale sulle libertà religiose di non discriminare fra i diversi tipi di formazione sociale religiosa, opererebbe in maniera più ragionevole e puntuale, potendo operare in base alla realtà effettiva dei bisogni e delle disponibilità e non per obblighi convenzionali assunti senza riscontro reale con i bisogni veri delle comunità destinatarie”.

Volendo dare un quadro complessivo del sistema delle intese e della sua 25 Cfr. Folliero, p. 10.

26 Cfr. Folliero, p. 12. 27 Cfr. Tozzi, pp. 11 – 12.

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operatività si potrebbe dire che “lo Stato e le confessioni religiose dividono la responsabilità di ricorrere alle intese quasi soltanto per risolvere problemi contingenti, di natura sostanzialmente amministrativa, e di carattere spesse volte dichiaratamente economico, evitando di affrontare per questa via i problemi più significativi”28.

2.2.3 Competenze del Governo e del Ministero dell'Interno.

La materia dei rapporti tra Stato e confessioni religiose è attribuita alla competenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell'Interno.

In base all'articolo 2 III° comma lett. i) e l) della legge 400/198829 il Consiglio dei Ministri è competente in materia di “atti concernenti i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica di cui all'articolo 7 della Costituzione e di atti riguardanti i rapporti previsti dall'articolo 8”. Inoltre al Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in base all'articolo 19 lettera i-bis) della medesima legge, è attribuito il “compito di assistere il Presidente del Consiglio dei Ministri nell'esercizio delle sue attribuzioni istituzionali in materia di rapporti con le Confessioni religiose, ferme restando le attribuzioni del Ministero dell'interno di cui all'articolo 14, comma 2, lettera d), del decreto legislativo sul riordinamento dei Ministeri”30.

Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è istituito il Servizio per i 28 P. Consorti, Diritto e religione, Laterza, Roma – Bari, 2010, p. 169.

29http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/norme/legge400.html (consultato il 30/05/2016).

30http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/norme/legge400.html (consultato il 30/05/2016).

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rapporti con le confessioni religiose e per le relazioni istituzionali31,

competente per il coordinamento delle varie attività in materia di libertà religiosa e di relazioni tra Stato e confessioni religiose. “Assicura inoltre il coordinamento funzionale e il raccordo organizzativo con commissioni e organismi istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con competenze in materia ecclesiastica e di libertà religiosa, nonché in materia di particolare impatto strategico anche sotto il profilo etico e umanitario”32.

Sono attive varie Commissioni tra le quali la Commissione

interministeriale per le intese con le Confessioni Religiose33 e la Commissione consultiva per la libertà religiosa, entrambe istituite nel

1997. La prima ha il compito di “preordinare gli studi e le linee operative per il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, incaricato di condurre le trattative con le rappresentanze delle confessioni religiose, e di concordare con le delegazioni delle confessioni religiose interessate il testo delle intese”. La seconda è competente in materia di “studio, informazione e proposta per tutte le questioni attinenti all'attuazione dei principi della Costituzione e delle leggi in materia di libertà di coscienza, di religione o credenza; ricognizione ed esame dei problemi relativi alla preparazione di intese con le Confessioni religiose e formulazione di un parere preliminare sulle bozze di intesa; elaborazione degli orientamenti di massima in vista della stipula dell'intesa; formulazione di pareri su questioni attinenti alle relazioni tra Stato e confessioni religiose in Italia e 31http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/index.html (consultato il 30/05/2016). 32http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/norme/legge400.html (consultato il 30/05/2016). 33http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/commissioni.html#1 (consultato il 30/05/2016).

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nell' Unione Europea su richiesta del Presidente del Consiglio dei Ministri; segnalazione di problemi in sede di applicazione della normativa vigente in materia, anche di derivazione internazionale”.

Specifiche competenze sono attribuite al Ministero dell'Interno in base all'articolo 14 II° comma lett. d) del Decreto legislativo n. 300/199934, per cui “svolge in particolare le funzioni e i compiti di spettanza statale” nell'area funzionale di tutela dei diritti civili, ivi compresi quelli delle confessioni religiose, di cittadinanza, immigrazione e asilo.

Queste sono esercitate dalla Direzione Centrale degli Affari dei Culti35, incardinata nel Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione. La Direzione “vigila sulla concreta osservanza dei principi contenuti negli articoli 3, 8 e 19 della Costituzione e delle normative vigenti, ordinarie e speciali, in materia di libertà religiosa e di regolamentazione dei rapporti Stato-Confessioni religiose, per rendere effettivo il diritto alla libertà religiosa”. Essa si articola in due grandi aree, destinate l’una alla cura degli “Affari del culto cattolico” e l’altra degli “Affari dei culti acattolici”. Per quanto concerne le confessioni diverse dalla cattolica, la Direzione Centrale è competente36:

• per il riconoscimento della personalità giuridica degli enti di culto

• ad esprimere parere per l'avvio delle intese e a partecipare alla loro 34http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/99300dl.htm (consultato il

30/05/2016).

35 http://www.interno.gov.it/it/ministero/dipartimenti/dipartimento-liberta-civili-e-limmigrazione/direzione-centrale-affari-dei-culti (consultato il 30/05/2016). 36 Religioni, dialogo, integrazione, Vademecum a cura del Dipartimento per le

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negoziazione attraverso la Commissione interministeriale per le intese di cui è componente

• per l'approvazione governativa della nomina dei ministri di culto delle confessioni senza intesa, relativamente alla rilevanza civile dei loro atti (es. celebrazione di matrimonio religioso con effetti civili)

• per il rilascio di un parere in merito all'autorizzazione all'ingresso dei ministri di culto negli istituti di prevenzione e pena per l'assistenza spirituale

• per il supporto al Ministero degli Affari Esteri in materia di rilascio di visiti e permessi di soggiorno in Italia per motivi religiosi.

In tale ambito si colloca il lavoro svolto dall'Osservatorio sulle politiche

religiose37, che rappresenta una delle prioritarie funzioni assegnate alla Direzione Centrale – Ufficio politiche dei culti e relazioni esterne38. L'Osservatorio ha compiti di studio e di monitoraggio delle realtà religiose presenti nel paese e delle problematiche ad esse connesse. “Tra le sue finalità rientra anche un servizio di “consulenza” sia per l’interpretazione e la possibile soluzione delle problematiche rappresentate dalle varie Confessioni, sia per la valutazione di osservazioni e proposte mirate a favorire il dialogo con le religioni”.

Per l'espletamento dei suoi compiti, la Direzione Centrale si avvale sul territorio delle Prefetture che costituiscono i punti di riferimento locali per l'avvio delle procedure di riconoscimento della personalità giuridica di enti 37

http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/osservatorio-sulle-politiche-religiose (consultato il 30/05/2016).

38 http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/ufficio-politiche-dei-culti-e-relazioni-esterne (consultato il 30/05/2016).

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di culto e di approvazione governativa della nomina dei ministri di culto e sensore periferico per la raccolta di informazioni utili all'Osservatorio.

Le richieste di intesa39 vengono preventivamente sottoposte al parere del Ministero dell'Interno, Direzione Generale Affari dei Culti. La competenza ad avviare le trattative, in vista della stipula di una intesa, spetta al Governo. Le Confessioni interessate si devono rivolgere quindi, tramite istanza, al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale affida l'incarico di condurre le trattative con le rappresentanze delle Confessioni religiose al Sottosegretario-Segretario del Consiglio dei Ministri.

Le trattative vengono avviate solo con le Confessioni che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica ai sensi della legge n. 1159 del 24 giugno 1929, su parere favorevole del Consiglio di Stato. Il Sottosegretario si avvale della Commissione interministeriale per le intese con le Confessioni religiose affinché essa predisponga la bozza di intesa unitamente alle delegazioni delle Confessioni religiose richiedenti. Su tale bozza di intesa esprime il proprio preliminare parere la Commisione consultiva per la libertà religiosa.

Dopo la conclusione delle trattative, le intese, siglate dal Sottosegretario e dal rappresentante della confessione religiosa, sono sottoposte all'esame del Consiglio dei Ministri ai fini dell'autorizzazione alla firma da parte del Presidente del Consiglio. Dopo la firma del Presidente del Consiglio e del Presidente della Confessione religiosa le intese sono trasmesse al Parlamento per la loro approvazione con legge.

39http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/intese_indice.html (consultato il 31/05/2016).

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E' interessante ragionare intorno alla scelta di costituire proprio all'interno del Dipartimento per le Libertà civili e l'Immigrazione del Ministero dell'Interno la Direzione degli Affari dei culti.

Le trasformazioni sociali dovute al fenomeno migratorio hanno comportato il confronto con gruppi religiosi “nuovi” e l'inevitabile sviluppo del pluralismo religioso sul territorio nazionale40. Si può ipotizzare che la presenza di tali gruppi religiosi, legati al “problema dell'immigrazione”, sia stato affrontato in un' ottica di sicurezza41. “Si comincia ad avere la sensazione che il problema dell'immigrazione sia diventato un problema esclusivamente di sicurezza (..). Il Ministero dell'interno non è soltanto il Ministero di polizia, ma è il Ministero dei diritti civili e dell'immigrazione (..). Ebbene non è stato elaborato alcun indirizzo di intervento che vada al di là delle misure di sicurezza elaborate, praticamente ogni tavolo di confronto con le comunità dell'immigrazione è stato interrotto”.

Per quel che riguarda nello specifico il dialogo interreligioso, la valutazione del Direttore42 Centrale degli Affari dei Culti, il Prefetto Sandra Sarti, in occasione della presentazione del progetto Promozione del dialogo interreligioso, era più che positiva43. “Sotto il profilo 40 Vedi mappe di cui al capitolo 1.1.

41 C. Cardia, Carta dei valori e multiculturalità alla prova della Costituzione, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” (rivista telematica www.statoechiese.it), 2008, 10 [ottica di securitate].

42 L'attuale Direttore Centrale degli Affari dei Culti è il Prefetto Giovanna Maria Rita Iurato.

43 Finanziato dal “Fondo europeo per l'integrazione di cittadini di paesi terzi” di cui a http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=URISERV %3Al14572 (consultato il 30/05/2016).

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istituzionale, il risultato conseguito è stato indubbiamente quello di aver rivitalizzato la funzione dei Consigli Territoriali [per l'Immigrazione]44 in chiave di Tavoli di dialogo interreligioso mettendo in piena luce il tema della libertà di religione che, finora, è stato generalmente visto come marginale e periferico rispetto alle altre e più emergenti priorità sociali”45. Questo progetto si proponeva di “cogliere, da un lato, elementi utili a favorire le modalità di integrazione tra le comunità, mentre, dall'altro, (..) di individuare modalità di intervento idonee ad affiancare le Istituzioni locali nell'accompagnamento del complesso processo di conoscenza e di dialogo”46.

La mancanza di riscontri provenienti dalla stessa Direzione centrale degli Affari dei Culti per il periodo successivo alla realizzazione di questo progetto (quindi dal 2014 ad oggi) non permette di dare conto degli sviluppi verificatisi a livello nazionale e locale nel periodo più recente.

Nell'ambito del Ministero dell'Interno sono state realizzate diverse iniziative, tra cui la Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione47 e la Consulta dell'Islam italiano48.

2.2.4 Carta dei valori e della cittadinanza.

44

http://www.interno.gov.it/it/temi/immigrazione-e-asilo/politiche-migratorie/consigli-territoriali-limmigrazione (consultato il 30/05/2016). 45 Religioni, dialogo, integrazione, Vademecum a cura del Dipartimento per le

libertà civili e l'immigrazione, COM NUOVI TEMPI – IDOS, 2013, p. 11. 46 Religioni, dialogo, integrazione, Vademecum a cura del Dipartimento per le

libertà civili e l'immigrazione, COM NUOVI TEMPI – IDOS, 2013, p. 10. 47 Oggetto di analisi al seguente paragrafo 2.2.4.

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La Carta dei valori e della cittadinanza è stata approvata il 23 aprile 2007 con Decreto del Ministero dell'Interno49. “E' stata concepita come proiezione dei nostri principi costituzionali ed elaborata insieme alle rappresentanze religiose, etniche, nazionali, presenti in Italia”50. La sua genesi si colloca in un periodo di intensa affluenza migratoria sul territorio nazionale. Lo scopo, come spiegato da Cardia51 nell'introduzione alla Carta, era di “riassumere e rendere espliciti i principali fondamenti del nostro ordinamento che regolano la vita collettiva sia ai cittadini che agli immigrati e che sono illuminanti per i principali problemi legati al tema dell'integrazione. (..) La Carta dei valori enuclea e declina i principi della Costituzione italiana e delle principali Carte europee e internazionali dei diritti umani, ma si sofferma in modo particolare su quei problemi che la multiculturalità pone alle società occidentali”52.

L'esigenza di formulare una Carta dei valori si è creata “quando abbiamo cominciato ad avvertire che anche in Italia non eravamo immuni dai rischi 49http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/origina rio;jsessionid=NJMooeygaWIGgR+qI8rkvA__.ntc-as4-guri2a? atto.dataPubblicazioneGazzetta=2007-06-15&atto.codiceRedazionale=07A05324&elenco30giorni=false (consultato il 31/05/2016). 50 Cfr. Cardia, p. 1.

51 Il Prof. Cardia è stato il Presidente del Consiglio Scientifico presso il Ministero dell'Interno (incaricato di approfondire e proporre iniziative per la conoscenza e diffusione della Carta) e curatore del commento al documento;

disponibile presso https://www.google.it/url?

sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=3&ved=0ahUKEwim9M6Rg4TN AhXLcRQKHYgUCw gQFggrMAI&url=http%3A%2F %2Fstorage.provincia.re.it%2Ffile %2F0839_2007_07_10_Breve_commento_alla_Carta_dei_valo- 2.pdf&usg=AFQjCNFaxtxfnbnRopAFk-We-qiQc0UH0A&sig2=BOEAzXQPWZdakDNGHq_r3g&bvm=bv.123325700,d. d24 (consultato il 31/05/2016).

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delle società multiculturali (..), da pulsioni negative che si andavano estendendo”53. Il documento si pone come “punto di equilibrio tra il laissez faire del multiculturalismo e la chiusura agli altri e alle loro tradizioni, tra i diritti e i doveri che devono essere riconosciuti e fatti osservare da chiunque, senza sconti per nessuno”. Già su questo punto è individuabile la “novità” rappresentata dalla Carta, che risulta “sorprendente in uno stato di diritto costituzionale, e non semplicemente legislativo, come il nostro, caratterizzato dal fatto che i valori sono positivizzati appunto nella Costituzione”54. A questa obiezione, secondo la quale “basterebbe la Costituzione a risolvere tutti i problemi, anche quelli dell'immigrazione, e ogni documento relativo alla multiculturalità sarebbe inutile”55, Cardia risponde con la provocazione per cui altrettanto inutili sarebbero allora “le Carte internazionali sui diritti umani, le Convenzioni sui diritti civili e sociali, sulla non discriminazione della donna, e tante altre leggi e documenti che approfondiscono e specificano i diritti costituzionali”. Dietro a questa argomentazione, secondo Cardia, ci sarebbe il tentativo di risolvere la questione della multiculturalità secondo ottiche ideologiche contrapposte, “facendo dire alla Costituzione ciò che più aggrada”. Ma l'obiezione non sarebbe superabile se si accogliesse l'ottica secondo la quale nella Carta “si riscrivono i valori, di guisa che i principi costituzionali si riducono solo a base di numerose asserzioni ed esemplificazioni”56, operazione che risulta pericolosa quando si è alle prese con principi costituzionali. Colaianni aderisce a questo punto di 53 Cfr. Cardia, p. 2 – 3.

54 N. Colaianni, Una “carta” post-costituzionale?, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” (rivista telematica wwww.statoechiese.it), 2007, p. 2.

55 Cfr. Cardia, p. 4. 56 Cfr. Colaianni, p. 2.

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vista, sostenendo che nel trasferire tali principi dalla carta costituzionale ad un'altra carta “se ne può perdere qualche pezzo, impoverendoli se non proprio frantumandoli”57. Secondariamente “accostandoli – essi che naturalmente non hanno fattispecie – in concreto ad una fattispecie determinata, li si circoscrive, li si definisce, li si rende esclusivi facendo perdere loro il carattere dell'inclusività delle tante nuove fattispecie emergenti nella realtà sociale”: “insomma li si trasforma in regole, da principi che erano”. Allo stesso tempo, “continuando a presentarli come valori e mischiandoli tuttavia con precetti concreti, di portata limitata, si elevano queste regole a valori costituzionali”, andando così verso l'annullamento della distinzione tra principi e regole, cioè tra Costituzione e legge.

Per quanto riguarda il valore giuridico della Carta, viene esplicitamente rilevato che questo documento “svolge in primo luogo un ruolo di orientamento e di indirizzo dell'azione del Ministero dell'Interno nell'ambito dell'immigrazione e del mondo delle comunità religiose”58. Inoltre, può costituire “un utile strumento di generale orientamento sulle tematiche connesse ai percorsi di integrazione e di inclusione sociale e, come tale, idoneo a favorire l'armonica convivenza delle comunità immigrate e religiose nella società italiana”. Dunque, non ha un peso giuridico effettivo, tuttavia ha assunto un ruolo politico e culturale significativo. Si consideri che “molti prefetti hanno chiesto ai rappresentanti delle comunità di stranieri presenti nelle diverse province di 57 N. Colaianni, Una “carta” post-costituzionale?, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” (rivista telematica wwww.statoechiese.it), 2007, p. 3.

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sottoscriverla come condizione per mantenere attivi i canali di incontro e confronto, provocandone quindi un'applicazione potenzialmente discriminatoria”59.

“Resta tuttora nebulosa la (sua) collocazione giuridica”60, sostiene Fiorita:

“contiene alcune affermazioni sostanzialmente inutili e alcune previsioni che destano una certa preoccupazione”61. Nella prima categoria rientrerebbero le disposizioni che si limitano a ribadire una serie di principi costituzionali, “che come tali non abbisognavano di nessuna ripetizione in questo o in altro documento”62. Nel secondo insieme verrebbero collocate tutte quelle disposizioni indirizzate a fornire una “interpretazione autentica delle norme costituzionali o una modifica legislativa vigente in assenza di alcuna competenza a perseguire questo obiettivo”.

In ciascuna sezione della Carta63 le formulazioni sono rivolte sia ai cittadini italiani, “perché prendano consapevolezza della nuova fase storica che si è aperta con la colorazione multiculturale della società”64, sia agli immigrati, “per individuare meglio le loro aspettative, definire i loro diritti, indicare i valori e i doveri cui tutti devono attenersi per la 59 P. Consorti, Diritto e religione, Laterza, Roma – Bari, 2010, p. 177.

60 N. Fiorita, Libertà religiosa e società multiculturali: il caso del velo islamico, in “La libertà di manifestazione del pensiero e la libertà religiosa nelle società multiculturali”, Firenze University Press, Firenze, 2009, p. 101.

61 Cfr. Fiorita, p. 102.

62 Dunque Fiorita sostiene l'obiezione dell'inutilità della ripetizione dei principi costituzionali.

63 Le sezioni sono 7: 1. L'Italia, comunità di persone e di valori; 2. Dignità

della persona, diritti e doveri; 3: Diritti sociali. Lavoro e salute; 4: Diritti sociali. Scuola, istruzione, informazione; 5: Famiglia, nuove generazioni; 6: Laicità e libertà religiosa; 7. L'impegno internazionale dell'Italia.

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realizzazione del progetto di integrazione complessivo”. Colaianni ritiene che “nonostante il dichiarato proposito di rivolgersi a tutti coloro che desiderano risiedere stabilmente in Italia, è evidente che tra questi il tipo avuto di mira è il musulmano”65. Questa visione troverebbe fondamento nelle disposizioni sul divieto di coercizioni e di matrimoni forzati o tra bambini (art. 1866), sull' irrilevanza di statuti personali determinati dalla legge (art. 2267), sulla libertà di abbigliamento, a condizione che non venga coperto il volto (art. 2668) e di esposizione di simboli religiosi (art. 2569). Il problema è “la ricostruzione di un gruppo di persone, in realtà assai molto diverse, in base ad un criterio religioso come la comune adesione all'Islam”70. Conseguentemente si fa confusione tra aspetti di libertà di religione e ordine pubblico, annullando il principio costituzionale della distinzione degli ordini. “La etnicizzazione o la razzizzazione di un gruppo religioso (in passato perseguita nei confronti 65 Cfr. Colaianni, p. 7.

66 L’ordinamento italiano proibisce ogni forma di coercizione e di violenza dentro e fuori la famiglia, e tutela la dignità della donna in tutte le sue manifestazioni e in ogni momento della vita associativa. Base dell’unione coniugale è la libertà matrimoniale che spetta ai giovani, e comporta il divieto di coercizioni e di matrimoni forzati, o tra bambini.

67 I principi di libertà e i diritti della persona non possono essere violati nel nome di alcuna religione. E’ esclusa ogni forma di violenza, o istigazione alla violenza, comunque motivata dalla religione. La legge, civile e penale, è eguale per tutti, a prescindere dalla religione di ciascuno, ed unica è la giurisdizione dei tribunali per chi si trovi sul territorio italiano.

68 In Italia non si pongono restrizioni all’abbigliamento della persona, purché liberamente scelto, e non lesivo della sua dignità. Non sono accettabili forme di vestiario che coprono il volto perché ciò impedisce il riconoscimento della persona e la ostacola nell’entrare in rapporto con gli altri.

69 Muovendo dalla propria tradizione religiosa e culturale, l’Italia rispetta i simboli, e i segni, di tutte le religioni. Nessuno può ritenersi offeso dai segni e dai simboli di religioni diverse dalla sua. Come stabilito dalle Carte internazionali, è giusto educare i giovani a rispettare le convinzioni religiose degli altri, senza vedere in esse fattori di divisioni degli esseri umani.

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degli ebrei) finisce per etichettare diversamente le esigenze religiose e così diminuirne o annullarne le garanzie assicurate dalla Costituzione”71. Colaianni conclude sostenendo che la confusione dei diversi piani costituzionali di intervento statale, sommandosi alla confusione tra principi e regole, “contribuisce (..) ad alimentare la generale regressione verso un dominio policentrico premoderno” in cui la carta costituzionale “degrada da legge superiore ad ordinamento parziale, inidoneo a vincolare la totalità dei detentori del potere pubblico”.

Emerge la sensazione che questo documento abbia voluto enucleare un insieme di principi e diritti componenti il nucleo non negoziabile dell'identità italiana72, all'interno di una visione assimilazionistica, per cui

tali principi e diritti “devono essere accettati da chi arriva, pena l'esclusione dalla nostra società”. Andrebbe, dunque, a “sancire il dominio dei valori della maggioranza, cui i destinatari (ovvero gli immigrati) devono assoggettarsi esplicitamente”.

2.2.5 Profili problematici della presenza islamica in Italia.

Oggi l'Islam è la seconda più grande religione in Italia dopo il cattolicesimo e quella musulmana costituisce la comunità religiosa più vasta dopo quella cristiana, anche se dati recenti rivelano la notevole espansione di quella ortodossa73. Va tenuto conto del fatto che si tratta di realtà molto variegate al proprio interno. L'eterogeneità dell'Islam italiano 71 Cfr. Colaianni, pp. 9 - 10.

72 Cfr. Fiorita, p. 103.

73 Per avere l'immagine dell'ampia varietà di presenza religiose in Italia si rinvia alle mappe di cui al capitolo 1.1.

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costituisce una caratteristica non priva di ricadute “per quanto riguarda la possibilità di allacciare rapporti con lo Stato”74, non limitatamente alle sue tradizionali divisioni interne dovute alle diverse tendenze (sunniti, sciiti, sufi, salafiti) ma “anche (al)la varietà dei Paesi da cui provengono gli immigrati, in ognuno dei quali l'Islam ha assunto connotazioni differenti”. Dunque, nella comprensione della “galassia islamica” presente sul territorio italiano vanno tenuti presenti diversi fattori75: origini etnico – linguistiche, nazionalità e regioni di origine, appartenenza alla tradizione sciita o sunnita, alle diverse scuole giuridiche, alle diverse confraternite sufi e ai diversi movimenti e associazioni76.

Fino ad oggi la presenza islamica non è riuscita a trovare un'intesa con lo Stato. “Le proposte di intesa presentate negli anni che vanno dal 1992 al 1996 da alcune delle organizzazioni più rappresentative del mondo musulmano sono state ignorate dal Governo italiano, che ha trovato una plausibile motivazione della mancanza di una rappresentanza istituzionale unitaria dell'Islam”77. Una prima bozza di intesa fu formulata e presentata nel 1992 dall'U.C.O.I.I. e Organizzazioni Islamiche in Italia; la stessa richiesta veniva avanzata nel 1993 in una lettera ufficiale del Centro 74 A. S. Mancuso, La presenza islamica in Italia: forme di organizzazione,

profili problematici e rapporti con le istituzioni, in “Stato, Chiese e pluralismo

confessionale” (rivista telematica www.statoechiese.it), 32/2012, pp. 6 – 7. 75 Religioni, dialogo, integrazione, Vademecum a cura del Dipartimento per le

libertà civili e l'immigrazione, COM NUOVI TEMPI – IDOS, 2013, p. 58. 76 Per citarne alcune che hanno rivendicato la rappresentanza degli interessi

musulmani che vivono in Italia [secondo la ricostruzione di A. S. Mancuso,

La presenza islamica in Italia: forme di organizzazione, profili problematici e rapporti con le istituzioni, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”

(rivista telematica www.statoechiese.it), 32/2012, p. 7]: U.C.O.I.I. (Unione delle Comunità e Organizzazioni islamiche in Italia), Lega Musulmana Mondiale, Comunità Religiosa Islamica (CO.RE.IS.), Assemblea Musulmana d'Italia (AMI), Unione dei musulmani d'Italia (UMI).

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Culturale Islamico d'Italia allo Stato italiano. Nel 1994 l'Associazione dei Musulmani d'Italia propose una bozza di intesa; infine nel 1996 l'Associazione per l'Informazione sull'Islam in Italia – CO.RE.IS. ha presentato un' ultima bozza di intesa78. Le quattro differenti richieste

risultavano “viziate in partenza dal fatto che ognuna di esse (cioè delle organizzazioni) si propose come unico rappresentante nazionale dell'Islam”79.

La molteplicità delle associazioni e movimenti (in continuo incremento) è dovuto “alla stessa struttura dell'Islam in cui, a differenza della Chiesa Cattolica, gerarchicamente organizzata e che agisce attraverso un clero ufficiale, manca del tutto una forma istituzionalizzata di sacerdozio”80. Da qui deriverebbe “un'oggettiva difficoltà nella relazione tra lo Stato e l'Islam, in quanto quest'ultimo non si costituisce come “chiesa”, e tanto come una “gerarchia” costituita a partire da una guida spirituale unica(..). Esso è per sua natura “congregazionalista”, articolato cioè in comunità locali che si autogovernano e che si danno forme proprie di organizzazione”81. Va rilevato, però, che “continuare a trincerarsi dietro la

mancanza di una rappresentanza istituzionale unitaria dell'Islam per rifiutare l'intesa con gli esponenti dell'Islam moderato non appare più conveniente né politicamente corretto, tanto più che, dando uno sguardo alle intese stipulate in precedenza, si vede che non sempre è stato ritenuto necessario che le confessioni avessero una rappresentanza unitaria”82. 78 Religioni, dialogo, integrazione, Vademecum a cura del Dipartimento per le

libertà civili e l'immigrazione, COM NUOVI TEMPI – IDOS, 2013, p. 66. 79 Cfr. Mancuso, p. 16.

80 Cfr. Mancuso, p. 8.

81 Religioni, dialogo, integrazione, Vademecum a cura del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, COM NUOVI TEMPI – IDOS, 2013, p. 65. 82 Cfr. Mancuso, p. 24.

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“Non si capisce perché non si possa procedere in modo plurale anche con i musulmani italiani, riconoscendo loro quella pluralità istituzionale che si presenta come un dato di fatto assolutamente percepibile in termini sociali”83.

L'assenza di una rappresentanza unitaria degli islamici in Italia ha indotto i governi di diverse legislature ad adottare diversi strumenti di raccordo, volti alla “creazione di un coordinamento intraislamico”.

In seguito all'allarme suscitato dagli attentati di estremisti islamici del 2005, in particolare da quello alla metropolitana londinese, il Ministro dell'Interno84, il 10 settembre 2005, istituì con proprio decreto, presso lo stesso Ministero, la Consulta per l'Islam italiano85. La sua composizione

era di sedici membri, la metà dei quali cittadini italiani, oltre il presidente (lo stesso Ministro)86.

“La portata di un decreto ministeriale è stata inevitabilmente più limitata rispetto alle vie legislative, unilaterali o di derivazione bilaterale”87, anche in relazione alla funzione meramente consultiva attribuita all'organismo. In base all'art. 1, II° comma, “la Consulta svolge i compiti di ricerca e approfondimento indicati dal Ministro dell'interno, elaborando studi e formulando al Ministro dell'interno pareri e proposte, al fine di favorire il dialogo istituzionale con le comunita' musulmane d'Italia, migliorare la conoscenza delle problematiche di integrazione allo scopo di individuare 83 P. Consorti, Diritto e religione, Laterza, Roma – Bari, 2010. p. 175.

84 All'epoca G. Pisanu.

85http://www.gazzettaufficiale.biz/atti/2005/20050250/05A10146.htm (consultato il 31/05/2016).

86http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stam pa/notizie/immigrazione/app_notizia_22030.html (consultato il 31/05/2016). 87 N. Colaianni, Musulmani italiani e Costituzione: il caso della Consulta

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le piu' adeguate soluzioni per un armonico inserimento delle comunita' stesse nella societa' nazionale, nel rispetto della Costituzione e delle leggi della Repubblica”.

Folliero descrive la Consulta come un “organismo nato male”88: “avrebbe dovuto favorire l'emersione di un islam moderato, accettato e integrato nella comunità nazionale, ma è rimasta paralizzata dalle divisioni interne”.

Oltre alle esperienze della Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione89 e del Comitato scientifico che ne ha curato la stesura, si può richiamare l'opera del Comitato per l'Islam italiano90, istituito nel

2010. Il lavoro del Comitato, del cui apporto si sono avvalsi tanto il Governo che il Parlamento, è consistita nella “redazione di proposte e pareri su materie di grande attualità e interesse pratico quali la formazione degli imam, l'apertura di sale di culto, il porto del velo integrale”91. L'organo doveva servire unicamente a “favorire l'integrazione e non vi era alcuna intenzione di porre le basi per una futura rappresentanza istituzionale dell'Islam”.

Da ultimo da segnalare la Conferenza permanente religioni cultura e integrazione, istituita nel marzo 2012 dal Ministro per la Cooperazione

88 M. C. Folliero, Dialogo interreligioso e sistema italiano delle Intese: il

principio di cooperazione al tempo della post-democrazia, in “Stato, Chiese e

pluralismo confessionale” (rivista telematica www.statoechiese.it), 2010, p. 14.

89 Analizzata al capitolo 2.2.4.

90 Costituito dal Ministero degli interni R. Maroni. 91 Cfr. Mancuso, p. 20.

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internazionale e l'integrazione92, a cui ha presenziato anche il Ministro degli Interni93. L'organismo, che aveva l'obiettivo di riunirsi periodicamente, era aperto a tutti i capi delle comunità religiose presenti in Italia, per “facilitare l'integrazione degli immigrati nella società italiana”94.

Se lo strumento dell'intesa “non può e non deve essere (..) l'unico strumento valido per regolare i rapporti con il mondo musulmano”95, un ruolo importante può essere assunto anche dagli enti locali96, secondo criteri unitari e non nella più totale discrezionalità.

Al di là della diffidenza e dei pregiudizi, che fino ad ora hanno caratterizzato i rapporti con l'Islam italiano, sembra venuto il momento di individuare la strada verso un'integrazione di vasta portata, basata su “valori e lealtà condivisi da tutti i cittadini”97.

92 A. Riccardi. 93 A. Cancellieri. 94 Cfr. Mancuso, p. 20. 95 Cfr. Mancuso, p. 25.

96 Per l'analisi del livello locale del dialogo interreligioso si rinvia al capitolo 2.3 e delle “buone pratiche locali” al capitolo 3.

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